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SEMANTICA TERMINOLOGICA
E’ indispensabile sottolineare, onde evitare interpretazioni troppo letterali e poco consensuali, alcuni concetti
fondamentali, da associare alle forme terminologiche siffatte, che saranno ripercorse non in ordine
alfabetico, ma per comodità di ragionamento (allorquando il significato solitamente associato non coincida
con la lente di lettura proposta, si tratta di domini interpretativi divergenti che esulano dagli intenti seguiti
nel presente lavoro):
1) Ontologico: è da riferire all’essenza primordiale dell’oggetto, nel senso che si tratta di un’accezione
“di per sé”, nonché prescindente dai contesti, sino ad assumere, a livello interpretativo, un taglio
naturalistico. Se, pertanto, si dirà che l’individualismo neoclassico è anche ontologico si vuole
rimarcare un sottinteso sforzo pre-analitico o humus ideologico, alla base della stilizzazione
conseguente.
2) Epistemologico: è da riferire, in via generale, alla prospettiva esplicativa contornante la ratio (non
meramente funzionale) della scelta di un metodo, per approcciare la conoscenza. Allorquando si
argomenterà di anarchismo epistemologico, non si utilizza, pertanto, indifferentemente il termine
anarchismo metodologico, dato che in quest’ultimo caso non ci si pone l’esigenza di condurre una
chiave di lettura, non meramente sostanziale.
3) Epistemico: è da contestualizzare, in via particolare, alla prospettiva del soggetto conoscente, senza
porsi pretese di interpretazione del mondo circostante. La soggettiva dell’universo epistemico può
essere generalizzata, oggettivando il soggettivo, e rientrando in un impianto non naturalistico, in
senso epistemologico.
4) Ontico: si pone la pretesa di conoscere il mondo. Lo sperimentalismo popperiano può essere in tal
senso definito.
5) Epistemologico-esistenziale: è da riferire al passaggio effettuato da una prospettiva epistemica ad
una prospettiva epistemologica.
6) Indeterminismo e determinismo: l’indeterminismo non può giustificarsi nella concezione di una
mente come contenitore di informazioni (scarsità del fabbisogno informativo) né può porsi a
baluardo di un puro soggettivismo, dato che si può oggettivare il soggettivo (determinismo
contestuale). Non bisogna, però, dimenticare che si tratta di dimensioni teoriche, anziché reali.
7) Indeterminazione: è la forma fenomenica in cui si manifesta la complessità reale (dimensione
pratica). Rende molto difficoltoso cogliere il divenire del processo storico, nonché le essenze
tendenziali.
8) Indeterminatezza: è da riferire ad un impianto puramente teorico ed astratto, nel senso della coerenza
interna, anziché esterna
9) Economicismo: è da riferire all’interpretazione egemonica della struttura economica, come se non vi
potesse essere una linfa vitale sovra-strutturale, interagente reciprocamente con la struttura,
attraverso l’arbitrio umano ed il consenso collettivo. Il nesso causale va dalla struttura alla
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sovrastruttura. La sovrastruttura è l’humus culturale della società, la struttura si contraddistingue di
una prassi caratteristica.
10) Disciplina scientifica: è da utilizzare, in luogo di scienza, quando si vogliono espressivamente
prendere le distanze da pretese egemoniche del tipo scienza delle scienze, e dalla parte
dell’economia, e dalla parte della sociologia, della filosofia ecc… Si propende per ravvisare
un’interconnessione inter-disciplinare. Non si intende associare una chiave di lettura, a parità di
forma terminologica, alla sociologia contrapponendola all’economia, quanto cogliere una
ammissibile diversità tra studiosi, in termini di interessi predominanti. Così l’economia non rende
accessoria la matematica e la statistica (approccio sostanziale vs approccio formale), in quanto
diventa un interesse predominante dello studioso.
11) Semantica: è da riferire alla priorità del versante interpretativo-concettuale, rispetto alla forma. Tale
dimensione va considerata strettamente connessa, in senso lato, con le determinanti economiche, su
cui interagiscono anche i fattori extra-economici. Non vi è, pertanto, soltanto una semantica del
linguaggio, ma anche una semantica dell’agire. Il valore necessita così di una semiotica-ermeneutica.
