Capitolo 1
Contro il militarismo e la violenza:
breve storia dei movimenti pacifisti israeliani
1.1 – Il XX secolo e gli albori del pacifismo internazionale
Dal punto di vista storico- politico, il „900 è stato sicuramente un
secolo denso di avvenimenti importanti e cruciali che hanno toccato in
maniere diverse la quasi totalità dei paesi del mondo, e di cui tutt‟oggi,
a seconda della personale interpretazione, sentiamo i benefici o
paghiamo le conseguenze. Ci si riferisce ad esempio, in ambito
occidentale, all‟ottenimento di diritti politici e sociali, specialmente
per quanto riguarda le donne, o allo smantellamento di regimi
dittatoriali di stampo fascista o comunista; per quanto riguarda i paesi
del Sud del mondo, salta invece subito alla memoria il sofferto e
agognato processo di decolonizzazione che ha permesso a tanti popoli
di esercitare il proprio diritto all‟autodeterminazione e alla sovranità
statale. Ma più di tutto il resto, le vicende che maggiormente vengono
ricollegate al XX secolo sono le numerose guerre, forse le più
catastrofiche e violente vissute dall‟umanità nel corso della sua storia.
Meno si sa del sentimento antimilitarista presente già nella società
civile ancora prima dello scoppio della Prima Guerra Mondiale,
principalmente nella sfera socialista e in quella che oggi definiremmo
femminista
1
. Anche capi di governo come Woodrow Wilson avevano
avvertito la necessità di relazioni pacifiche tra Stati già al termine del
primo conflitto mondiale, dando impulso alla creazione della Società
delle Nazioni il cui scopo sarebbe dovuto essere proprio quello di
prevenire i conflitti. Com‟è ben noto, l‟impegno dell‟organizzazione
non fu sufficiente per riuscire nel suo intento, tantoché venti anni
dopo la sua creazione lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale fece
1
Si annoverano tra i primi gruppi pacifisti l‟Associazione della riconciliazione (1914), il Partito delle donne per la pace
(1915), il Comitato internazionale delle donne per una pace permanente (1915), l‟Unione americana contro il
militarismo (1915) e la Lega internazionale delle donne per la pace e la libertà (1915), la prima e più importante
associazione pacifista di donne.
ripiombare i popoli in uno stato di conflagrazione ben più sofisticata e
mortale rispetto a quella del 1914-18. L‟impegno degli Stati alla pace
non si esaurì poi con la Società delle Nazioni, anzi questi cercarono di
rafforzarlo dando vita all‟Organizzazione delle Nazioni Unite nel
1945, ancora oggi operativa anche se con capacità di azione e
intervento che suscita non pochi dubbi sulla sua effettiva efficacia. È
di certo legittimo chiedersi se un‟organizzazione, seppur con intenti
pacificatori e di promozione dei diritti umani, creata dalle stesse
Nazioni che praticano l‟arte della guerra possa in effetti rispondere
completamente allo scopo che si è prefissa. Ma al di là di questo
quesito, la domanda che davvero ci si dovrebbe porre, alla luce della
storia, è se la mobilitazione delle masse popolari a favore della pace
non sia più funzionale al raggiungimento dell‟obiettivo. Forse uno dei
primi esempi di vittoria di tale mobilitazione è quello racchiuso
nell‟esperienza della allora colonia indiana a partire dal 1919, quando
il Mahatma Gandhi iniziò a guidare una protesta nonviolenta che durò
fino al 1947, anno in cui l‟India ottenne finalmente l‟indipendenza
dalla potenza coloniale britannica.
