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Introduzione
Il presente lavoro si pone come ricerca e studio delle forme rituali che
riguardano i modi e i luoghi della visione, in particolare cinematografica.
Per arrivare a comprendere al meglio che cosa intendo per rituali della
visione mi muoverò per gradi. Partendo dallo studio delle forme di
comunicazione pre moderne fino ad arrivare ai giorni nostri, cercherò di
evidenziare le tappe fondamentali dell‟evoluzione della comunicazione e dei
media che la veicolano. Se è vero, infatti, che i rituali di consumo e di
visione evolvono e cambiano forma in una società in continua evoluzione,
essi non si discostano mai dalla loro funzione: la produzione di senso che
permette di dare ordine al disordine.
In questo senso i modi dell‟atteggiamento rituale che gli individui mettono
in atto, si adegua e si modella attorno al tipo di società nella quale si agisce.
Quest‟ultima influenzando il comportamento rituale, crea nuove categorie
“mitiche” e nuove simbolizzazioni.
Partendo da un‟analisi prettamente sociologica dell‟origine del rito,
riprenderò i temi principali di studiosi come Turner e Douglas per avere un
punto dal quale partire e rimandare le considerazioni posteriori.
Dalla distinzione tra Sacro e Profano di Durkheim, al concetto di limen di
Turner i rituali saranno considerati come comportamenti che portano la
collettività a comprendere meglio se stessa attraverso simbolizzazioni in un
sentire comune. Accantonando il concetto di Sacro, ormai superato, mi
concentrerò più che altro sulle caratteristiche comuni che i rituali hanno
mantenuto fino alla contemporaneità, inserendo il concetto di fenomeno
liminale e limino ide applicato ai luoghi del cinema.
Percorrerò le varie fasi del passaggio dall‟oralità alla scrittura nelle quali la
comunicazione avrà un ruolo di prim‟ordine: quello che cambierà saranno
proprio gli attori della comunicazione, chi parla e chi ascolta, Alter e Ego,
che in questa fase di passaggio si sganceranno dalla compresenza della
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comunicazione orale per co-esistere in tempi e luoghi che spesso non
combaciano. Nel momento in cui la scrittura entra a far parte della cultura
moderna, le grandi narrazioni (che derivano dall‟oralità) fanno posto a nuovi
miti e nuovi archetipi. La cultura orale, legata al concetto di memoria e
narrazione va a mano a mano perdendosi e, con il romanzo, l‟idea di
comunità sfuma a favore del singolo individuo, colui che legge un libro
scritto in altri tempi e in altri luoghi.
L‟individuo nel suo isolamento sarà il protagonista del mito della metropoli
che il romanzo ha contribuito a creare, in una società in evoluzione che
cambierà la sua struttura: da stratificata a differenziata per funzioni. In
questo cambiamento l‟individuo perderà i suoi legami forti a favore di
legami più deboli ed effimeri perdendosi nella folla e cercando
contemporaneamente di emergere nella nuova industrializzazione che
porterà alla divisione del lavoro. E‟ proprio la metropoli protagonista di una
comunicazione sempre più “visiva” e “visibile” fino alla nascita della
cultura di massa che segnerà il passaggio dal magico (Sacro) all‟estetico
dando origine contemporaneamente ad un nuovo spettatore di massa.
Questa nuova cultura, nella quale il cinema si inserisce, permetterà alle
diverse classi sociali di comunicare tra loro, attraverso una livellazione dei
contenuti e nello stesso tempo della loro differenziazione.
Grazie alla divisione del lavoro, i rituali di consumo non sono più scanditi
da tempi precisi. A partire dalla modernità, infatti, la cultura di massa si
inserirà nel tempo libero separato dal tempo lavorativo. I nuovi riti si
manifestano in nuovi luoghi, con nuove simbolizzazioni e tempi e attraverso
i mass media l‟esperienza di consumo che l‟individuo fa si somma a quella
che già possiede: realtà e immaginario si mescolano in un continuo rimando.
Sarà proprio nell‟immaginario collettivo che gli individui attingeranno i
propri miti attraverso le performance culturali. In un gioco di specchi e
riflessi performance e sistema sociale si influenzeranno a vicenda
modificando le proprie categorie attraverso i rituali della visione.
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Se l‟individuo cercherà una sua identità nelle vie della metropoli, passando
da un luogo all‟altro tra caffè, fiere, teatri di varietà, i rituali che egli mette
in atto non sono ancora normativizzati.
