CAPITOLO 2
Inquadramento
territoriale
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2.1 - La Val D’Aveto
2.1.1 - Inquadramento Geografico
La val d'Aveto è una vallata situata nelle province italiane di Genova e Piacenza, attraversata
dal torrente omonimo, tributario del Trebbia a cui si unisce nel comune di Corte Brugnatella in
località Confiente. In essa sono presenti i comuni di Rezzoaglio e Santo Stefano d'Aveto,
appartenenti alla provincia di Genova. Nella provincia di Piacenza sono invece situati quelli
di Ferriere, Cerignale e Corte Brugnatella.
Fig.2.1 Localizzazione geografica della
val d’Aveto
La Val d'Aveto, attraversata dall'omonimo fiume, è circondata da alcune delle montagne più alte
dell'Appennino Ligure, tra cui i
monti Maggiorasca (1810 m
s.l.m), Penna (1735 m
s.l.m), Groppo Rosso e Aiona. La
valle è caratterizzata da paesaggi
di alta montagna e vi si trovano
spesso pascoli immersi in vaste
faggete.
Fig 2.2 Zona di pascolo con vista sul
monte Maggiorasca
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Le attività umane legate all'allevamento bovino hanno inciso molto sulla conformazione del
territorio.
È una delle principali mete turistiche dell'entroterra del Tigullio, d'estate per il clima fresco,
d'autunno per la raccolta dei funghi e d'inverno per i praticanti dello sci (di fondo, alpinistico ed
escursionistico).
La valle è formata dal fiume Aveto e da numerosi affluenti di carattere torrentizio e spesso poco
estesi; tra i maggiori vi è comunque il torrente Gramizza.
Da un punto di vista urbanistico il bacino del torrente Aveto è interessato dal Piano per l’Assetto
Idrogeologico del Fiume Po realizzato dall’Autorità di Bacino di Rilievo Nazionale del Fiume Po
(http://www.adbpo.it/) e approvato con DPCM del 24 maggio 2001.
Fig. 2.3 I bacini della provincia di Genova interessati dal Piano per l’Assetto Idrogeologico del Fiume Po
2.1.2 - Struttura oro-idrografica
Il bacino idrografico identificabile nella valle del torrente Aveto, può essere considerato il più
ristretto del versante settentrionale dell’Appennino Ligure orientale.
Ha una superficie di 270 chilometri quadrati, una lunghezza di 40 chilometri e una larghezza
variabile da circa 15 chilometri nella parte medio alta (valletta del torrente Gramizza) a poco più di
6000 metri in corrispondenza della chiusa formata dai monti Crociglia e Oramara. Nella parte bassa,
verso la confluenza del torrente nel fiume Trebbia, in prossimità della località Confiente, la
larghezza si mantiene sempre al di sotto dei 10 chilometri riducendo così la valle a poco più di una
gola.
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Fig. 2.4 Bacino del torrente Aveto ( La linea gialla individua i confini del bacino, quelle azzurre il reticolo
idrografico, quella magenta il confine amministrativo tra Provincia di Genova e Provincia di Piacenza all’interno
del bacino)
Il crinale di sinistra presenta un’altezza superiore ai 1000 metri per un’estensione di circa 33
chilometri; molto frastagliato all’inizio (Monte Caucaso) per la composizione di rocce scistose e
tenere, diventa più ampio e regolare per la formazione di rocce dure e calcaree verso il Monte delle
Tane. La costolatura di destra risulta divisa dal torrente Gramizza, sub-affluente dell’Aveto, in due
gruppi: quello del Monte Penna e quello del Monte Maggiorasca, i cui nuclei, costituiti da rocce
diabastiche e serpentinose, furono certamente gli elementi determinanti la valle.