A
INTRODUZIONE
Lo scopo preliminare del presente lavoro è individuare l’esistenza di una presumibile interazione tra scienza
ed intenzionalità soggettiva, che sarebbe molto problematica per l’ambito scientifico. Se, infatti, si partisse
dal presupposto che le stilizzazioni economiche contengano elementi di arbitrarietà nella loro costruzione,
sarebbe per il mero obiettivo strumentalmente umano di predisporre teoricamente un impianto analitico,
volto alla trasformazione possibile della realtà. Ma ciò implica il dover accettare l’esistenza di una
distinzione tra una forma del conoscere (episteme e prospettiva di osservazione) ed un contenuto fattuale non
condivisibile (intenzionalità soggettiva). Volendo creare un rapporto organico e costitutivo tra pensiero e
realtà, si può riconoscere il prius all’osservazione, rispetto al pensiero, per poi trarne soggettivamente delle
mete ideali (realismo gnoseologico, in senso epistemico). Sono emblematici, in tale senso, l’approccio
all’economia sociale di Léon Walras, previo il circolo astratto-concreto, nonché la concezione di episteme
emergente dall’interpretazione del Trattati sulla Probabilità di Keynes. Il secondo, però, valorizzando anche
l’introspettiva dell’intuizione, ed a differenza del primo, non intendeva costruire strutture inalterabili della
realtà, in senso ideale o sincretico.
Il capitolo 1 (Approcci alla disciplina economica), in effetti, pone in evidenza alcune categorie concettuali
propedeutiche all’adozione di tale chiave di lettura, in senso macroeconomico. La fondamentale linea di
demarcazione è rappresentata dalla contrapposizione, non meramente metodologica, tra individualismo e
collettivismo, nel presupposto che la storia non rappresenti una continua approssimazione alla verità (ordine
naturale, in senso aristotelico). Pertanto, in tale senso, la costruzione di una dimensione organica dell’essere
sociale, non corrisponde alla costruzione di istituzioni naturali, che, in tale categoria interpretativa, non
hanno senso di esistere, se non storicamente determinato (ciò vale anche per il mercato). Premesso ciò,
l’individuo è solo un atomo sociale e non può rappresentare, di per sé, un sistema di interazione organica e
finalistica tra essere in senso naturalistico (cognizione della razionalità e premesse al discorso scientifico, nel
senso della coerenza interna ed eventualmente esterna, nel caso di assunti verosimili) ed agire conseguente.
Lo scienziato sociale può cogliere delle evidenze da interpretare, riconoscendo dei margini di arbitrarietà o
intenzionalità soggettiva (episteme non scissa dal soggetto e dal suo intento fattuale), alla base di un
passaggio consensuale da uno stato di imperfezione (la potenza) ad uno stato di perfezione (realizzazione
dell’essenza). Ci si può così ricollegare alla trattazione di sistemi concettuali, come il determinismo
(generalizzazione del soggettivo), l’interazione reciproca tra sovrastruttura (assetto politico-ideologico) e
struttura (assetto economico, nonché intrinsecamente culturale, in ragione della prassi), la cognizione
convenzionale di alcuni artifici logico-matematici, la complessità multidimensionale e la prospettiva
eventuale dell’equilibrio.
B
Il capitolo 2 (Rivisitazione di alcuni contributi alla teoria economica), si ripropone, nella chiave di lettura
proposta, di ripercorrere i contributi di alcuni scienziati sociali, con particolare attenzione all’approccio alla
disciplina economica. In particolare vengono posti in risalto: il circolo astratto/concreto, secondo Walras, già
visibile negli “Studi di Economia Sociale”; la concezione epistemica di Keynes, posta a confine con il ruolo
del policy-maker; il problema della causalità, messo già in evidenza da Friedman; l’interpretazione del
contributo di Marx, negli stessi cardini del circolo astratto/concreto, con i connessi problemi metodologici e
di indagine conoscitiva; la concezione dell’economia di Gramsci, nonché la dimensione interpretativa
dell’egemonia del consenso; la sottesa sfera pre-analitica presente nello schema interpretativo di Sraffae
l’apertura verso la natura monetaria del saggio d’interesse, nonché verso la presenza di fattori arbitrari
(convenzionali) presenti nel comportamento umano che possono incidere su una distribuzione residuale non
pianificata; l’individualismo metodologico ed ontologico di Von Mises; la distinzione tra processo
stazionario e processo dinamico, prescindente dal supporto tecnico-metodologico, come evidenziato da
Leijonhufvud e da Schumpeter.
