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Introduzione Il presente lavoro nasce da un forte interesse per la vita e l’operato del
Buddha, l’“Illuminato”. La tesi è suddivisa in tre capitoli: il primo è
intitolato “La vita del Buddha”, il secondo “La dottrina”, e infine il
terzo “ Il Dhammapada. La via del Buddha”.
Nel primo capitolo ho illustrato la vita di Siddhartha, un principe che
ricevette l’appellativo di Buddha in seguito al raggiungimento della
cosiddetta bodhi o illuminazione.
Siddhartha nacque molto probabilmente nel 566 a.C. in una località
situata fra India e Nepal, presso la città di Kapilavatsu. Suo padre si
chiamava Shuddhodana, ed era capo del nobile clan degli Shakya.
La leggenda narra che alla sua nascita i sapienti riscontrassero sul
corpo del neonato segni fisici che ne preannunciavano la futura
grandezza o sul versante secolare (ovvero, diventare un imperatore
universale) o sul piano spirituale (divenire appunto un “illuminato”). Il
padre volle che Siddhartha crescesse nel perfetto isolamento della vita
di corte, tra agi, lussi, piaceri, perché non sperimentasse i mali della
vita e, di conseguenza, non maturasse mai il desiderio di darsi alla
ricerca interiore.
Siddhartha si sposò ed ebbe un figlio. Tuttavia, a ventinove anni, nella
sua vita perfetta si insinuò il turbamento. Sempre secondo la leggenda,
Siddhartha manifestò il desiderio di una gita fuori la corte per visitare
i parchi cittadini. Nonostante le precauzioni del padre, egli lungo il
tragitto scorse un vecchio e scoprì per la prima volta che invecchiare è
un destino ineluttabile per tutti. Sconvolto, il principe si fece
riaccompagnare a corte.
Nel corso di altre due uscite, vide un malato e un morto, e questa
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ennesima scoperta traumatica gli fece concepire un totale disgusto per
la vita di piaceri fino ad allora condotta, tanto che decise di votarsi
interamente alla ricerca di un rimedio a questi mali.
Fuggì allora dalla corte e si recò presso due brahmani, Arada Kalama
e Udraka Ramaputra, dai quali apprese gli insegnamenti tradizionali.
In breve progredì nelle tecniche di yoga , senza però risolvere il
problema del destino di dolore dell’essere umano.
Così decise di proseguire il viaggio senza maestri, ma con la
compagnia di cinque uomini, coi quali si ritirò presso una foresta
praticando ascesi, digiuno e macerazione fisica.
Dopo sei anni di questa vita, Siddhartha non solo non aveva trovato
risposta ai suoi quesiti esistenziali (perché si nasce, si patisce, si
invecchia, si muore), ma stava addirittura rischiando di perdere la vita.
Allora si rese conto che era arrivato il momento di seguire la Via di
Mezzo, una vita semplice e sobria che evitasse - come ovvio - gli
eccessi della sensualità ma pure l’ascesi mortificante, che egli non si
peritò di definire “inutile e indecorosa” giacché mortificava la carne
senza elevare lo spirito.
Si mise poi in cammino verso Gaya, dove, verso sera, si sedette ai
piedi di una grande ficus religiosa . Si immerse in una profonda
meditazione che durò tutta la notte. Il frutto di questa notte fu
l’illuminazione (la bodhi ). Ebbe allora la chiarezza sul processo che
conduce gli esseri ad essere condannati alla sofferenza e sul modo di
liberarsene. Da questo momento divenne il Buddha, il Risvegliato.
Decise allora di divulgare la via di salvezza che aveva scoperto e lo
fece solo in virtù dell’amore e della compassione che provava verso
tutte le creature sofferenti.
Il suo primo discorso fu chiamato “La messa in moto della ruota della
6
Legge”, noto anche come “Predica di Benares”, e fu rivolto ai suoi ex
compagni di ascesi. Questi vollero diventare subito suoi discepoli:
nacque così l’Ordine buddhista.
Il Buddha passò il resto della sua vita viaggiando e predicando. La
comunità monastica da lui fondata crebbe progressivamente e a questa
si affiancò anche un gran numero di seguaci laici che si impegnavano
a sostenere materialmente i monaci.
