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PREMESSA
I procedimenti speciali si collocano, nel sistema di rito penale, accanto al
procedimento ordinario, segnato dalla scansione di determinate fasi: dalle indagini
preliminari, in cui l‟organo del p.m. acquisisce e coordina gli elementi probatori;
alla chiusura delle indagini, in cui l‟ufficio requirente presenta al giudice la
richiesta di archiviazione o la richiesta di rinvio a giudizio dell‟imputato, dalla
udienza preliminare, che costituisce il momento di controllo, da parte del giudice,
del corretto esercizio dell‟azione penale e del relativo vaglio della eventuale
celebrazione della fase dibattimentale, al giudizio, in cui pubblicamente e con la
garanzia della dialettica processuale delle parti, viene definito il processo con
sentenza di proscioglimento o di condanna dell‟imputato; al possibile giudizio di
impugnazione, di secondo grado (appello) e di legittimità (cassazione).
Nella prospettiva del nuovo codice si è attribuita importanza ai riti c.d. alternativi
rispetto al procedimento ordinario, sì da affermare che i cinque modelli
predisposti dalla legge rappresentano gli strumenti indispensabili per il concreto
funzionamento del sistema in quanto dovrebbero, permettendo di adeguare con
grande flessibilità la scelta del rito alle peculiarità ed esigenze del caso concreto,
coprire una aliquota rilevante di tutto il lavoro giudiziario.
In ciò si coglie la ratio giuridica delle figure dei procedimenti speciali, peraltro
definite anche “procedure di sfoltimento”; essi, infatti, hanno la funzione di
evitare attività processuali inutili nei casi di maggiore semplicità oggettiva del
merito per quanto concerne la prova, che costituisce il carattere comune, pur nella
eterogeneità dei procedimenti stessi.
7
Il giudizio direttissimo rappresenta un istituto processuale che, come tanti altri, ha
subito un profondo rinnovamento legislativo, che propone una più aggiornata
esplorazione dell‟approdo ontologico del codice del 1988.
Esso si inserisce in un ambito definito tra i più interessanti del nuovo sistema
processuale: è l‟abbandono dell‟idea di modello procedurale unico e la
strutturazione, accanto al modulo ordinario, di una serie di modelli c.d. speciali,
collegati, ora, all‟esigenza di deflazionare il carico giudiziario dibattimentale, ora
al bisogno di accelerare i tempi del processo eliminando le fasi precedenti al
dibattimento. Il rito direttissimo, pur appartenendo alla seconda categoria – perché
legato a particolari situazioni di evidenza probatoria – in qualche modo sollecita la
definizione della vicenda processuale e quindi contribuisce, anche, alla
realizzazione di finalità “deflattive”.
Tra le forme procedurali differenziate l‟unica già nota alla storia del processo
penale è rappresentata proprio dal rito direttissimo; la sua introduzione nel
contesto processuale non è, pertanto, una novità in senso assoluto. Eppure
l‟inserimento in una struttura procedurale completamente “rivoluzionaria”,
rispetto agli schemi del passato, rende l‟istituto odierno differente dagli altri
1
.
La prima constatazione coglie una verità importante; ma non autorizza sinonimie
tra vecchio e nuovo “direttissimo”. Indubbiamente in continuità strutturale, i due
istituti dimostrano l‟esistenza di insistenti tentativi generalizzati di accelerazione
dei tempi processuali con la richiesta di immediato dibattimento; ma
appartengono comunque ad un diverso modo di intendere il ricorso celere al
1
De Caro, Il giudizio direttissimo, Napoli, 1996, p. 9.
8
giudizio e, per questo, si discostano ontologicamente in misura rilevantissima.
Sotto il profilo politico, poi, manifestano “anime” profondamente diverse.
Invero, mentre nel direttissimo del 1930 i caratteri generali prevalenti erano
l‟esemplarità e l‟intimidazione, il nuovo giudizio speciale sembra approdato – sia
pure con sfasature alcune volte importanti – ad una struttura che privilegia il
modulo accusatorio, dal momento che l‟accelerazione dei tempi di approccio al
dibattimento è solo in funzione dell‟evidenza probatoria.