Il capitolo 3 ( Valore, moneta e determinazione storica) si propone, coerentemente all’individuazione di
schemi interpretativi o modelli logici, non escludenti l’arbitrio né dello scienziato sociale, né del policy-
maker, di confinare le caratteristiche funzionali del sistema-tipo o all’organizzazione economico-sociale che
si desidera instaurare. Pertanto, le categorie concettuali di moneta-velo, prezzi di produzione, valore-lavoro e
di equilibrio sono da abbinare a determinati sistemi economici, i cui processi reali (in atto) possono essere
intenzionalmente stazionari (riproducibilità consensuale delle logiche di funzionamento), accidentalmente
dinamici o frizionali, intenzionalmente dinamici ed indeterminati (distinguendo tra indeterminazione reale ed
indeterminatezza teorica).
Il capitolo 4 (Dimensione qualitativa, logica in potenza e circolazione secondo Schmitt), si sofferma sul
contributo di Bernard Schmitt, da ricollegare con il sistema storico-dinamico presente in più tratti della
Teoria Generale di Keynes, nonché con l’intento di Schumpeter di fondare un apparato analitico-concettuale
adatto per un sistema dinamico in perenne squilibrio come quello capitalistico, interpretando l’apparato
walrasiano, quale inadeguato per una prospettiva storico-dinamica, con una caricatura capitalistica
tendenzialmente instabile. In particolare, si possono così sintetizzare i tratti del contributo schmittiano,
nonché dell’interpretazione che si è inteso seguire. Fondamentale è l’impulso-motore dell’endogeneità
monetaria, nel senso dell’applicazione discrezionale di una politica monetaria espansiva agganciata, in via
qualitativa (senza pre-fissazioni di target quantitativi fissi o puntuali e separando la moneta dal potere
d’acquisto), alle esigenze, di volta in volta avvertire, a monte dell’economia. La dimensione dell’equilibrio è
mobile e, pertanto, non prevedibile nelle sue dinamiche di riproducibilità interne, che si tenta di ricostruire
per finalità artificiose di studio reale. Si propende a discorrere di circolazione, anziché di circuito, non
volendo e non potendo cogliere con precisione (indeterminazione dei prezzi monetari) il movimento
C
quantitativo dell’economia. La conflittualità distributiva non inibisce l’operare della legge di Say che è una
legge logica, nonché positiva. La chiusura artificiosa di ogni periodo amministrativo, con conseguente
passaggio di gestione dal dipartimento monetario a quello finanziario (dato che la moneta non appartiene a
nessuno, non può trattarsi di finanziamento a fondo perduto), è intesa a cogliere il movimento complessivo
dell’economia, e non puntuale, senza con ciò dover ricorrere alle tradizionali stilizzazioni dell’economia,
strettamente ancorate a parametri medi (prezzo nominale unico, tasso di interesse o costo del denaro) o
indicatori per politica monetaria e fiscale nel presupposto di determinati meccanismi di trasmissione, di
difficile riscontro causale in una complessità reale dinamica. Un’accezione plausibile di inflazione, salvo
calamità naturali o militari, è da riferire all’esistenza di fattori arbitrari nella distribuzione conflittuale (ex-
post, a produzione avvenuta) della ricchezza, dato che è difficoltoso indurre il potere d’acquisto. Il sistema
monetario è un sistema contabile, a prescindere dalla corporeità o meno della moneta. Tali logiche si
possono riferire non soltanto ad un’economia di produzione industriale, ma anche ad un’economia di
servizio. La moneta, a seconda del target di destinazione, si ramifica, differenziandosi, in gradi (per le
transazioni, a livello intra-bancario, ad esempio, non si può utilizzare lo stesso circolante per il pubblico).