Fig. 2.5 Costolatura di destra
del bacino. Dal’immagine si
possono individuare il gruppo
del Monte Penna e quello del
Monte Maggiorasca suddivisi
dal torrente Gramizza
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La sorgente dell’Aveto o meglio, il punto di impluvio delle acque meteoriche che danno origine al
torrente, si trova ad una quota di poco inferiore alla vetta del Monte Caucaso (1245 m) al passo
dell’Acquapendente ad una quota di 1100 metri. E’ questa una zona di rocce scistose molto friabili
ed è anche per questo che se al Passo della Scoglina (920 m) a causa di una frana o di altre
accidentalità si abbassasse la quota dello spartiacque di qualche metro, l’acqua del rivo, andrebbe
tutta a scorrere verso sud alimentando così il bacino del torrente Lavagna in Val Fontanabuona.
Nel suo corso, di 45 chilometri, l’Aveto, riceve le acque di piccoli ruscelli e torrenti veri e propri.
La maggior parte di questi affluenti ha un regime irregolare essendo questo regolato dalle
precipitazioni atmosferiche e dallo scioglimento delle nevi.
Essenzialmente il corso del torrente Aveto può essere distinto in tre tratte principali:
- La parte iniziale del corso d’acqua e la Piana di Cabanne
- La parte centrale e i principali affluenti
- Il tratto terminale verso la Val Trebbia
Nella parte iniziale del corso, l’Aveto riceve le acque di una decina di ruscelli fra cui il Fosso dei
Rochi che nasce prossimo al paese di Barbagelata, il rio Codorso e il rio Colleretti. Il primo degno
di descrizione è il torrente Salto che immette le proprie acque nel corso principale nei pressi del
paese di Priosa. Il Salto nasce alle pendici del crinale che collega il Monte Collere (1268 m) al
valico del Fregarolo (1203 m) ed ha un corso di circa 6 chilometri.
Scendendo il corso, per la gran parte costeggiato da strade agevoli, il secondo affluente importante è
il rio Ventarola che prende il nome dallo stesso villaggio sui fianchi del Monte Cavallo (1092 m). Il
Ventarola nasce dal Monte Rondanara e riceve nel breve corso le acque del rio Liciorno. Dopo un
breve tratto si getta nell’ Aveto nei pressi di Parazzuolo. La valletta del torrente Ventarola, è una
conca verde molto caratteristica che accoglie chi valica il passo della Forcella (875 m) in direzione
nord. E’ una zona ventosa, ne sono testimoni gli alberi dalle forme contorte che crescono sui crinali;
dal valico della Forcella infatti, passano le correnti d’aria marina che spazzano (e mitigano in
inverno) gran parte della Val d’Aveto.
Ci si trova quindi nella Piana di Cabanne, ampio pianoro un tempo zona acquitrinosa. La tradizione
asserisce che in epoca remota, una frana ostruisse il regolare corso del torrente, causando così il
formarsi una ampia area di acqua stagnante e l’inevitabile impaludamento di questa pianura
descritta dalle cronache dell’epoca come “amenissima”. La bonifica è stata attuata negli anni
intorno al XIII secolo dai frati Benedettini di S.Pietro in Ciel d’Oro di Pavia. Grazie a quegli
interventi, oggi la piana può essere considerata uno dei luoghi più caratteristici di tutta la valle.
In questa zona di recente sono stati sperimentati alcuni interventi di ingegneria naturalistica
finalizzati alla sistemazione spondale del torrente.
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Fig 2.6 I primo tratto del
percorso dell’Aveto con gli
affluenti Salto e Ventarola e
la Piana di Cabanne
Dalla Piana di Cabanne la valle comincia ad ampliarsi, diminuendo notevolmente la pendenza a
causa delle rocce serpentinose di Farfanosa e Costafigara che agirono nel passato come una chiusa;
siamo qui nella parte centrale del corso del torrente.
Dalle chiuse di Massapello l’Aveto precipita per un breve tratto tra scogli e laghetti fino alla zona
compresa tra Brignole, Rezzoaglio ed il ponte di Alpepiana. E’ qui che si arricchisce dell’apporto di
altri affluenti significativi tra cui il Gramizza ed il rio di Santo Stefano d’Aveto. Questi torrenti
dividono il Monte Maggiorasca rispettivamente dal Monte Tomarlo e dal Groppo Rosso.
