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INTRODUZIONE
La scelta del portafoglio d’investimento svolge, nell’ambito finanziario, un
ruolo di primaria importanza. I gestori, una volta delineate le preferenze del
risparmiatore, allocano il capitale in modo da ottenere massimi guadagni con
rischi minimi. Per un risultato soddisfacente è necessario cercare di prevedere nel
miglior modo possibile l’andamento futuro dei titoli.
Nel presente lavoro ci poniamo nell’ottica dell’asset manager con l’obiettivo
di costruire dei portafogli attraverso una combinazione di azioni presenti
nell’indice FTSE Mib della Borsa di Milano. Si tratterà di un investimento a
tempo discreto con un orizzonte temporale di breve periodo: i titoli saranno
acquistati il 17 ottobre 2011, per essere venduti il 14 novembre 2011. L’obiettivo
di questa tesi è quello di costruire un’asset allocation che possa essere inserita in
un rigoroso framework matematico-statistico e che, contemporaneamente, sia in
grado di sfruttare le previsioni quantitative degli analisti.
Il primo modello quantitativo che formalizza il trade off tra rischio e
rendimento è il modello media-varianza introdotto da Harry Markowitz per il
quale lo studioso statunitense ottenne nel 1990 il Premio Nobel per l’Economia.
In precedenza infatti, la minimizzazione della variabilità del rendimento veniva
considerato un elemento tipicamente qualitativo. L’analisi già completa e
profonda di Markowitz è stata in seguito riproposta e ampliata da un suo
discepolo, William Sharpe. Nel “Portfolio Theory and Capital Market”,
pubblicato nel 1970, la teoria del portafoglio ottimale viene corredata da una
trattazione più estensiva degli aspetti computazionali e con alcuni contributi
originali, tra cui il cosiddetto Capital Asset Pricing Model, per brevità detto
CAPM. I due saggi citati costituiscono i principali punti di riferimento nella
moderna analisi del portafoglio nell’approccio media-varianza.
La caratteristica fondamentale del modello di Markowitz modello è quella
di ricondurre il processo di investimento ad un problema di ottimizzazione lineare
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quadratica. Nel lavoro originale Markowitz non chiarisce invece come si possano
stimare i dati del problema a partire dalle serie storiche degli asset analizzati.
L’approccio classico per calibrare il modello consiste nell’ipotizzare una
distribuzione di probabilità per i rendimenti dei titoli (usualmente una
distribuzione gaussiana multivariata) e nello stimare puntualmente i parametri (ad
esempio mediante stimatori di massima verosimiglianza).
Operando in questo modo si ipotizza che le performance storiche di mercato
siano realizzazioni di una variabile aleatoria con distribuzione di probabilità
normale. Allora il rendimento e il rischio attesi corrisponderanno alla media e
varianza dei rendimenti campionari.
Il tempo e l’esperienza degli agenti decisori non hanno tuttavia premiato
l’approccio di Markowitz (o approccio classico), evidenziandone tutta una serie di
difficoltà applicative che ne hanno reso l’utilizzo ben presto obsoleto e perlopiù
inadatto alle esigenze degli operatori finanziari. Questi ultimi infatti sono soliti
ridurre il rischio finanziario investendo in portafogli quanto più vicini ai
benchmark di mercato, distaccandosene soltanto in corrispondenza di quei settori
sui quali maturano proprie aspettative. L’ottimizzazione di Markowitz al contrario
produce portafogli tipicamente volatili, ricchi di posizioni scoperte e
completamente incorrelati ai valori fondamentali espressi dal mercato. Infatti gli
stimatori utilizzati non sono in grado di catturare il vero valore dei rendimenti
attesi dei titoli in esame. Il problema è aggravato dal fatto che le allocazioni
variano a seguito di piccoli cambiamenti delle performance attese.