Anche l‟impegno della società civile per la pace e l‟antimilitarismo
non cessò né con la Prima né con la Seconda Guerra Mondiale, anzi fu
proprio a partire dal 1945- 50 che le coscienze iniziarono a maturare
in modo più diffuso. Una fetta maggiormente consistente rispetto al
passato dell‟opinione pubblica e delle masse popolari mondiali – forse
per aver vissuto sulla propria pelle gli orrori della guerra, forse per lo
shock causato dal massacro degli ebrei e dei rom da parte del regime
nazista o forse alla luce dell‟incapacità degli organismi internazionali
di mantenere la pace – iniziò ad elaborare l‟idea che la pratica bellica
non fosse poi l‟unico mezzo utilizzabile ai fini del mantenimento
dell‟ordine internazionale, anzi talvolta la guerra era usata dai potenti
come strumento meramente finalizzato al raggiungimento di interessi
economici o politici. Per alcuni la guerra diventò una pratica
deplorevole e da contrastare: dal 1950 in poi ogni conflitto ha visto
così erigersi movimenti di protesta o di resistenza volti
all‟ottenimento di una risoluzione pacifica degli stessi o
all‟eliminazione di qualsiasi tipo di violenza nella gestione delle
relazioni internazionali o nelle vicende intra- statali.
1.2 - Movimenti pacifisti e movimenti anti- guerra
L‟evoluzione e il prolificarsi dei movimenti pacifisti hanno portato
con sé varie modalità di azione e diverse interpretazioni del termine
“pace”. Le credenze di ogni aderente e le vicende storiche che
inquadravano il contesto di nascita di ogni singolo movimento hanno
sicuramente influenzato questa tendenza. Si arriva così alla
distinzione tra i cosiddetti movimenti anti- guerra e i movimenti
pacifisti. I primi sono nati a fronte di una guerra specifica, come ad
esempio quella del Vietnam, che ha visto dilagare ondate di protesta in
tutti gli Stati Uniti. Altro esempio lampante di tali movimenti è quello
nato in seguito all‟attacco americano all‟Afghanistan o all‟Iraq.
I movimenti anti- guerra si pongono quindi degli obiettivi a breve
termine, e spesso nascono e si diffondono nel paese aggressore,
sopendosi poi con il ritiro delle truppe e il ritorno alla normalità. Certo
alcuni studiosi hanno notato come spesso ci sia un‟impossibilità nel
distinguere chiaramente se un movimento o una protesta sia
organizzata contro una guerra particolare o contro i conflitti in
generale: si è notato che questa mancanza di chiarezza è stata sovente
parte della strategia di coloro che cercavano di ottenere la risoluzione
pacifica del conflitto, e anche in questo caso la guerra in Vietnam
rappresenta un buon esempio esplicativo. I movimenti pacifisti, al
contrario, sono quelli i cui membri perseguono un‟idea di pace
globale, con un impegno attivo giorno per giorno che si traduce in
determinati comportamenti in tutte le sfere dell‟esistenza. Tra le
priorità della rete pacifista globale, oltre allo smantellamento del
sistema militaristico e al passaggio ad un approccio nonviolento ai
conflitti, appaiono rivendicazioni quali il diritto alla salute, alla
giustizia sociale e un‟avversione alla diffusione di pericolose
tecnologie, in particolare le armi atomiche e di distruzione di massa.
Al riguardo, un forte movimento statunitense composto da più di
settanta gruppi si oppose strenuamente alla proliferazione
dell‟armamento nucleare nel loro Paese negli anni della Guerra
Fredda.
Seppure spesso ci sia una diversificazione negli obiettivi che i vari
gruppi si prefissano e nelle cause che sposano (alcuni più impegnati
sul fronte ambientalista, altri su quello di integrazione razziale, altri
ancora su quello umanitario, ecc…), la presenza di valori comuni e la
cooperazione tra i diversi movimenti è tale che si è arrivati a parlare
de “il movimento di pace” o de “il movimento anti- guerra”, proprio
ad indicare lo stretto legame e l‟affiliazione che i diversi attivisti di
tutto il globo mostrano sia in termini di interessi politici che di
proposte condivise. È per questo motivo che può capitare di trovarsi di
fronte ad attivisti di varia natura e di diversa estrazione che in egual
modo condanneranno ad esempio il sessismo o aderiranno al
vegetarianesimo o al veganesimo.