Fig 2.8 Veduta del Monte Maggiorasca
Fig. 2.7 Il tratto centrale del torrente Aveto ed il
suo affluente Gramizza
T . Ventarola
T . Salto
Piana di Cabanne
Brignole
T. Gramizza
Alpepiana
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In questa zona, verso la valle Sturla, il Monte Aiona (1702 m), che si trova ad occidente del Monte
Penna (1735 m) ed altre cime di minor altezza che gli si collegano sono uniti da una interessante
dorsale pianeggiante, il più alto terrazzo abrasivo che si conosca nella Liguria. Qui hanno origine
una serie di contrafforti e pendii caratterizzati da vallette, foreste di abeti e macchie di faggi, con un
tale campionario di piante alpine e subalpine da giustificare la riserva integrale delle Agoraie e del
Lagastro, e la foresta demaniale delle Lame.
Le due riserve sono sede di depressioni crateriformi di origine glaciale, trasformati in pozzi
assorbenti (non avendo scolo naturale). Queste depressioni danno luogo a piccoli ristagni d’acqua,
che vengono impropriamente definiti laghi. I più notevoli sono i laghi delle Agoraie di cui i
principali sono quattro, contigui, senza emissari; in corrispondenza di un altro rivo, troviamo i due
laghi degli Abeti: uno, detto lago Riondo, è interamente asciutto d’estate, senza emissari in qualsiasi
stagione, poco profondo e melmoso; l’altro, molto più profondo, è un pozzo naturale fornito in tutte
le stagioni da emissari ed è chiamato lago Giavei. Poco lontano dai laghi degli Abeti si incontra il
lago delle Lame o di S.Bartolomeo, crateriforme, incavato nella roccia stessa a monte e limitato da
alture epigeniche a valle; non avendo emissari, le sue acque diminuiscono in tempo di magra.
Fig.2.9 Il Lago delle
Lame
In queste riserve hanno particolare rilievo i valori paesaggistici ed ambientali, come risultante di un
perfetto equilibrio tra gli aspetti geomorfologici del
territorio, la flora e la fauna. Un’altra foresta demaniale
è quella del Monte Penna frutto di recenti
rimboschimenti, ma la cui origine è molto antica.
Fig.2.10 Foresta delle Lame
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Nell’ ultimo tratto del corso dell’Aveto infine le catene dei monti verso la Val Trebbia culminano
dapprima nel Monte Collere (1268 m), poi nel Monte Garba (1326 m), nel Bric Oramara per
proseguire infine nelle cime di Diego (1427 m), nel Monte Veri (1223 m) e nel Monte delle Tane
(1198 m).
Fig.2.11 Il tratto terminale verso la Val Trebbia
Fig.2.12 Immagine della confluenza dell’Aveto con il torrente Trebbia.
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2.1.3 - Orogenesi
Le peculiari vicende geologiche che hanno interessato questa parte di Appennino Genovese hanno
reso il territorio una sorta di “grande laboratorio di geologia”, dove affiorano formazioni rocciose
diverse e interessanti: si va dalle rocce ofiolitiche alle peridotiti Iherzolitiche di fondo oceanico
(Pietra Borghese, un enorme masso lucente ed
elegantemente fratturato, antico di un paio di
miliardi di anni, che per la sua composizione
mineralogica attira i fulmini e fa impazzire le
bussole), dai basalti di fondo oceanico dai basalti
di fondo oceanico a cuscino (ovvero pillow che
caratterizzano il Monte Aiona e il Monte Penna)
ai calcari ricchi in fenomeni carsici con grotte e
doline (Arzeno e in generale la val Graveglia).
Fig 2.13 Pietra Borghese
Il cuore geologico del comprensorio è comunque la Val Graveglia, le cui rocce magmatiche e
metamorfiche racchiudono un enorme varietà di minerali, alcuni nei quali in quantità tali da essere
stati sfruttati per secoli per l’estrazione di metalli (manganese, rame, argento, piombo) e altri
presenti in quantità minime ma dalle composizioni chimiche rare e insolite, quindi di grandissimo
interesse scientifico.
Ma passiamo ora ad un’analisi dell’orogenesi e della formazione della valle più dettagliata.
