VII
INTRODUZIONE
Il presente lavoro si concentra sull’analisi del fenomeno migratorio nell’Unione
europea in chiave giuridica e di come le istituzioni comunitarie abbiano fronteggiato
la problematica. Dalla constatazione delle differenze e disparità normative dei singoli
Paesi dell’Ue, l’obiettivo finale è di capire come l’Unione europea possa meglio
gestire la problematica dell’immigrazione in modo comune e unitario. Si è cercato,
inoltre, di pensare a delle soluzioni e risposte alle sfide che l’immigrazione pone alle
società odierne, a partire dalla comprensione delle cause e degli effetti del fenomeno.
Inoltre, per una conduzione di un’analisi più completa del fenomeno migratorio, si è
voluto scegliere due casi concreti: quello rappresentato dal controverso caso delle
espulsioni dei Rom da parte delle Francia, che ha posto alla ribalta la problematica
dell’integrazione della minoranza dei Rom all’interno dei Paesi dell’Ue e il caso dei
respingimenti di immigrati verso la Libia, attuati recentemente dal Governo italiano.
Tra le ragioni che ci hanno portato a prendere in esame questo ambito vi è
l’interesse di approfondire uno degli aspetti più importanti del fenomeno
immigratorio: la tutela dei diritti umani dei migranti nei Paesi di accoglienza, che
negli Stati membri dell’Unione europea e si può dire più “evoluti” dal punto di vista
delle istituzioni democratiche e civili, non dovrebbe mai mancare, ancor più in
considerazione delle persone più vulnerabili e socialmente deboli, quali gli immigrati.
Si è scelto, infine, di analizzare il fenomeno migratorio nell’ambito prettamente
comunitario, perché risulta quanto mai attuale e stimolante capire le difficili
dinamiche che stanno dietro alle complicate relazioni e rapporti politici fra l’Unione e
i singoli Stati membri.
Dal punto di vista metodologico, si è condotta l’analisi consultando la vasta
letteratura in materia, attraverso ricerche bibliografiche presso il Centro di
Documentazione europea dell’Istituto Universitario di Studi Europei e la Biblioteca
“F. Ruffini” del Dipartimento di Scienze Giuridiche di Torino. Per la stesura del
presente lavoro sono stati consultati diversi siti web ufficiali delle istituzioni europee,
in special modo la Commissione e il Consiglio per l’individuazione delle fonti
comunitarie che disciplinano la materia; delle organizzazioni internazionali che si
occupano di diritti umani, quali l’ONU e le sue agenzie specializzate, quale l’Alto
Commissariato per i rifugiati (UNHCR); delle varie associazioni nazionali che hanno
fornito un valido supporto con la loro ampia documentazione sulla protezione dei
VIII
diritti umani, come l’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI),
il Consiglio Italiano per i rifugiati (CIR) e siti di divulgazione e informazione
sull’Unione europea: l’Associazione per l’incontro delle culture in Europa (APICE),
la Rivista su attualità e politica “La Voce” e l’Istituto Affari Internazionali (IAI),
nonché i principali quotidiani on line sulla documentazione degli ultimi avvenimenti
in merito al fenomeno immigratorio. Importante è stato anche il contributo fornito
dall’Associazione Terra del Fuoco di Torino, ONG che si occupa della tutela dei
diritti umani, nello specifico a favore dei Rom. Infine, si sono utilizzate le banche dati
dell’Istituto nazionale di statistica (Istat) e quello europeo (Eurostat) per la
rilevazione dei dati statistici in merito alla presenza degli immigrati, sia in Unione
europea che in Italia.
Prima della trattazione vera e propria del fenomeno migratorio in Unione europea,
in un capitolo introduttivo (capitolo primo), sono state analizzate le fonti giuridiche
internazionali della tutela dei diritti umani e nello specifico quella dei migranti.
