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Introduzione
A trent’anni dalla sua promulgazione, il dibattito attorno alla legge
180/78 è tornato a essere sempre più attuale, a causa soprattutto di
un’opinione pubblica che si dice profondamente scontenta
dell’applicazione di quel testo, a tal punto che in molti casi si è arrivati ad
affermare la volontà di riaprire i manicomi.
Chi propone questo atteggiamento considera il sistema vigente pieno di
debolezze e ritiene sia necessario apportarvi miglioramenti e
modernizzazioni. Entro tale dibattito si è andata consolidando la
convinzione che fosse necessario effettuare delle analisi dello status quo,
dei sistemi e dei mezzi tuttora utilizzati nella cura della salute mentale.
In linea con questa convinzione, può essere vista la scelta del Ministero
della Salute di commissionare nel 2007 un’indagine alla Cattedra di
Psicologia Clinica della Facoltà di Psicologia dell’Università “Sapienza”
di Roma finalizzata a rilevare la Cultura Locale dei CSM (Centri di Salute
Mentale). Per la prima volta il Ministero ha investito in una ricerca
sull’efficacia organizzativa piuttosto che sull’efficacia dei trattamenti
farmacologici. Nella stessa direzione va letta la richiesta, rivolta alla
stessa Cattedra, da parte del Coordinamento regionale degli SPDC del
Lazio, per la rilevazione della Cultura Locale degli SPDC (Servizio
Psichiatrico di Diagnosi e Cura) della regione.
Segnali di una mutata sensibilità, che sottolinea il valore e l’importanza
degli aspetti organizzativi e culturali e del funzionamento della struttura
nel suo complesso nel trattamento della salute mentale,.
Il progetto con i CSM si è svolto in due fasi: nella prima è stato analizzato
(attraverso la compilazione di un questionario) il funzionamento di 67
5
CSM italiani a partire dall’analisi della Cultura Locale; nella seconda, più
operativa, sono stati sfruttati i dati rilevati per iniziare un confronto
attivo tra gli operatori del settore, con lo scopo di misurare la
“competenza organizzativa” dei servizi offerti e migliorarli dove
possibile. Elemento di novità e merito di questa iniziativa è stata quella di
avere spinto gli operatori del settore a riflettere su loro stessi, sul loro
lavoro, sui limiti e sulle possibili implementazioni del servizio.
Le direttive di miglioramento individuate sono state soprattutto le
seguenti: in primo luogo una maggiore attenzione alle necessità del
malato e alle sue aspettative viste nella loro specificità come anche nel
contesto in cui sono iscritte, senza per questo cadere nelle facili
generalizzazioni e nelle colpevolizzazioni di famiglia e società che
abbondarono nell’immediato dopo Basaglia; in secondo luogo, una
maggiore valorizzazione e integrazione orizzontale delle diverse
professionalità esistenti nei centri specializzati, alle quali il paziente deve
potersi affidare con piena fiducia
1
.
In questo senso l’esperienza e le ricerche effettuate evidenziano come il
ruolo dello psicologo possa essere determinante per migliorare i
complessi rapporti tra paziente, famiglia e servizio, e per contenere il
numero e la durata dei ricoveri in SPDC, scopo principale del sistema
psichiatrico dopo la legge 180
2
.
Altra figura professionale a cui la ricerca ridona attenzione è quella
dell’infermiere. Gli infermieri sono un anello fondamentale dell’attuale
sistema, sia perché la loro presenza nei centri specializzati è
numericamente molto più influente di quella di medici e psicologi, sia
perché svolgono un lavoro a contatto diretto e costante con le richieste dei
1
Renzo Carli, Rosa Maria Paniccia, Anna Di Ninni, Vincenzo Scala, Paola Pagano, Fiammetta
Giovagnoli, Fiorella Bucci, Francesca Dolcetti, Sabrina Bagnato, Cecilia Sesto, Valentina Terenzi,
Viviana Bonavita, La Cultura Locale dei Centri di Salute Mentale (CSM) in Italia, in Rivista di
Psicologia Clinica, 3/2008
2
Fiorella Bucci, Salvatore Gibilisco, Rossella Roselli, Relazione 2 - Il Tirocinio nel Spdc in Rivista
di Psicologia Clinica, 1/2009
6
pazienti e del territorio. Paradossalmente gli infermieri arrivano a
lavorare in psichiatria senza una formazione nel trattamento della salute
mentale quindi non hanno delle competenze specifiche come invece
accade per altri settori medici
3
. La cultura che caratterizza
prevalentemente gli infermieri presenta l’ancoraggio valoriale che
caratterizzò il periodo post Basaglia.