1.3 – Eretz Yisrael (la Grande Israele)
2
, l’occupazione e il risveglio delle
coscienze
Il 14 maggio del 1948 David Ben Gurion proclamò l‟indipendenza
dello Stato di Israele. La politica di pulizia etnica della Palestina,
iniziata blandamente e in modo poco controllato prima
dell‟accettazione del piano di partizione da parte dell‟Assemblea
Generale delle Nazioni Unite
3
(25 novembre 1947), fu ora organizzata
meticolosamente attraverso il Piano D
4
. Dall‟aprile- maggio del 1948
il Piano D divenne pienamente operativo, cosicché da questo
momento in poi la repressione del popolo palestinese volta alla sua
2
Eretz Yisrael è un‟espressione dal significato controverso. La più comune definizione del termine, alla quale ci si
attiene, indica l‟attuale Israele insieme con i Territori Palestinesi.
3
Essa si era trasformata all‟inizio del 1947 in un comitato ad hoc sulla questione della Palestina, al fine di esaminare
accuratamente le proposte di spartizione della Palestina tra lo Stato ebraico e quello palestinese avanzate
dall‟Unscop (Comitato speciale delle Nazioni Unite sulla Palestina).
4
Il Piano D (Dalet in ebraico) è la quarta ed ultima versione di piani meno sofisticati che stabilivano il destino che i
sionisti avevano in serbo per la Palestina e per la sua popolazione nativa.
pressoché totale cancellazione, perlomeno dal suolo della Palestina
storica, iniziò ufficialmente il suo corso senza mai più prendersi
tregue, e perpetuandosi ancora ai giorni nostri. Uno dei due obiettivi
5
del Piano D, di gran lunga il più importante, era quello di ripulire il
futuro Stato ebraico dal maggior numero possibile di palestinesi
tramite organizzazioni segrete di difesa quali l‟Haganah e il Palmach
6
,
in cui servivano centinaia di volontari pronti a liberare e mantenere
proprio il territorio che gli era stato destinato al fine di costruirci uno
Stato da molto tempo agognato. I palestinesi furono quindi dipinti e
identificati fin da subito come i nemici da combattere in quanto
minaccia alla propria Nazione. Se i primi leaders dello Stato d‟Israele
avevano già pianificato il destino del popolo palestinese che risiedeva
nelle zone loro assegnate dalle Nazioni Unite, la popolazione ebraica
immigrata in Palestina non si pose di fatto il problema, delegandolo in
toto alla sua dirigenza. È difficile dire se ciò fu conseguenza di un
comportamento ingenuo o di una voluta noncuranza. Da un lato,
l‟esperienza recente della Seconda Guerra Mondiale – la maggior
parte degli ebrei immigrati erano sopravvissuti ai campi di
concentramento nazisti – portò gli ebrei europei ad un esodo di massa
verso uno Stato in cui nessuno più li avrebbe potuti perseguitare;
dall‟altro i più religiosi si sentivano semplicemente in diritto di
trasferirsi e poter abitare quelle terre appartenute loro secondo quanto
scritto nella Torah
7
. Molti altri ebrei avevano creduto all‟idea di uno
Stato sionista di stampo socialista in cui la giustizia sociale, la
democrazia, la tolleranza e il rispetto per il prossimo sarebbero stati il
cardine della nuova Nazione. D‟altronde Hillel il Vecchio, rabbino
illuminato nonché uno dei primi maestri del Testo sacro, vissuto tra il
I secolo a. C. e il I d.C., predicava: “Ciò che non è buono per te non lo
5
Il primo dei due obiettivi del Piano era quello di impadronirsi rapidamente e sistematicamente di qualsiasi
installazione civile e militare abbandonata dai britannici.
6
La prima organizzazione significa letteralmente “difesa” e nasce nel 1920 con lo scopo di reclutare e addestrare
uomini e donne ebree, acquistando inoltre armi; il Palmach nasce invece nel 1941 e il suo nome è traslitterato come
“Compagnie ebree di assalto”, creato per svolgere ordini speciali e pericolosi assegnatigli dall‟Alto Comando
dell‟Haganah.