Nel 486 a.C. il Buddha aveva ormai ottant’anni. Le sue condizioni
fisiche si aggravarono e presso la città di Kushinagara, si adagiò su un
giaciglio in perfetta consapevolezza e in una posizione simbolica,
steso sul lato destro con il capo rivolto a nord. Dopo aver pronunciato
le ultime esortazioni ai suoi monaci, si immerse nella meditazione
profonda e spirò, raggiungendo così il “ nirvana definitivo”, ossia
l’estinzione totale dal ciclo doloroso delle rinascite.
Nel secondo capitolo ho trattato la dottrina dell’Illuminato, il dharma ,
preannunciato nella predica di Benares, dove il Buddha esplicò le
Quattro Nobili Verità. Esse sono: 1) la verità del dolore, 2) la verità
dell’origine del dolore, 3) la verità della cessazione del dolore, 4) la
verità della via che conduce al superamento del dolore.
Il punto di partenza è il riconoscimento del fatto che tutta la vita è
dolore (Prima Nobile Verità), poiché tutto è transitorio (incluso
l’elemento spirituale individuale) e ogni essere - anche il più felice
nella presente esistenza - è comunque fatalmente destinato
all’invecchiamento e alla morte. L’origine del dolore si identifica con
la brama che ci incatena al ciclo della reincarnazione, reiterando una
vita dopo l’altra e, di conseguenza, il dolore in cui la vita consiste
(Seconda Nobile Verità). Bisogna eliminare la brama che è la radice
della sofferenza (Terza Nobile Verità). Eliminato ciò si raggiunge la
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suprema estinzione, il nirvana.
Per raggiungere il nirvana bisogna seguire la via che conduce al
superamento del dolore, ovvero l’Ottuplice Nobile Sentiero (Quarta
Nobile Verità) costituito da otto rettitudini: retta visione, retto
pensiero, retta parola, retta azione, retto modo di vita, retto sforzo,
retta consapevolezza e retto raccoglimento.
Il nirvana è la fine del penoso ciclo costituito da nascita, morte e
rinascita, ovvero il samsara. Ciò avviene interrompendo la produzione
di karman , ossia di azione (intesa come azione non retta,
naturalmente): l’arresto della produzione di nuovo karman , unito
all’esaurimento dei frutti del karman precedente, permette una
estinzione totale del processo di rinascita. Al momento della morte,
l’illuminato raggiunge il nirvana “definitivo”: non rinascerà mai più.
Sempre nel capitolo ho dedicato un paragrafo alle caratteristiche di
vita nella comunità buddhista, dal modo in cui si entra nella comunità
ai compiti e agli obblighi riservati ai monaci.
In seguito, ho presentato una carrellata dei concilii che si tennero dalla
morte del Buddha in poi, fino agli scismi che, con l’avvento anche del
Buddhismo Mahayana, universalizzarono questa religione.
E proprio un paragrafo è dedicato al Mahayana, o “Grande Veicolo”,
che si diversificò, rispetto al precedente Buddhismo Hinayana, o
“Piccolo Veicolo” proprio perché - per citare l’opinione di molti
studiosi - trasformò il buddhismo da filosofia a religione. Con il
Mahayana, infatti, viene alla ribalta la figura del bodhisattva (“colui la
cui essenza è l’illuminazione”), il benevolo e generoso personaggio
che rinuncia a entrare nel nirvana per condurvi, prima di lui, il numero
più alto possibile di esseri: con l’andare del tempo, i vari bodhisattva,
e il Buddha stesso, divennero una sorta di divinità, oggetto di culto da
8
parte dei fedeli.
Nell’ultimo paragrafo, ho parlato di alcuni testi buddhisti, in
particolare il Canone Buddhista. Esso prende il nome di Tipitaka (“tre
cesti”) ed è suddiviso in tre parti: nella seconda parte, Suttapitaka,
sono contenuti una serie di testi che includono gli insegnamenti
antichi tra cui il Dhammapada, testo cardine del buddhismo, su cui si
incentra il seguente lavoro.
Il terzo capitolo infatti è dedicato interamente al Dhammapada che
significa “Parole di Dharma”. L’opera, che è anonima (del resto, il
Buddha stesso non lasciò nulla di scritto), si presenta come
un’antologia di 423 strofe ed espone i capisaldi dottrinali del
buddhismo antico: il suo scopo primario è dunque quello di insegnare.
