7
Introduzione
Il De re aedificatoria, scritto da Alberti nella seconda metà del ‘400,
rappresenta il primo Trattato di architettura moderna nel quale l’autore si prefigge
il compito di conferire dignità all’architettura, redigendo un’opera che si propone
di rendere comprensibile il piø possibile la complessità della res aedificatoria
che, sino ad allora, era stata tramandata attraverso il tirocinio nei cantieri e nelle
botteghe.
Il Trattato è un’opera composta esclusivamente di sole ‘parole’, in cui
l’architettura viene ‘raccontata’, con tale precisione da eludere l’utilizzo di
schemi grafici esplicativi. Tale caratteristica, spesso è stato interpretata,
erroneamente, come una carenza pragmatica dell’artista, considerato troppo
teorico. Al contrario, Alberti riesce a coniare un ‘linguaggio architettonico’ che
definisce, in modo perspicuo e tangibile, la realizzazione di manufatti
architettonici.
Tale peculiarità ha suscitato l’interesse che ha condotto, in questo lavoro, a
cercare di comprendere e realizzare graficamente le immagini che possono essere
estrapolate dall’opera albertiana la quale, attraverso un nuovo e moderno idioma
architettonico, delimita schemi edificatori universali formalizzati tramite ‘disegni
intellettuali’ ben precisi e realizzabili.
Il lavoro intrapreso si prefigge lo scopo di enumerare le possibili
combinazioni tipologiche concernenti la rappresentazione di “templi
quadrangolari” (per Alberti Chiese cristiane). Attraverso l’esecuzione di schemi
grafici, ottenuti assemblando le differenti porzioni riguardanti il ‘discorso’ della
costruzione di un tempio, si è cercato di rappresentare le immagini astratte, ma
insite nell’opera, che Alberti e gli architetti suoi contemporanei ideavano
leggendo il De re aedificatoria.
Si è preso in esame esclusivamente la fabbrica templare, perchØ per Alberti il
tempio rappresenta il massimo esempio di architettura monumentale che una città
deve possedere, in quanto riproduce in terra la casa di Dio, luogo di meditazione
in cui l’uomo avverte la presenza del Divino. Allo stesso tempo, il tempio trae
origine dalle architetture antiche che, per Alberti, costituiscono il massimo
8
esempio di architettura raggiunto dall’uomo, alla quale gli architetti rinascimentali
devono ambire per ripristinare i grandi valori morali della società antica.
1
Il
tempio pagano che spesso nel Rinascimento è stato riadattato a Chiesa cristiana
(come ad esempio il Pantheon), rappresenta per Alberti un connubio perfetto tra
antico e moderno e, per questo, meritevole piø di ogni altra costruzione.
L’originalità di Alberti, che caratterizza sia la sua produzione architettonica
sia la sua produzione letteraria, ricade proprio nella capacità di “riordinare e
fondere in una nuova unità frammenti di provenienza diversa”.
2
L’architettura del tempio deve essere ‘perfetta’, estremamente equilibrata in
tutte le sue parti, in modo tale da consentire all’uomo di cogliere
inconsapevolmente le leggi dell’armonia dell’universo, comprendendo la
magnificenza di Dio. Alberti, a partire dal prologo del Trattato, mette in evidenza
l’importanza della corrispondenza tra linee e rapporti proporzionali, che
determinano l’origine principale della bellezza. Egli paragona l’edificio ad un
essere vivente, in cui ogni parte deve corrispondere perfettamente alle altre che
compongono il tutto, tale concezione è ripresa da Vitruvio che, nel De
Architettura, aveva rapportato le caratteristiche fisiche del corpo umano alla
simmetria e alla proporzione dell’architettura dei templi .
3
La bellezza per Alberti è costituita dalla concinnitas (armonia), creatrice di
ogni forma di bellezza. La concinnitas si esprime in architettura per mezzo del
numerus (termine che per Alberti ha un triplice significato, numerus inteso come
quantità, qualità e forma),
4
della collocatio, riguardante la posizione delle parti di
un edificio e della finitio, che rappresenta il legame tra le linee (altezza, larghezza,
lunghezza) che definiscono l’edificio ricavato dai rapporti armonici, alla base di
tutta la produzione architettonica albertiana.
Il tempio deve aderire necessariamente alle leggi dell’armonia universale e
alla morfologia proveniente dalle architetture degli Antichi, queste premesse
garantiscono l’esecuzione di una ‘buona architettura’.
