17
1 – Introduzione
L’istituzione di un sistema di valutazione della scuola ha vissuto nel nostro
Paese una gestazione molto laboriosa, e nonostante l’allora Ministro della
Pubblica Istruzione Mattarella già nel 1990 ne avesse evidenziato la
necessità, ancor oggi sono in fase di definizione le modalità attraverso cui
realizzare questo proposito. Diversamente da noi, altri Paesi hanno messo
in piedi i loro sistemi di valutazione e hanno messo a punto i loro livelli di
analisi. La crescente attenzione all’unità scolastica come oggetto e come
soggetto di valutazione è progredita di pari passo con la tendenza
internazionale ad attribuire alle scuole una configurazione di maggiore
responsabilità gestionale, che le mettesse in grado di definire obiettivi e
strategie della propria azione educativa.
L’investimento in istruzione, come si è cercato di dimostrare anche
attraverso sofisticate analisi econometriche
5
, è stato concepito come un
fattore fondamentale della crescita economica: ciò è senz’altro vero nei
Paesi in via di sviluppo, nei quali il bassissimo livello di istruzione ostacola
qualsiasi tentativo di modernizzazione; la correlazione tra livello di
istruzione e sviluppo economico, però, non è mai stata dimostrata, e
“dipende da molteplici fattori, dei quali l’educazione è solo uno, anche se
non certamente secondario”
6
. A testimonianza della proporzionalità non
obbligatoriamente diretta fra sviluppo del sistema scolastico e sviluppo del
sistema economico, si può citare l’esempio italiano del Nord-Est, dove in
aree caratterizzate da un vivace sistema produttivo, è stato proprio lo
5
Per es. A. G. Robinson e J. E. Vaizey, The economics of Education, Mac Millan, Londra, 1966. Può
essere opportuno puntualizzare il significato del termine “econometria”: essa costituisce un “ramo
dell’economia che studia l’andamento di variabili economiche mediante tecniche statistiche” (T. De
Mauro - a cura di, De Mauro. Dizionario della lingua italiana, Paravia, Torino, 2000); la voce
“econometria” è stata coniata dall’economista statunitense Frish nel 1931. Per approfondimenti, tra gli
altri, si può consultare G. Amisano, Elementi di econometria. Un’introduzione ai concetti e alle tecniche
di base, Mondadori Università, Milano, 2005.
6
G. Allulli, Le misure della qualità, SEAM, Roma, 2001, pagg. 61-62.
18
sviluppo dell’economia a spingere i giovani ad abbandonare la scuola: è
fondamentale, dunque, il modo in cui il sistema scolastico si adatta alle
caratteristiche del sistema produttivo di un Paese
7
.
D’altro canto, però, è proprio sul terreno della formazione di base,
dell’istruzione superiore ed universitaria e della ricerca che si misurerà la
capacità di competere nel prossimo futuro: un futuro in cui il superamento
del fordismo potrebbe fare dell’informazione e della conoscenza la
principale risorsa produttiva
8
.
“Nella nostra epoca la società è in rapida evoluzione e chiede ai sistemi
educativi di adeguarsi tempestivamente ai cambiamenti. Un sistema
scolastico, infatti, può dirsi ottimale se è in grado di adattarsi
tempestivamente alla società che lo circonda, aiutando nel contempo i
discenti a realizzare la propria personalità mediante l’acquisizione di
nozioni e metodi di pensiero”
9
.
Inoltre vi è una domanda di maggior qualità nei servizi da parte dei
cittadini, collegata per un verso a una crisi della cultura dell’industrialismo
e del consumo standardizzato di massa, e per l’altro alla crisi fiscale e alla
crescita del debito pubblico, per la quale si richiede sempre di più la
verifica rigorosa della destinazione e dell’efficacia della spesa pubblica.