L’intento è quello di individuare come la problematica migratoria sia stata affrontata
a livello internazionale, facendo riferimento alla prassi consuetudinaria e alla
normativa ONU. Al secondo capitolo è dedicata l’evoluzione delle fonti giuridiche
comunitarie della disciplina in esame, che si è sviluppata dell’ambito delle principali
tappe dell’integrazione europea, a cominciare dal Trattato di Roma del 1957 fino a
giungere al recente Trattato di Lisbona del 2009 e che costituiscono le fondamenta su
cui si basano le politiche migratorie dell’Unione europea. Si è inoltre analizzato
l’apporto giuridico della Corte di Giustizia con l’esame di alcune delle sue più
importanti sentenze, attraverso le quali essa ha integrato ulteriormente la
regolamentazione della materia migratoria. Nel terzo capitolo, si è proseguito con
l’analisi dell’azione concreta comunitaria che si è esplicata con la produzione di
numerosi atti, quali regolamenti e direttive della Commissione e i diversi Programmi
e Piani d’azione promossi dal Consiglio europeo, attraverso i quali l’Unione europea
ha affrontato il problema migratorio. In ultimo, dall’analisi delle politiche migratorie
dell’Ue si è giunti alla questione della necessità e urgenza di sviluppare una politica
comune in materia migratoria, attualmente ancora insufficiente. Nell’ultimo capitolo,
infine, dopo una breve analisi sociologica del fenomeno e della situazione migratoria
nell’Unione europea e nello specifico in Italia, con l’ausilio di dati statistici, si è
proceduto con la trattazione di due casi specifici, recentemente verificatosi, inerente
alla problematica delle espulsioni dei Rom, cittadini comunitari, messe in atto dalla
IX
Francia verso i Paesi d’origine membri dell’Unione europea e quello concernente il
trattamento degli immigrati che giungono su Lampedusa, a cui, in varie occasioni,
sono stati attuati i respingimenti verso un Paese dittatoriale, come la Libia. Il primo
caso, preso in esame, risulta di fondamentale importanza, dato che ha fatto emergere
la questione del mancato riconoscimento dei diritti ai cittadini Rom comunitari, loro
riconosciuti dal diritto comunitario, attuando quindi una vera e propria
discriminazione basata sull’origine etnica e appartenenza a una minoranza; nel
secondo caso, il punto nodale della questione, è il mancato rispetto dei diritti umani
dei migranti in quanto persone umane o in quanto aventi status di rifugiato, ai sensi
del diritto internazionale e comunitario, ma anche ai sensi della normativa italiana in
merito all’accoglienza e al trattamento dei migranti.
1
CAP. 1
L’IMMIGRAZIONE NEL DIRITTO INTERNAZIONALE
1.1 Un excursus storico – giuridico della tutela dei diritti umani
La questione relativa alla protezione dei diritti fondamentali dei migranti, si
inquadra, in via generale, in quel vasto movimento internazionale volto alla tutela
della persona umana. Ovviamente, anche ai migranti, come a tutti gli individui, deve
essere salvaguardata la dignità umana, indipendentemente dal proprio status
giuridico. A questo riguardo, tutti i migranti e i membri della loro famiglia, in quanto
essere umani, devono ricevere protezione dalle norme contenute nei principali
Trattati internazionali sui diritti umani.
Il diritto internazionale dei diritti umani contempla i diritti basilari che devono essere
garantiti ad ogni essere umano indipendentemente dal fatto se esso si trovi o meno
nel Paese di nazionalità e se goda o meno di un particolare status giuridico, nonché
dalla durata della sua permanenza sul territorio straniero. Il migrante è, infatti, prima
di tutto un individuo e, in quanto tale, titolare di una serie di diritti “inviolabili”,
“inalienabili”, “irrinunciabili” e “indivisibili”, che costituiscono l’essenza stessa
della persona umana. Tali diritti, che rappresentano le fondamenta su cui si basano
gli strumenti internazionali dei diritti umani, sono stati universalmente riconosciuti
nella Dichiarazione universale dei diritti umani, nei Patti delle Nazioni Unite, come
pure in altri strumenti internazionali successivamente adottati, sia a livello globale
che regionale. Si tratta quindi, di garantire uno standard minimo internazionale
inerente al trattamento da riservare ai migranti, fondato sull’idea secondo cui lo
Stato, che ospita un immigrato nel proprio territorio, dovrebbe garantire a tale
soggetto quel minimo di diritti e garanzie normalmente riconosciuti agli individui
negli ordinamenti degli Stati civili. Gli stranieri quindi, non possono ricevere un
trattamento che sia meno favorevole a quello riservato ai cittadini dello Stato ospite.
È importante, inoltre, soffermarci sulla caratteristica fondamentale della protezione
internazionale dei diritti umani, che consiste nell’universalità della suddetta
protezione, evitando che essi siano relegati alla sola dimensione territoriale dello
2
Stato, condizionando e riducendo la protezione stessa. Tale dimensione universale
rende quindi i diritti umani immutabili e immodificabili, senza che questi possano
essere tutelati a discrezione degli Stati e in base alla loro legislazione interna.
1
I diritti umani si possono suddividere in tre grandi categorie: (I) quelli denominati di
prima generazione, i diritti civili e delle libertà fondamentali, che presuppongono un
impegno di “non fare”, obbligando lo Stato ad un atteggiamento di non impedimento.
Ciò significa che lo Stato deve astenersi nei confronti dell’individuo e non deve
impedire il godimento di questi diritti; (II) i c.d. diritti di seconda generazione, i
diritti politici, che consistono nella partecipazione individuale dell’individuo alla
politica e alla gestione dello Stato. Anche se diritti di libertà, essi sono condizionati
dalla struttura politica dello Stato; (III) i diritti di terza generazione, i diritti sociali,
economici e culturali che, per il loro soddisfacimento, presuppongono una certa
evoluzione della società ed economica del Paese e prevedono un intervento diretto
dello Stato, cioè un obbligo di fare, che è necessariamente connesso alle sue capacità
economiche.
2
La regolamentazione giuridica della tutela dei diritti umani si caratterizza per la sua
molteplicità ed eterogeneità delle fonti: si tratta, infatti, di norme di diritto
consuetudinario, di Trattati multilaterali, Convenzioni, Dichiarazioni internazionali e
di atti programmatici e declaratori delle varie organizzazioni internazionali che si
occupano della tutela dei diritti umani.