Alla continuità strutturale, quindi, si contrappone una profonda disomogeneità
politica.
Dal punto di vista normativo, la scelta del legislatore è stata quella di costruire
l‟istituto attraverso poche disposizioni che ne delineano i profili generali,
rimettendo alla complementarietà normativa – relativa al dibattimento – la
restante disciplina.
Ciò non ha semplificato i problemi che l‟istituto pone; anzi, li ha resi più
complessi. In molti casi si palesa, evidente, l‟esigenza di una più articolata
regolamentazione
2
.
Così, ad esempio: per la esatta individuazione dei presupposti del rito ed in
particolare per la non necessità di speciali indagini; per la valenza cautelare del
provvedimento di convalida dell‟arresto; per le questioni relative alla mancata
presenza fisica dell‟imputato e alla contestazione dell‟accusa; per i modi della
vocatio in iudicium dell‟imputato detenuto; per la individuazione della natura del
vizio dell‟illegittima instaurazione del rito e del tipo di sanzione ad essa collegata.
Per tutto ciò la generica regolamentazione normativa è fonte di disagio
2
In tali termini si esprime De Caro, op. cit., p. 10.
9
interpretativo che ha dato vita ad opposte soluzioni. Rispetto a questi e ad altri
problemi spesso hanno sopperito prassi non sostenute da coerenti supporti
normativi. Perciò, in molti di questi settori sarebbe utile un intervento del
legislatore che eliminasse le attuali e denunciate discrasie.
Questa superficiale regolamentazione normativa in qualche modo mostra anche i
limiti di un immediato approdo dibattimentale, che naturalmente condiziona la
regola stessa, nonché un sereno giudizio, spesso connesso all‟emotività del rito
istantaneo più che ad una valutazione completa della vicenda.
L‟osservazione non vuole indurre un apprezzamento negativo del rito
direttissimo; tutt‟altro. Si vuole solo sottolineare che non sempre la eccessiva
celerità di approdo al dibattimento è un fatto “positivo”.
Dunque, anche il nuovo giudizio direttissimo è una forma procedurale complessa
e paradigmatica; e se la generale dimensione dell‟istituto non tradisce la
vocazione accusatoria dell‟intero impianto processuale penale, è pur vero che da
qualche parte emergono ancora problematiche tracce di “esemplarità” della
risposta punitiva
3
.
La suddetta questione assume particolare rilevanza in riferimento ai direttissimi
“atipici”. Sebbene l‟incidenza complessiva dei c.d. direttissimi “obbligatori”
rimanga attualmente assai minore che in passato, non possono certo considerarsi
risolti i problemi applicativi e, prima ancora, di inquadramento che ad essi si
collegano.
Non sfugge che l‟effettività della discutibile scelta di politica criminale operata
dal legislatore sia condizionata, in larga misura, dal modo in cui si concepisce il
3
Sempre De Caro, op. cit., p. 11.
10
rapporto tra i casi in cui opera il suddetto rito e la disciplina che il codice riserva
al giudizio direttissimo ordinario. Sorge, per essere più espliciti, il dubbio se i
giudizi direttissimi atipici rappresentino delle pure varianti, in merito alla
definizione dei presupposti, rispetto all‟ipotesi-tipo, o non siano, piuttosto, da
considerare del tutto autonomi ed indipendenti
4
.
La notevole eterogeneità delle ipotesi individuate ratione materiae ha trovato,
sino ad un recente passato, un possibile fattore unificante nella condizione
espressa che non fossero necessarie speciali indagini. Per i suddetti reati, in altre
parole, il giudizio speciale rappresenta, di norma, la via ordinaria di procedere,
salvo che, nel caso di specie, particolari esigenze istruttorie impongano di
svolgere indagini di una certa complessità. A tale costante si sottraggono, invece,
le più recenti ipotesi di direttissimo atipico legate, rispettivamente, ai nuovi reati
di illegittimo reingresso e di illegittima permanenza nel territorio dello Stato (artt.
12 e 13 l. n. 189/2002). Rispetto a queste fattispecie, di conseguenza, il rito
“speciale” diventa tout court “ordinario”, non essendoci alternativa al suo
svolgimento nemmeno se il loro accertamento comporta tempi lunghi e indagini
complesse
5
.