Alla luce dei limiti applicativi di tali approcci, la letteratura ha spaziato su
altri campi alla ricerca di modelli più stabili ed affidabili. Fra i vari modelli di
Portfolio Selection sviluppati negli anni più recenti quello proposto da Black e
Litterman nel 1992 assume una notevole rilevanza, sia teorica che pratica, e per
questo motivo il suo approfondimento ricopre un ruolo assolutamente primario nel
presente lavoro. Black e Litterman, propongono un modello Bayesiano in grado di
garantire portafogli diversificati e robusti. Il loro approccio consente inoltre di
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immettere nel processo di costruzione del portafoglio delle “previsioni”
sull’andamento futuro degli assets. Il modello riesce nell’intento di produrre una
distribuzione per i rendimenti attesi in eccesso a posteriori che rifletta le opinioni
del manager.
SCHEMA DELLA TESI
In questa tesi, utilizzando la serie storica dei rendimenti settimanali
nell’arco temporale compreso tra il 1 luglio 2010 e il 17 ottobre 2011, costruiremo
diverse allocazioni servendoci del modello media-varianza e dell’approccio di
Black e Litterman. La distribuzione prior dei rendimenti sarà rappresentata da una
gaussiana; esprimeremo delle views qualitative che dovranno essere tradotte in
quantitative per procedere con l’ottimizzazione. Le previsioni circa i rendimenti
futuri sono rese possibili tramite l’utilizzo dei dividend yield storici come views.
Sono stati scelti i dividendi perché rivestono un’importanza fondamentale
per gli azionisti. La maggior parte di essi infatti decide di scegliere le azioni su cui
investire proprio basandosi sui dividendi yield in quanto esprimono il rendimento
immmediato del titolo senza considerare i guadagni o le perdite in conto capitale.
A posteriori si vorranno confrontare le performance ottenute dai diversi
portafogli nell’arco temporale tra il 17 ottobre e il 14 novembre 2011. Queste
verifiche out of sample possono essere viste come un test dell’efficacia di questo
approccio.
Il primo capitolo ha natura introduttiva e presenta i concetti portanti della
finanza, utili per meglio comprendere i concetti base della finanza. Viene
presentata la teoria sottostante l’attività di asset allocation, ripercorrendo i punti
salienti e fornendo al lettore gli elementi necessari alla comprensione del seguito.
Si approfondisce, in particolare, il modello di Markowitz, di certo la pietra miliare
dei modelli di composizione di portafoglio, passo necessario per comprendere le
motivazioni legate alla creazione di modelli come quello di Black e Litterman.
Nel secondo capitolo si offrirà una chiara illustrazione del modello media-
varianza di Markowitz, spiegando i concetti chiave che permettono di stimare i
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parametri sulla base dei dati storici; in seconda battuta si metteranno in luce le
criticità di un tale approccio.
Nel terzo capitolo è presentato il modello di Black e Litterman, illustrando
in apertura le motivazioni e le intuizioni alla base del suo sviluppo. Nel proseguio
del capitolo è illustrato il modello nella sua interezza, da un punto di vista
analitico, spiegando approfonditamente le modalità di funzionamento dello stesso.
Ci soffermeremo in particolare sulla matematica del modello.
Nel quarto capitolo ci si occuperà di descrivere dettagliatamente il
procedimento seguito per costruire i portafogli d’investimento. Tutte le
elaborazioni sono state implementate utilizzando il software MatLab che permette
di eseguire in modo agile i complessi calcoli matriciali che sono necessari per
descrivere, da un punto di vista computazionale, il modello di Black e Litterman.
Come si avrà modo di apprezzare nell’ultima parte dell’elaborato, i risultati
ottenuti appaiono abbastanza promettenti. Almeno nella finestra temporale in cui
abbiamo seguito l’investimento out of sample il modello di Black e Litterman
genera portafogli più diversificati rispetto al modello di Markowitz, ottenendo
maggiori rendimenti.
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CAPITOLO 1 - THE ASSET ALLOCATION DECISION
1.1 Introduzione all’asset allocation
Molti sono gli italiani “non economisti” che a prima mattina si accalcano
all’edicola, smaniosi di scoprire dal Sole24ore se i loro investimenti in Borsa sono
un affare. Tuttavia non meno sono coloro che dinanzi al TG Economia strizzano il
naso e cambiano canale, o perché non ne capiscono niente, o perché sono stanchi
di ascoltare le parole di “depositari della verità”, individui a cui in passato
avevano affidato i risparmi di una vita, nella convinzione di guadagnare senza
correre alcun rischio.