1
L. Patetta, 2005, pp. 110-114.
2
C. Grayson, 1994, p. 26.
3
R. Tavernor, 1994, p. 300.
4
M. Karvouni, 1994, pp.282-283
9
Alberti non dispone, all’interno del Trattato, di regole precise ma, propone
norme che determinano una vasta gamma di possibilità,
5
tutte legittime, perchØ
aderenti alle leggi armoniose del cosmo.
Affrontando il tema della realizzazione grafica delle prescrizioni istituite da
Alberti per la realizzazione di “templi quadrangolari”, si è partiti cercando di
individuare, nei diversi Libri del Trattato, le parti riguardanti la realizzazione di
una fabbrica templare. Successivamente, individuati tutti i componenti invariabili
per la definizione di un templum, questi sono stati rappresentati graficamente e, in
un secondo tempo assemblati nell’insieme.
Le tipologie analizzate sono state suddivise in “templi minori” di ordine
dorico, “templi maggiori” di ordine ionico e “templi massimi” corinzi.
La mancanza di regole precise per la composizione tipologica di una fabbrica
templare, ha condotto a numerose tipologie planimetriche che, caratterizzate da
rapporti proporzionali numerici corrispondenti a rapporti armonici, sono risultate
tutte ugualmente accettabili secondo la teoria armonica dei piccoli numeri interi,
alla base di tutto il pensiero progettuale albertiano. Incuriositi da tale molteplicità
di soluzioni, si è cercato di calcolare numericamente le possibili planimetrie
templari relative a “templi massimi”, aventi una pianta con longitudo e latitudo in
un rapporto proporzionale pari a 2:1 (dupla) rispettivamente con uno, tre e cinque
tribunalia per lato.
Individuate le numerose tipologie planimetriche estrapolate dalle generali
norme stabilite nel De re aedificatoria, si sono effettuate ulteriori scelte per
rappresentare le piante di “templi minori, maggiori e massimi”.
Per raffigurare “templi minori” si è preferito il rapporto proporzionale tra
longitudo e latitudo della pianta del tempio pari a 4:3 (sesquitertia)
6
, per “templi
maggiori” si è utilizzato il rapporto proporzionale tra lunghezza e larghezza della
pianta pari a 3:2 (sesquialtera)
7
, per “templi massimi” si è adoperato quello pari a
2:1 (dupla)
8
e, in quest’ultimo caso, si è ipotizzata una pianta con un grande
5
G. Morolli, M. Guzzon, 1994, p. 11.
6
In latino significa, uno piø un terzo
7
In latino, uno piø un mezzo
8
In latino, doppia
10
tribunal laterale (a mo’ di transetto) e una pianta con cinque piø piccole cappelle
laterali.
La determinazione di alcune norme riguardanti parti essenziali per la
rappresentazione di un tempio, come ad esempio il differente posizionamento
delle mura rispetto alla ‘linea generatrice’ che definisce le proporzioni della ‘cella
matrice’ origine del tempio stesso, oppure tutta la porzione riguardante le altezze
relative per un tempio quadrangolare o per le cappelle laterali del tempio, sono
risultate, in parte non complessivamente racchiuse all’interno del Capitolo
relativo ai templi quadrangolari ma, disperse in tutto il Trattato, in parte
sottaciute. Infatti, le norme che Alberti istituisce per le altezze dei templi rotondi
sono perfettamente adattabili a quelle dei templi quadrangolari, così come le
altezze degli intercolumni delle arcate su pilastri (quelle relative all’intercolumnio
“rado” e “quasi rado”) sono adattabili a quelle delle cappelle laterali dei templi.
9
Le norme invece non esplicitamente espresse, come ad esempio le altezze dei
portici del tempio, sono ‘automaticamente’ ricavabili nel momento in cui si
definiscono le scelte principali per la realizzazione della fabbrica templare, come
ad esempio l’ordine architettonico e l’intercolumnio del portico. Alberti non
individuando regole precise ma solo norme generali lascia libera scelta
all’architetto che può spaziare all’interno del Trattato per cercare la soluzione piø
idonea da adottare per la realizzazione di una fabbrica templare. Questa
peculiarità del Trattato ha condotto a formulare delle scelte arbitrarie, utilizzando
norme fornite all’interno dell’opera ma, pertinenti ad altri argomenti.