Inglesi, francesi, spagnoli, svedesi, olandesi, finlandesi ecc. hanno adottato
nuove leggi generali o riforme profonde dei sistemi educativi e hanno
sempre di più considerato la valutazione come uno snodo essenziale dei
processi di innovazione e di riforma
10
.
Secondo i risultati pubblicati dall’OCSE a seguito dell’indagine PISA
(Programme for International Student Assessment, una rilevazione
triennale sui ragazzi di quindici anni relativa alla competenza in lettura,
7
Ibidem.
8
Ivi, pag. 13.
9
G. Elias, “non profit”, n. 2 , aprile-giugno 2006, Maggioli Editore, Milano.
10
G. Cominelli, Presentazione del Progetto Pilota del Servizio Nazionale di Valutazione, 7 febbraio 2002,
in http://www.edscuola.it/archivio/ped/valutazione2.html
19
matematica e scienze), risulta che la posizione del nostro Paese, sesta o
settima potenza industriale del pianeta, si trova, nel campo dell’istruzione,
complessivamente al 25° posto su 30 Paesi monitorati, dalle caratteristiche
economiche e sociali assai diverse. “Per quanto questi monitoraggi vadano
presi con le molle e si debba fare la tara sulle distorsioni inevitabili in
operazioni del genere, è certo che i risultati fanno giustizia di una certa
retorica corrente autogiustificatoria”
11
.
Nel sistema di istruzione italiano, a differenza di molti altri Paesi europei,
c’è stata una forte resistenza nei confronti della valutazione, che del resto
rispecchiava la cultura stessa presente nella Pubblica Amministrazione,
nella quale, fino alle riforme degli anni ’90, erano quasi assenti verifiche di
risultato in base ai criteri di economicità, efficacia, efficienza, trasparenza e
qualità, essendo privilegiato invece il controllo delle procedure formali. La
lentezza con la quale nel mondo scolastico si tende ad assimilare la cultura
della valutazione può avere diverse risposte, prima fra tutte
l’autoreferenzialità della scuola italiana, che ritiene di possedere solo la
missione di fare gli italiani, dando loro omogeneità di lingua, cultura
storica, tradizioni letterarie, valori nazionali, senza bisogno di valutazioni
in relazione ai bisogni e alle attese esterne (delle famiglie come del sistema
economico)
12
. Giuseppe De Rita
13
sostiene addirittura che vi sia una paura
dell’intreccio fra valutazione e autonomia, che porterebbe a competitività, e
dunque al timore di dinamiche di differenziazione che vanno contro la
tradizionale omogeneità della scuola autoreferenziale, e contro i piccoli e
medi interessi dei vari operatori scolastici
14
.
È sulla spinta della nascente autonomia scolastica che si rende
maggiormente evidente ed urgente la necessità che anche l’Italia disponga
11
Ibidem.
12
G. De Rita, Presentazione a G. Allulli, Le misure della qualità, SEAM, Roma, 2001, pag. 9.
13
Sociologo e relatore ai più importanti convegni e dibattiti che riguardano le condizioni e le linee di
sviluppo della società italiana, è stato tra i fondatori del CENSIS (di cui è attualmente Presidente) nel 1964
e presidente del CNEL dal 1989 al 2000.
14
G. De Rita, op. cit., pagg. 8-9.
20
di un Ente o agenzia nazionale che – analogamente a quanto avviene in altri
Stati – valuti la produttività e l’efficacia del sistema scolastico nel suo
insieme e, per quanto possibile, degli elementi che lo compongono.
La via italiana alla soluzione del problema è passata principalmente
attraverso il riordino del Centro europeo dell’Educazione (CEDE, sorto nel
1974), denominato, dopo il D. Lgs. 258/99, Istituto nazionale per la
valutazione del sistema dell’istruzione (INVALSI), che costituisce il
completamento indispensabile di un sistema che da una parte attribuisce
maggiori responsabilità alla periferia, ma dall’altra si riserva il compito di
verificare i risultati raggiunti dalle stesse scuole.