Importanti contributi alla protezione internazionale dei diritti dei migranti sono stati
dati dall’Organizzazione Internazionale per il Lavoro (OIL), dall’Organizzazione per
la Cooperazione e lo Sviluppo economico (OCSE) e dell’Organizzazione
Internazionale per le migrazioni (IOM). È però nell’ambito delle Nazioni Unite che
si ha il maggior contributo a questa tematica (e per questa ragione affronteremo
l’analisi delle fonti di diritto internazionale concentrandoci sugli atti delle NU), a
cominciare dall’enunciazione solenne dei diritti umani con la Dichiarazione
universale dei diritti dell’uomo del 1948. A livello regionale, invece, gli strumenti di
1
Pineschi, L., (a cura di), La tutela internazionale dei diritti umani. Norme, garanzie, prassi, Giuffrè
Editore, Milano, 2006, p. 45
2
In merito alla categoria dei diritti di terza generazione, essi sono diritti in “evoluzione”, in quanto si
evolvono all’evolversi della società. Essi sono inerenti all’uomo “sociale” (diritto al lavoro,
all’istruzione gratuita, alla sicurezza sociale, etc., …) che si differenziano dai diritti dell’uomo
“naturale” (diritti di libertà individuale e in generale dell’habeas corpus), che non considerano
l’individuo inserito in un contesto sociale. Diritti ancora più evoluti sono il diritto dell’ambiente e alla
vita sana.
3
diritto umanitario di maggior rilievo sono la Convenzione americana sui diritti umani
del 22 novembre 1969 e la Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli del 27
giugno 1981, mentre a livello europeo, essi sono principalmente la Convenzione
europea dei diritti dell’uomo del 4 novembre 1950 (CEDU) con i suoi Protocolli
aggiuntivi e integrativi, gli atti adottati in seno Consiglio d’Europa, nonché il
Sistema Schengen. Non è nostro interesse, nel presente lavoro, analizzare la
regolamentazione giuridica in ambito regionale volta alla tutela dei diritti dell’uomo,
ma ci concentreremo, invece, sugli atti che sono stati adottati in materia di diritti
umani a livello universale, per poi addentrarci pienamente, nei successivi capitoli,
sulle fonti di diritto comunitario, inerente alla tematica dell’immigrazione.
3
1.2 I principali meccanismi e strumenti internazionali per la tutela dei diritti
umani
1.2.1 La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo
Dopo aver precisato che tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e
diritti (art. 1)
4
, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo
5
afferma che “ad
ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà (…) senza distinzione alcuna,
per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o
di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra
condizione (art. 2 c.1). La Dichiarazione parte dalla dimensione individuale
dell’uomo, con l’enunciazione dei diritti primari, quali: l’eguaglianza, la libertà, la
non discriminazione, la vita, la sicurezza personale e l’integrità fisica (artt. 1-5).
Seguono poi i diritti dell’individuo che riguardano la sua dimensione sociale, quali i
diritti civili e di libertà: il diritto alla personalità giuridica, all’uguaglianza di fronte
alla legge, alla vita privata, alla libertà di movimento, all’asilo, alla cittadinanza, il
diritto contro l’arresto e detenzione arbitraria, il diritto alla famiglia, al matrimonio,
alla libertà di coscienza e di religione (artt. 6-18); quelli di natura giuridica: il diritto
ad un equo processo, alla presunzione di innocenza e all’irretroattività della legge
3
Vedremo infatti nei capitoli 2 e 3 le tutele previste e i diritti sanciti dall’Unione europea nell’ambito
della protezione dei migranti e delle minoranze.
4
Commissariato dei diritti umani - Office of the High Commissioner for Human Rights (OHCHR),
http://www.ohchr.org/EN/UDHR/Documents/UDHR_Translations/itn.pdf
5
La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo fu approvata, con 48 voti favorevoli, a Parigi il 10
dicembre 1948 dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
4
penale; i diritti politici: la libertà di opinione e di espressione, di associazione,
all’elettorato attivo e passivo (artt. 19-21) e infine, i diritti sociali, economici e
culturali: diritto al lavoro, alla libertà sindacale, alla sicurezza sociale, all’istruzione,
alla vita culturale (artt. 22-27).
6
Per quanto riguarda il diritto d’asilo, unica
disposizione è contenuta nell’art. 14.
7
Tale Dichiarazione anche se è un atto solenne che enuncia principi di grande
importanza, ha però solo un valore programmatico. Il testo ha essenzialmente lo
scopo di formulare dei principi e non obblighi giuridici per una loro effettiva
applicazione; da ciò deriva il carattere giuridicamente non obbligatorio della
Dichiarazione. Essa inoltre, ha un carattere non esaustivo: i diritti vengono, enunciati
in modo sintetico con affermazioni spesso categoriche, che non consentono eccezioni
e limiti, i quali, pur nel rispetto dei diritti dell’uomo, sono indispensabili per una loro
concreta attuazione.