7
Dal significato letterale di “insegnamento”, è la parola usata in riferimento ai primi 5 libri del Pentateuco, conosciuti
come Antico Testamento nella religione cristiana. È il libro sacro della religione ebraica.
fare al tuo prossimo”. Oltre che per sfuggire all‟antisemitismo e alla
persecuzione, la necessità di uno Stato ebraico era percepita da questi
ebrei come una sorta di ricetta alle ingiustizie, dove si sarebbero
combattuti ogni forma di totalitarismo, di xenofobia, di razzismo e
discriminazione anche, presumibilmente, verso i palestinesi.
Se la porzione di terra presa nel 1948 è considerata dalla quasi
totalità degli ebrei di tutte le ideologie politiche come legittimamente
assegnata e abitata, i problemi iniziarono a sorgere con la guerra dei
sei giorni nel giugno del 1967 e la successiva occupazione delle
Alture del Golan siriane, della Penisola del Sinai egiziana, della
Cisgiordania, della Striscia di Gaza, e di Gerusalemme Est
8
. A questo
punto della storia le vere intenzioni dei leaders sionisti saltarono
abbondantemente agli occhi anche più ingenui e sbadati, e alcune
reazioni di disappunto interne al Paese verso l‟azione politica della
propria dirigenza iniziarono a levarsi. Bisognerà attendere però dieci
anni per veder nascere il primo movimento organizzato e strutturato
che intraprese una vera azione di protesta contro l‟occupazione ormai
consolidata di quelli che, nel frattempo, erano stati battezzati come
Territori Occupati Palestinesi – Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme
Est. Fino a questo momento le uniche attività considerabili in qualche
modo pacifiste erano state organizzate e portate avanti dal Partito
Comunista (Rakah) e dal Matzpen
9
, le cui agende politiche erano
quasi considerate come un anatema dalla maggior parte del pubblico
ebraico- israeliano in quanto anti- sioniste. Furono proprio il Rakah e
il Matzpen a lanciare la formula “Territories for peace” (Territori in
cambio di pace)
10
, che poi sarebbe divenuta famosa tra il popolo
pacifista a partire dalla firma del trattato di pace tra Israele ed Egitto.
8
Se la Penisola del Sinai fu restituita all‟Egitto tra il 1979, anno in cui vennero firmati gli accordo di pace israelo-
egiziani, e il 1982, le Alture del Golan sono tutt‟ora sotto occupazione israeliana così come la Cisgiordania, la
Striscia di Gaza e Gerusalemme Est.
9
Il Matpzen, il cui nome originario era Organizzazione Socialista Israeliana, era un‟organizzazione fondata da alcuni
ex- membri del Partito Comunista Israeliano nel 1962, e rimasta attiva fino al 1980. La sua posizione anti-
capitalista e anti- sionista portò il Matpzen ad elaborare nel 1969 lo slogan “Basta Occupazione” (Down with the
Occupation), ad indicare la loro contrarietà nei riguardi dell‟occupazione di Sinai, Golan, Cisgiordania e Gaza da
parte di Israele, in seguito alla guerra dei sei giorni.
10
Con questa formula si auspicava il ritiro dai territori occupati durante la guerra dei sei giorni in cambio di un accordo
di pace.
Con la nascita di Peace Now nel 1978 si assistette invece alla svolta
della consapevolezza “popolare”: come la Seconda Guerra Mondiale
aveva svegliato le coscienze pacifiste di quasi tutto il mondo, così la
guerra dei sei giorni servì da motore per quelle israeliane. Ancora,
però, soltanto una piccola parte di opinione pubblica iniziò ad agire;
infatti “i più avevano imparato ad ignorare cosa stava succedendo nei
Territori [Palestinesi, N.d.R.] sotto occupazione” (Svirsky, 1996),
probabilmente per la tesi espressa in un‟intervista svolta dalla Prof.ssa
Zambelli alla pacifista israeliana Edna Zaretsky (Zambelli, 2002),
secondo la quale “noi [il popolo ebraico, N.d.R.] percepiamo noi
stessi come le vittime finali, e non ci poniamo mai domande riguardo
alla nostra responsabilità in alcuna relazione, perché noi abbiamo un
ruolo già prestabilito: il ruolo della vittima”.
