Introduzione
L'analisi dell'evoluzione del ruolo e delle funzioni del Fondo Monetario Internazionale
non può prescindere dal mutamento del contesto mondiale. Da un lato la svolta
fondamentale è stata la fine del sistema di cambi fissi di Bretton Woods, con il
passaggio ad un sistema monetario internazionale di cambi liberi. Dall'altro un ruolo
fondamentale ha svolto il cambiamento culturale a livello globale, avvenuto a partire
dagli anni Ottanta, con l'emergere delle teorie economiche neoliberiste. In questo
passaggio culturale sta il vero cambiamento del Fondo che lo ha portato a rivestire
molteplici ruoli nel corso degli anni ed a modificare le sue funzioni, rispetto al ruolo
originario di stabilizzatore del sistema monetario internazionale. Il processo di
globalizzazione ha accentuato la radicalità del cambiamento e provocato lo
schiacciamento del Fondo su posizioni secondo alcuni troppo legate ad una visione "di
mercato" delle dinamiche economiche e politiche internazionali.
A seguito dell'ultima crisi finanziaria del 2008, Il Fondo è tornato a rivestire un ruolo di
primo piano nel contesto economico e politico globale. Ciò è avvenuto dopo un periodo
di isolamento dell'organizzazione che ha visto, tra il 2002 e il 2008, diminuire
costantemente la sua attività e la sua importanza. I motivi risiedono sia nel giudizio
controverso sulle precedenti attività del Fondo, sia nella ripresa dell'economia mondiale,
con la conseguente diminuzione della richiesta di prestiti da parte dei paesi membri.
Proprio a causa della rinnovata importanza del Fondo, è utile capire quale ruolo
potrebbe essere chiamato a svolgere in futuro all'interno di un contesto economico e
finanziario sempre più complesso ed articolato. Non solo, è necessario anche analizzare
gli interventi più controversi del FMI, nonché gli errori eventualmente commessi. A
questo scopo è importante evidenziare l'evoluzione delle funzioni del Fondo dalla sua
creazione, avvenuta nel 1944, all'inizio del nuovo millennio, nonché l'evoluzione dei
ruoli che l'organizzazione ha svolto. Il mutato ruolo del Fondo rispetto a quello originale
non è oggi facilmente definibile, per via della natura di "club" dell'organizzazione. Esso
non è un'agenzia per gli aiuti, non è una banca, né un prestatore di ultima istanza e
neppure un gestore di crisi finanziarie. Tuttavia ha svolto e continua a svolgere questi
molteplici ruoli, senza che la comunità internazionale si sia preoccupata di definire
quale sia quello primario. Nel primo capitolo si analizzerà l'evoluzione del Fondo dal
dopoguerra in poi, concentrandosi sul cambiamento avvenuto a partire dagli anni '80,
sia nelle funzioni che nel ruolo del Fondo. Inoltre verrà analizzato il cambiamento
culturale a livello globale, con la crisi del sistema di sviluppo keynesiano e l'ascesa del
neoliberismo. Nel secondo capitolo, l'attenzione verrà posta sulla gestione delle crisi
degli anni Novanta e sul default dell'Argentina nel 2001-2002. Inoltre si considereranno
alcuni effetti della implementazione dei programmi del Fondo in Africa, in particolare
in Ghana e Costa D'Avorio e, il perché in generale questi programmi non abbiano avuto
successo nel continente africano.
Nel terzo capitolo, si vedranno i problemi più importanti che limitano sia l'operatività
1
del FMI, sia la sua legittimazione in particolare la contestata condizionalità dei prestiti e
la governance dell'organizzazione. Verranno inoltre esaminate alcune riforme, proposte
o paventate, che dovrebbero ridare slancio sia all'azione del Fondo che alla sua
immagine.
2
Capitolo 1. L'evoluzione del Fondo.