Milioni di anni fa gli antichi paleocontinenti europeo ed africano erano separati da un mare
profondo: l’oceano Ligure – Piemontese (propaggine occidentale del vasto oceano denominato
“Tetide”), la cui massima espansione si verificò durante il Giurassico superiore, circa 150 Ma fa.
Nel Cretaceo il distacco della placca Adriatica
1
dall’Africa provocò a nord il progressivo
restringimento del bacino Ligure - Piemontese, mentre a sud si verificò l’apertura del bacino
Mediterraneo. La collisione tra le due masse continentali, perdurata in fasi alterne per milioni
d’anni, determinò dapprima la formazione degli embrioni del sistema Alpino - Appenninico
(Cretacico superiore, circa 90 Ma) e infine (Eocene medio, circa 45 Ma) la definitiva chiusura di
quell’arcaico bacino oceanico. Nelle profondità di quell’oceano, come avviene normalmente anche
oggi, dalla profondità della terra venivano estromesse, in corrispondenza della crosta oceanica,
enormi masse di magma vulcanico che, più o meno rapidamente andava solidificandosi. Sul fondo
di questo oceano si depositarono, per decine di milioni di anni, imponenti strati di sedimenti marini
la cui composizione mineralogica e la presenza di varie specie fossili registrano, in modo
indelebile, le condizioni ambientali in cui questi strati si andavano formando, permettendoci di
1
La Placca adriatica o Placca Apula è una placca litosferica minore, generalmente associata alla Placca euroasiatica. Comprende
il mar Ionio settentrionale, il mare Adriatico, il settore settentrionale ed orientale della penisola italiana e le Alpi meridionali
ed orientali. Il nome è di solito adoperato riferendosi al settore settentrionale, deformato durante l'orogenesi alpina. Composta
principalmente da crosta continentale, si è separata dalla Placca africana lungo una faglia trasforme durante il Cretaceo, ed è entrata
in collisione con la placca euroasiatica durante l'orogenesi Alpina, formando le catene delle Alpi e degli Appennini, e provocando
fenomeni magmatici nell'Italia meridionale e nel Tirreno.
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riconoscerli e di suddividere il tempo che ci separa da quegli eventi in ere e periodi geologici. Non è
difficile riconoscere nelle montagne della Val d’Aveto ciò che è rimasto di quel fondo oceanico
portato allo scoperto dall’innalzamento di parti della crosta terrestre e modellato in modo così vario
per il diverso comportamento dei vari tipi di rocce di fronte alle forze erosive.
Nella regione compresa tra il Trebbia e il Tanaro i maggiori rilievi, dagli aspri e frastagliati
contorni, resistenti all’erosione operata dagli agenti atmosferici, ma sensibili all’azione del gelo, a
causa della loro naturale fatturazione, sono costituiti da rocce ofiolitiche, facilmente riconoscibili
perché prive di stratificazione. Queste rocce derivano dalle sub effusioni laviche sottomarine, ricche
di sali di ferro e magnesio, che stazionarono per milioni di anni sul fondo dell’oceano. I più comuni
ofioliti sono le peridotiti, le serpentine (derivate dalle prime per alterazione chimica), i gabbri e i
diabasi; tutte queste rocce hanno una composizione mineralogica simile; ma, essendosi solidificate
in differenti condizioni di temperatura e pressione, mostrano differenze di consistenza, colore e
forma.
Fig. 2.14 La vetta del monte Aiona. Le rocce
ofiolitiche (peridotiti) costituiscono un
paesaggio arido e desolato
In particolare i gabbri sono il corrispondente intrusivo dei basalti, il loro nome deriva dal latino
“glaber” e significa spoglio. Infatti le zone dove sono presenti queste rocce presentano larghe fasce
prive di vegetazione, assumendo a volte sfumature rossastre per ossidazione superficiale dei sali di
ferro che le compongono, colore che si accentua al
tramonto. I diabasi invece sono rocce a composizione
mineralogica identica a quella dei gabbri, ma sussistenti in
giacitura filoniana
2
o subvulcanica. Il loro nome deriva dal
greco διὰ = attraverso e βάσις = che sale, in pratica
significa che sale attraverso le altre rocce.
Fig. 2.15 La vetta del monte Penna costituita prevalentemente da
diabasi e basalti.