Con l‟invasione del Libano da parte israeliana nel 1982, di nuovo
alcune voci iniziarono a levarsi. Tra loro, quelle trasversalmente
colpite da una guerra che, per la prima volta dalla nascita dello Stato
di Israele, non vedeva il campo di battaglia nel territorio della
Palestina storica. Erano le voci dei genitori, in particolare delle madri,
dei giovani soldati che stavano combattendo contro gli uomini
dell‟OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina)
11
rifugiatisi nei campi profughi del Paese dei cedri. Parents against
Silence, rinominata dai media del tempo “Mothers against Silence” in
quanto si costituiva in maggior numero di donne, è un‟organizzazione
che rientra nei così detti movimenti anti- guerra in quanto si oppose
specificatamente al conflitto allora in corso, che per l‟ennesima volta
chiamava i loro figli a combattere, per di più in un “Paese straniero,
ostile e pericoloso” (Gillath, 1991). Lo stesso movimento, come
avremo modo di vedere più avanti, si dissolse due anni dopo la sua
creazione, quando le forze di difesa israeliane iniziarono il loro
parziale ritiro dal Libano. Durante la breve vita del movimento, le
attiviste di Parents/Mothers against Silence dovettero affrontare una
11
L‟Organizzazione per la Liberazione della Palestina è un‟organizzazione politica e paramilitare palestinese, fondata
nel 1964 a Gerusalemme in base ad una decisione della Lega Araba. È considerata come la legittima rappresentante
del popolo palestinese, e gode dello status permanente di “osservatore” all‟Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
serie di critiche, talvolta anche violente, rivolte loro da una piccola
fetta di opinione pubblica israeliana che le accusava di “essere in parte
responsabili per ogni vittima deceduta nello scorso mese e mezzo [di
combattimenti in Libano, N.d.R.] a causa della pressione che esse
stanno facendo al sistema militare [israeliano, N.d.R.]” (Gillath, 1991).
Sebbene l‟apprezzamento nei riguardi di Parents against Silence fosse
alto, la partecipazione reale di attiviste/i non superò mai la
cinquantina di membri. Per assistere alla nascita di movimenti
pacifisti – o semplicemente anti- occupazione – di massa, bisognerà
attendere lo scoppio della prima Intifada nel 1987, quando le atrocità
perpetrate dai soldati dell‟IDF (Israeli Defence Force) verso gli
abitanti palestinesi vennero prepotentemente a galla, e “[…] terribili
storie iniziarono ad emergere. […] Nuovi episodi erano rivelatori
della brutalità dei soldati israeliani nel tentare di reprimere la rivolta”
(Svirsky, 1996). Per molti, soprattutto per l‟opinione pubblica liberale
israeliana, la realtà “svelata” divenne insopportabile e il senso di colpa
per aver acconsentito passivamente che si verificasse questa
occupazione per così a lungo iniziò a crescere. Il popolo ebraico, o
almeno una parte di esso, stava reagendo all‟indottrinamento
vittimista e militarista perpetrato dalla Grande Israele. Da questo
momento in poi i gruppi pacifisti israeliani iniziarono un percorso di
costante ascesa numerica e sempre più ampio coinvolgimento.
Prima di ripercorrere la storia dei più rilevanti movimenti per la
pace (a partire dal prossimo paragrafo), è importante sottolineare che
la maggioranza degli attivisti israeliani non condivide obiettivi
ideologici comuni; ciò si traduce in differenti orientamenti politici, in
strutture organizzative e in campagne strategiche a sé stanti. Ci sarà
modo, comunque, di approfondire questi aspetti.