Questa raccolta è stata compilata parecchi anni dopo la morte del
Buddha (si suppone tra il III e il I secolo a.C.) e non contiene nulla
delle elaborate discussioni e narrazioni che caratterizzano i testi più
estesi. Poiché non si possono indicare con certezza come testuali le
parole del Buddha che il Dhammapada mira a tramandare, il testo
viene anche indicato con una locuzione “Così ho udito…”.
Nel Dhammapada si trovano lapidarie, ma più spesso poetiche,
affermazioni ed esortazioni raccolte per temi, come ad esempio la
consapevolezza, la mente, la gioia, l’ira e così via. Questi argomenti a
volte sono sviluppati attraverso immagini o metafore ricorrenti (che
spesso, per dare un tocco di incisività ai contenuti, traggono
ispirazione dalla natura o dalla vita di tutti i giorni); a volte è solo la
presenza di una certa parola a giustificare la collocazione di un
aforisma entro un certo tema.
Il Dhammapada è un invito a concentrare tutta la nostra attenzione,
tutta la nostra energia, tutta la nostra consapevolezza, tutta la nostra
9
capacità di risveglio in ogni attimo di vita. A volte può sembrare che il
Dhammapada abbia toni di negazione della vita nei suoi aspetti
concretamente sensibili. Un enunciato come “l’esistenza è dolore”, o
l’invito a trascendere ogni desiderio, possono essere letti come
negazione della gioia e della bellezza, di questo miracoloso
caleidoscopio di illusioni in cui viviamo. Tuttavia il buddhismo non è
un credo “pessimista”: la vita, pur transitoria e sustanziata di
sofferenza come è, rappresenta pur sempre l’unica occasione di cui
disponiamo per incamminarci verso il nirvana . Del resto - e anche il
Dhammapada ne reca testimonianza - l’Illuminato non disprezzava
tanto l’esistenza in sé quanto il cattivo uso che se ne può fare: ne è
prova l’importanza che hanno, nel buddhismo, i fedeli laici, i quali
seguono con passione la dottrina - facendo dunque buon uso della
propria vita - e nondimeno conducono un’esistenza “normale”
apprezzandone - seppure con sobrietà - tutti i doni.
Oltre al Buddha poi, il Dhammapada, propone altre figure come invito
e modello. Una di queste è il saggio, un’altra è l’ arhat , l’illuminato.
Altre due sono il mendicante e il bramano. La connotazione specifica
di questi termini non è tanto importante nel Dhammapada, perché essi
sono per lo più usati in modo quasi interscambiabile per indicare la
persona che segue con assoluta dedizione il cammino del dharma , o
che è prossima al risveglio, o che l’ha raggiunto.
Questo libro insomma è un tesoro inestimabile e in esso forse più che
in ogni altro testo abbiamo la sensazione che Buddha stia parlando a
noi direttamente per ammonirci, guidarci, distoglierci dall’errore. Ed è
probabilmente questa qualità che ha fatto di questo libro forse il più
amato e il più letto dell’intero canone buddhista.
10
11
CAPITOLO 1. La vita del Buddha 1
1.1 La nascita del principe degli Shakya Che Buddha sia vissuto davvero è innegabile 2
, visto che alcune date
1
Per esigenze di ordine informatico, in questa tesi si è adottato un sistema
semplificato di trascrizione dei termini sanscriti (ossia, senza l’uso dei segni
diacritici). La c , che va sempre pronunciata dolce, è translitterata come ch
(Chapala: pron. Ciàpala). Ugualmente la s palatale e linguale vanno pronunciate
sc dolce, come in scena , e sono state translitterate sh (Koshala: pron. Kòshala) La
r vocalica è stata translitterata con ri (Rajagriha). La lettera g va sempre letta dura,
come in ghisa ( yogin : pron. yoghin ).