2
Le rocce filoniane o ipoabissali sono un tipo di rocce magmatiche, che si raffreddano all' interno della crosta terrestre, a metà tra la
superficie e il camino vulcanico. Il magma incontra una spaccatura nel terreno e penetra; quando si ferma, inizia a solidificarsi
insieme alle rocce circostanti. Le rocce filoniane sono considerate intermedie tra le rocce effusive e quelle intrusive.
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Le serpentine e le peridotiti formano gran parte dei Monti Aiona, Ragola, Nero; i diabasi formano,
invece, il grande scoglio del Monte Penna, i Monti Cantamoro, Maggiorasca, Tomarlo e Groppo
Rosso.
Fig. 2.16 Il Monte Aiona caratterizzato da Peridotiti e serpentiniti ha un aspetto brullo al contrario dei depositi
morenici sotto il monte Penna dove si vede rigoglioso l’omonima foresta.
I rilievi che circondano le vette ofiolitiche, contrariamente a queste, sono costituiti da rocce di
origine sedimentaria, cioè formate da materiale organico ed inorganico depositato e consolidato
sul fondo di quello stesso oceano in cui erano avvenute le eruzioni.
Queste rocce, rispetto alle ofioliti, sono più deboli nei confronti degli agenti erosivi, motivo per cui
i rilievi che sono andate a formare non raggiungono mai, in questo tratto di Appennino, l’altezza
delle vette costituite da rocce di origine vulcanica.
Le rocce sedimentarie si differenziano molto tra loro, proprio perché derivano da depositi marini
costituitisi in epoche diverse e nelle più svariate condizioni ambientali; per semplificare
distingueremo tre tipi principali di formazioni: gli scisti argillosi, i calcari e le arenarie.
Gli scisti
3
sono i sedimenti più antichi, che si depositarono sul fondo dell’oceano più o meno al
tempo in cui avvenivano le eruzioni. La lunga permanenza di questi sedimenti sul fondo marino, in
condizioni di forti pressioni, e la loro composizione mineralogica, hanno determinato la scarsa
resistenza all’erosione delle formazioni a cui hanno dato origine. Nessuna altura di rilievo è formata
da questa roccia, proprio perché tra tutte è la più debole. Gli scisti si riconoscono, sparsi qua e là,
sovente in corrispondenza di valichi, come al Passo del Tomarlo o al Passo dello Zovallo; e, ancora,
sullo spartiacque appenninico, ai Passi della Forcella e della Scoglina (per citare i luoghi più noti),
nei punti, in pratica in cui l’erosione ha colpito maggiormente. In gran parte asportati, gli scisti,
ridotti a minuscoli detriti, sono i maggiori costituenti dei depositi alluvionali quaternari che si sono
formati ai piedi della catena appenninica.
3
Il termine scisto in petrografia indica una roccia metamorfica a grana medio - grossa caratterizzata da una
tessitura scistosa abbastanza marcata, cioè tendente a sfaldarsi facilmente in lastre sottili. Lo scisto è il risultato della
trasformazione di argilla sottoposta ad alte pressioni e temperature nella quale i cristalli micacei (che rappresentano
generalmente circa il 50% dello scisto) si ordinano in una direzione precisa creando delle falde dette appunto piani di
scistosità.
e diabasi
e diabasi
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I calcari sono molto diffusi in questa parte di Appennino e danno origine a vaste e compatte
formazioni geologiche. Rocce calcaree formano, in prevalenza, la sommità della catena che dal
Monte Crociglia si distende fino al Monte Carevolo, tra l’Aveto ed il Nure, e la costiera del Monte
Orocco, che si prolunga fino al Monte Pelpi, a separare il Taro dal Ceno. In vicinanza della Val d’
Aveto, ad ovest del Trebbia, le rocce calcaree costituiscono l’imponente placca dei calcari
dell’Antola.
Le arenarie sono le rocce più giovani, formate da sedimenti sabbiosi grossolani che si depositarono
sul fondo marino, ma provenienti, in epoche relativamente recenti, dallo sfacelo di catene montuose
in formazione, in parte emerse. Queste rocce formano, tra l’altro, gli imponenti baluardi dei monti
Caucaso e Ramaceto.