Il capitolo 5 (Il problema dell’indeterminazione reale e riflessi sulla pratica economica) si pone lo scopo di
delineare i tratti vitali dell’economia capitalistica, cercando di definire la semantica del termine capitalismo,
a partire dalla prassi comportamentale ed intrinsecamente culturale degli agenti economici. La dimensione
della moneta, intrecciata con quella di valore, non è sempre simmetricamente associata alla dimensione reale
(denaro), se non in senso potenziale (intenzionalità soggettiva del policy maker, che può idealizzare un
processo stazionario rispetto all’attuale processo dinamico). La speculazione, l’edonismo artistico e la libertà
di organizzazione dei rapporti economico-sociali sono gli ingredienti essenziali del sistema capitalistico che,
per sua natura, non è un sistema controllato, se non per coglierne, in tendenza, un presumibile divenire
storico, oppure per risollevarlo da periodi di stallo (equilibrio mobile). Si assegna rilievo al riformismo
sociale, all’ottimismo ed alla fiducia che devono essere alla base della sostenibilità dei rapporti capitalistici.
La politica economica è di preferibilmente di natura discrezionale-adattiva, con particolare rilievo da
assegnare alla politica monetaria espansiva.
Lo scopo conclusivo del presente lavoro è complessivamente di definire, in senso macroeconomico, un
insieme di categorie concettuali, prima accennate, da ricollegare all’indeterminazione reale ed ai riflessi
sull’adeguatezza metodologica, valorizzando meglio l’intenzionalità soggettiva, a favore del capitalismo e
del suo perenne squilibrio, come si era posto anche Schumpeter. L’indagine macroeconomica non coincide
necessariamente con la teoria dei prezzi assoluti (prezzo nominale da distinguere dal prezzo, in senso
microeconomico, rappresentante il valore, nel senso del dominante equilibrio economico generale), né con la
teoria degli aggregati statistici. Si ritiene, infatti, che non si debba necessariamente partire dal singolo
operatore economico nell’indagine sui comportamenti verosimili e nel presupposto dell’astrazione
determinata (a partire da un elemento dato, si desume il resto dei meccanismi, ed in determinati presupposti
D
logici di ragionamento), nel contesto di determinate cognizioni della razionalità; è possibile concepire anche
un amalgama socio economico, non necessariamente stilizzabile, negli stessi presupposti analitici, anche se
non implicanti necessariamente l’individualismo. La contabilità nazionale, ad esempio, con le sue connesse
problematiche in un sistema indeterminato come quello capitalistico, richiede un rigido controllo del
movimento reale dell’economia.
1
VISIONI DEL MONDO
E TEORIA ECONOMICA:
ALCUNE IMPOSTAZIONI
A CONFRONTO
3
CAPITOLO 1
APPROCCI ALLA DISCIPLINA ECONOMICA
1.1 Scopo del capitolo
Tale capitolo si propone di ripercorrere gradualmente l’humus che si intende porre alla base
dell’interpretazione seguita, in senso economico. Verrà enfatizzata, pertanto, la concezione organica della
disciplina economica. Quest’ultima non va posta alla stregua interpretativa del collettivismo metodologico,
dato che si tratta anche di una dimensione cognitiva senziente. Volendo, pertanto, intendere un collettivismo,
e metodologico ed ontologico, si proferirà l’accezione “organico”. Di conseguenza, non si riesce a concepire
una rigida separazione fra una parte positiva ed una parte normativa, della quale anche Sen ne ha colto le
ripercussioni o le manchevolezze. Ogni impianto economico, infatti, sottintende un humus “ideologico”. Da
tale prospettiva, non esiste una teoria univoca, quanto un insieme di teorie o schemi interpretativi
storicamente condizionati, come evidenziato anche da Sylos Labini. Non concependo il processo storico
come una continuità, alla base dell’evolversi verso istituzioni naturali, quanto come una rottura, si porrà in
risalto la libertà intellettiva (intellettuale, nel senso della prassi professionale) di segnare lo scenario
economico-sociale. L’equilibrio diventa, così, una prospettiva epistemologico-esistenziale, dato che è da
circostanziare allo spirito epistemico dello scienziato sociale-economista. Non sono, pertanto, trascurati
elementi senzienti o coscienti (emo-razionalità), nella ricerca di un dominio consensuale linguistico, nel
senso dell’associazione pluridimensionale (se non condivisa) di un concetto (essenza consensuale, se
condivisa reciprocamente) alla forma impressa. E’ fondamentale ragionare, nel senso del determinismo
contestuale (dominio vincolato della conoscenza).