Questa tutt‟altro che trascurabile discrasia rende più problematica una trattazione
unitaria delle differenti ipotesi.
Possiamo per adesso limitarci a premettere che il giudizio direttissimo atipico
rappresenta, nell‟attuale sistema processuale, una modalità “obbligatoria” di
4
Propende, senza esitazione, per la prima soluzione, anche se in riferimento all’ormai dichiarato
illegittimo art. 233, comma 2, disp. coord., Voena, sub art. 233 disp. coord., in Commentario del
nuovo codice di procedura penale, diretto da Amodio e Dominioni, Milano, 1990, p. 213.
5
Così Orlandi, Procedimenti speciali, in AA.VV., Compendio di procedura penale, a cura di Conso-
Grevi, II ed., Padova, 2003, p. 614. L’Autore ipotizza che quei reati siano stati “considerati di facile
e quindi rapido accertamento”.
11
instaurazione del dibattimento, a cui il legislatore ricorre ogniqualvolta intende
reprimere la commissione di particolari tipologie di reati, che generano un forte
allarme sociale. In tal modo, detto giudizio finisce per connotarsi con i medesimi
tratti distintivi che caratterizzavano l‟analogo rito nella vigenza del codice Rocco
ossia l‟esemplarità e la celerità. Al contempo, però, lo stesso si allontana dal
modello contenuto e disciplinato dagli artt. 449 e ss. c.p.p., generando forti dubbi
interpretativi e notevoli perplessità circa la sua rispondenza ai meccanismi
processuali vigenti e, soprattutto, all‟apparato costituzionale, oggi rinnovato,
anche alla luce dei canoni del “giusto processo”
6
.
6
Cortesi, Il giudizio direttissimo atipico: casi, forme e termini, in Diritto penale e processo, 2007,
p. 1068.
12
PARTE PRIMA:
IL DIRETTISSIMO TIPICO
CAPITOLO I: Evoluzione storico-politica dell’istituto
1. La combinazione di fattori tecnici e di elementi politici nella
introduzione del giudizio direttissimo
L‟analisi delle origini e della evoluzione del giudizio direttissimo - inteso come
tipo di giudizio celere nel quale manca o è ridotta al minimo ogni attività
investigativa preliminare a ragione dei qualificati presupposti sui quali
solitamente poggia
7
- è stata condotta focalizzando in prevalenza l‟attenzione sulla
forma procedurale tipica di questa species di rito differenziato. In questo contesto
è stato facile rintracciare nell‟ordinamento giuridico italiano il primo esempio di
giudizio direttissimo nella citazione direttissima introdotta dal codice di procedura
penale del 1865
8
, primo codice postunitario, sull‟esempio della legislazione
francese del 1863
9
.
Anche se parte della dottrina non ha disconosciuto l‟esistenza di modelli
processuali anteriori – in qualche modo predecessori – di quello in questione,
l‟indagine storica è stata per lo più limitata alle legislazioni ispirate al code
7
Coincidenti, di solito, con le situazioni connesse con l’arresto in flagranza. Sulla evoluzione
storica di questo istituto e sulle problematiche ad esso collegate cfr. L. Filippi, L’arresto in
flagranza nella evoluzione normativa, Milano, 1990
8
Sulle linee essenziali del codice di procedura penale del 1865 v., per tutti, Borsani-Casorati,
Codice di procedura penale commentato, Milano, 1876.
9
Il riferimento è alla Loi sur les flagrants dèlits correctionnels approvata il 20.5.1863. Per una
generale visione della prima legislazione francese in materia e sulla sua influenza nell’evoluzione
del modello processuale direttissimo cfr. Politica criminale, Milano, 1980, p. 10 e ss.
13
d’instruction criminelle del 1808 – matrice ideologica e referente strutturale di
molte codificazioni moderne – volendo sottolineare come la caratteristica di
questo giudizio particolare fosse quella di prescindere dalla fase istruttoria, che
identifica il modello procedurale tipico dei sistemi ispirati a quel codice.