2
Si vedano, tra gli altri, Alessandro Bausani, Buddha , Chiasso, Elvetica Edizioni,
1973; Amalia Pezzali, Manuale di storia del buddhismo , Bologna, EMI, 1983;
Oscar Botto, Buddha e il buddhismo , Milano, Mondadori, 1984 (ristampa: 1998);
Ashvaghosha, Le gesta del Buddha (Buddhacarita) , a cura di Alessandro Passi,
Milano, Bompiani, 1985 (prima edizione: Milano, Adelphi, 1979); Ashvaghosha,
Nanda il bello. Saundarananda , a cura di Alessandro Passi, Milano, Adelphi,
1985; Edward Conze, Breve storia del buddhismo , Milano, Biblioteca Universale
Rizzoli, 1985; Aforismi e discorsi del Buddha , prefazione e scelta a cura di Mario
Piantelli; traduzioni di Eugenio Frola e Pio Filippani-Ronconi, Milano, TEA,
1988; André Bareau, Buddhismo , Roma, Laterza, 1988; Le vite anteriori del
Buddha (Jataka) , a cura di Mariangela D’Onza Chiodo, Torino, UTET, 1992;
Vittorio Sirtori (a cura di), Dizionario del buddhismo , Milano, Vallardi, 1994;
Gotama Buddha, Aforismi e discorsi , a cura di Pio Filippani-Ronconi, Roma,
TEN, 1994; Gotama Buddha, Insegnamenti del Buddha , a cura di Alberto
Pelissero, Parma, Guanda, 1994; La vita del Buddha nei testi del canone pali , a
cura di Vittorio Cucchi, Milano, Xenia, 1994; Pio Filippani-Ronconi, Il
buddhismo: storia e dottrina , Tascabili economici Newton, 1994; Canone
buddhista. Così è stato detto (Itivuttaka) , Introduzione di Saverio Sani, a cura di
Pio Filippani-Ronconi, Milano, TEA, 1995; Leonardo Vittorio Arena, Buddha ,
Roma, Tascabili Economici Newton, 1996; Giuseppe Tucci (et al.), Storia del
buddhismo , a cura di Henri-Charles Puech, Milano, Mondadori, 1997; M. Raveri,
Budhismo , in G. Filoramo, M. Massenzio, M. Raveri, P. Scarpi, Manuale di storia
delle religioni , Bari, Laterza, 1998, pp. 335-368; Mariangela D’Onza Chiodo,
Buddhismo , Brescia, Queriniana, 2000; Giuliano Boccali, Stefano Piano, Saverio
Sani, Le letterature dell’India , Torino, UTET, 2000, pp. 78-121; AA. VV.,
Dizionario di Buddhismo , Milano, Bruno Mondadori, 2003; Giorgio Renato
Franci, Il buddhismo , Bologna, il Mulino, 2004; Emanuele Basile, La voce del
Buddha , Milano, Oscar Mondadori, 2007; Buddhismo in Religioni del mondo , a
cura di Franjo Terhart e Janina Schulze, Milano, Gribaudo, 2008; Marilia
12
della sua biografia sono state confermate con piena sicurezza 3
.
Tuttavia,
“Volendo parlare della vita del cosiddetto Buddha storico
sulla base di quanto ne dicono i testi che riteniamo più
antichi si deve tenere conto della specifica natura di questa
testimonianza: che non si propone di narrare una biografia,
ma in genere descrive, con maggiori o minori precisazioni,
la cornice (di tempo, luogo etc.) in cui si inserisce un
discorso, e quindi fa di una singola frase biografica il
contesto in cui si è svolto un colloquio, è stato impartito un
insegnamento” 4
In breve, almeno secondo alcuni studiosi, non c’è nulla di
assolutamente certo circa gli eventi specifici della sua vita.
5
Buddha nacque intorno alla metà del VI secolo a.C.
6
. Gli Shakya
appartenevano ad un piccolo stato aristocratico, a regime gentilizio
patriarcale, che insieme ad altri stati era al margine delle grandi
monarchie indiane dell’epoca, Magadha, Vatsa, Avanti e Koshala. I
discendenti di Buddha vantavano il loro appartenere a quest’ultima
dinastia, dei Koshala appunto, e il loro mitico antenato sarebbe stato
un certo Ikshvaku, capostipite della stirpe solare.
Albanese, Siddhartha : Il principe che diventa Buddha , White Star Edizioni , 2008.
3
Religioni del mondo , op. cit. , p. 166.
4
Franci, op. cit. , p. 18.
5
Ibid. , p. 167.
6 La datazione è controversa: secondo alcuni calcoli sarebbe nato nel 567 mentre
secondo altri nel 558; assai meno attendibile la datazione del 623.
13
Il capo degli Shakya, Shuddhodana
7
, ebbe un figlio che fu chiamato
Siddhartha (Siddhattha 8 ), Gautama “Gotamide” 9
, patronimico che
derivava
“dal nome di un clan vedico a cui pensava di connettersi la sua
famiglia” 10
.
7
“Questo re pari a Indra aveva una moglie il cui splendore corrispondeva alla
potenza di lui e la cui bellezza pareggiava quella di Saci e di Padma, che era salda
come la terra e che si chiamava Mahamaya per la sua somiglianza con la dea
Maya incomparabile”: si veda Le gesta del Buddha, op. cit., p. 15.