Al termine di questo lavoro i diversi attori che a vario titolo hanno
partecipato alla ricerca si sono dati convegno presso l’Università
“Sapienza” di Roma, dove si è svolto un seminario in cui i rappresentati
del Ministero, psicologi, psichiatri, assistenti sociali e infermieri dei CSM
hanno discusso sotto l’egida del prof Renzo Carli sulla situazione attuale
e suoi possibili sviluppi. Le posizioni emerse sono state varie, tra quanti
continuano a sostenere la bontà del ricovero, che deve essere effettuato in
termini diversi rispetto al passato e senza la paura di rievocare lo spettro
del manicomio, quanti sono del parere opposto, quanti sostengono lo
sviluppo di centri riabilitativi. Da ogni parte sono comunque emerse
condanne pressoché unanimi sull’incompleta attuazione della legge 180,
così come le diverse testimonianze hanno messo in luce le difficoltà con
cui chi lavora in questo campo deve quotidianamente scontrarsi:
problemi di natura burocratica, organizzativa, mancanza di
coordinamento e soprattutto mancanza di direttive comuni e certe, la cui
assenza lascia spesso troppo spazio all’arbitrarietà. Senza dimenticare che
questi centri offrono un servizio a più livelli, dovendosi occupare dei
disagi mentali gravi come dei disturbi emotivi:
“La mia impressione è che i servizi di salute mentale in Italia sono a metà
di un guado problematico, avendo abbandonato una riva di cui non si
riconosce neanche più la configurazione, vissuta per altro in modo molto
3
Renzo Carli, La competenza organizzativa nei CSM italiani, Seminario di studio del 14 novembre
2009, Università La Sapienza di Roma
7
conflittuale, e non sapendo da che parte si sta andando, quali sono le
configurazioni della riva verso la quale si tende.”
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Come abbiamo già affermato, non solo gli specialisti del settore, ma
anche l’opinione pubblica ha avvertito da tempo il bisogno di una
riforma del settore. Già nel maggio del 2003, è stata svolta in Italia
un’indagine statistica sullo stato dell’assistenza psichiatrica, intervistando
telefonicamente un campione selezionato dalla Doxa
5
.
Dall’indagine è emerso che vi è una discreta percentuale di italiani
favorevole alla riapertura dei manicomi, il 43,3%. Questo dato contrasta
in maniera evidente con un altro: alla domanda sulla possibilità di curare
la malattie mentali senza ricovero, la maggioranza degli intervistati
(51,9%) ha risposto che questo è possibile spesso o addirittura sempre.
Sembrerebbe che chi è ancora favorevole alla riapertura dei manicomi, lo
è non perché ritenga che le malattie mentali debbano essere curate in
manicomio, ma per altri motivi che probabilmente hanno poco a che fare
con la eventuale cura. È possibile che la risposta sia anche in relazione a
carenze nell’assistenza psichiatrica che vengono avvertite dall’opinione
pubblica. Infatti, le risposte fornite nell’intervista sono state le seguenti:
a) scarsa attenzione per alcune patologie 36,5%
b) scarsità di posti letto ospedalieri 29,3%
c) insufficiente attività territoriale 15,4%
d) scarsità di residenze per cronici 11,4%
e) non so 7,4%
I giudizi negativi sull’assistenza psichiatrica in Italia vengono forniti dal
51,5% degli intervistati, mentre dà giudizi positivi solo il 31,0% degli
intervistati.
4
Cfr. Renzo Carli, La competenza organizzativa nei CSM italiani, Seminario di studio del 14
novembre 2009, Università La Sapienza di Roma
5
http://www.doxa.it/italiano/nuoveindagini/salutementale.pdf
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Percentuale, questa negativa, che sale al 63,3% nel Meridione. Qui le
famiglie si sentono sole, i pazienti sono spesso abbandonati dalle
strutture di assistenza, maggiori sono le carenze di servizi, di strutture, di
personale e di risorse economiche.