Partecipando alla vita collettiva della città, contribuirà, però, a forgiare un
nuovo tipo di immaginario. Proprio agli inizi del „900, infatti, il
cinematografo farà la sua comparsa nelle fiere e negli spettacoli culturali,
ma l‟attenzione degli spettatori sarà rivolta principalmente alla tecnica usata
per la riproduzione delle immagini in movimento. In questo senso l‟idea di
cinema come oggi la conosciamo è ancora nella sua fase embrionale, così
come i rituali della visione messi in atto dagli spettatori, che distratti e
vivaci seguiranno i primi cortometraggi insieme a spettacoli di varietà.
Dai Café-Chantant ai teatri di varietà il cinema inizierà timidamente ad
affacciarsi nella realtà metropolitana moderna. Ma il clima è più quello di
una fiera che di una proiezione vera e propria. Sarà solo a partire dagli anni
‟10 del „900 quando il cinema inizierà a guadagnarsi uno spazio per le sole
proiezioni dei lungometraggi, che i rituali della visioni saranno
normativizzati. Così anche il cinema come luogo contribuirà a influenzare le
modalità di visione degli spettatori che, seppure nella loro individualità,
parteciperanno a un‟esperienza collettiva.
Il cinema, almeno fino alla prima metà del „900, sarà il media di massa per
eccellenza e il principale contenitore dei discorsi sulla realtà. Attraverso il
cinema come performance culturale la società potrà guardare alla propria
condizione, assimilando i contenuti dell‟immaginario che essa stessa
produce e attraverso i quali reinterpreta la propria esperienza.
Attraverso lo studio dei meccanismi di riflessione dell‟immaginario e della
realtà si genereranno strutture culturali nuove, mettendo in “immagine” quei
bisogni, quelle aspettative che l‟uomo moderno avrà.
E‟ a partire dalla seconda metà del 1900 con la comparsa degli individual
media e dei media domestici che la fruizione dello spettatore del prodotto
cinematografico cambierà radicalmente.
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Attraverso l‟analisi delle nuove forme di visione (dalla tv, ai pc, ipad…)
descriverò come anche i rituali cambino in relazione al tipo di medium che
lo spettatore sceglie per la sua visione.
I luoghi del cinema si estenderanno prima alle abitazioni (con la
televisione), fino ad arrivare a qualsiasi luogo, o meglio non luogo. Così
anche i rituali della visione che caratterizzavano il cinema classico, perdono
in parte la loro forza di coesione sociale in favore di una visione individuale
appunto e distratta.
Prendendo in considerazione le nuove tecnologie e i nuovi medium che oggi
abbiamo a disposizione analizzerò come i diversi metodi di fruizione
cinematografica abbiamo portato anche ad un cambiamento del tipo di
spettatore.
Oggi è possibile guardare un film in qualunque momento della giornata, in
qualsiasi luogo lo spettatore-consumatore si trovi. Lo spettatore sarà così in
grado di interagire direttamente con il film, attraverso le nuove tecnologie e
sarà in grado di gestire una sua personale sala cinematografica
potenzialmente in ogni luogo. In questo senso la cultura post moderna
adotta la visione come modalità riempitiva dei tempi morti che questo tipo
di società (frenetica, in movimento) non sopporta.
In treno o all‟aeroporto, in metropolitana o in un parco l‟individuo avrà
sempre la possibilità di guardare il suo film. Ma in questo modo si andrà a
perdere quell‟attenzione e quella concentrazione e atmosfera quasi onirica
tipica del cinema classico che il rituale della visione contribuiva a creare.
Soprattutto i nuovi individual media andranno a sostituire sempre più spesso
le relazioni sociali e le nuove pratiche di consumo si sposteranno in luoghi
sempre diversi.
E saranno proprio i luoghi che modificheranno l‟esperienza di visione
cinematografica. A partire dai multisala, gli spazi della visione si
sposteranno dal centro alla periferia vicino ai centri commerciali, i luoghi
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del consumo post moderno, facendo perdere al centro storico la sua valenza
aggregatrice.
Cos‟ anche l‟esperienza di consumo e di visione si moltiplica, con la
tecnologia 3D e 4D la visione diventa sempre più coinvolgente. L‟immagine
e la spettacolarità torneranno così ad avere un ruolo chiave nei meccanismi
di fruizione.
Ciò che invece si perderà saranno proprio quei valori legati alla memoria e
alla storia dei luoghi della visione. Percorrendo il nuovo sentiero della post
modernità, delle nuove tecnologie, i non luoghi diventano i veri protagonisti
dei nostri giorni. Sono luoghi di passaggio e di consumo, sono le
metropolitane, gli aeroporti, i centri commerciali … media attraverso i quali
gli individui conoscono ed accedono al mondo attraverso le pratiche di
ritualizzazione.