8
Questa è la “versione” del nome in lingua pali , utilizzata nella stesura del
Canone. In realtà il termine pali con cui è chiamata la lingua di queste prime
scritture non è il nome di una lingua e significa invece “Canone”. Il
fraintendimento ebbe origine nel XVIII secolo, quando l’espressione palibhasa
venne interpretata, invece che come “lingua, bhasa , del canone, pali ” come
“lingua pali ”. Oggi gli studiosi sono propensi a credere che il pali non sia mai
stata una lingua effettivamente parlata, quanto un linguaggio letterario, miscela di
vari dialetti: una sorta, insomma, di “lingua buddhista”; forse, una “lingua franca”.
Del resto il Buddha stesso, a segnare il rifiuto della precedente cultura, non
predicò mai in sanscrito, lingua dei testi sacri brahmanici e dell’élite colta,
preferendo le varie lingue regionali: ma nessuna delle parlate dell’epoca è
identificabile con il pali .
9 Il nome che il padre impose al bambino fu Siddhartha, che significa (“Colui che
ha raggiunto il suo scopo”. L’altro nome, Gautama, preposto spesso all’epiteto
Buddha, è, come dicevo, il nome della stirpe di appartenenza. Egli assunse
l’appellativo Buddha quando, sotto l’albero del risveglio (una ficus religiosa ),
raggiunse, a Gaya, la cosiddetta bodhi , ossia appunto l’illuminazione, il risveglio,
la conoscenza. Infatti i termini bodhi e Buddha derivano ambedue dalla radice
sanscrita budh , “risvegliarsi”, “destarsi” (nel caso del Buddha, si intende
naturalmente “risvegliarsi alla vera conoscenza”: perciò il termine può tradursi
anche come “illuminato”). Un altro nome attribuito al Buddha è Shakyamuni
ossia “il saggio, l’asceta ( muni significa letteralmente il “silenzioso”, il
“taciturno”) degli Shakya”. Un altro noto appellativo del Buddha è quello di
Tathagata, di etimologia incerta, apparentemente formato dalle due parole antico-
indiane tatha , “così” e gata , participio passato della radice verbale gam , che
significa “andare” e, per estensione, “conoscere, intendere”: di solito tale
composto viene tradotto con “colui che giunto in possesso della verità” o con
“Perfetto”.
10
Franci, op.cit. , p. 22.
14
Il Buddha così dice di sé in un famoso discorso:
“Io, o monaci, attuale Santo, Perfetto perfettamente
Svegliato, sono di nascita nobile, sorsi nella classe dei
nobili… Io, o monaci, attuale Santo, Perfetto perfettamente
Svegliato, sono di famiglia Gotama… A me, o monaci, è
padre il re Shuddhodana, la divina Maya fu madre e
genitrice. Capitale la città di Kapilavattu.”
11
La leggenda narra che prima di nascere fra gli Shakya il futuro
Buddha risiedeva, con l’appellativo Shvetaketu, “colui cha ha uno
stendardo bianco”, nel mondo dei Tushita, cioè di quegli Esseri felici
che colgono in se stessi la pienezza della beatitudine.
“Fu qui che Siddhartha, consapevole del fatto che il fondo
karmico delle sue precedenti esistenze era totalmente
esaurito, decise di scendere fra gli uomini, e scelse
liberamente di nascere nel Jambudvipa, cioè nell’India,
nella regione del Madhyadesha che corrisponde all’incirca
all’Uttar Pradesh occidentale” 12
Disse il Buddha stesso:
“E vi è, o monaci, questa regola: allorquando il Bodhisattva,
11
Bausani, op. cit. , p. 15.
12
Botto, op. cit., p. 10.
15
trapassando dalla classe degli Dèi Tushita 13
, entra nel
grembo della madre, allora nel mondo, coi suoi Dèi, con le
sue schiere di Maya, con le sue schiere di Brahma, coi suoi
asceti e brahmani, con le sue generazioni di Dèi e di uomini,
un immenso eccelso splendore si manifesta, sorpassante il
divino splendore degli Dèi. […] E vi è o monaci, questa
regola: allorquando il Bodhisattva è sceso nel grembo della
madre, alla madre del Bodhisattva non sorge nessuna
tristezza… La madre del Bodhisattva vede il Bodhisattva
nella parte sinistra dell’utero, con ogni pur minimo organo.
