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1.2 CONSIDERAZIONI SUL RAPPORTO DEBITO/PIL E
POLITICHE DI RIENTRO
Finora si è parlato del modo con cui si forma il debito
pubblico, ma in un
’
economia in cui la produzione
cresce nel tempo,
ha più senso considerare il rapporto tra debito pubblico e PIL. Solo
in questo modo si può dire se il debito pubblico è troppo elevato,
dove “troppo” deve essere definito in relazione all'abilità del
governo di ripagare il debito.
Per vedere come cambia l’analisi precedente, si passa dall'equa-
zione (1.5) a un'equazione che esprime l'andamento del rapporto
debito/PIL.
Indichiamo il rapporto debito pubblico / PIL con
pY
B
b
, dove B è il
valore nominale del debito pubblico cumulato negli anni, Y è il PIL
reale, p il deflatore del PIL e quindi pY il PIL nominale, la
variazione percentuale del rapporto debito-PIL è approssimata dalla
seguente formula:
Y
Y
p
p
B b
B b
(1.6)
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Dove
B rappresenta l’emissione netta di nuovi titoli del debito
pubblico con la quale la pubblica amministrazione finanzia, in un
dato anno, l’eventuale disavanzo dei conti pubblici. In altri termini,
B è pari all’eccedenza delle uscite complessive rispetto alle
entrate complessive delle pubbliche amministrazioni, ovvero:
TA iB TR G B
(1.7)
Dove G è la spesa per consumi e investimenti pubblici, TR sono i
trasferimenti della pubblica amministrazione, i è il tasso di interesse
nominale, e quindi iB è la spesa per interessi sul debito pubblico (o
costo per servizio del debito pubblico) e TA sono le entrate
tributarie e contributi sociali. È evidente dalla 1.6 che per ridurre b
(ossia per avere un
b/b negativo) è necessario che sia:
g
B
B
Y
Y
p
p
B
B
( 1 . 8 )
Dove
p
p
è il tasso di inflazione e
Y
Y
g
è il tasso di crescita del
PIL reale. Per consentire il rientro del debito pubblico si dovrà
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dunque cercare, da un lato, di limitare il più possibile
B (il
disavanzo della pubblica amministrazione), e dall’altro, di
aumentare g. il tasso di inflazione ( π) non può invece, a lungo
andare, superare il livello medio degli altri paesi dell’UE, sia perché
lo impedisce il trattato di Maastricht sia perché, un tasso di
inflazione più elevato farebbe perdere competitività al sistema
economico.
Esistono quindi due politiche di rientro: quelle dirette e quelle
indirette. Le prime riguardano il contenimento di
B, le seconde
riguardano invece g, ossia l’insieme delle politiche di stimolo allo
sviluppo economico. Per le politiche dirette, abbiamo già visto
quanta rilevanza venga data dal trattato e dal PSC (Patto di Stabilità
e Crescita), al rapporto di indebitamento (d), ossia al rapporto tra il
disavanzo delle pubbliche amministrazioni e il PIL, che può essere
così rappresentato:
pY
B
d
( 1 . 9 )
Secondo l’art. 104 del trattato CE e del protocollo sulla procedura
per i disavanzi eccessivi, la sostenibilità della finanza pubblica
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richiederebbe, che tale rapporto non superi il valore del 3%, a meno
che il rapporto non sia diminuito in modo sostanziale e continuo e
abbia raggiunto un livello che si avvicina al valore di riferimento,
oppure, in alternativa, il superamento del valore di riferimento sia
solo eccezionale e temporaneo e il rapporto resti vicino al valore di
riferimento.
In base all’equazioni (1.6) e (1.9), la relazione tra la variazione del
rapporto debito-PIL,
b e il rapporto deficit-PIL, d, può essere
rappresentata nel seguente modo:
g
b
d
g
B
pY
pY
B
g
B
B
b
b
(1.10)
) ( g b d b ( 1 . 1 1 )
Le variabili in gioco nel problema del rientro del debito pubblico
possono essere considerate anche in un ulteriore modo.
L’indebitamento annuale descritto dall’equazione (1.7) può, essere
scomposto nelle seguenti due componenti:
AP iB TR G TA iB TA iB TR G B ) (
(1.7a)
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Dove AP è il cosiddetto “avanzo primario”, ossia l’eccedenza delle
entrate sulla spesa della pubblica amministrazione, esclusa la spesa
per interessi sul debito pubblico. Dividendo per PY la (1.7a) e
tenendo presente l’equazione (1.9) si ottiene:
p
a ib d
pY
AP
pY
B
i
pY
B
( 1 . 1 2 )
Dove
pY
AP
a
p
rappresenta l’avanzo primario in rapporto al PIL.
Sostituendo la (1.12) nella (1.11) si ottiene la seguente espressione:
p p
a g i b g b a ib g b d b ) ( ) ( ) ( (1.13)
La quale ci fa notare che la variazione del rapporto del debito
pubblico-PIL è correlata positivamente con il tasso d’interesse
nominale e negativamente con il tasso d’inflazione, con il tasso di
sviluppo e con l’avanzo primario in rapporto al PIL. Si ha rientro
del debito pubblico, cioè il rapporto debito pubblico-PIL diminuisce
( b negativo) se ) ( g i b a
p
.