1.2 Concezione organica della disciplina economica e Rottura storica
1.2.1 Analisi individualista vs Analisi sociale
Solitamente, si ritiene che il fondatore della macroeconomia sia Keynes. In realtà, la scienza
macroeconomica, con diverse vedute interpretative, si è cominciata ad intravedere già negli economisti
classici fondatori dell’analisi economica (da Smith a Marx), sino a riguardare una serie di autori successivi
(da Schumpeter a Keynes ).
4
Graziani
1
evidenzia l’esistenza di ben due linee di demarcazione nell’approccio alla macroeconomia:
1) L’analisi individualista. Si tratta della definizione dominante, di ispirazione neoclassica
(includendovi anche i nuovi classici, i neo-keynesiani ed alcuni filoni di pensiero marxiani),
attribuente centralità all’analisi del comportamento individuale. In tale caso, le fondamenta sono
costituite dalla microeconomia (fondamenti microeconomici della scienza macroeconomica). La
macroeconomia consisterebbe in una mera operazione di aggregazione . E’ opportuno precisare che
l’individualismo metodologico, così concepito, è da inquadrare in una concezione della teoria
dell’azione (teoria del comportamento degli individui), anziché in un’ontologia individualista,
rinnegante l’esistenza delle dimensioni collettive (ad es. lo Stato). A tal riguardo, è utile citare
alcune affermazioni, tratte da alcuni manuali di macroeconomia: “la distinzione tra microeconomia e
macroeconomia si va facendo meno netta
2
…di conseguenza, la nuova macroeconomia è soprattutto
una teoria, o un insieme di teorie, circa i fondamenti microeconomici di alcuni fatti stilizzati
3
”.
2) L’analisi sociale (detta da alcuni Economia Politica). Si parte dall’idea che ogni gruppo sia
caratterizzato da un comportamento tipico, che non deriva da scelte individuali, bensì dalle
condizioni di riproduzione o di continuità del sistema economico (teoria del comportamento dei
gruppi sociali) . In tale caso è la microeconomia a dipendere dalla macroeconomia.
L’impostazione che è stata scelta si incentra sul secondo filone interpretativo, ritenendolo più aderente al
contesto economico-sociale.
E’ significativo osservare che lo stesso Schumpeter afferma: “i fatti economici e sociali si svolgano per
impulso proprio, nonché che le situazioni che ne derivano costringono individui e gruppi a comportarsi in un
certo modo, quali che siano i loro desideri
4
”.
Accostandosi a tale ottica mentale anche Wicksell, salvo le differenti conclusioni assunte in sede economica,
nonché i diversi approcci metodologici, ha affermato: “Il singolo capitalista o imprenditore…è del tutto
impotente. Egli deve seguire la corrente, di cui egli stesso è parte e la cui forza è irresistibile
5
”.
Da tali asserzioni emerge, più che una condivisione della divisione conflittuale della società in classi sociali,
la presenza di una forza immanente che plasma l’architettura dei rapporti sociali, anziché prioritariamente
individuali. L’impostazione-tipo della società è strettamente interconnessa, a sua volta, nelle sue varianti
ammissibili, con il tipo di mentalità (base non empirica del modello economico), nonché con
l’organizzazione preferibile dei rapporti economici.
La pretesa universale di separare un’analisi positiva da un’analisi normativa implicherebbe una forzatura
abnorme, come se l’intelligenza sensibile di un essere pensante fosse tagliata a metà.
1
A.Graziani, 2001, pag.11-21
2
M.Burda, C.Wyplosz, 1997, pag.35
3
R.Dornbusch, F.Stanley, R. Startz, 1998, pag.XV
4
J.A. Schumpeter, 2001, pag.131-132
5
K. Wicksell, 1977, cap.IX, sez.B
5
La coerenza interna di un ragionamento, a partire dall’esaltazione assolutista della pura astrazione, è
altrettanto fuorviante, quanto la pretesa di fondare empiricamente la conoscenza oggettiva della realtà. Se
dovessero cambiare gli orizzonti mentali, cambierebbero le conclusioni, a posteriori di un’analisi dei dati.