Il Fondo Monetario Internazionale
1
fu creato a seguito degli accordi di Bretton Woods
(BW) nel 1944. Il suo compito doveva essere quello di assicurare liquidità ai paesi
membri che sperimentavano squilibri temporanei nella bilancia dei pagamenti (BDP) in
modo da permetterli di pareggiare lo squilibrio senza allontanarsi dell'obbiettivo della
piena occupazione. Il sistema di BW però, durò solo fino al 1971 quando il governo
americano dovette sospendere la convertibilità del dollaro con l'oro 2
.
Con il crollo del sistema di cambi fissi di BW che aveva favorito un ventennio di
crescita fenomenale dei paesi occidentali, la così detta "età dell'oro", il ruolo originario
del Fondo come stabilizzatore delle relazioni monetarie e finanziarie internazionali,
veniva inevitabilmente a trovarsi in una situazione incerta.
Il periodo che va dal '71 alla fine degli anni '80, fu però di grande trasformazione per il
FMI, una trasformazione senza cambiamenti formali (statutari) evidenti ma in cui si
delineano i compiti che il Fondo andrà a svolgere soprattutto a partire dagli anni '80.
L'affermarsi della funzione di controllo sulle politiche dei paesi membri e, in particolare
la funzione finanziaria concentrata adesso per la quasi totalità verso i paesi in via di
sviluppo (pvs). In realtà, per quanto riguarda quest'ultima funzione, il cambio di rotta si
era già evidenziato a partire dalla metà degli anni '50.
1.1. Dal dopoguerra alla fine dei cambi fissi.
Nel primo periodo post-bellico teoricamente la maggior parte dei finanziamenti del
Fondo erano destinati ai paesi europei, finanziamenti non sufficienti però
all'aggiustamento della bilancia dei pagamenti, in cui i paesi europei avevano disavanzi
enormi per via della guerra. Per questo si argomentò, in particolare gli Stati Uniti, che
destinare le risorse a compiti di di ricostruzione (d'altra parte era già attivo il Piano
Marshall) avrebbe svuotato le riserve in oro e dollari del Fondo, risorse che sarebbero
tornate utili una volta che i paesi europei fossero stati di nuovo in grado di competere
nell'economia mondiale, cosa che si sarebbe verificata di li a pochi anni (Frenkel e
Avemburg 2009). Così il Fondo iniziò a concentrarsi sui paesi in via di sviluppo, ed è
qui che iniziarono a prendere forma alcune delle modalità di accessibilità al credito, ad
esempio la "condizionalità"
3
, che formeranno poi il corpo dottrinale del FMI. I paesi
sudamericani furono i principali beneficiari degli accordi Stand-by
4
per tutti gli anni '50,
1 Da adesso in avanti FMI o Fondo.
2 Per un approfondimento del sistema di BW e delle cause del suo crollo si veda appendice 1.
3 Della quale si parlerà più dettagliatamente nel par.1.5 in relazione con i programmi del Fondo, in
particolare con i programmi di aggiustamento strutturale in Africa. Poi nel capitolo 3 par.3.3 in merito
ad alcuni problemi che presenta il suo utilizzo.
4 È l'accordo più utilizzato dal Fondo, del quale si parlerà nel paragrafo 1.5. Per una visione completa a
proposito degli strumenti a disposizione del FMI si veda appendice 2e.
3
a partire dal primo accordo con il Perù del 1954, dove erano presenti condizionalità
riguardanti un ambito molto più ristretto rispetto a quello odierno. Le principali misure
erano incentrate sulla stabilizzazione del tasso di cambio al livello fissato (Horsefield
1969). Il Perù si impegnava poi a consultazioni frequenti con i tecnici del Fondo, che a
sua volta si impegnava a monitorare attentamente l'utilizzazione dei fondi in rapporto
alla meta stabilita. Vi era stata poi l'esperienza del Messico, che aveva subito 3
svalutazioni tra il '48 e il '54, per cui il Fondo aveva prescritto una politica finanziaria e
salariale urgentemente orientata verso l'obbiettivo della stabilità dei prezzi (De Vries
1987).