Ad esempio, per la realizzazione delle altezze della ‘cella matrice’ del tempio,
si sono prese in considerazione le proporzioni altimetriche istituite da Alberti per
templi rotondi (larghezza del prospetto e altezza della parete laterale all’imposta
della volta della ‘cella matrice’ pari a 2:1, 4:3, 3:2, 1:1) e, per definire le altezze
delle cappelle laterali e delle absidi, si sono utilizzate quelle riguardanti gli
intercolumni per le arcate su pilastri.
Tali ipotesi effettuate all’inizio della rappresentazione sono state adottate per
la riproduzione di tutti i prospetti templari rispettivamente per “templi minori,
maggiori e massimi”. Alcune di queste scelte arbitrarie sono risultate accettabili,
9
G. Morolli, M. Guzzon, 1994, p. 123.
11
infatti, nel momento in cui tutte le molteplici componenti riguardanti una fabbrica
templare sono state assemblate nel complesso, le ‘coincidenze’ che, in certi casi,
si sono verificate, hanno circoscritto rapporti armonici ed hanno confermato le
prescrizioni espresse da Alberti, convalidando in questo modo che, le norme
disseminate nelle varie parti del Trattato sono valide per ogni argomento e che,
quindi, l’opera nel suo complesso è precisa, in quanto specifica, in ogni sua parte,
la realizzazione di una fabbrica templare.
Ogni tipologia templare estrapolata dal Trattato è risultata composta da
rapporti numerici corrispondenti a rapporti armonici. La ricerca delle proporzioni
armoniche degli elementi che caratterizzano il tempio è risultata composta sia, da
rapporti armonici consonanti ed esplicitamente espressi nel Trattato sia, da
rapporti armonici, considerati al tempo di Alberti, dissonanti e, per tale motivo,
non manifestamente rivelati nell’opera ma, ugualmente adoperati nella
determinazione delle parti essenziali di una fabbrica templare.
L’utilizzo del computer nelle rappresentazioni grafiche se, da un lato ha
messo in evidenza piccole imprecisioni che un disegno manuale non avrebbe
messo in luce, dall’altro ha messo in risalto con quanta ‘precisione’ la ‘parola
albertiana’ istituisce la rappresentazione dei suoi templa.
Le numerose tipologie scaturite dall’analisi effettuata esibiscono come
denominatore comune la presenza di rapporti proporzionali armonici e una
morfologia antichizzante che garantiscono, anche nella loro molteplice diversità
tipologica, l’aderenza alle leggi armoniose universalmente valide, sinonimo e
garanzia, secondo il pensiero albertiano, di una meritevole architettura.
Interessante è osservare che, man mano che si procede nella rappresentazione
di fabbriche templari a partire da “templi minori” sino a giungere a “templi
massimi”, si verifica una sostanziale riduzione delle possibilità alternative
facoltative, a dimostrazione del fatto che all’aumentare dell’importanza del
templum, che raggiunge la sua massima espressione nel templum robustissimum,
Alberti istituisce delle norme che determinano in modo piø dettagliato l’immagine
del tempio da lui plausibilmente preferita, come accade per la realizzazione, presa
in esame, per il “tempio massimo” corinzio.
12
Alberti, dunque, per mezzo della sola parola, piø precisa, istituisce le linee
guida generali della res aedificatoria, garantendo in questo modo una
divulgazione dell’opera sempre esatta, rispetto alla diffusione di un Trattato
accompagnato da schemi grafici che, a causa della divulgazione in forma
manoscritta, avrebbe inevitabilmente condotto a degli errori di rappresentazione
e allo stesso tempo avrebbe limitato il lavoro dell’architetto a quello di semplice
copiatore.
10
In conclusione Alberti come scopo non aveva:
la regola, alla cui proposizione in genere la creatività artistica risponde con la
fantasiosità della deroga, ma la norma, un canone, un codice generale di
comportamento estetico le cui maglie fossero tanto rigorose, chiare ed esplicite
quanto duttili, ampie, feconde di impliciti sviluppi e soprattutto tolleranti delle
infinite modificazioni che il genio, e del singolo artista, e dell’ambito culturale in
cui e per cui le opere da questo venivano concepite, fosse di volta in volta
necessitato ad incarnare.
11
10
Op. cit., p. 11.