Senza rinnegare nessuna corsia preferenziale, dal punto di vista dell’approccio metodologico è preferibile
l’ammissione di una relativizzazione degli orizzonti di analisi, con ciò non sconfinando nel relativismo
(determinismo contestuale).
Si può, pertanto, condividere, senza affrontare disamine di natura storiografica che esulano dalle finalità del
presente discorso, l’attribuzione di veri e propri limiti storici ad una teoria economica che pretenda di
accorpare tutte le manifestazioni economiche succedutesi nel corso della storia e che voglia avere validità
universale, in virtù della conoscenza oggettiva.
In particolare, a tal riguardo, è utile citare quanto afferma lo stesso Graziani, riguardo al filone neoclassico:
“mentre gli economisti neoclassici tradizionali ritenevano che la teoria economica dovesse essere
rigorosamente neutrale rispetto ad ogni ideologia (una teoria cioè priva di giudizi di valore), al giorno d’oggi
si va diffondendo sempre più ampiamente la convinzione che una teoria del tutto priva di premesse di valore
sia del tutto impossibile. L’economista neoclassico…riteneva di poter sviluppare una intera teoria economica
partendo dalla semplice ipotesi base secondo cui ogni soggetto economico tiene un comportamento
razionale; e riteneva che per razionalità dovesse intendersi aderenza coerente ai propri obiettivi quali che essi
fossero. Con ciò, la scuola neoclassica riteneva di avere costruito una teoria economica del tutto priva di
valori, e basata sulla pura logica. Al giorno d’oggi questa convinzione è largamente ridimensionata, e la
stessa teoria neoclassica, più che una teoria priva di valori, appare una teoria ispirata ad una ideologia
particolare, che è l’ideologia del sistema capitalistico, basato sull’iniziativa individuale del singolo
imprenditore, sulle scelte indipendenti del singolo consumatore, e sulla convinzione che l’assetto
capitalistico sia sufficiente per assicurare la sovranità del consumatore e l’ottima utilizzazione delle
risorse…Per comprendere correttamente la teoria neoclassica, occorre tenere presente fin dall’inizio il fatto
che essa venne formulata non solo allo scopo di interpretare il funzionamento dell’economia capitalistica, ma
anche, e forse prevalentemente, nell’intento di mostrare che il sistema capitalistico rappresenta una forma di
organizzazione economica sostanzialmente soddisfacente. Gli economisti neoclassici si presentano quindi al
tempo stesso come interpreti e apologeti del sistema che essi analizzano
6
”.
L’economista neoclassico è, in particolare, caratterizzato dall’ individualismo metodologico (si ritiene, anche
ontologico). Scrive Innocenti: “Secondo l’individualismo metodologico su cui è fondata la teoria della scelta
razionale, i fenomeni sociali possono essere descritti e spiegati efficacemente a partire dagli individui che
formano la società e che perseguono i loro interessi individuali, creando in maniera non intenzionale le
istituzioni economiche”. Oppostamente, concependo l’analisi sociale anche in termini organici (senso della
dimensione collettiva) e non secondo l’ottica della composizione organica (senso della dimensione
individuale aggregata e quindi, di conseguenza, collettiva), è opportuno citare quanto segue dello stesso
Innocenti: “L’economia sperimentale, prima, e l’economia cognitiva, più recentemente, hanno dimostrato
6
A.Graziani, 1993, pag.51; 130-131
6
che i giudizi di equità e di correttezza, la percezione dell’appartenenza ad una comunità hanno correlazioni
precise con l’attività cerebrale, che quindi determina le decisioni economiche anche sulla base di questi
valori morali e di questi principi collettivi
7
”. In base alla prospettiva organica, infatti, non è la somma delle
parti che dà un senso all’entità collettiva.
1.2.2 La scienza economica e la sua interconnessione disciplinare
Un filone di pensatori ha associato alla scienza economica la superiorità, rispetto alle altre scienze, nel senso
della priorità. Le altre scienze diventerebbero così branche accessorie della scienza economica.
In particolare, Radnitzky è stato uno dei più decisi sostenitori della convinzione che la scienza economica
offra un approccio universalmente valido a tutti i fenomeni sociali. Egli afferma: “Ciò che dà all’economia
questo potere imperialista, è il fatto che i concetti chiave sono universali nella loro applicabilità…I concetti
base della teoria economica, ottimizzazione ed equilibrio, sono applicabili a pressoché tutti i fenomeni
sociali
8
”.