8
Ad esempio, nell’art. 2, il divieto di discriminazione in base
all’“origine nazionale” non contempla al suo interno le cause ostative, quali la
cittadinanza o la nazionalità, poiché si fa riferimento al fattore naturale dell’origine
etnica e non a quello giuridico dell’appartenenza ad uno Stato.
9
In merito al carattere vincolante o meno della Dichiarazione, vi è una corrente di
pensiero in dottrina che afferma che gli atti prodotti dall’ONU senza forza
vincolante, (raccomandazioni, risoluzioni, dichiarazioni, etc., …) in realtà creano
degli obblighi giuridici, in quanto gli Stati, sottoscrivendo lo statuto dell’ONU (Carta
di San Francisco del 1945), si sono impegnati a rispettarne i principi ivi sanciti e, di
conseguenza, anche i principi di tutti gli atti delle NU. In base a questa
interpretazione, si sarebbe affermato un principio consuetudinario, secondo cui, gli
Stati, firmando la Dichiarazione universale, hanno dimostrato la volontà implicita di
conformarsi ai principi in essa contenuti. A ciò ha contribuito molto l’interpretazione
della Corte Internazionale di Giustizia (CIG),
10
la quale ha affermato che i principi
generali per la tutela dei diritti umani, codificati prima nello Statuto dell’ONU e poi
6
Zanghì, C., La protezione internazionale dei diritti dell’uomo, Giappichelli Editore, Torino, 2006,
seconda edizione, pag. 25
7
Sarà oggetto della nostra analisi l’art. 14 della Dichiarazione universale nell’ultimo paragrafo del
presente capitolo, dedicato alla materia del diritto d’asilo.
8
A ciò sopperisce la successiva normativa ONU, nei Patti e nelle Convenzioni, che vedremo nel
proseguo di questo capitolo.
9
Pineschi, L., (a cura di), La tutela internazionale dei diritti umani. Norme, garanzie, prassi, Giuffrè
Editore, Milano, 2006, p. 51
10
Organo giurisdizionale delle Nazioni Unite con il compito di dirimere le controversie fra gli Stati su
questioni di diritto internazionale, contribuendo, con le sue sentenze allo sviluppo del diritto
internazionale.
5
nella Dichiarazione universale e dopo essere stati tradotti in diritto positivo con
l’adozione di molti strumenti convenzionali, sono stati incorporati nel diritto
internazionale generale, con la conseguente estensione della loro applicazione a tutta
la comunità internazionale. Le norme convenzionali per la protezione dei diritti
umani, divenendo diritto consuetudinario,
11
costituiscono dunque degli obblighi erga
omnes - vincolanti tutti gli Stati, per il fatto della loro appartenenza alla comunità
internazionale, a prescindere dalla partecipazione ad uno specifico atto internazionale
- e norme jus cogens, cioè con carattere cogente, imperativo inderogabile.
12
L’apporto interpretativo della CIG risolverebbe quindi il dibattito in merito al
carattere obbligatorio o programmatico della Dichiarazione universale di diritti
dell’uomo.
1.2.2 I Patti delle Nazioni Unite sui Diritti dell’Uomo
Dopo la proclamazione della Dichiarazione Universale, l'Organizzazione delle
Nazioni Unite si cimentò in un compito ancora più arduo: tradurre i suddetti principi
in disposizioni destinate ad imporre obblighi giuridici agli Stati che le hanno
sottoscritte. La Commissione dei diritti dell’uomo,
13
in seguito all’elaborazione della
Dichiarazione universale, si dedicò così al mandato, ricevuto dal Consiglio
economico sociale, di elaborare una convenzione o un patto, al fine di creare obblighi
giuridici formali in merito alla tutela dei diritti umani. Ai diritti civili e politici,
inizialmente i soli ad essere presi in esame, vennero affiancati anche i diritti sociali,
economici e culturali. Data la diversità della materia fra le due categorie di diritti e le
conseguenti diverse implicazioni che deriva dalla loro applicazione, si decise di
inserirli in due strumenti internazionali: il Patto sui diritti civili e politici e il Patto sui
diritti sociali, economici e culturali, predisponendo quindi due distinti strumenti per
la disciplina delle suddette due categorie di diritti. I Patti obbligano gli Stati che li
hanno ratificati a riconoscere un’ampia gamma di diritti umani, mentre i Protocolli
11
Ricordiamo che le norme consuetudinarie si differenziano da quelle convenzionali: le prime si
pongono al vertice della gerarchia delle norme e si caratterizzano per la loro inderogabilità e
obbligatorietà, vincolando tutta la comunità internazionale; le seconde, invece, vengono codificate da
una specifica convenzione e vincolano solo chi l’ha sottoscritta.
12
Zanghì, C., La protezione internazionale dei diritti dell’uomo, Giappichelli Editore, Torino, 2006,
seconda edizione, pag. 32
13
Essa venne istituita dal Consiglio Economico Sociale (ECOSOC), organo consultivo dell’ONU e di
coordinamento delle sue attività economiche e sociali. In seguito all’entrata in vigore della Carta di
San Francisco, l’ECOSOC ricevette il mandato di redigere la Dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo.