Ma sono anche i luoghi dell‟assenza della memoria e della storia, della
virtualizzazione e della spettacolarizzazione. Ma è proprio attraverso di essi
che nella post modernità si riscoprono i luoghi della memoria. Nel quarto
capitolo parlerò proprio di questo, in relazione al cinema all‟aperto come
spazio appunto della memoria e della storia.
Il cinema all‟aperto riscoprirà il centro storico, definendo i nuovi rituali
della visione che analizzerò nell‟ultimo capitolo dedicato alla Mostra del
Nuovo Cinema di Pesaro.
Attraverso questa Case History ho avuto la possibilità di riscontrare
concretamente le teorie della mia ricerca. Partendo da una breve storia del
Festival ho cercato di analizzare quali sono i rituali di visione che
caratterizzano questo evento e come attraverso la riscoperta del centro
storico la città di Pesaro faccia da sfondo perfetto ad un cinema “nuovo” . E‟
proprio con il Festival che le pratiche rituali del cinema delle origini tornano
a manifestarsi in una realtà radicalmente cambiata e con nuove tecnologie.
Questo connubio tra passato e futuro caratterizzerà le esperienze di visione
degli spettatori, e le loro pratiche rituali.
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1 Attraverso i rituali nelle luci della modernità
1.1 Un‟ introduzione al rito
Il concetto di rito è stato ripreso da molti studiosi che hanno cercato di darne
una definizione in diversi ambiti sociologici. Il mio intento è quello di
introdurre e spiegare i diversi punti di vista per arrivare a capire i
meccanismi e le pratiche rituali nella loro evoluzione fino ai giorni nostri,
ovvero: come si sono evoluti nel tempo e i significati che hanno assunto
nell‟immaginario collettivo. Vorrei partire dalla più classica definizione
sociologica del rito racchiusa nella descrizione di Durkheim, che si riferisce,
naturalmente, ad un tipo di società molto diversa da quella in cui viviamo
oggi. E, a partire da qui, capire che cosa nell‟immaginario e quindi nei miti,
ha portato ad un mutamento delle pratiche rituali e se, ancora oggi, hanno
mantenuto l‟importanza di un tempo.
Tornando a Durkheim, egli inserisce la nozione di rito in un ambito che è
quello della collettività e che si basa sulla distinzione tra sacro e profano.
Nel suo studio, infatti, il concetto di rituale fa riferimento (almeno all‟inizio)
alla religiosità.
Nel rituale vengono esibiti gli oggetti religiosi, cioè quei simboli del sacro
attraverso i quali gli individui possono rappresentare la loro idea di dio.
Il sacro è una rappresentazione non solo del singolo individuo, ma anche e
soprattutto della collettività: la manifestazione simbolica di una società che
rappresenta se stessa attraverso la divinità, riproducendo i propri simboli e i
propri miti. Il rito ha qui la funzione di regolare la condotta dell‟uomo, il
suo comportamento con le cose sacre. Regola le interazioni tra la società e
la divinità, tra l‟immaginario e la realtà.
Il fattore collettivo è importante per concepire le pratiche rituali e in
particolare Durkheim ne sottolinea la qualità di effervescenza. Segalen nel
suo “Riti e Rituali contemporanei” cita proprio Durkheim per spiegarlo:
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“Le rappresentazioni religiose costituiscono rappresentazioni collettive che
esprimono realtà collettive; i riti costituiscono modi di agire che sorgono in
mezzo a gruppi costituiti e sono destinati a suscitare, a mantenere o a
riprodurre certi stati mentali di questi gruppi.”
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L‟oggetto Sacro, il Simbolo, è l‟elemento centrale attraverso il quale gli
individui si concentrano in uno spazio-tempo particolare in un sentire
comune. Il rito è efficace in quanto produce stati mentali collettivi che
derivano dalla coesione interna del gruppo.
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L‟effervescenza sociale è dunque quell‟entusiasmo che dipende dall a
coscienza dei singoli individui, dal fatto di essere tutti insieme in uno stesso
spazio-tempo particolare e concentrati su uno stesso oggetto sacro speciale
(simbolo). Questo concetto appare per la prima volta nel vocabolario di
Durkheim proprio nel suo ultimo testo e, quindi, non ha avuto modo di
essere ulteriormente sviluppato dall‟autore. La potenzialità euristica del
concetto di effervescenza sociale, comunque, non ha esaurito la sua forza,
ed è tuttora in grado di spiegare fenomeni collettivi secolari e
contemporanei.