Due anni più tardi era la volta del Cile che concluse un accordo con il FMI destinato a
stabilizzare il tasso di cambio, che includeva forti misure antinflazionistiche, così come
limiti quantitativi all'espansione del credito bancario e il divieto di adeguare i salari
all'inflazione. Inoltre il Governo cileno si impegnava a prendere misure per aumentare
le entrate fiscali e ridurre la spesa pubblica (Frenkel e Avenburg 2009) . Qua si intravede
già la visione ufficiale del Fondo nelle decadi successive, che vincolava i limiti
all'espansione del credito alla situazione della BDP, supponendo che le variazioni di
offerta monetaria e di credito avessero un forte impatto sulla domanda aggregata e
quindi sulla BDP.
Dopo l'esperienza con il Messico, lo staff del Fondo incrementò l'utilizzo di tecniche
che facevano affidamento sulle variabili monetarie. Credeva che controllando la
creazione di credito interno durante il periodo dell'accordo di Stand-by così da
eguagliare la variazione stimata di domanda di moneta, le autorità avrebbero potuto
tenere i conti con l'estero in equilibrio e la variazione delle riserve internazionali a zero.
Il primo intervento di un certo livello del Fondo fu quello di Suez del '56 (Boughton
2000). Per la prima volta il FMI fu chiamato ad aiutare i suoi membri in seguito ad una
crisi internazionale. Pur essendo una crisi politica e non economica (almeno non in
prima battuta) l'intervento del Fondo fu comunque importante. Il finanziamento più
ingente andò al Regno Unito, con uno accordo Stand-by con il quale Londra avrebbe
potuto ricevere circa 740 milioni di dollari, dopo che la settimana prima aveva già
ritirato la propria tranche in oro e la prima tranche del prestito per un ammontare di 561
milioni di Dollari. Quindi l'intervento solo per il Regno Unito fu nell'ordine del miliardo
di dollari, più gli interventi a favore di Francia, Egitto e Israele. Nei 10 anni precedenti
il Fondo aveva posto in essere interventi a favore dei paesi membri per un totale di
appena 135 milioni di dollari. Ma ciò che destò maggior scalpore fu che all'aiuto alla
Gran Bretagna non fu posta nessuna condizionalità, in quanto fu un accordo rivolto a
proteggere le riserve del paese contro i flussi speculativi e non a correggere squilibri
nella bilancia dei pagamenti. Ciò non impedì al Fondo di approvare l'accordo.
Comunque sia, Suez rappresentò un importante pubblicità per l'organizzazione il cui
ruolo come istituto di credito usciva rafforzato (Boughton 2000) .
In questi anni la funzione del FMI, seppur già parzialmente diversa rispetto ai suoi
compiti originari, subì un ulteriore ridimensionamento. Nel periodo immediatamente
4
successivo al crollo di BW, il ruolo del Fondo era già stato confinato nel campo della
politica economica e solo indirettamente coinvolto nelle questioni dei mercati finanziari.
Con il passaggio ad un sistema di cambi liberi infatti, il FMI dovette inevitabilmente
modificare le sue funzioni: veniva meno quella principe dell'istituzione, ovvero il ruolo
di stabilizzatore delle bilance dei pagamenti dei paesi sviluppati e si incrementava
quello di controllo delle politiche macroeconomiche dei paesi membri che diventava
una vera e propria sorveglianza continua così come la conosciamo oggi. Si assistette,
inoltre, ad un aumento del ruolo delle banche private internazionali in particolare nel
riciclaggio dei petrodollari a seguito della prima crisi petrolifera del '73, ad un riduzione
dell'importanza delle riserve internazionali in un contesto di forte mobilità di capitali e
cambi flessibili, così come all'aumento della regionalizzazione europea che ridusse il
ruolo sistemico del FMI. In poche parole adesso i paesi potevano anche prendere a
prestito sui mercati privati dei capitali. Il sistema monetario internazionale fu
sostanzialmente privatizzato e il Fondo emarginato (Bird 2007) .