11
Ibidem.
13
1. DE RE AEDIFICATORIA
1.1 Il Trattato
Leon Battista Alberti scrive il De re aedificatoria tra il 1443 e il 1452 a
Roma, anni in cui la città è interessata dal programma di sistemazione urbanistica
e restauro edilizio promosso da Papa Niccolò V, il Trattato è dedicato al Pontefice
nel ’52, anche se, numerose correzioni e aggiornamenti vengono apportati
dall’architetto durante tutta la sua vita, fino al 1472 anno della morte. Il testo
dell’opera, scritto in latino, è rimasto in forma manoscritta fino al 1485, anno in
cui venne pubblicato in stampa a Firenze, con dedica a Lorenzo il Magnifico e
prefazione di Angelo Poliziano.
Da un punto di vista strutturale il Trattato è diviso in due parti principali, i
primi cinque libri riguardano la struttura vera e propria di un manufatto, i
materiali di costruzione, la messa in opera, i vari tipi di architetture che vengono
suddivise in private e pubbliche e queste ultime a loro volta suddivise in sacre e
profane. Dal VI al IX Libro si affronta il tema dell’ornamento (cioè gli ordini
architettonici) spiegandone il significato e poi applicandolo alle varie tipologie
architettoniche. Il decimo libro poi, parla principalmente di idraulica e restauro.
12
Inizialmente l’opera nasce, molto probabilmente, per commentare il De
architettura di Vitruvio (I sec. a.C.), unico Trattato di architettura conosciuto fino
ad allora, con lo scopo di rendere piø semplice e immediata la comprensione del
contenuto della res aedificatoria che, a quei tempi, risultava difficile da
interpretare. All’inizio del VI Libro lo stesso Alberti esprime una critica all’opera
di Vitruvio mettendone in evidenza le lacune e le imperfezioni.
Considerando il Trattato nel suo complesso, si può affermare che si distaccata
molto dall’essere il commento a quello di Vitruvio e ciò in quanto presenta grosse
novità rispetto a quest’ultimo perchØ, sebbene organizzato in base allo stesso
modello del De architettura, tuttavia risulta essere un’opera che affronta la res
aedificatoria intesa in senso lato e ampliata alle questioni sociali, di arte del
12
V. Giontella, 2010, pp. x-xv.
14
governo, di filosofia morale, in rapporto con la definizione dell’architettura che
realizza lo spazio urbano.
13
Il Trattato è stato scritto in latino anche se, come è
noto Alberti era un sostenitore della lingua volgare (si ricorda a tale proposito che
fu il promotore, nel 1441 a Firenze, del Certame coronario, gara di poesie in
lingua volgare, sinonimo dell’interesse che Alberti possedeva per la questione
linguistica a favore del progresso della lingua volgare e snobbando i dotti
conservatori del latino),
14
per tale motivo si può supporre che tale idioma fosse
indirizzato a uomini di cultura come i principi italiani umanisti, uomini dotti
ammiratori delle Antichità, intenzionati a rinnovare le proprie città attraverso
‘nuove buone architetture’ e agli architetti che avrebbero potuto usufruire del
Trattato per risolvere problemi pragmatici. La scelta della lingua latina mette
anche in evidenza la volontà dell’autore di rendere l’opera importante nell’ambito
culturale del suo tempo, in quanto quest’ultima si propone di spiegare,
raccogliere, definire e conferire decoro a tutta la res aedificatoria.
Alberti prospetta una ‘nuova architettura’ che trae le sue origini dalla ‘buona’
architettura antica, basata sul ‘ritorno al principio’, per ripristinare la bellezza
della classicità (dopo gli anni bui del Medioevo) percepita come massima
rappresentazione dei valori dell’esistenza a cui l’uomo deve tornare per
prolungare il lavoro degli Antichi che, dal passato al presente, si estende nel
futuro.
Il Trattato esamina aspetti storici e religiosi dei popoli antichi (Etruschi,
Greci, Romani) con il fine di rafforzare l’idea che il ‘buon costruire’ ci viene
tramandato dagli Antichi. L’Antichità per Alberti non è soltanto imitazione, ma è
un punto di partenza per progettare nuove strutture.
15
Alberti, infatti, diviene il piø grande cultore delle opere antiche e, grazie alla
indagine condotta per carpire i segreti del progettare antico con il fine di
rielaborarli per creare nuove architetture, diventa l’ “umanista architetto, il piø
originale e propositivo del suo tempo.”