Nei tempi dell’istituzione dell’autonomia e del servizio di valutazione si è
sviluppato un dibattito sulla realizzazione di questo sistema, e sul ruolo da
attribuire alla valutazione esterna oppure interna. In realtà “ciascuno dei
due approcci integra ed attribuisce senso all’altro: il controllo esterno
garantirebbe quel rigore che solo un organismo indipendente può
assicurare; quello interno consente di evitare che la valutazione esterna
venga percepita come inquisitoria”
15
. Importanza fondamentale riveste
l’autovalutazione d’istituto, che deve essere stimolata e sostenuta.
La mole di sperimentazioni, monitoraggi, questionari, sondaggi che hanno
coinvolto disordinatamente in questi anni un numero consistente di scuole
ha lasciato una scia di diffidenza e un giudizio di inefficacia sulle
operazioni di monitoraggio e tanto più di valutazione. Ma il punto è che
molti associano la valutazione a un tentativo di ridurre la scuola ad azienda.
E poiché è evidente che le analogie tra i fini e i mezzi di un’azienda e quelli
di una scuola sono assai labili o generiche, ne segue un rifiuto radicale.
L’itinerario delle riforme e dell’innovazione è pieno di rischi e, a volte, di
errori. “Spesso gli errori sono il motore dell’innovazione successiva, se
compiuti in quantità modica, si intende. Non si deve temere di correre
15
G. Allulli, op. cit., pag. 14
21
rischi e di compiere errori. La paura di rischiare e di sbagliare finisce per
inchiodare sulla frontiera della conservazione dello stato di cose presente. E
quello della conservazione è forse, oggi, al cospetto di imponenti
trasformazioni cui i sistemi educativi a livello mondiale sono obbligati,
l’ottavo peccato capitale”
16
.
È bene che l’introduzione della valutazione nel sistema scolastico avvenga
sì con rigore, ma in modo graduale ed equilibrato: “è preferibile un
processo più lento, ma compreso e condiviso, che un processo imposto in
tempi accelerati, ma in un clima di insuperate diffidenze; le rilevazioni,
inoltre, non si devono sovrapporre al lavoro dei docenti e devono sempre
produrre – in tempo reale – un ritorno di informazione agli operatori
scolastici che collaborano alle procedure di verifica e di valutazione. Infine
è bene tener presente come la legittimazione dell’attività di valutazione non
scaturisca tanto dagli obblighi normativi, quanto dal coinvolgimento degli
operatori e dal rigore e dalla serietà con cui viene condotta”
17
.
L’obiettivo di questo lavoro è, dunque, quello di analizzare le modalità di
valutazione del sistema di istruzione italiano alla luce anche della maggiore
autonomia che è stata recentemente attribuita agli istituti scolastici, e capire
in quali direzioni possano trovarsi spiragli di miglioramento, analizzando
anche l’esperienza di altri Paesi europei e le indagini di stampo
internazionale.
Prima di arrivare al fulcro del discorso è parso opportuno introdurre il
concetto di valutazione in generale, e come esso si possa applicare ai
servizi alla persona e, quindi, all’ambito formativo (cap. 2).
Dopo un breve excursus sulla storia dell’istruzione italiana (cap. 3) –
finalizzata ad una migliore contestualizzazione degli argomenti sviluppati –
viene trattato il nuovo assetto istituzionale in materia, considerando in
16
G. Cominelli, op. cit.
17
Associazione Treellle, L’Europa valuta la scuola. E l’Italia?, Quaderno n. 2, 2002, pag. 71.
22
particolare le novità apportate dalla legge “Bassanini” (L. 59/97) e dalla
riforma costituzionale, intervenuta con L. Cost. 3/2001, che ha modificato
il Titolo V della Costituzione: in effetti, se vi sono competenze su più
livelli, dovrebbe esservi valutazione su più livelli (cap. 4).
Di seguito si passa alla parte più corposa del presente lavoro, nella quale
vengono analizzati i vari aspetti oggetto della valutazione e le esperienze
italiane (cap. 5).