1.2 L'ascesa delle teorie neoliberiste.
L'emarginazione del Fondo coincise temporalmente con l'emergere di una scuola di
pensiero particolarmente critica verso le teorie keynesiane che avevano sorretto il
sistema economico occidentale dal post-guerra in poi e che erano alla base
dell'economia mista.
Tra la seconda guerra mondiale e la crisi degli anni '70, i politici tesero pesantemente ad
affidarsi all'esercizio del potere statale nella loro ricerca di sviluppo e prosperità. I
governi regolamentavano i mercati, quando addirittura non li controllavano (Cohen e
Centeno 2006) , sino a quando una lunga serie di avvenimenti negativi portò alla
situazione di stagflazione, questo interventismo del governo nell'economia ha iniziato
ad essere preso di mira da una forza intellettuale e politica che vantava sempre più
credito sopratutto in ambito accademico.
Ciò che spiazzo gli economisti del tempo, fu in particolare la stagflazione, cioè l'insieme
di alti tassi di disoccupazione e alti tassi di inflazione, situazione non prevista dalla
teoria della curva di Phillips, la quale diceva che esiste una relazione inversa fra
inflazione e disoccupazione. Secondo gli economisti quindi il trade-off dei governi era
quello tra inflazione e disoccupazione e di conseguenza gli interventi dovevano andare a
privilegiare di volta in volta uno dei due obbiettivi.
Come riassume Harvey (2005, pp 39-76) quello che caratterizzava il pensiero
economico dagli anni '50, era la convinzione che lo Stato dovesse concentrarsi sugli
obbiettivi della piena occupazione, crescita economica e il benessere dei suoi cittadini, e
il potere dello stato dovesse essere liberamente utilizzato, a fianco o, se necessario in
sostituzione dei processi di mercato per raggiungere tali fini. Le politiche fiscali e
monetarie normalmente chiamate keynesiane, furono ampiamente utilizzate per
5
smorzare i cicli economici e garantire la piena occupazione. Un compromesso tra
capitale e lavoro veniva di solito invocato come la chiave della pace e della tranquillità
domestica. Lo Stato interveniva attivamente nella politica industriale si impegnava per
imporre determinati standard di salario, costruendo una varietà di sistemi sociali,
sopratutto salute e sanità.
Questa forma di economia politica basata sul compromesso, su un sistema di regole che
in qualche modo la imbriglia, la tiene concentrata sugli obbiettivi detti sopra, è stata
chiamata "embedded liberalism" (Ruggie 1982), " embedded" per differenziarlo dal
liberalismo già conosciuto in precedenza.
La nascita delle idee neoliberiste è tradizionalmente attribuita agli economisti della così
detta "scuola austriaca" e della "scuola di Chicago". I nomi più conosciuti sono
sicuramente quelli di Von Hayek e di Friedman, ma a partire dai primi anni '70 si creò
una cerchia attorno all'università di Chicago di un centinaio di accademici che riuscì in
brevissimo tempo a diffondere le idee neoliberiste in tutti i campi del sapere e della cosa
pubblica in America ed in Europa. Per comprendere anche la svolta che si ebbe a metà
degli anni settanta basta pensare che il Nobel per l'economia andò nel 1974 a Von
Hayek e nel 1976 a Friedman. Nel complesso, a partire dal dal 1974, otto professori
della Chicago School Of Economy ed altri undici ad essa associati per qualche tempo,
hanno vinto il Nobel per l'economia (Yergin e Stanislaw 2000). Fu in definitiva
un'ascesa legittimata da un consenso internazionale piuttosto diffuso non solo in ambito
accademico ma anche politico, dato che, come è noto, il Nobel non sempre premia i
risultati accademici a prescindere da considerazioni di più ampia portata.