16
13
L., Patetta, 2005, pp. 105.
14
F., Borsi, 1986, p. 12.
15
L., Patetta, 2005, p. 107.
16
F. P., Fiore, 2005, p. 22.
15
Il De re aedificatoria si prefigge il compito di riconquistare i principi
edificatori degli Antichi, dopo la constatazione della perdita di “tutta la cultura
architettonica antica”
17
(al tempo di Alberti, infatti, a Roma, si assisteva alla
continua demolizione dei monumenti antichi), riutilizzandoli per risolvere i
problemi edificatori moderni.
L’architetto nel Trattato non è piø considerato un semplice esecutore di
opere ma colui che è in grado:
[…] colla mente e coll’animo divisare, e coll’opera recare a fine tutte quelle cose
le quali mediante movimenti di pesi, congiungimenti e ammassamenti di corpi, si
possono con gran dignità accomodare all’uso degli uomini; a far la qual cosa
bisogna che egli abbia cognizione di cose ottime ed eccellentissime, e ch’egli le
possegga fondatamente.
18
L’architettura assume un alto significato, è “sinonimo di nobiltà, di sacralità e
di eccellenza.”
19
L’architettura risponde ai bisogni piø importanti della vita di
ogni cittadino, in quanto “[…] in casa, e fuori non solamente abbia giovato e
dilettato i Cittadini l’Architettura, ma li abbia ancora grandemente onorati […]”.
20
Proprio per queste ragioni la figura dell’architetto assume una maggiore
importante, egli è garante della realizzazione di una ‘buona architettura’ e non
tutti possono essere architetti, Alberti infatti avverte che:
gran cosa certo è l’architettura nØ è da tutti una sì grande impresa; poichØ bisogna
che sia di grandissimo ingegno, studiosissimo, abbia ottima dottrina, ed è di
necessità che sia esperimentato assai, e soprattutto che abbia purgato giudizio è
maturo consiglio, colui che ardice a far professione di architetto […] imperocchØ
l’edificare è di necessita; l’edificare comodamente nasce dalla necessità e dalla
utilità; ma l’aver edificato di maniera, che i magnifici te ne lodino, e che i sobri non
17
H., Burns, 2005, p. 33.
18
L. B., Alberti, 1485, Proemio, cv.1.
19
L. Patetta, 2005, p. 107.
20
Op. cit., cv. 4
16
te lo rinfaccino, non può nascere se non dal sapere di un considerato, valente e
dotto architetto.
21
Per poter progettare, l’architetto ha l’obbligo di conoscere tutte le architetture
degli Antichi, per carpirne i segreti e, ancora, deve essere esperto in matematica,
disegno e pittura, indispensabili per ideare le proporzioni degli edifici e
rappresentare praticamente l’idea del progetto. Alberti, nel II Libro del Trattato,
chiarisce che un buon progetto può essere ottenuto solo per mezzo di uno studio
approfondito sull’argomento da trattare, ogni parte dell’idea deve essere ben
definita a partire dalle proporzioni matematiche, numeriche, musicali, per
giungere alla completa determinazione di “organismi funzionali secondo le leggi
della natura”.
22
E’ interessante osservare come Alberti affronti l’intervento su edifici già
preesistenti e non completamente terminati. Egli, nel IX Libro, esprime un
concetto estremamente moderno, in quanto sostiene che, nel caso in cui dovesse
essere necessario intervenire su edifici lasciati incompiuti, l’architetto non deve
modificare completamente l’opera, ma tener presente le regole che hanno generato
l’organismo e che lo hanno reso un insieme unitario.
L’architettura è responsabile della forma della città, nel Trattato, il tema della
città è affrontato in modo molto completo e ripreso in piø parti, Alberti non
propone uno schema geometrico di città ideale, ma si preoccupa di definire le
linee guida per la realizzazione di una città che soddisfi tutti i suoi compiti.
Iniziando dall’individuare il luogo piø idoneo per la sua realizzazione, egli finisce
con il definire la posizione degli edifici, i rapporti tra i cittadini, la sicurezza e la
varietas, condizione quest’ultima essenziale per la costruzione di una città . Egli,
nel I Libro del Trattato, esprime il concetto che la città, così come un edificio,
deve rispondere alle necessità e alla funzionalità.