6
facoltativi ad essi allegati stabiliscono le procedure in base a cui gli Stati, nonché i
privati possono presentare delle denunce in merito a violazioni dei diritti dell'uomo.
14
Entrambi i Patti, insieme al Protocollo facoltativo al Patto sui diritti civili e politici,
vennero approvati all’unanimità il 16 dicembre 1996.
15
Dovette passare un decennio
prima che i Patti venissero ratificati da un numero sufficiente di Stati per la loro
entrata in vigore. In effetti occorrevano per ciascuno di essi, 35 ratifiche. Dopo aver
raggiunto tale numero, il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e
culturali entrò in vigore il 3 gennaio 1976, mentre il Patto internazionale sui diritti
civili e politici, insieme al Protocollo facoltativo ad esso allegato, entrò in vigore
il 23 marzo 1976.
Dalla diversa natura dei diritti sanciti nei due Patti deriva, come detto poc’anzi, una
diversa applicazione dei medesimi, nonché un diverso sistema di controllo. Per ciò
che concerne la maggior parte dei diritti civili e politici, essi si traducono in un
obbligo di non ingerenza da parte dello Stato e possono trovare immediata
applicazione. Diverso è invece per i diritti economici, sociali e culturali, i quali
richiedono una diretta attività ed intervento da parte dello Stato, che deve investire
risorse per la loro attuazione. La loro applicazione è pertanto non immediata, essendo
subordinata e condizionata dalla situazione economica e da vari fattori propri di ogni
Stato.
Da ciò conseguono diversi meccanismi di controllo: per i primi è agevole realizzare
un efficace e diretto procedimento di controllo da parte del sistema delle Nazioni
Unite sugli Stati parti; per i secondi si può solo prevedere un sistema di rapporti
periodici da parte degli Stati contraenti, limitandosi alla valutazione di una
progressiva attuazione dei diritti economici, sociali e culturali.
14
Dalla considerazione che un’efficacia ed effettiva protezione dei diritti dell’uomo si realizza solo se
al singolo individuo viene attribuito un autonomo diritto di ricorso, la Commissione dei diritti umani,
dopo aver elaborato i Patti, predispose il Protocollo facoltativo allegato al Patto sui diritti civili e
politici. Esso ha carattere facoltativo, cioè gli Stati possono sottoscrivere il Patto sui diritti civili e
politici senza prendere alcun impegno nei confronti del Protocollo.
15
I Patti Internazionali del 1966, MeltingLab Piemonte, Laboratorio di informazione sui diritti e la
parità, Regione Piemonte,
http://www.meltinglab.it/index.php?option=com_content&view=article&id=92&Itemid=98
7
1.2.2 (a) Il Patto Internazionale sui diritti civili e politici
I diritti riconosciuti nel Patto sui diritti civili e politici (PIDC) non sono nient’altro
che i medesimi diritti già riconosciuti dalla precedete Dichiarazione universale e
nella Convenzione europea,
16
nel contempo già adottata, anche se il suddetto Patto si
presenta come una formulazione di diritti più completa e precisa.
17
Per garantire e
verificare la corretta applicazione da parte degli Stati contraenti delle norme previste
nel presente Trattato, il Patto ha istituito il Comitato dei Diritti dell’Uomo con il
compito di controllare le eventuali violazioni dei diritti umani (art. 28).
18
Al
Comitato inoltre, viene riconosciuta la facoltà di sottoporre osservazioni conclusive e
raccomandazioni agli Stati e all’Assemblea Generale e di produrre raccomandazioni
generali sul significato e la portata dei diritti previsti dal Patto. Nella parte IV (artt.
28 - 45) del Patto, oltre agli articoli inerenti l’istituzione del Comitato, la sua
composizione, i suoi poteri e le sue funzioni, è previsto un sistema di procedure di
controllo che il suddetto Comitato deve svolgere in sinergia con gli Stati parte,
nonché con l’Assemblea Generale e il Segretario Generale dell’ONU. Esso consiste
in due procedure: la prima basata sui rapporti periodici che ciascuno Stato parte deve
presentare sullo stato della legislazione interna in merito all’attuazione delle norme
contenute nel Patto (art. 40); la seconda, di natura occasionale, consiste nella facoltà
di ciascuno Stato parte, dopo aver riconosciuto la competenza del Comitato in
16
La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali
(CEDU) è un Trattato internazionale redatto dal Consiglio d'Europa. Essa è stata firmata a Roma il 4
novembre 1950 ed entrò in vigore il 3 settembre 1953, dopo essere stata ratificata da parte di tutti i
47 Stati membri del Consiglio d'Europa. Essa ha inoltre istituito la Corte Europea dei diritti dell'uomo
al fine di garantire un’effettiva applicazione dei diritti dell’uomo in ambito europeo. Per un maggior
approfondimento si rimanda alla trattazione della tutela dei diritti umani a livello regionale in Europa
nei capitoli successivi (2 e 3) e si invita a consultare il sito del Consiglio d’Europa
http://www.coe.int/t/dc/files/themes/eu_and_coe/default_it.asp
17
Questa lacuna della Convenzione CEDU ha portato all’elaborazione di Protocolli aggiuntivi (n. 4 e
n. 7) in cui sono stati inseriti quei diritti che mancavano nell’originario testo della Convenzione e che
invece erano già previsti dal Patto. Tuttavia, la Dichiarazione universale adottata nel 1948 e la
Convenzione europea adottata dopo soli due anni, costituiscono le fondamenta a livello internazionale
della protezione dei diritti umani, a cui tutti i successivi atti o convenzioni elaborati sia in ambito
internazionale, che in quello regionale si sono ispirati. Questi due importanti testi sono tutt’ora il
cardine e il punto di riferimento per gli Stati della comunità internazionale, in materia di tutela dei
diritti umani.