La svolta neoliberista fu legittimata anche dal consenso popolare generatosi attraverso
diversi canali. Forti influenze ideologiche circolarono attraverso le grandi aziende,
sopratutto multinazionali, i media, e numerose istituzioni che costituiscono la società
civile, quali università, scuole, associazioni professionali e anche chiese. L'avanzare
delle idee neoliberiste attraverso queste istituzioni, l'organizzazione di centri studi con il
sostegno aziendale e finanziamenti privati, la "cattura" di certi segmenti dei media e la
conversione di molti intellettuali al modo di pensare neoliberista crearono il clima di
opinione in supporto del neoliberismo come unico garante della libertà. L'effetto in
molte parti del mondo è sempre stato quello di vedere il neoliberismo come necessario,
persino naturale, modo per regolare l'ordine sociale. Il ruolo dello Stato nella teoria
neoliberista è ragionevolmente facile da definire. In accordo con la teoria, lo Stato
neoliberista dovrebbe favorire con forza i diritti individuali di proprietà privata, lo stato
di diritto, e le istituzioni che sostengono il funzionamento libero dei mercati e del
commercio. L'impresa privata e l'iniziativa imprenditoriale sono viste come la chiave
dell'innovazione e la privatizzazione come sinonimo di efficienza e, si sostiene che
l'eliminazione della povertà possa essere raggiunta attraverso il libero mercato e il libero
commercio; l'idea del " trickle down " (Harvey 2005, pp 39-86).
La svolta nei paesi occidentali fu ottenuta con metodi democratici, mentre in America
Latina seguirà i golpe militari in Cile e Argentina. In particolare il Cile sarà il banco di
6
prova delle teorie neoliberiste, mentre l'Argentina diventerà più avanti, negli anni
ottanta e poi novanta con la presidenza Menem il migliore allievo del FMI e sarà
additato ad esempio dei benefici del Washington Consensus.
L'idea di fondo neoliberista è in fin dei conti piuttosto semplice: l'intervento dello stato
nel mercato è sempre negativo, i mercati sono per natura in grado di autoregolarsi, come
se la domanda, l'inflazione, la disoccupazione, funzionassero alla stregua di forze
naturali, dando vita ad un sistema dove si produce la giusta quantità di beni al giusto
prezzo, prodotta da lavoratori che percepiscono il giusto salario sufficiente a comprare
quei beni. Se qualcosa non funziona la colpa è dell'intervento dello Stato che devia il
naturale funzionamento del mercato. Una caratteristica generale del neoliberalismo è il
desiderio di intensificare ed espandere il mercato, aumentando il numero, la frequenza,
la ripetibilità e la formalizzazione delle transazioni (Treanor 2005).
Le caratteristiche principali del pensiero neoliberista sono tre:
– L'eliminazione di qualsiasi impedimento al mercato, non semplicemente al
commercio con l'eliminazione di dazi e tasse protezionistiche, ma intenso nel
senso più ampio possibile. In particolare esteso ai mercati dei capitali con
l'eliminazione di qualsiasi controllo e impedimento ai flussi di capitale. La così
detta "deregulation", che è soltanto iniziata al principio degli anni Ottanta ma
che si è completata poi all'inizio del 2000 e che ha contribuito all'instabilità dei
mercati che conosciamo oggi.
– Le privatizzazioni, che riflettono il dogma liberale della maggiore efficienza
della gestione privata rispetto a quella pubblica. Friedman (1995) per esempio
proponeva la privatizzazione della Scuola, ma sono state proposte anche,
privatizzazioni delle Poste, delle Pensioni, dei Parchi, della Sanità, quest'ultima
negli States in gran parte già in mano ai privati. In Europa invece erano tutti
settori completamente in mano pubblica e non era neanche concepibile
privatizzarli.
– La riduzione delle spese sociali, riduzione drastica delle spese per sanità,
pensioni, sussidi di disoccupazione, tasse. In particolare un'idea diffusa è non
solo di ridurre le tasse ma anche di avere una tassazione unica, indipendente dal
livello del reddito; quindi l'abolizione delle aliquote progressive.