Infine sono proposti dei confronti con i casi inglese e francese (cap. 6), e le
esperienze di stampo internazionale (cap. 7), cui fanno seguito le
considerazioni conclusive (cap. 8).
23
2 – La valutazione
2.1 – Introduzione
Il cammino che condurrà ad analizzare lo stato di avanzamento nella
concretizzazione del concetto di valutazione nel sistema dell’istruzione
italiano, ad effettuare comparazioni con altre realtà europee, e ad analizzare
le rilevazioni che avvengono in ambito internazionale, non può non passare
attraverso una esposizione delle caratteristiche e degli elementi della
valutazione stessa, di come essa possa applicarsi ai servizi alla persona ed
in particolare a quello dell’istruzione, e degli aspetti problematici che sono
posti in essere.
2.2 – Definizioni e finalità
Prima di approfondire la tematica della valutazione, se ne riportano, a titolo
esemplificativo, tre definizioni.
La valutazione, come suggerisce esaustivamente Claudio Brezzi
18
, è
“principalmente (ma non esclusivamente) un’attività di ricerca sociale
applicata, realizzata, nell’ambito di un processo decisionale, in maniera
integrata con le fasi di programmazione, progettazione e intervento, avente
come scopo la riduzione della complessità decisionale attraverso l’analisi
degli effetti diretti ed indiretti, attesi e non attesi, voluti o non voluti,
dell’azione, compresi quelli non riconducibili ad aspetti materiali; in questo
18
Membro dell’Associazione Italiana di Valutazione, di cui è socio fondatore.
24
contesto la valutazione assume il ruolo peculiare di strumento partecipato
di giudizio di azioni socialmente rilevanti, accettandone necessariamente le
conseguenze operative relative al rapporto fra decisori, operatori e
beneficiari dell’azione”; Brezzi distingue quindi la valutazione dal
monitoraggio (“un’attività, compresa nella valutazione ma limitata alla
raccolta di informazioni”), dal benchmarking (“il termine, e la
corrispondente pratica, si è riversata anche in valutazione dove mi pare
assumere un significato più modesto, di casi di studio eccellenti utilizzati
come elemento di paragone”) a dall’audit (interviene nel programma ma
solo per correggerlo, non per costruirne l’indirizzo, e non si pone
criticamente nei confronti dei destinatari”)
19
La valutazione è definita anche come “l’insieme delle attività collegate
utili per esprimere un giudizio per un fine, giudizio argomentato tramite
procedure di ricerca valutativa che ne costituisce l’elemento essenziale ed
imprescindibile di affidabilità delle procedure e fedeltà delle informazioni
utilizzate per esprimere quel giudizio”
20
.
Un’ultima definizione che si propone è quella che vede la valutazione come
“un insieme, integrato di scelte di valore, di assunzioni teoriche e
metodologiche, di metodi e tecniche di carattere scientifico il cui fine è
quello di determinare gli esiti di un certo corso di azione intrapreso per
conseguire determinati obiettivi”
21
.
La valutazione ha, tra le sue finalità, quella di innescare un sistema di
azioni e reazioni teso al miglioramento dell’efficienza e dell’efficacia delle
azioni pubbliche.
Prima di vedere più nel dettaglio come debbano intendersi questi due
concetti – efficacia ed efficienza – nel momento in cui si procede a
19
C. Brezzi, Il disegno della ricerca valutativa, Nuova edizione rivista ed aggiornata, Franco Angeli,
Milano, 2003, pagg. 55-56, cit. in B. Bordignon, Certificazione delle competenze. Premesse teoriche,
Rubbettino, Soveria Mannelli, 2006, pagg. 80 ss.
20
http://www.valutazione.it
21
A. Saporiti, La ricerca valutativa. Riflessioni per una cultura della valutazione, Rubbettino, Soveria
Mannelli, 2001, pag. 40.