Con esso la fase istruttoria ha assunto una funzione peculiare – poi recuperata da
molte successive codificazioni, tra cui quelle italiane – che, mancando in misura
più o meno marcata nelle forme classiche di giudizio direttissimo, lo caratterizza
per la diversità rispetto al modello ordinario tipizzato, appunto, da una fase
istruttoria intesa in senso moderno
10
.
In altra direzione è stata evidenziata la naturale differenza rispetto al modello
inquisitorio per la caratteristica – insita nel rito – di puntare subito al dibattimento,
momento nel quale si esalta il contraddittorio. Infatti, al giudizio direttissimo
dell‟impianto originario del codice Rocco, nel quale mancava una fase istruttoria
o era ridotta in tempi brevissimi una attività investigativa comunque espletata, per
l‟immediato ricorso al dibattimento veniva riconosciuta una natura
prevalentemente accusatoria
11
rispetto ad un contesto procedurale spiccatamente
inquisitorio che, quindi, ne esaltava la diversità.
10
E’ stata sottolineata la necessità di tenere distinti i modelli processuali celeri sorti nel secolo
XIX da quelli anteriori, anche perché i primi, ed in particolare il direttissimo, riconoscono negli
effetti connessi alla rivoluzione industriale un comune denominatore. V. Fanchiotti, op. cit., p.2 e
ss..
11
In questo senso Gianniti, Controversie in tema di giudizio direttissimo, Milano, 1983. Per altri,
invece, il giudizio direttissimo non sarebbe un esempio di modello accusatorio per la evidente
disparità tra accusa e difesa, così come è singolare la definizione di modello accusatorio puro
riferita al giudizio direttissimo dalla dottrina (Fanchiotti, op. cit., p. 37 e ss.). In una direzione
simile si sostiene che nel giudizio direttissimo l’accusatorietà è un dato più apparente che reale
(Nosengo, La nuova specialità del rito direttissimo, Milano, 1982, p. 6).
14
La ricostruzione così sintetizzata ha il pregio di approfondire le vicende
dell‟istituto, anche se in un periodo storico limitato nel tempo e per quegli
ordinamenti legati, sotto questo profilo, da comuni denominatori; essa lascia
emergere in modo chiaro che, se si prescinde dalla struttura, altri caratteri
peculiari, tra loro collegati, ne contraddistinguono la evoluzione storica e ne
ricostruiscono la ratio. Sono fattori funzionalmente connessi alla esemplarità della
risposta punitiva e alla accelerazione dei tempi del processo
12
. E sono tra loro
interdipendenti nel senso che il secondo viene, nel nostro contesto, utilizzato
quale modalità essenziale per esaltare la prima caratteristica e conferirle una
particolare carica intimidatoria.
A questi caratteri se ne possono aggiungere altri, di volta in volta presenti nelle
singole codificazioni, legati anche alla democraticità dell‟impianto politico di base
sul quale esso si è sviluppato
13
. Connotati che lasciano trasparire la politicità
dell‟istituto, frutto di scelte di una politica criminale
14
strettamente legata ad
esigenze di ordine pubblico
15
ed al bisogno di risposte processuali celeri.
Di qui la specialità del procedimento, intesa quale marcata differenziazione della
sua struttura rispetto a quella prevista in via generale per la procedura ordinaria e
caratterizzata dalla celerità del rito che vari indici, di volta in volta predisposti dal
legislatore, sostengono: ad esempio, le diverse modalità di instaurazione del rito,
12
Nosengo, op. cit., p.2.
13
Ad esempio quello – in verità strumentale – di far fronte ai tempi lunghi – alle volte lunghissimi
– della carcerazione preventiva (Gaito, Il giudizio direttissimo, Milano, 1980, p.1 e ss., p.31 e ss.).
14
Sui rapporti tra l’evoluzione del giudizio direttissimo e le scelte di politica criminale cfr.
Fanchiotti, op. cit..
15
Si affida, cioè, alle norme processuali la tutela di esigenze rilevanti sotto il profilo sostanziale e
in particolare esigenze connesse all’ordine pubblico. Cfr., in proposito, le lucide osservazioni di
Bricola, Politica criminale e politica penale dell’ordine pubblico, in La questione criminale, 1975,
p.254 e ss..