18
Art. 28
1. E' istituito un Comitato dei diritti dell'uomo. Esso si compone di diciotto membri ed esercita le
funzioni qui appresso previste.
2. Il Comitato si compone di cittadini degli Stati parti del presente Patto, i quali debbono essere
persone di alta levatura morale e di riconosciuta competenza nel campo dei diritti dell'uomo Sarà
tenuto conto dell”opportunità che facciano parte del Comitato alcune persone aventi esperienza
giuridica.
3. I membri del Comitato sono eletti e ricoprono la loro carica a titolo individuale.
8
materia, di presentare e sottoporre alla sua attenzione delle “comunicazioni
interstatali”, nelle quali dichiara che un altro Stato parte non adempie agli obblighi
derivanti dal Patto (art. 41). Inoltre, a seguito dell’adozione del Protocollo
facoltativo, si riconosce il diritto di ricorso del singolo contro uno Stato parte (diritto
che può essere esercitato ovviamente solo nei confronti degli Stati che hanno
ratificato il protocollo opzionale in questione).
19
Come la Convenzione CEDU, Il PIDC prevede un corpus di diritti inderogabili, i
quali costituiscono il cuore dei diritti fondamentali dell’uomo. Ad essi non è
possibile apporre nessuna deroga, in quanto prevedono norme jus congens con
obblighi erga omnes. Essi sono: diritto alla vita (art. 6), divieto di tortura (art. 7),
divieto della schiavitù (art. 8), divieto di arresto per debiti (art. 11), alla irretroattività
della legge penale (art. 15), diritto al riconoscimento della personalità giuridica (art.
16) e del diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione.
Vi sono poi altri diritti sanciti, come esplicitamente enunciato dal Patto, a cui sono
possibili deroghe e restrizioni, qualora queste siano previste dalla legge e ritenute
necessarie in una società democratica, nell’interesse della sicurezza nazionale, della
sicurezza pubblica, dell’ordine pubblico o per proteggere la salute dei diritti altrui. È
il caso, ad esempio, dell’art. 12 c. 3 e 19 c. 3, che rispettivamente sanciscono la
libertà di movimento
20
e di espressione.
21
Per quanto riguarda i diritti dello straniero,
il presente Patto prevede un solo articolo
22
volto a questa specifica categoria di
19
Zanghì, C., La protezione internazionale dei diritti dell’uomo, Giappichelli Editore, Torino, 2006,
seconda edizione, pagg. 97-104
20
Art. 12
1. Ogni individuo che si trovi legalmente nel territorio di uno Stato ha diritto alla libertà di movimento
e alla libertà di scelta della residenza in quel territorio.
2. Ogni individuo è libero di lasciare qualsiasi Paese, incluso il proprio.
3. I suddetti diritti non possono essere sottoposti ad alcuna restrizione, tranne quelle che siano previste
dalla legge, siano necessarie per proteggere la sicurezza nazionale, l'ordine pubblico, la sanità o la
moralità pubbliche, ovvero gli altrui diritti e libertà, e siano compatibili con gli altri diritti riconosciuti
dal presente Patto.
4. Nessuno può essere arbitrariamente privato del diritto di entrare nel proprio Paese.
21
Art. 19
1. Ogni individuo ha diritto a non essere molestato per le proprie opinioni.
2. Ogni individuo ha il diritto alla libertà di espressione; tale diritto comprende la libertà di cercare,
ricevere e diffondere informazioni e idee di ogni genere, senza riguardo a frontiere, oralmente, per
iscritto, attraverso la stampa, in forma artistica o attraverso qualsiasi altro mezzo di sua scelta.
3. L'esercizio delle libertà previste al paragrafo 2 del presente articolo comporta doveri e
responsabilità speciali. Esso può essere pertanto sottoposto a talune restrizioni che però devono essere
espressamente stabilite dalla legge ed essere necessarie: a) al rispetto dei diritti o della reputazione
altrui; b) alla salvaguardia della sicurezza nazionale, dell'ordine pubblico, della sanità o della morale
pubbliche.