Tale interpretazione è condivisa da Lazear, noto economista americano e consigliere del presidente Bush,
che così scrive in un articolo: “la nostra disciplina possiede un linguaggio rigoroso che permette di trattare
concetti complicati in termini relativamente semplici ed astratti. Tale linguaggio permette agli economisti di
eliminare la complessità. La complessità può aggiungere ricchezza alla descrizione ma essa impedisce
all’analista di cogliere quel che è essenziale
9
”.
D’altronde, se ciò è vero, è altrettanto da rimarcare che l’economia è intrinsecamente eclettica, come
sottolineato da Hirshleifer che, pur ammettendo una portata universale della scienza economica, incoraggia
ad un dialogo maggiore: “Ciò che dà all’economia il suo potere invasivo ed imperialistico è che le nostre
categorie – scarsità, costi, preferenze ecc. – sono davvero universali nella loro applicabilità…L’economia
costituisce la grammatica universale della scienza sociale…gli economisti devono diventare consapevoli di
quanto limitante è stata la loro visione miope della natura dell’uomo e delle interazioni sociali. Una buona
scienza economica deve anche essere una buona antropologia, sociologia, scienza politica e
psicologia…L’influenza di Malthus ed Adam Smith su Charles Darwin è ben nota. E se Alfred Marshall
dichiarava che l’economia è una branca della biologia, il biologo Michael Ghiselin vorrebbe fare
dell’economia universale la più generale delle discipline. Sotto quest’ampia cornice, i biologi possono essere
considerati quelli che studiano l’economia naturale mentre il comportamento socialmente regolato degli
umani costituisce l’economia politica…E’ impossibile ricavare un territorio distinto per l’economia,
confinante ma separato da altre discipline sociali. L’economia le compenetra tutte, e viceversa. C’è una sola
scienza sociale
10
”.
7
A.Innocenti, 2009, pag.82
8
G.Radnitzky, 1992, pag.1
9
E.P.Lazear, 2000, pag. 99-146
10
J.Hirshleifer, 1985, pag.53-68
7
E’ innegabile che la categoria di “natura” eserciti un ruolo di rilievo fondamentale nella scienza economica,
come se si trattasse di una sorta di giustificazione immanente alle dinamiche sistemiche.
Una legittima visione del mondo viene, ad esempio, fatta poggiare sulla fisica newtoniana che può essere
così caratterizzata, come sottolineato da Marchionatti: “concepiva l’ordine della natura – che è una: fisica e
morale – come garantito, realizzato e mantenuto dall’azione meccanica, e non teleologica, di poche leggi
universali. A quest’ordine cosmico universale appartiene anche la natura umana: l’ordine della vita associata
è, per i filosofi della morale, prodotto dal giuoco naturale delle passioni e degli interessi, impulsi egoistici di
natura fisiologica
11
”.
Così Smith, filosofo morale, ha improntato i suoi successivi studi sull’economia indossando le vesti
dell’economista. Sono da sottolineare alcuni tratti dei suoi contributi, di modo da far cogliere le convinzioni
smithiane: “E’ una inclinazione, comune a tutti gli uomini, che non si trova in nessun’altra specie di animali:
la tendenza a trafficare, a barattare, a cambiare una cosa con l’altra…L’origine di essa è in realtà il desiderio
di persuasione, che è molto radicato nella natura umana. Quando si avanzano argomenti allo scopo di
persuadere, ci si aspetta sempre che debbano avere un qualche effetto. Se una persona sostiene qualche cosa
riguardo alla luna, anche se non vera, proverà una sorta di disagio ad essere contraddetta, e sarebbe molto
lieta, se la persona che sta tentando di persuadere fosse d’accordo con lei.
12
…L’uomo ha costantemente
bisogno dell’aiuto dei suoi fratelli ma sarebbe vano attendere tale aiuto soltanto dalla loro benevolenza. Egli
avrà maggiore probabilità di ottenerlo se riuscirà a volgere a proprio favore la cura che quelli hanno del
proprio interesse ed a dimostrare che torna a loro vantaggio fare per lui ciò di cui li richiede
13
…Senza alcun
intervento della legge, gli interessi e le passioni personali degli uomini li inducono naturalmente a dividere
ed a distribuire i fondi di ogni comunità fra tutti i diversi impieghi che vi sono effettuati, avvicinandoli il più
possibile alla proporzione più conveniente all’interesse dell’intera società
14
”.