Ma c‟è un altro fattore importante oltre a quello della collettività che
distingue un rito, Marcel Mauss in questo senso parla di normatività
(Segalen 1998). Infatti, egli ricorda come anche negli atti più individuali si
può parlare di rituale se si riscontra una normatività, ma aggiunge un fattore
importante. I riti per essere tali, dice, devono basarsi su un‟azione
tradizionale efficace non tanto sul piano concreto, bensì su quello simbolico:
“non si tratta di un‟efficacia verificata, m a il modo in cui questa efficacia è
concepita.”
3
Mary Douglas aggiunge un tassello a questa definizione in una direzione più
attuale e distaccata dal fattore religioso come l‟abbiamo inteso fino ad ora.
1
Segalen, 1998; p.15
2
Ivi, p.17
3
Mauss in Segalen, 1998; p. 20
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Se il rito è un fatto collettivo, simbolico, normativo ed efficace, esso
riguarda soprattutto i comportamenti dei singoli individui che si uniscono in
una collettività. Questo porta al cambiamento, attraverso il rito,
dell‟esperienza vissuta.
“Come animale sociale l‟uomo è un animale rituale. Soppresso in una
forma, il rituale riaffiora in altre, tanto più forte quanto più intensa è
l‟interazione sociale.”
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Nella nostra società abbiamo una differenziazione di simboli che spingono
gli studiosi ad analizzare e a capire quante di queste manifestazioni
collettive possano davvero dirsi dei rituali contemporanei.
La Douglas si stacca dalle forme rituali religiose per proporre un punto di
vista diverso. La nostra società si è evoluta e frammentarizzata e se la
religione ha perso una parte della sua importanza collettiva e normativa, ci
troviamo oggi a valutare e a vivere esperienze rituali profane che hanno
forse la stessa potenza religiosa.
La merce e l‟esperienza di consumo, s‟inseriscono a pieno titolo nei miti e
nei rituali contemporanei.
Il campo del rituale non è, infatti, la religione o il sacro né tanto meno la
magia, ma l‟esperienza e il suo significato. Il rituale ci aiuta a ordinare
l‟imprevedibilità di questa esperienza.
Abbiamo detto che la caratteristica per la riconoscibilità di un rituale è il
fatto che questo si configuri in uno spazio-tempo specifico, che ha bisogno
di una serie di oggetti che siano mezzi del rituale e di comportamenti e
linguaggi specifici. Che sia individuale o collettivo, quindi, un rituale è
un‟operazione messa in atto per codificare uno stato di cose non codificate.
O detto anche: “il rituale produce senso: ordina il disordine, dà senso
all‟accidentale e all‟incomprensibile; fornisce agli attori sociali i mezzi per
4
Douglas in Segalen, 1998; p.22
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dominare il male, il tempo, le relazioni sociali. L‟essenza del rituale consiste
nel mescolare tempo individuale e tempo collettivo”.
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Come nelle società primitive, anche oggi dare senso agli eventi che si
susseguono nell‟ambiente socio-culturale è importante per mantenere
ricorsivamente ordine nel sistema.
Attraverso il rito si compie questo atto concreto nella realtà sociale che
utilizzando simboli riconosciuti e significati comuni di una società da un
valore all‟esperienza.
1.1.1 Rituali di consumo
Il concetto di rituale nella società contemporanea si è molto indebolito.
Riprendendo la distinzione che Durkheim fa tra sacro e profano nel suo
studio del totemismo, vediamo che il fatto “religioso” può essere
interpretato in questa dicotomia.
Ma la religione e quindi i riti ad essa connessi, come abbiamo visto nelle
pagine precedenti, riguarda il sacro che per l‟autore è il sacro sociale.
Ciò che si venera non è altro che la società stessa, la comunità, l‟ordine
morale che permette coesione sociale all‟interno del gruppo. Gli individui
sono sacri perché simboleggiano la società, le sue regole e i suoi valori.
Che cosa vuol dire allora oggi il sacro? Che tipo di valori persegue la
società contemporanea? Se la funzione primaria del rituale è mettere ordine
nel caos e ridurre l‟entropia, quali sono i mezzi e i simboli dei nuovi rituali
contemporanei?
Ciò che caratterizza la nostra vita in una realtà frenetica fatta di
differenziazione del lavoro, rapidi spostamenti, flessibilità. I processi socio-
culturali che s‟inseriscono nel quotidiano possono essere riconosciuti nella
produzione e nel consumo. Entrambe le categorie però non si riferiscono
5
Segalen, 1998; p.24