Della città analizza tutti i grandi monumenti degli edifici pubblici, a partire
dalla basilica fino al tempio, al teatro, al foro, alle terme, al circo, all’anfiteatro,
all’arco di trionfo, tutti temi importati dall’Antichità che egli predilige.
23
21
Op. cit., IX, X, cv. 1
22
L. Patetta, 2005, pp. 108.
23
Op. cit., pp. 110.
17
Tutto ciò coerentemente con l’idea di dare la giusta importanza alle architetture
antiche in quanto, partendo da queste, si può giungere alla risoluzione dei
problemi contemporanei. Per Alberti “l’architettura antica assume il massimo
valore esemplare”.
24
La costruzione piø importante, nella quale si concentra tutta la teoria
architettonica albertiana, è il tempio.
L’architettura per Alberti è un organismo e l’edificio può essere paragonato al
corpo umano in cui “[…] le membra di un corpo corrispondono le une alle altre,
così ancora corrispondono le parti alle altre parti dell’edificio.”
25
La bellezza è ottenuta tramite il giusto rapporto armonico tra le parti di un
organismo, sia per quanto riguarda la proporzione generale sia per quanto riguarda
l’ornamento, quest’ultimo è inteso come un attributo aggiuntivo alla bellezza
naturale. Il traguardo che deve raggiungere un manufatto architettonico è la
concinnitas, cioè “[…] un concerto di tutte le parti accomodata insieme con tal
proporzione e discorso, in quella cosa, in cui si ritrovano, che non vi si possa
aggiungere, diminuire o mutare cosa alcuna, che non vi stasse peggio”
26
e ancora:
[…] tre sono le cose principali, nelle quali consiste il tutto di quel che noi abbiamo
cercato, cioè il numero, quello che io chiamo il finimento e la collocazione. Ma vi è
di piø un altro certo che, che nasce da tutte queste cose congiunte e collegate
insieme, per il quale punto l’aspetto della bellezza risplende mirabilmente, e questo
presso di noi si chiamerà leggiadria; la quale certamente noi diciamo che è la
nutrice di ogni grazia e di ogni bellezza, essendo officio della leggiadria, ed
appartenendosi ad essa il mettere insieme i membri, che ordinariamente sono di
natura fra loro differenti, di maniera che corrispondano scambievolmente l’uno
all’altro a far la cosa bella. Di qui nasce, che quando o per la vista, o per l’udito o
per qualunque altro modo ci si presenta all’animo, subito si conosca la leggiadria.
ImperocchØ naturalmente desideriamo le cose ottime, e con piacere a quelle ci
accostiamo; nØ si trova la leggiadria in tutto il corpo o nelle membra, piø che in se
stessa che nella natura talmentecchè io tengo che essa sia congiunta coll’animo e
colla ragione e abbia larghissimo campo, per il quale possa esercitarsi e fiorire,
24
Op.cit., pp. 112.
25
L. B., Alberti, 1485, I, IX, cv.1.
26
Op. cit., VI, II, cv. 3.
18
abbracciando tutta la vita e tutti i mondi degli uomini, ed essendole sottoposte a
tutte le cose. […] Che la bellezza sia un certo consenso e concordanza delle parti in
qualsivoglia cosa, in cui dette parti si ritrovano, la qual concordanza si sia avuta
con certo determinato numero, finimento e collocazione, nel modo che la
leggiadria, cioè il principale intento della natura ne ricercava.
27
Per Alberti alcuni numerus creavano delle armonie musicali e per questo sono
privilegiati rispetto ad altri (numerus in latino traduce sia la parola greca arithmos
- numero - sia quella si rhythmos – armonioso, modello, forma
28
- tale polisemia è
introdotta nella lingua latina dagli scritti di Cicerone evidenziando il legame tra
matematica e bellezza tramandato sin dall’Antichità); la finitio è intesa come
delimitazione dell’organismo architettonico in grado di definire i rapporti tra
altezza, larghezza e lunghezza; la collocatio si riferisce alla sistemazione delle
parti che compongono l’edificio.
Questi punti fondamentali della teoria architettonica albertiana, come detto
precedentemente, si concentrano al massimo grado nell’edificio monumentale piø
importante per eccellenza cioè, il templum.