25
valutazioni di servizi alla persona, e – ciò che più interessa in questa sede
– di servizi scolastici, è opportuno ripercorrere le tappe principali attraverso
le quali la cultura economico-aziendale è entrata nella Pubblica
Amministrazione, a partire dall’inizio degli anni ’90.
2.3 – Lo sviluppo della cultura economico-aziendale nella
Pubblica Amministrazione italiana
2.3.1 – Le tappe principali
Introdurre un sistema di valutazione nel campo dell’istruzione appare
sempre più come un requisito necessario, ma esso non costituirebbe, da
solo, un elemento sufficiente per ottenere un miglioramento del prodotto
scolastico e formativo: “Se non rientra all’interno di una cultura di governo
orientata al raggiungimento dei risultati, piuttosto che alla definizione di
sempre nuove procedure, l’attività di valutazione si riduce ad una semplice
collezione di dati, più o meno completa ed articolata, ma non produrrà un
reale impatto sul miglioramento delle strutture e del sistema. La
valutazione ha senso solo se costituisce una fase, un passaggio
strutturalmente inserito all’interno di un approccio strategico al governo ed
alla gestione dei servizi pubblici”
22
. Vediamo dunque come è cresciuta la
cultura della valutazione nel nostro Paese.
Il concetto di valutazione si è sviluppato solo di recente
nell’amministrazione italiana, da sempre improntata più al rispetto delle
norme che non al raggiungimento dei risultati.
22
G. Allulli, La valutazione delle politiche e dei sistemi educativi, in “Studi di Sociologia”, A. XVIII n.3,
Vita e Pensiero, Milano, 2005.
26
Il ruolo della valutazione delle politiche pubbliche si rivela di grande
interesse nella modernizzazione dello Stato e nella riforma dei modelli
d’azione pubblica, in un contesto in cui esigenze di equilibrio della finanza
pubblica e di contenimento della spesa impongono ai pubblici poteri di
massimizzare l’efficienza dei servizi prodotti, contando su una quantità
decrescente di risorse.
Le riforme succedutesi negli anni ’90 inseguivano i seguenti obiettivi:
o ridurre i controlli di legittimità, per sveltire l’azione
amministrativa;
o eliminare del tutto i controlli di merito (che erano ancora presenti,
soprattutto negli Enti locali), poiché interferiscono con la
discrezionalità della Pubblica Amministrazione;
o rafforzare gli organi interni di controllo;
o valorizzare il controllo collaborativo rispetto a quello autoritativo;
o introdurre modelli tratti dall’esperienza aziendalistica.
I primi segnali significativi dell’evoluzione legislativa verso un modello di
amministrazione agente per funzioni e per programmi e finalizzato al
raggiungimento di determinati risultati hanno trovato espressione nella L.
142/90, che rinnovava l’ordinamento delle autonomie locali ed effettuava
una prima separazione tra organi politici ed organi tecnici, nella L. 241/90,
che disciplinava il procedimento amministrativo, e, in seguito, nella L.
421/92, che razionalizzava e revisionava la disciplina in materia di sanità,
previdenza, finanza locale e pubblico impiego e nella L. 537/93, che
riformava l’apparato amministrativo dello Stato.
Il D. Lgs. 29/93 costituisce un’altra tappa molto importante nel processo di
rinnovamento dell’amministrazione pubblica; esso prevede:
- la separazione tra politica e amministrazione;
- una gestione orientata ai risultati;
- la contrattualizzazione del pubblico impiego;
27
- la separazione tra funzioni strategiche e funzioni operative.
Il decreto, oltre all’introduzione del controllo gestionale (con il quale, di
fatto, coincideva il controllo interno), si poneva i seguenti obiettivi: lo
svolgimento delle funzioni in modo regolare, economico, efficace ed
efficiente; la produzione di risultati e servizi di qualità, compatibilmente
con le finalità dell’organizzazione; la salvaguardia delle risorse dai pericoli
di sprechi, frodi, abusi; il rispetto di leggi e norme; la disposizione e la
comunicazione di corretti ed idonei dati finanziari; l’introduzione del
merito; la responsabilizzazione dei dirigenti; l’introduzione di Nuclei di
valutazione e Servizi di controllo interno.