Purtroppo investire in titoli è un vero e proprio lavoro, e chi desidera farlo
deve mettere in bilancio di passare molte ore a informarsi, ragionare e valutare
moltissimi fattori per poi prendere decisioni importanti, cercando di non farsi
condizionare dalle sensazioni. Pensare in maniera globale: è questa la parola
d'ordine di chi intende investire in modo efficiente il proprio denaro.
Originariamente esisteva un’unica definizione di investimento: investire
voleva dire comprare qualcosa ad un prezzo che garantisse un rendimento
adeguato con un sufficiente margine di sicurezza. Pertanto i risparmiatori
potevano scegliere liberamente tra gli investimenti disponibili (azioni,
obbligazioni o altro), a seconda di dove trovavano le opportunità migliori. Se
nessuna di queste soddisfava l’investitore, egli avrebbe potuto mantenere il
portafoglio in liquidità.
Tutto questo è cambiato con la nascita e lo sviluppo delle moderne teorie di
portafoglio e l’avvento dei gestori professionisti. La formulazione della modern
portfolio theory (MPT) da parte di Harry Markovitz prima, e gli sviluppi della
efficient markets hypothesis (EMH) e del capital asset pricing model (CAPM) poi,
hanno introdotto la matematica e vincoli precisi alle scelte di portafoglio,
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postulando che queste devono essere tali da massimizzare il rendimento atteso per
un determinato livello di rischio (o minimizzare il rischio per uno specifico
rendimento), definito dal mondo accademico in termini di volatilità, calcolata
come deviazione standard dei rendimenti storici di mercato. La determinazione
dell’asset allocation è perciò tipicamente basata sui rendimenti storici dei vari
strumenti. A tal proposito, Douglas Love scriveva nel Financial Analyst Journal
nel 1974: “Il cliente dovrebbe determinare la propria asset allocation basandosi su
un approccio di mercati efficienti, assumendo che i prezzi correnti di mercato
riflettano tutto quello che è possibile sapere del futuro”.
La letteratura finanziaria riconduce l’asset allocation all’interno di un
framework matematico, che impone da un lato la stima di parametri statistici,
dall’altro lo sviluppo di ottimizzazioni finalizzate alla massimizzazione delle
preferenze degli investitori. Tale interpretazione matematico-statistica ha
ovviamente apportato un grande contributo in termini di maggior rigore formale.
Tuttavia le evidenze empiriche dimostrano l’incapacità o la negligenza degli asset
manager ad utilizzare questi modelli o perché il loro funzionamento è ritenuto
“oscuro” e la loro accettazione è assimilabile ad un “atto di fede”, o perché il
risultato contrasterebbe con la loro operatività.
1.2 Le fasi della Portfolio construction
A supporto dell’asset allocation e dell’operatività degli asset manager,
nell’ultimo ventennio si è assistito ad una moltiplicazione di contributi scientifici.
Questi lavori, sebbene non siano paragonabili agli enormi contributi storici dati da
Markowits (1952, 1956, 1959), Tobin (1958), Sharpe (1964), Lintner (1965),
Mossin (1966), e Ross (1976, 1977), che hanno dato vita alla Modern Portfolio
Theory, hanno il pregio di accostare la teoria alla pratica. Sia i contributi forniti
dai Padri della Teoria di Portafoglio, sia gli studi più recenti, sono d’accordo
nell’individuare il modus operandi ottimale nel processo di investimento.
Il corretto iter che il gestore deve seguire al fine di soddisfare le richieste del
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ESIGENZE E
OBIETTIVI DEL
CLIENTE
STRUTTURAZIONE
DEL PORTAFOGLIO
PRINCIPI DI
INVESTIMENTO
Asset
Allocation
Modifiche delle
condizioni di
mercato
cliente, giungendo così alla creazione di un portafoglio ottimo, è presentato nella
figura seguente:
Ciò che si intende evidenziare in questo schema è che le decisioni alla base
del processo di asset allocation scaturiscono dall’interazione tra le preferenze del
cliente e i principi di investimento seguiti dall’intermediario finanziario o
dall’asset manager, consentendo di pervenire ad un’idonea strutturazione del
portafoglio della clientela. Nel realizzare questo processo secondo le linee guida
individuate, bisogna peraltro prestare particolare attenzione a monitorare
l’evolversi delle condizioni di mercato attraverso l’analisi degli scenari e
verificare se i bisogni del cliente sono mutati. In questo caso il gestore deve
intervenire attuando interventi di restructuring del portafoglio.