L'eliminazione delle barriere commerciali e le privatizzazione, rientrano nella classica
visione liberale dell'economia, mentre ciò che andava profondamente contro il
mainstream keynesiano era la drastica riduzione della spesa pubblica e la
liberalizzazione dei mercati finanziari.
In particolare la riduzione della spesa pubblica segnava il cambiamento da una visione
dell'economia, come quella keynesiana, centrata sul ruolo della domanda, a quella
dell'offerta.
Se le politiche keynesiane enfatizzavano il ruolo della domanda aggregata di beni e
servizi e dell'intervento dello stato per sostenerla, i neoliberisti enfatizzavano il ruolo
7
dell'offerta
5
nello stimolare la crescita economica, il cui sostegno deve avvenire
attraverso l'effetto incentivo di una minore tassazione
6
. L'offerta stimolerebbe, in un
circolo virtuoso, il risparmio e gli investimenti e quindi una maggiore crescita che a sua
volta si rifletterebbe in maggiori entrate fiscali, nonostante la diminuzione delle
aliquote. Inoltre causerebbe effetti positivi sull'inflazione grazie allo stimolo stesso
dell'offerta.
L'inflazione appunto era poi la preoccupazione principale di Friedman e dei seguaci
della scuola monetarista, secondo i quali l'inflazione era un fenomeno esclusivamente
monetario e come tale doveva essere trattato. Proponevano quindi, che l'aumento
dell'offerta monetaria crescesse ad un tasso fisso all'anno in proporzione alla crescita
dell'economia. Questo perché, quando quantità di denaro e PIL crescono di pari passo,
la domanda e l'offerta si bilanciano e i prezzi rimangono stabili. Vedevano quindi, le
politiche keynesiane di iniezione di liquidità tramite l'aumento della spesa pubblica
come sbagliate.
Gli assunti della scuola neoliberista sono divenuti in pochi anni veri e propri assiomi,
sia a causa della crisi dei modelli keynesiani di sviluppo, ma anche grazie ad una
caratteristica particolare della teoria neoliberista, ovvero il fatto di non essere
semplicemente una dottrina economica ma una vera e propria ideologia (Treanor 2005).
1.3. La crisi del debito degli anni Ottanta
L'inizio degli anni Ottanta coincide con l'istituzionalizzazione delle teorie neoliberiste,
ad opera dei governi Reagan in America e Tachter in Gran Bretagna, oltre che dei
governi socialisti e democristiani rispettivamente in Francia e Germania
7
. Coincide
anche con una grande crisi debitoria mondiale, non la prima della storia ma certamente
la prima di tale grandezza.
Nel mese di Agosto del 1982, due anni di progressivo peggioramento delle condizioni
dei mercati del debito internazionale condussero ad una crisi economica e finanziaria.
Una manciata di paesi, tra cui Ungheria, Polonia, Jugoslavia e Marocco avevano già
sperimentato la mancanza di fiducia da parte delle banche internazionali creditrici che
avevano voltato le spalle a questi paesi già nel '81 e poi a metà del '82 (Boughton 2000) .
5 Uno specifico filone del pensiero neoliberista è quello della supply-side economics . I supply-siders
proponevano una politica fiscale volta ad incoraggiare l'offerta, per esempio attraverso agevolazioni
fiscali ai produttori. Si veda per esempio: Lucas R.Jr (1990).
6 Molto diffusa l'idea di Laffer e della curva omonima negli anni '80 durante le amministrazioni Reagan,
che metteva in relazione le aliquote di imposta con le entrare fiscali, sostenendo che ci sia un livello di
imposta oltre il quale l'attività economica non sia più conveniente. In realtà pur applicata in quegli
anni è stata poi parzialmente smentita in quanto risultava valida solo in situazioni di pressione fiscale
superiore al 70%, in quegli anni la pressione massima era al di sotto del 30%. Tra l'altro è vero che
durante la presidenza Reagan si registrò un aumento delle entrate fiscali, ma anche un incremento
spaventoso del debito pubblico dovuto al programma di massiccio riarmamento e al programma " Star
Wars ". Per la curva di Laffer si veda Laffer (2004); per una critica Stiglitz (2003a).