Il decreto fu criticato principalmente per i seguenti motivi:
- non risolveva tutti i problemi relativi al controllo;
- rimaneva un sovraccarico dei sistemi di controllo;
- vi erano “incertezze concettuali e ridondanze lessicali”
23
(ad
esempio: si parlava di efficacia, efficienza ed economicità senza
dare una definizione dei termini; i Nuclei di valutazione e i Servizi
di controllo interno avevano in parte le stesse funzioni);
- mancavano le risorse umane, logistiche e tecnologiche.
Vi era dunque un’esigenza di semplificare e disciplinare meglio.
Per quanto attiene ai controlli esterni esercitati dalla Corte dei Conti, la L.
20/94 ha diminuito di gran lunga gli atti governativi sottoposti a tale
controllo, che si manifesta come un controllo successivo tra la situazione
effettivamente realizzata con l’attività amministrativa, e la situazione
ipotizzata dal legislatore come obiettivo da realizzare, in modo da
verificare, ai fini della valutazione del conseguimento dei risultati, se le
procedure e i mezzi utilizzati, esaminati in comparazione con quelli
apprestati in situazioni omogenee, siano stati frutto di scelte ottimali dal
punto di vista dei costi economici, della speditezza dell’esecuzione e
23
Cfr. Il controllo della gestione, pag. 4, in http://217.64.198.201/sistemadocumentale/AreaDocumenti
/Controllo%20di%20gestione/Il%20controllo%20della%20gestione%20.ppt.
28
dell’efficienza organizzativa, nonché dell’efficacia dal punto di vista dei
risultati.
Questa forma di controllo presenta le seguenti caratteristiche fondamentali:
o ha per oggetto intere “gestioni” pubbliche;
o utilizza parametri non limitati alla sola legittimità;
o è di tipo successivo e non incide sull’efficacia giuridica di singoli
atti;
o è di tipo “programmato” o a campione. A seguito di una modifica
testuale apportata dalla legge finanziaria 2007, inoltre, la
definizione annuale dei programmi e dei criteri di riferimento del
controllo avviene “sulla base delle priorità previamente deliberate
dalle competenti Commissioni parlamentari o a norma dei rispettivi
regolamenti”
24
.
La L. 59/97 recava delega al Governo per il conferimento di funzioni e
compiti a Regioni ed Enti locali, per la riforma della Pubblica
Amministrazione e per la semplificazione amministrativa.
La L. 127/97 recava misure urgenti per lo snellimento dell’attività
amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo.
Il D. Lgs. 286/99
25
si è occupato di ridefinire i controlli interni,
individuandone quattro tipi: controllo di regolarità amministrativa e
contabile, controllo di gestione, valutazione dei dirigenti, controllo
strategico.
L’atto normativo in questione è criticato principalmente perché:
- i controlli rimangono ancora non del tutto circoscritti e analizzati;
- il sistema di controlli previsto è adatto a grandi amministrazioni,
dotate di strutture, di professionalità, e di una maggiore cultura in
tema di misurazione di servizi e prodotti e di valutazione;
24
L. 296/2006, art. 1, comma 473.
25
Nota di rilievo del D. Lgs. 286/99, per ciò che attiene al presente lavoro, è l’affermazione secondo cui
“le verifiche dell’efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa non si applicano alla
attività didattica del personale della scuola”.
29
- manca una banca dati in grado di mettere in concorrenza le PP.AA.
di diverse realtà territoriali
26
.
Ad oggi, inoltre, gli ultimi tre modelli elencati non sono ancora stati messi
a regime, non hanno appieno raggiunto gli obiettivi legislativi, e non
sempre hanno impedito – ad esempio in sede locale – andamenti non
virtuosi della spesa.