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Pomante suggerisce di procedere per fasi. Si rende infatti opportuno:
1) identificare le preferenze dell’investitore in termini di scelta dell’holding
period, selezione degli asset class e fissazione del livello di rischio-
rendimento atteso;
2) effettuare previsioni sull’andamento futuro dei titoli;
3) identificare il portafoglio migliore per il risparmiatore attraverso un
processo di ottimizzazione
1.2.1 Le preferenze dell’investitore
In ambito finanziario gli investitori effettuano scelte che hanno una natura
intertemporale. Essendo il futuro ignoto, le decisioni devono essere prese in
condizioni di incertezza, perché le conseguenze economiche non sono
deterministiche ma stocastiche. Pertanto come dice Mc Pix: “per operare
proficuamente in Borsa non è necessario che l'investitore sappia prevedere il
futuro. Quello che gli è richiesto è di saper valutare correttamente la situazione
corrente secondo buon senso” .
Da questo aforisma appare chiaro come un investitore, prima di accostarsi al
mercato borsistico, deve avere ben chiare le proprie preferenze, da esprimere in
termini di utilità. Nacque l’idea che gli individui valutino le grandezze finanziarie
basandosi non direttamente sul loro ammontare, bensì sul livello di soddisfazione
che essi attribuiscono, in modo del tutto soggettivo, al loro possesso. Secondo
questa impostazione, ogni operatore agisce associando alle grandezze finanziarie
un valore che misura il suo grado di desiderabilità in quel momento. Tale valore è
un numero reale, determinato sulla base di un metro di valutazione personale, che
dipenderà quindi dalla situazione particolare dell’individuo interessato. Questa
teoria permette di studiare le preferenze individuali, le quali vengono
rappresentate tramite una funzione di utilità U, definita a meno di una
trasformazione monotona crescente. Essa gode di due proprietà: deve rispettare
l’ordine delle preferenze del soggetto e deve essere crescente, ovvero deve avere
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utilità marginale della ricchezza positiva, perché a maggiori payoff è naturale
associare una maggiore utilità.
La teoria dell’Utilità Attesa può essere anche applicata in condizioni di
rischio, cioè quando l’individuo deve prendere una decisione senza conoscere con
certezza quale stato del mondo si verificherà, ma conosce i possibili eventi, a
ciascuno dei quali associa una probabilità di realizzazione. Le persone che
compiono scelte di investimento tra alternative diverse caratterizzate da esiti
incerti, di cui sono note le probabilità di accadimento, associano un valore
monetario ad ogni alternativa. Le alternative rischiose vengono ordinate per
mezzo dell’utilità attesa, espressa in funzione dei risultati possibili e delle
probabilità che tali risultati si manifestino.
Al fine di consentire all’asset manager di gestire correttamente il
portafoglio, l’investitore deve esprimersi circa:
1. l’orizzonte temporale, ovvero il periodo di tempo durante il quale
l'investitore rinuncia alle proprie disponibilità finanziarie, o a parte di
esse, e le investe al fine di conseguire un rendimento "in linea" con gli
obiettivi prefissati. In questo arco temporale l’individuo non dovrebbe
preoccuparsi delle oscillazioni di valore del proprio investimento, poiché
come dice Warren Buffett bisogna comportarsi come se dopo l’acquisto la
Borsa chiudesse per poi essere riaperta non prima dei cinque anni.
2. il rischio-rendimento atteso dagli asset class scelti. Dato che
solitamente investimenti a maggior rischio sono associati a maggior
rendimento, la propensione al rischio di un investitore determina anche il
massimo rendimento che potrà ottenere sul mercato, sempre che rispetta il
suo profilo di rischio. Esiste quindi un legame stretto tra propensione al
rischio e aspettativa di rendimento dell’investimento. In linea generale, si
può affermare che ad un elevato rendimento atteso corrisponde un rischio
altrettanto alto, e viceversa, un investimento a basso rischio ha
generalmente un rendimento contenuto.