Come, o monaci, vi fosse un gioiello prezioso, puro,
eccellente, a otto facce, ben tagliato, trasparente, chiaro,
provvisto di ogni qualità, ed in questo vi fosse infilato un
filo azzurro, o giallo o rosso o bianco.”
14
Il signore dei tre mondi scese dunque dal cielo e in veste di giovane
elefante bianco dalle sei zanne (infatti, è in India, simbolo di sapienza)
penetrò da destra nel ventre della madre, la regina Maya, che
raccontò:
“Fu una tale sensazione di felicità fisica e di beatitudine
dell’anima che io mi sentii come rapita in profondissimo
deliquio”.
15
13
In realtà, il termine Tushita indica una delle sei dimore paradisiache ove
risiederebbero temporaneamente i bodhisattva prima di entrare nello stato di
completa estinzione, ossia il nirvana .
14
Bausani, op.cit. , pp. 15-17.
15
Franci, op. cit., p. 22.
16
La regina, del resto,
“Prima di concepire, vide in sogno un maestoso elefante
bianco penetrare nel suo corpo, e tuttavia non ne provò
alcun dolore.”
16
La regina partorì in piedi e il Bodhisattva uscì dal fianco del suo
corpo, senza dolore, già netto di ogni muco e sozzura fisica; due
sorgenti sgorganti dal cielo, una di acqua fredda e l’altra di acqua
calda, sono lavacri al Bodhisattva e alla madre. Il Bodhisattva, appena
nato, girandosi verso settentrione, compie sette passi, protetto da un
ombrello di colore bianco, scruta attentamente tutti i punti cardinali e
“con voce di toro” dice:
“Il primo io sono del mondo, il supremo io sono del mondo,
l’eccelso io sono del mondo, questa è l’ultima nascita, non
vi sarà più per me il ripetersi di vita.”
“Alla sua nascita la terra, imperniata sull’ Himalaya,
sussultò come una nave colpita dal vento; cadde dal cielo
sereno una pioggia di calici di loti azzurri e rossi [fragrante]
di sandalo” “Spirarono brezze piacevoli al tatto e gradite alla mente,
facendo cadere profumi divini; il sole stesso splendette
maggiormente e il fuoco brillò con benigna fiamma senza
essere attizzato.”
“Invisibili esseri celesti, col capo chino dinanzi alla sua
16
Le gesta del Buddha , op. cit. , p. 15.
17
maestà, reggevano nell’aria un candido parasole e
mormoravano fervide preghiere per la sua illuminazione.”
17
Sette giorni dopo la sua nascita Maya, la madre, morì e il futuro
Buddha fu affidato fino all’età di sette anni alle cure della zia materna
Mahaprajapati Gautami, seconda moglie di Shuddhodana dal quale
generò più tardi un figlio e una figlia di rara bellezza.
Gli avvenimenti miracolosi del concepimento e quelli che
accompagnarono la nascita indussero il vecchio “veggente” Asita a
vedere in Siddharta un predestinato a divenire o un monarca
universale oppure un grandissimo asceta e salvatore del mondo. Dopo
averne ben osservato i “segni” 18
sul corpo, disse il veggente al re:
“Gioisci, Signore: grande fortuna è per te la nascita di
questo bambino nella tua famiglia: questo bambino porta
infatti i trentadue segni caratteristici di un grande uomo. E
di fronte a chi di questi segni è dotato si aprono due vie, che
escludono tutte le altre: se egli rimane nella sua casa sarà un
Signore della Ruota 19
( chaktavartin ), ossia un re giusto e
virtuoso, signore dei quattro punti dell’orizzonte […] Se,
invece, questo bambino lascia la sua casa e abbraccia la vita
errante degli asceti, allora egli diverrà un Santo, un Buddha
17
Le gesta del Buddha , op. cit. , pp. 17s. Si veda anche Bausani, op. cit , p. 17.
18
Trentadue “segni” sul corpo del neonato rivelano questo destino: fra essi, le
braccia così lunghe da poter coprire, con le mani, le ginocchia senza flettersi, la
pelle liscia color oro, “il pene completamente avvolto della sua guaina”, quaranta
denti e via discorrendo.
19
Si intende: la Ruota ( chakra ) della Legge Sacra, che campeggia ancor oggi sulla
bandiera della Repubblica Indiana.