22
Art. 13
9
soggetto, ma solo in merito ai provvedimenti di espulsione, non prescrivendo alcun
preciso diritto in merito alla sua condizione giuridica e sociale all’interno del Paese
ospitante. Come detto poc’anzi, i diritti degli immigrati vengono ancora considerati
parte dei diritti umani nel suo insieme; bisognerà quindi aspettare gli anni avvenire,
affinché questi siano esplicitamente riconosciuti in documenti internazionali ad hoc.
1.2.2 (b) Il Patto Internazionale sui diritti economici, sociali e culturali
Il Patto sui diritti economici, sociali e culturali (PIDESC) sancisce il complesso di
norme che riconoscono i diritti individuali dell’uomo nella sua dimensione
“collettiva” e sociale. Ciò nonostante, si è voluto, data la recente entrata in vigore
della Dichiarazione sulla concessione di indipendenza ai paesi e popoli coloniali del
19 novembre 1960 e il fermento che ne conseguì, ribadire, all’art. 1, Parte I,
23
il
principio di autodeterminazione dei popoli.
24
Vediamo brevemente il contenuto del suddetto Patto. Fra i diritti economici sono
enunciati il diritto al lavoro, alle condizioni di lavoro e i diritti sindacali; fra i diritti
sociali: il diritto ad un livello di vita adeguato, alle condizioni di salute, alla
protezione della famiglia, alla protezione sociale per le madri e per i fanciulli e
infine, fra i diritti culturali sono contemplati il diritto all’istruzione, alla
partecipazione alla vita pubblica e di beneficiare del progresso scientifico. Per quanto
riguarda la procedura di controllo, il Patto sui diritti economici, sociali e culturali non
Uno straniero che si trovi legalmente nel territorio di uno Stato parte del presente Patto non può
esserne espulso se non in base a una decisione presa in conformità della legge e, salvo che vi si
oppongano imperiosi motivi di sicurezza nazionale, deve avere la possibilità di far valere le proprie
ragioni contro la sua espulsione, di sottoporre il proprio caso all'esame dell'autorità competente, o di
una o più persone specificamente designate da detta autorità, e di farsi rappresentare innanzi ad esse a
tal fine.
23
Art. 1 – Parte I
1. Tutti i popoli hanno il diritto di autodeterminazione. In virtù di questo diritto, essi decidono
liberamente del loro statuto politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e
culturale.
2. Per raggiungere i loro fini, tutti i popoli possono disporre liberamente delle proprie ricchezze e
delle proprie risorse naturali, senza pregiudizio degli obblighi derivanti dalla cooperazione economica
internazionale, fondata sul principio del mutuo interesse, e dal diritto internazionale. In nessun caso un
popolo può essere privato dei propri mezzi di sussistenza.
3. Gli Stati parti del presente Patto, ivi compresi quelli che sono responsabili dell'amministrazione di
territori non autonomi e di territori in amministrazione fiduciaria, debbono promuovere l'attuazione
del diritto di autodeterminazione dei popoli e rispettare tale diritto, in conformità alle disposizioni
dello Statuto delle Nazioni Unite.
24
Questo principio sancito nel Patto riprende, oltre i principi contenuti nella Dichiarazione di
indipendenza, anche quelli delle Risoluzioni dell’Assemblea Generale relative alla sovranità
permanente sulle risorse naturali del 12 dicembre 1958 e del 15 dicembre 1960, nonché il principio di
10
prevede, per le ragioni dette precedentemente, alcun organismo ad hoc, assegnando
all’ECOSOC la funzione di supervisione. Inoltre, non è previsto un potere di
controllo sugli Stati parti, ma una semplice procedura di informazione periodica da
parte degli stessi in merito alle misure adottate e sui progressi compiuti
nell’attuazione dei diritti riconosciuti nel PIDESC. Questi dovranno essere inviati al
Segretario Generale dell’ONU che li trasmetterà all’ECOSOC e a sua volta alla
Commissione dei diritti umani (art. 16, par. 1).
25
Anche se tale procedura ha il solo
scopo di mera informazione e non di denuncia o sanzione a carico dello Stato
inadempiente, può tuttavia esercitare una certa pressione politica nell’incitare gli altri
Stati parti ad assumersi gli obblighi sottoscritti. Per colmare tale lacuna, è stato
creato nel 1985 un organo di controllo, parallelo a quello previsto per il Patto sui
diritti politici e civili (il Comitato dei diritti umani). Il Comitato per i diritti
economici, sociali e culturali, il cui compito è quello di formulare raccomandazioni
in base ai rapporti presentati dagli Stati parti, ha però un ruolo piuttosto debole dato
che, come è noto, le raccomandazioni non hanno valore vincolante. Tuttavia, è in
fase di progetto dal 1997 il Protocollo facoltativo al Patto attraverso cui istituire una
vera e propria procedura di controllo, analogamente a quanto già avviene con il Patto
sui diritti civili e politici.