Nel tempio tutti gli elementi assumono la massima importanza unificati dalla
sacralità che l’architettura rappresenta. Il tempio è senza tempo per struttura e
tipologia, edificato con materiali preziosi come il marmo, il granito e il porfido.
Nel tempio si concentra “in massimo grado la bellezza, venustas, la nobiltà,
dignitas, il diritto alla decorazione, ornamentum, l’eternità, perpetuitas ”.
29
Ogni
elemento che definisce il tempio è ponderato e misurato nei minimi particolari,
dal basamento, alla facciata, al portico, al frontone, alla cella, all’abside, tutto è
composto insieme in modo tale da realizzare nel complesso una struttura
completa all’insegna della concinnitas.
27
Op. cit., IX, V, cv. 4.
28
M. Karvouni, 1994, pp. 282.
29
L. Patetta, 2005, p. 112.
19
1.2 Rapporti armonici nel De re aedificatoria
Quei medesimi numeri certo, per i quali avviene che il
concerto delle voci appare gratitissimo negli orecchi degli
uomini, sono quegli stessi che empiono anco gli occhi e lo
animo di piacere meraviglioso. […] Caveremo dunque
tutta la regola del finimento dai musici, a cui
perfettissimamente sono noti questi tali numeri; e da quelle
cose inoltre nelle quali la natura dimostri di sØ alcuna cosa
degna e onorata.
LEON BATTISTA ALBERTI (DRA, IX, V, cv. 9)
Per comprendere l’importanza e il significato simbolico che i rapporti
armonici assumono all’interno del Trattato, è necessario far riferimento sia alla
complessa figura di Alberti, grande umanista, sia all’importanza delle idee
pitagorico-platoniche ampiamente condivise dagli architetti rinascimentali a tal
punto da caratterizzare l’intera produzione architettonica dell’epoca.
Leon Battista Alberti, nato a Genova nel 1404 da Lorenzo Alberti,
apparteneva ad una ricca famiglia di mercanti e banchieri in esilio da Firenze. Gli
Alberti erano una famiglia di umanisti, lo zio Antonio insegnava algebra e
scriveva in latino, lo zio Riccardo era intenditore di musica e letteratura, il padre
era erudito di matematica e musica, materie che Alberti conosceva alla
perfezione.
30
Frequenta il ginnasio a Padova formandosi in filosofia, retorica,
grammatica latina e greca, matematica e teoria musicale. Nel 1428 si laurea a
Bologna in diritto canonico. Predilige le discipline letterarie e le arti visive, la
formazione intellettuale albertiana è umanistica.
31
Dopo la morte del padre, le
difficoltà economiche lo inducono a intraprendere la vita ecclesiastica, nel 1432 è
a Roma dove diviene abbreviatore apostolico nella curia di Papa Eugenio IV e
priore della chiesa di San Martino a Gangalandi, nella diocesi di Firenze. I
soggiorni a Firenze, avvenuti tra il 1432 e il 1441 anche se non in modo
continuativo, avvicinano Alberti all’arte. I grandi cantieri delle opere
30
Op. cit., p. 96
31
G. Ferlisi, 2007, pp. 20-23.
20
brunelleschiane, come la grande cupola di Santa Maria del Fiore, l’Ospedale degli
Innocenti, la Sagrestia Vecchia e soprattutto le opere di Masaccio, Donatello,
Paolo Uccello, Della Robbia, Ghiberti entusiasmano a tal punto Alberti che si
ritiene orgoglioso di essere fiorentino. In questi anni scrive il De statua dove si
occupa della misurazione delle proporzioni del corpo umano, il De pictura,
tradotto anche in volgare, dedicato a Filippo Brunelleschi, in cui definisce la
prospettiva e pone le basi per la redazione del De re aedificatoria.
32
Il suo interesse per le piø varie dottrine gli permette di avvicinarsi
all’architettura come nessuno mai prima di lui aveva fatto, giungendo, con la
stesura del suo Trattato, ad elevare tale disciplina come scienza al di sopra delle
altre perchØ considerata sintesi di tutte queste. Per confermare ulteriormente
questo concetto egli dà all’architettura un saldo fondamento teorico-matematico
ricavato proprio dalla teoria musicale. Bisogna ricordare infatti, che l’architettura
faceva parte, insieme alla pittura e alla scultura, delle cosiddette ‘arti pratiche’
cioè attività manuali, invece la matematica, la geometria, la musica e l’astronomia
appartenevano al quadrivium delle scienze delle cosiddette ‘arti liberali’. Per tale
motivo, dare all’architettura un fondamento matematico, fondato sulle teorie
musicali, convalidava l’idea di elevare l’architettura a vera e propria scienza.