Da quanto esposto, è come se Smith confidasse in un’universale tendenza umana, ed a prescindere dal
contesto istituzionale. Uno degli assunti fondamentali della filosofia smithiana è, difatti, rappresentato
dall’immutabilità della natura umana, requisito alla base della continuità del processo storico, nonché della
commensurabilità possibile fra stadi differenti delle società (dai cosiddetti selvaggi alla cosiddetta civiltà).
Emerge anche un’impronta essenzialmente anarchica della società fondata, però, su una siffatta indole umana
palesemente egoistica, nonché fittiziamente cooperativa.
Tale pretesa assolutista, pur se legittima, non rientra nell’impostazione scelta. Non si ritiene che vi sia un
fondamento universale della natura umana.
11
R. Marchionatti, 2008, pag.33-34
12
A.Smith, in (a cura di) R.Meek, D.D, Raphael, P.G, Stein, 1978, pag.493-494
13
A.Smith, 1975, pag.26;28
14
A.Smith, 1973, pag.622-623
8
E’ utile considerare la constatazione di Marchionatti sul contributo smithiano:”svela chiaramente l’abuso del
metodo congetturale. Smith non indaga lo scambio come realmente avviene nelle società selvagge ed
arcaiche, così come era, seppure parzialmente, descritto da Lafitau, sua fonte etnografica forse più
importante. Egli evita di indagare i fatti etnologicamente documentati relativi alla categoria dello scambio.
Non solo discrimina tra le fonti, ma all’interno di quelle prescelte tace o enfatizza quanto a lui utile, coerente
con il suo progetto teorico-politico di un ordine degli scambi che si regoli autonomamente, cioè di un
mercato autoregolato…Tutte le categorie della società civile sono così presupposte in questa antropologia
congetturale e la naturalità dello scambio resta affermata ma non dimostrata”.
Si può effettuare un parallelo tra analisi smithiana ed analisi marxiana, mostrante l’adozione di un’ottica
mentale sensibilmente differente, nel senso di fondare l’involuzione progressiva dei meccanismi socio-
economici sul materialismo storico, dando luogo ad una sorta di “genealogia del capitale”, anziché della
natura umana.
Così apostrofa, difatti, Marx: “Nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti
determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono ad un
determinato grado di sviluppo delle forze produttive materiali. L’insieme di questi rapporti costituisce la
struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e
politica ed alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale
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”.
Riguardo alla distinzione tra struttura e sovrastruttura, molto probabilmente, non era nell’obiettivo di Marx
fornire una chiara linea di demarcazione, se non nel senso della loro complementarietà. Se è vero che
l’influenza possa partire, difatti, dalla struttura per riflettersi sulla sovrastruttura (“Il modo di produzione
della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita”), è anche vero
che la coscienza sovrastrutturale possa innescare un impulso riformista o rivoluzionario alla struttura, nonché
alla rottura eventuale del processo storico. Contrariamente a Smith, associante alla continuità del processo
storico l’immutabilità della natura umana, Marx individua una discontinuità o rottura del processo storico.
L’analisi metodologicamente collettivista di Marx si incentra, pertanto, anziché sull’astrazione dell’individuo
isolato, sulla coesione fittiziamente cooperativa dei rapporti socialmente determinati, ovvero prescindenti,
nella gran parte degli stati inconsci, dalla volontà umana.
Il materialismo storico marxista è tutto focalizzato sull’involversi della struttura economica, nonché
sull’impennata della riproducibilità sistemica sulle leggi capitalistiche di accumulazione.
Le basi dei suoi studi erano intenzionalmente antropologiche, come enfatizzato da Marchionatti: “La
riflessione teorica di Marx sulla storia e sulle società precapitaliste si svolge a partire da una limitata base
fattuale, ma negli ultimi anni di vita sentì il bisogno di dedicarsi agli studi antropologici in modo
sistematico”.
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K. Marx, 1957, pag.5