La percezione di queste difficoltà da parte dell’opinione pubblica, ha
anche portato varie forze politiche a proporre delle modifiche alla legge
180. Ma anche alcuni psichiatri ritengono che il testo di legge abbia
risentito della mancanza di un dibattito parlamentare adeguato alla
materia in discussione, visto che fu approvato in soli 4 giorni. “Non
voglio dire che la legge, nei suoi principi ispiratori, non sia una buona
legge, ma la fretta per la sua approvazione non consentì di mettere a
punto un testo meglio articolato”
6
.
Questo lavoro nasce all’interno del dibattito finora delineato e si propone
di recuperare la memoria storica dell’esperienza manicomiale leccese
nell’intento di ricostruire i modelli culturali e organizzativi che l’hanno
caratterizzata.
L’ipotesi che fonda questo lavoro ancora la possibilità di sviluppo
dell’attuale sistema del trattamento della salute mentale alla rilettura
critica dell’esperienza, alla luce degli ultimi anni di storia. Tale
operazione si propone di favorire una lettura il più possibile ancorata
all’esperienza storica, laddove, molto spesso, si è confrontati con un
processo di mitizzazione (svalutazione/idealizzazione) di questo
periodo.
A tal fine, in questo lavoro ricostruirò il contesto storico che ha portato
alla nascita del manicomio di Lecce, inquadrando la struttura salentina
all’interno del contesto socio-culturale dell’epoca (Capitolo 1). Da qui,
sarà poi analizzata l’organizzazione dell’Opis (anche dal punto di vista
architettonico) come s’è andata sviluppando e modificando nel corso dei
6
Andrea Mazzeo, La psichiatria italiana dopo la Riforma, Relazione al convegno Seminário
Internacional de Capacitação Profissional, João Pessoa (PB) Brasil, 15 e 16 ottobre 2003
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decenni (Capitolo 2), con particolare attenzione alle modifiche legislative
che sono intervenute nel tempo e agli ultimi decenni prima dell’entrata in
vigore della legge 180/1978 (Capitolo 3).
Le difficoltà maggiori nella realizzazione di questo lavoro riguardano il
reperimento delle fonti: l’archivio dell’Opis è inutilizzabile da tempo,
abbandonato a se stesso e accatastato in un seminterrato. Inoltre, il
personale ancora in vita che ha lavorato in quella struttura prima della
legge 180 ha memoria solo degli ultimi anni, a partire dal 1973.
Ho fatto riferimento, quindi, (oltre alla bibliografia citata) ai pochi dati
disponibili presso l’Archivio di Stato di Lecce e alle interviste a testimoni-
chiave del personale in servizio prima del 1978. Avendo lo scopo di
ricostruire, oltre all’organizzazione della struttura, quali fossero i rapporti
tra il personale sanitario e tra questo e i pazienti, ho scelto di intervistare
uno psichiatra (Marcello Rollo), un infermiere professionale (Umberto
Savoia) e un ausiliare (Fiorentino Solazzo), in modo da rappresentare le
tre funzioni organizzative presenti nell’organizzazione manicomiale.
Questo lavoro nasce anche dalla memoria dell’opera di mio padre, Vito
De Pascalis, psichiatra presso l’Opis di Lecce fino ai primi anni Settanta.
La sua passione nel seguire i pazienti, nel render partecipe la nostra
famiglia alle loro storie, la sua visione così moderna della psichiatria (che
con altri colleghi lo portò a sperimentare nuovi percorsi terapeutici), ma
anche i ricordi della mia infanzia, quando portava me, i miei fratelli e mia
sorella con sé a visitare il “suo” Ospedale. Capitava spesso, infatti, che la
domenica, dopo aver pranzato assieme, passeggiassimo per il lungo viale,
parlando e scherzando con alcuni pazienti. E quando arrivavamo davanti
ai due padiglioni dove erano ricoverati i soggetti più difficili da trattare,
recintati con una spessa rete, noi bambini avvertivamo una strana
sensazione, un misto di curiosità e vicinanza nei confronti di quelle
persone rinchiuse, come effettivamente erano, in un recinto. Attorno alle
17, andavamo al cinema interno all’Ospedale; lì lo spettacolo non era dato