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1.3 IL DEBITO PUBBLICO: UN BENE O UN MALE?
Un nuovo debito pubblico nasce nell’economia quando si forma un
disavanzo nel bilancio. Partiamo da una situazione in cui il bilancio
pubblico è in pareggio, e immaginiamo che si formi un disavanzo.
Il disavanzo può essere determinato da un aumento delle spese o da
una riduzione delle entrate pubbliche. L’effetto sull’economia di
entrambi questi eventi si manifesta attraverso la domanda di beni e
servizi, la cosiddetta domanda aggregata.
L’aumento della spesa pubblica stimola direttamente la domanda
aggregata se è l’aumento di spesa pubblica per l’acquisto di beni e
servizi o per investimenti. Invece, se si tratta di un aumento di spesa
pubblica per trasferimenti lo stimolo alla domanda di beni e servizi
è indiretto. Infatti un aumento della spesa pubblica per
trasferimenti, ad esempio un aumento della spesa per pensioni, non
costituisce un aumento di domanda, ma solo del reddito disponibile
degli individui e delle famiglie. Soltanto una parte di questo reddito
viene spesa; un'altra parte, normalmente assai più piccola, viene
destinata al risparmio per sostenere una spesa futura. Perciò solo
una parte dell’aumento della spesa pubblica per trasferimenti viene
effettivamente destinata ad aumentare la domanda aggregata
dell’economia.
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Dunque un aumento della spesa pubblica per trasferimenti avrà un
minore impatto sulla domanda aggregata dell’economia rispetto ad
un aumento della spesa per acquisto di beni e servizi e per
investimenti.
Analizzando anche una riduzione delle imposte dirette, possiamo
vedere che sì avrà un effetto analogo a quello di un aumento della
spesa per trasferimenti pubblici: infatti una riduzione delle imposte
costituisce un aumento del reddito disponibile. Solo una parte di
questo aumento di reddito viene speso. Pertanto una riduzione delle
imposte dirette non si traduce totalmente e immediatamente in un
aumento della domanda aggregata, ma solo parzialmente,
esattamente come accade nel caso di aumento della spesa per
trasferimenti.
Un disavanzo del bilancio pubblico determina sempre una
espansione del debito pubblico, ma questo nuovo debito può,
almeno in parte, essere detenuto dalla banca centrale e quindi
determinare il finanziamento del disavanzo mediante la creazione di
una nuova base monetaria.
In questo caso l’emissione di moneta procura allo stato un’entrata
con la quale sostenere la spesa pubblica, anche se questa entrata è
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diversa da quelle tributarie, o da quelle derivanti dalla vendita del
patrimonio pubblico.
Nessun altro operatore economico ha la facoltà di procurarsi le
entrate necessarie per sostenere la spesa in questo modo. Tale
manovra viene chiamata signoraggio.
Pertanto, il signoraggio è la manovra che permette di finanziare il
bilancio, mediante immissione nell’economia di nuova offerta di
moneta, e lo stimolo che si esercita sulla domanda è particolarmente
elevato perché all’economia viene fornita tutta la liquidità
necessaria per aumentare la spesa. In questo caso è più probabile
che l’effetto di aumento del livello dei prezzi sia maggiore
dell’effetto di aumento della produzione nazionale.
L’esperienza empirica conferma che un finanziamento del
disavanzo pubblico mediante espansione dell’offerta di moneta ha
un effetto inflazionistico, e normalmente anche un effetto espansivo
reale. Dobbiamo però osservare che se il finanziamento del
disavanzo pubblico attraverso aumento dell’offerta di moneta
produce un aumento del livello generale dei prezzi, questo significa
che il potere d’acquisto della nuova moneta messa in circolazione
viene parzialmente o totalmente neutralizzato, perché se i prezzi
aumentano la capacità di acquistare beni che deriva dall’avere a
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disposizione una maggiore quantità di moneta viene
corrispondentemente ridotta. La riduzione del potere d’acquisto
della moneta operata dall’inflazione si presenta dunque come una
vera e propria imposta; per questo essa è anche chiamata imposta da
inflazione. L’aumento o meno di tale imposta viene deciso da un
autorità indipendente che è l’autorità monetaria, che presiede
l’aumento della base monetaria dell’economia.
Un freno a questo meccanismo, l’imposta d’inflazione, può venire
dal rifiuto della banca centrale di acquistare sul mercato aperto
nuovi titoli emessi dal governo, infatti da un punto di vista
istituzionale, la banca centrale ha la responsabilità del
conseguimento dell’obbiettivo della stabilità monetaria, ossia del
mantenimento di un basso tasso di inflazione. Essa quindi regolerà
l’emissione dell’offerta di moneta in modo compatibile con il
perseguimento di quell’obbiettivo. Ciò si traduce anche nella
possibilità di rendere inoperante tale meccanismo nel momento in
cui si va contro l’obbiettivo della stabilità dei prezzi.
L’alternativa al finanziamento del disavanzo del bilancio pubblico
mediante emissione di nuova moneta è di finanziare il disavanzo
mediante creazione di nuovo debito pubblico che viene collocato
direttamente dal governo presso gli investitori privati, e non