33
I rapporti numerici, messi in relazione con quelli armonici, assumono
un’importanza fondamentale a partire da Pitagora, che nel VI secolo a.C., aveva
scoperto un nesso stretto tra musica e numeri, le armonie musicali infatti sono
determinate da rapporti di piccoli numeri interi. Se, ad esempio, si prendono due
corde nelle stesse condizioni, una lunga il doppio dell’altra e si fanno vibrare, il
suono che verrà fuori dalla corda piø corta sarà precisamente di un’ottava piø alto
rispetto a quello della corda piø lunga, diapason o ottava musicale. Se le
lunghezze delle due corde sono in un rapporto di 3:2, la differenza del suono tra le
due sarà di un diapente o quinta musicale e ancora, se le due corde risultano
essere in un rapporto di 4:3 la differenza di altezza del loro suono sarà un
diatessaron cioè una quarta musicale. Allo stesso modo, emettendo due suoni
contemporaneamente si possono ottenere delle consonanze o delle dissonanze. I
rapporti che producono dei suoni maggiormente consonanti sono rispettivamente:
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L., Patetta, 2005, pp. 98-100.
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G. Conti, 2001, p. 192.
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1:1 unisono; 3:2 sesquialtera (nell’antica nomenclatura latina dei numeri
frazionati significa uno e un mezzo); 4:3 sesquitertia (in latino uno e un terzo);
2:1 dupla, (doppia). Con la successione di intervalli di quinta, pari a 3/2, si
costruisce la scala musicale pitagorica: infatti, partendo dalla nota musicale DO,
applicando un intervallo di quinta, si raggiunge la nota SOL e se a questa
aggiungiamo un altro intervallo di quinta, otteniamo il RE dell’ottava successiva,
la cui frequenza è pari a 9/4, ottenuti moltiplicando i due rapporti di quinta (si
ricorda infatti che, per la costruzione di una scala musicale, le frequenze vanno
sempre moltiplicate, in questo caso 9/4 è ottenuto da 3/2x3/2). Al contrario se si
vuole ritornare indietro dalla nota RE al RE dell’ottava precedente, si moltiplica
9/4x1/2 ottenendo 9/8. In dodici passaggi ottenuti per successione di quinte
ascendenti si ottengono tutti i toni e semitoni della scala pitagorica.
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Tale corrispondenza tra numeri e armonie, ottenute attraverso rapporti tra
potenze dei numeri due e tre, permise ai pitagorici di individuare nel numero la
vera essenza di tutte le cose e di mettere in relazione l’armonia musicale con la
‘sacra figura’ della tetraktis, la sequenza dei primi quattro numeri interi che, per i
pitagorici, rappresentava la rivelazione dell’ordine divino, (il numero dieci,
considerato perfetto, era rappresentato da un triangolo di lato quattro). Da qui
deriva il concetto che tutte le cose sono numeri e mediante questi numeri si
possono spiegare le leggi che governano la natura, in quanto riconducibili ad una
struttura misurabile, dimostrazione dell’ordine matematico di tutto l’universo.
Tale ordine matematico presiede ai moti di rivoluzione dei pianeti che
produrrebbero una costante armonia cosmica. Le idee pitagoriche erano estese
anche all’interpretazione dell’uomo e del suo mondo. L’anima umana veniva
considerata ‘armonia’; ottenuta attraverso la composizione armonica delle parti
importanti che compongono il corpo, così come l’armonia musicale è ottenuta
dagli elementi che compongono lo strumento musicale.
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Anche la filosofia di Platone considera l’ordine e l’armonia cosmici contenuti
in alcuni piccoli numeri interi, nel Timeo, in cui si rivela il problema cosmologico
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Nella scala pitagorica si verifica un errore, infatti dopo la successione di dodici quinte si
dovrebbe ottenere un DO sette ottave sopra quello iniziale, invece si ottiene una nota che si
discosta dal DO di un valore pari a 531441/524288, detto comma pitagorico. Per maggiori
approfondimenti consultare G. Conti, 2001, pp.189-194.
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N. Abbagnano, G. Fornero, 1986, vol 1, pp.41-43.