Sovente i tre tipi di rocce sedimentarie considerate non si presentano in grande masse uniformi, ma
alternate in successioni di strati, originando formazioni geologiche a sé stanti.
Finora è stato spiegato come sia le rocce di origine vulcanica che quelle sedimentarie provengono
da un fondale oceanico; ma nelle formazioni della valle intervenne anche un altro fattore: nei primi
decenni di questo secolo si poté stabilire con certezza che le rocce di origine vulcanica che formano
i gruppi dei Monti Penna, Aiona, Maggiorasca e Ragola, (per non citare tutte la cime sono state
riunite le formazioni ofioliti che dei quattro massicci principali), non sono radicate in profondità,
ma semplicemente inglobate nella formazione rocciosa sedimentaria. Non vi è traccia di vie di
comunicazione tra le masse di roccia eruttiva e le regioni profonde della terra, da cui queste sono
indubbiamente provenute. In altre parole, mancano i “camini” da cui sarebbero saliti i magmi fusi.
Questa osservazione portò la seguente conclusione: queste rocce avevano una giacitura alloctona;
cioè non si trovavano nel posto in cui si erano formate, ma occupavano quella posizione in seguito a
movimenti provocati da enormi forze che avevano sconvolto il fondo dell’antico oceano.
Inoltre un altro fenomeno venne con evidenza dimostrato: stabilita l’età delle varie rocce
sedimentarie, tramite la classificazione degli organismi che vivevano nelle profondità marine
fossilizzatisi in esse durante la sedimentazione, si notò come la successione degli strati calcarei
dell’era terziaria fosse rovesciata e ricoperta, qua e là, dagli scisti argillosi, formatisi molti milioni
di anni prima, durante l’era secondaria. Gli scisti, a loro volta, inglobavano le rocce eruttive, tipiche
formazioni di un oceano ancora in giovane età e quindi ancor più antiche. Si evidenziò così una
completa inversione della serie litologica, per cui rocce più recenti sono sottoposte ad altre
formatesi in ere precedenti. Questo fenomeno venne spiegato tramite la teoria della “tettonica delle
placche”
4
, che ha dimostrato come lenti ma inesorabili movimenti delle croste marine abbia con il
tempo lacerato e piegato quello che era il fondo di un oceano, già di per se vario per la presenza di
rocce eruttive e di varie rocce sedimentarie. Tali movimenti hanno causato lo scorrimento ed il
4
La tettonica delle placche o tettonica a zolle (dal greco τέκτων, tektōn che significa "costruttore") è il modello rappresentativo della
dinamica della Terra, su cui concorda la maggior parte degli scienziati che si occupano di scienze della Terra. Sulla base di
studi geofisici e petrologici si è riconosciuto che la crosta terrestre, insieme alla parte più esterna del mantello superiore sottostante, forma la
cosiddetta litosfera, un involucro caratterizzato da un comportamento fragile anche alla scala del tempo geologico, con uno spessore che va da 0 a
100 km per la litosfera oceanica raggiungendo un massimo di 200 km per quella continentale (in corrispondenza di orogeni). La litosfera è suddivisa
in una decina di "zolle" (o "placche") principali di varia forma e dimensione, più numerose altre micro zolle; queste zolle si possono paragonare a
zattere che "galleggiano" (in equilibrio isostatico) sullo strato immediatamente sottostante del mantello superiore, l'astenosfera. Per effetto combinato
delle elevate temperature, pressioni e dei lunghi tempi di applicazione degli sforzi l'astenosfera, pur essendo allo stato solido, ha un comportamento
plastico, ovvero si comporta come un fluido ad elevata viscosità, i cui movimenti sono significativi su scala geologica, ovvero per tempi dell'ordine
dei milioni di anni. Le zolle tettoniche si possono muovere sopra l'astenosfera e collidere, scorrere l'una accanto all'altra o allontanarsi fra loro. Per
tale motivo, nel corso della storia della terra, l'estensione e la forma di continenti ed oceani hanno subito importanti trasformazioni.