Tra quelle appena viste la tipologia di controllo che più interessa le scuole è
il controllo interno di gestione, che, a differenza dei controlli tradizionali, i
quali tendono a paralizzare i comportamenti, è finalizzato a individuare
comportamenti positivi da incentivare o promuovere perché possano essere
più efficacemente raggiunti i fini. Esso dunque mira al miglioramento del
prodotto, innestando, al momento della conclusione delle varie operazioni
di verifica, un circuito virtuoso che all’avvenuta rilevazione di ostacoli o
disfunzioni faccia conseguire idonee azioni correttive, cercando di
bilanciare due esigenze apparentemente contrapposte:
- garantire l’ottimale amministrazione e gestione delle risorse,
assicurando che l’azione si svolga sempre e in ogni caso nel
rispetto della legalità, ma si impronti anche al rispetto dei principi
di efficienza, efficacia ed economicità;
- garantire l’esercizio reale di spazi di autonomia, perché il
moltiplicarsi di controlli esterni o l’asfissiante esercizio degli stessi
rende asfittica la gestione controllata, ha effetti paralizzanti e, in
definitiva, deresponsabilizza gli agenti
27
.
26
Sul tema oggetto di questo paragrafo, cfr. E. Borgonovi, Principi e sistemi aziendali per le
amministrazioni pubbliche, Egea, Milano, 2005 (cap.1-6-10-11) e G. Farneti, Ragioneria pubblica. Il
“nuovo” sistema informativo delle aziende pubbliche. Franco Angeli, Milano, 2004 (capi. 1-2, parag.3.1-
3.3- 3.7- 3.9- 4.1- 4.3).
27
S. Auriemma, La riorganizzazione del sistema scolastico. IperTesto Unico Scuola, Tecnodid, Napoli,
2007, pagg. 22-23.
30
2.3.2 – Differenza tra valutazione e controllo
Sebbene sia una forma di controllo amministrativo (secondo alcuni
addirittura “l’etade supeme du controle administratif”
28
), la valutazione
delle politiche pubbliche si distingue però da detto controllo non solo nella
sua tradizionale configurazione di controllo preventivo di legittimità, ma
anche in quella, più recente, di controllo di gestione.
La distinzione tra valutazione e controlli preventivi di legittimità è assai
agevole: i secondi misurano l’astratta pertinenza dei singoli atti
amministrativi alle regole dettate per la realizzazione del fine pubblico,
mentre la valutazione rivolge l’attenzione verso il raggiungimento dei
risultati.
Più sottile è la distinzione tra valutazione delle politiche pubbliche e
controllo di gestione, anch’esso fondato sulla razionalità economica e
manageriale e volto a misurare il grado di realizzazione dei fini pubblici
attraverso il confronto tra aspettative e risultati. Le differenze tra i due
riguardano essenzialmente tre aspetti:
o la prima differenza riguarda l’oggetto dell’indagine: l’output nel
caso del controllo di gestione, l’outcome nel caso della valutazione;
o la seconda riguarda i paradigmi assunti a fondamento dell’analisi:
la valutazione considera il processo di realizzazione dei risultati
secondo un paradigma interazionista, che apre il campo all’utilizzo
delle metodologie proprie di varie scienze sociali, e non si limita a
legare in modo meccanicistico, attraverso lo strumento del feed-
back, gli obiettivi, i mezzi ed i risultati;
o il terzo punto riguarda le metodologie: mentre nella valutazione
l’osservatore è posto necessariamente all’esterno, perché vuole
28
AA.VV., “L’evaluation des actions publiques”, in Politiques et management public, n° 6, 1988, cit. in I.
Borrello, G. Salvemini, “Il ruolo della valutazione delle politiche pubbliche nella riforma amministrativa”,
in Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze, Vol. LVIII – parte I, Giuffrè, Milano, 1999, pag.
180.