Per quanto riguarda le disposizioni inerenti al trattamento dei diritti dei migranti,
queste sono contenute essenzialmente nell’art. 2 par. 2
26
, incentrato sul principio di
non discriminazione. Al riguardo è utile, per un’esaustiva comprensione di tale
principio fondamentale, soffermarci sul commento interpretativo del Comitato ONU
sui diritti economici, sociali e culturali, che, a parer nostro, apporta un contributo di
grande interesse. Nel corso della sessione tenutasi tra il 4 ed il 22 maggio 2009, il
Comitato ha adottato il commento generale n. 20, riguardante l’interpretazione
auto-decisione dei popoli affermato nello Statuto dell’ONU agli artt. 1 e 55. A tal merito si consulti il
sito dell’ONU http://www.un.org/en/index.shtml
25
Art. 16 – Parte IV
1. Gli Stati parti del presente Patto si impegnano a presentare, in conformità alle disposizioni di questa
parte del Patto, dei rapporti sulle misure che essi avranno preso e sui progressi compiuti al fine di
conseguire il rispetto dei diritti riconosciuti nel Patto.
2. a) Tutti i rapporti sono indirizzati al Segretario generale delle Nazioni Unite, che ne trasmette copie
al Consiglio economico e sociale per esame, in conformità alle disposizioni del presente Patto;
b) il Segretario generale delle Nazioni Unite trasmette altresì agli istituti specializzati copie dei
rapporti, o delle parti pertinenti di questi, inviati dagli Stati parti del presente Patto che siano anche
membri di detti istituti specializzati, in quanto tali rapporti, o parti di rapporti, riguardino questioni
rientranti nella competenza di quegli istituti ai sensi dei rispettivi statuti.
26
Art. 2 c. 2. Gli Stati parti del presente Patto si impegnano a garantire che i diritti in esso enunciati
verranno esercitati senza discriminazione alcuna, sia essa fondata sulla razza, il colore, il sesso, la
11
dell’art. 2 comma 2 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali,
avente per oggetto il principio di parità di trattamento e non discriminazione
nell’accesso a tali diritti.
27
Il commento precisa, al paragrafo 10
28
, che il principio di
non discriminazione prescrive un divieto sia per le discriminazioni dirette, che per
quelle indirette. Esso ribadisce, inoltre, che il principio di non discriminazione rende
illegittime tutte quelle differenze di trattamento nell’accesso ai diritti sociali,
economici e culturali che non siano giustificate dal perseguimento di obiettivi
legittimi e non obbediscano a principi di proporzionalità e ragionevolezza. Inoltre,
considerazioni legate alla limitatezza delle risorse finanziarie a disposizione non
costituiscono di per sé una ragionevole e legittima giustificazione di un trattamento
differenziato (paragrafo 13). Riguardo alle specifiche categorie protette dal principio
di non discriminazione (quali gli immigrati, le minoranze, le donne, i minori, i
disabili, etc.,) il Comitato include anche i casi di discriminazione “per associazione”
(come il caso di un membro di un’associazione di tutela dei diritti dei Rom cui venga
negato l’accesso a prestazioni sociali in ragione della sua militanza a favore di tale
gruppo etnico) o per “percezione” (il caso di un cittadino nazionale con
caratteristiche somatiche di colore cui venga negato l’accesso alla locazione di
un’abitazione da parte di un proprietario che non intende locare a cittadini
stranieri).
29
È importante notare che il Comitato sottolinea espressamente che uno
degli ambiti protetti dalla discriminazione è quello legato alle origini nazionali e che,
con tale espressione, deve intendersi il divieto di discriminazione su basi di
lingua, la religione, l'opinione politica o qualsiasi altra opinione, l'origine nazionale o sociale, la
condizione economica, la nascita o qualsiasi altra condizione.
27
Il Comitato ONU per i diritti economici, sociali e culturali adotta il commento interpretativo
all'art. 2.2 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali in materia di non
discriminazione, 4 giugno 2009, http://www.asgi.it/home_asgi.php?n=361&l=it
28
Paragrafo 10. Both direct and indirect forms of differential treatment can amount to discrimination
under Article 2 (2) of the Covenant:
(a) Direct discrimination occurs when an individual is treated less favourably than another person in a
similar situation for a reason related to a prohibited ground; e.g. where employment in educational or
cultural institutions or membership of a trade union is based on the political opinions of applicants or
employees. Direct discrimination also includes detrimental acts or omissions on the basis of
prohibited grounds where there is no comparable similar situation (e.g. the case of a woman who is
pregnant).
(b) Indirect discrimination refers to laws, policies or practices which appear neutral at face value, but
have a disproportionate impact on the exercise of Covenant rights as distinguished by prohibited
grounds of discrimination. For instance, requiring a birth registration certificate for school enrolment
may discriminate against ethnic minorities or non-nationals who do not possess, or have been denied,
such certificates. Economic and Social Council E/C.12/GC/20, Committee on Economic, Social and
Cultural Rights, General Comment No. 20, Non-Discrimination in Economic, Social and Cultural
Rights (art. 2, para. 2), Forty-second session, Geneva, 4-22 May 2009, consultabile in
http://www.asgi.it/home_asgi.php?n=361&l=it
29
Ibidem, http://www.asgi.it/home_asgi.php?n=361&l=it