7 A dimostrazione della trasversalità politica che le idee neoliberiste ebbero e continuano ad avere nel
mondo.
8
Ma quando fu la volta del Messico (il cui governo notificò al presidente della Fed, al
Segretario del Tesoro americano e al Direttore Generale del Fondo che non sarebbe stato
in grado di ripagare le obbligazioni in scadenza del debito, che era al tempo intorno agli
80 miliardi di dollari) la crisi assunse proporzioni sistemiche. Nel giro di pochi mesi
anche Argentina, Brasile e Cile accusavano pesanti difficoltà, difficoltà che si
protrarranno fino ai primi anni '90, quando i Brady Bonds 8
si sostituiranno ai debiti dei
paesi maggiormente a rischio.
La crisi del debito ha avuto un grosso impatto sulla trasformazione del FMI. Se
precedentemente abbiamo evidenziato un primo punto di svolta con la crisi di Suez, la
crisi del dollaro del '68 e il primo shock petrolifero, che avevano provocato un aumento
considerevole delle richieste di prestiti senza tuttavia cambiare in maniera fondamentale
il modo di lavorare del FMI, la crisi del debito catapulta l'organizzazione nel ruolo di
gestore di crisi internazionali (Boughton 2004) .
La crisi del 1982 era diversa perché la gamma di creditori che si ritrovavano esposti in
particolare nei paesi sudamericani era piuttosto eterogenea e rendeva improbabile la
risoluzione senza l'intervento di una agente esterno sovranazionale.
Il FMI svolse un duplice essenziale ruolo in questa fase (Boughton 2000) : in primo
luogo l'accordo tra il Direttore Generale del Fondo (al tempo De Larosiere) e il Ministro
delle Finanze messicano per negoziare un programma di aggiustamento, rappresentò
una via di uscita e permise anche di giustificare nuovi prestiti da parte dei creditori
ufficiali. Partì una missione del personale del Fondo alla volta di Città del Messico per
stipulare un accordo provvisorio, che diede ossigeno alla situazione debitoria
messicana.
In secondo luogo il Fondo aveva ideato una soluzione per risolvere il problema dal gran
numero di creditori privati del Messico. La procedura normale del Fondo era quella era
quella di stimare l'ammontare totale della richiesta di finanziamento e stabilire in base
alle regole dell'istituzione, quanto di questo ammontare dovesse essere coperto dal
Fondo. Successivamente approvava il pacchetto di aiuti nel caso ritenesse immediato un
effetto incentivo sulla copertura del restante ammontare da parte dei creditori. Nel caso
del Messico questo sistema non poteva funzionare perché i creditori non erano
intenzionati a colmare il gap. L'intuizione fondamentale del Direttore Generale del
Fondo si basava sul fatto che ogni banca creditrice avesse un interesse a ridurre la
propria esposizione, quindi tutte le banche avevano un interesse collettivo a mantenere
intatta la capacità del Messico di ripagare i propri debiti, anche se questo avrebbe
significato aumentare la propria esposizione concedendo ulteriori prestiti.
Sia la strategia sul debito sia il ruolo del Fondo evolverono dall'inizio della crisi alla sua
conclusione. I prestiti concertati però, avevano un punto debole fondamentale, non
8 Questa tipologia di titoli venne utilizzata alla fine degli anni '80 dall'allora amministrazione Bush per
arginare la crisi del debito di alcuni stati latino-americani. In quel caso, alle banche commerciali che
detenevano attività finanziarie verso i paesi del Sud America venne concessa la possibilità di sostituire
i propri crediti inesigibili con bonds a lunga scadenza e cedole di ammontare ridotto garantiti dal
Tesoro americano, emessi alla pari.
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