I
INTRODUZIONE
La cooperazione europea in materia di istruzione e formazione, che
attualmente occupa uno spazio rilevante delle attività della Commissione
europea, affonda le sue radici negli inizi del processo di integrazione europea,
anche se il suo sviluppo è stato segnato da numerose difficoltà riguardanti
tanto la carenza di una base giuridica comune quanto l’insufficiente volontà di
individuare forme concrete di collaborazione da parte degli Stati europei.
Nonostante la firma del Trattato di Roma abbia rappresentato un notevole
passo avanti per l’integrazione economica e per la realizzazione delle prime
politiche comunitarie, per quanto riguarda la cooperazione in materia di
istruzione e formazione la materia era trattata pressoché esclusivamente all’art.
128 del Trattato istitutivo della CEE. Tale norma contemplava una politica
comune di formazione professionale – a ben notare, delineata esclusivamente
come strumento per affrontare i problemi occupazionali che si andavano
profilando con la creazione del Mercato unico europeo – ma non accennava a
una qualche forma di concertazione tra gli Stati membri in materia di
istruzione.
La politica in materia di formazione – benché in genere rivolta ai lavoratori di
qualsiasi età presenti nella Comunità – rappresenta uno dei settori che per le
sue ricadute sociali coinvolge maggiormente la popolazione europea e in
particolare i giovani. A partire da questa constatazione, la presente ricerca
ricostruisce l’evoluzione della cooperazione europea in materia di formazione
e di istruzione considerandola uno strumento di analisi per valutare la
progressiva attenzione maturata dalla CEE/UE nei riguardi delle
problematiche della popolazione giovanile e delle questioni concernenti la
partecipazione attiva dei giovani nel mondo del lavoro e nella società.
Lo studio dello sviluppo della cooperazione della CEE/UE in materia di
istruzione e formazione si ricollega dunque anche ad una riflessione sui
II
contenuti e le potenzialità dei concetti sempre più importanti legati alla
definizione dell’identità e della cittadinanza europea.
Inizialmente il tema della cooperazione in materia di istruzione e formazione
verrà affrontato nell’ambito delle iniziative di carattere sociale della CEE. Tra
l’altro – benché avesse avuto uno spazio minore rispetto alle tematiche
economiche – la dimensione sociale dell’Europa unita era stata evocata sin dai
primi progetti e dalle prime idee sull’unità del continente.
Nella seconda metà degli anni ’40, quando cominciarono a diffondersi negli
ambienti politici e nazionali le idee sul processo di costruzione europea, gran
parte delle nazioni del vecchio continente furono costrette a fronteggiare gravi
problemi economici e sociali come la crescita della disoccupazione, la carenza
di abitazioni, le questioni attinenti alla salute nonché le problematiche relative
ai sistemi educativi sempre più bisognosi di radicali riforme. La maggioranza
dei leaders europei si era impegnata nel tentativo di trovare una risposta
coerente ed efficace in ambito nazionale a problemi che rappresentavano
un’esigenza primaria; ma per quanto la costruzione di uno stato sociale
trovasse prevalente espressione in politiche nazionali, la necessità di dare
risposte alle nuove sfide sociali si manifestò chiaramente anche nel contesto
dei primi passi dell’integrazione europea. Come viene ricordato nel primo
capitolo di questa tesi, già negli anni Venti venne disposto il primo progetto
per l’integrazione europea, quello del conte austriaco Richard Coudenhove –
Kalergi, che aveva avanzato una prima idea di “unione” dell’Europa. Il suo
messaggio venne recepito tra le due guerre da un buon numero di personalità
politiche tra le quali il Ministro degli Esteri francese, Aristide Briand, che
presentò il suo progetto di “federazione” europea nel 1929 davanti alla Società
delle Nazioni a Ginevra, progetto che tuttavia non venne realizzato ma che
insieme ad altri costituirà la base per il proliferare di idee circa un’unione tra
gli Stati europei negli anni ’40. Come ricostruito in questo lavoro per mezzo di
saggi, opere generali e pubblicazioni periodiche, fu il Manifesto di Ventotene
a riprendere e rielaborare – nella corso della seconda guerra mondiale – le idee
III
degli anni ’20. Redatto nel 1941 da Altiero Spinelli con la collaborazione di
Ernesto Rossi e Eugenio Colorni, ad esso fece seguito nel 1943 la fondazione
del Movimento Federalista Europeo (MFE) che sosteneva l’idea di un’unione
federata, condizione fondamentale non solo per la nascita di una nuova
democrazia e quindi di una nuova cultura politica, ma anche e soprattutto
condizione indispensabile per la nascita di un nuovo patto sociale.
L’attenzione alla dimensione sociale di una futura unione, da sempre
nell’agenda di alcuni dei protagonisti della lotta per la federazione europea –
da ricordare Carlo Rosselli, la cui visione federalista dell’Europa, risalente agli
anni ’30, non mancava di sensibilità verso le questioni sociali – perse
consistenza nel periodo post – bellico quando l’inizio della guerra fredda
coincise con un iniziale ripiegamento delle politiche degli Stati alle
problematiche economiche e sociali in un’ottica nazionale.
Le istanze sociali verranno riprese tra il 1949 e il 1950 dai movimenti
sostenitori del processo di integrazione europea, come il MFE. Tuttavia tali
movimenti si dovettero confrontare con un limite costante e onnipresente nelle
politiche degli Stati ossia la considerazione della questione sociale come parte
di un più ampio processo di sola ricostruzione economica, e l’interpretazione
della formazione come un aspetto di una più ampia riforma dei sistemi
educativi e soprattutto di un’organizzazione dei mercati del lavoro.
A questo proposito, la nascita del MFE (1943) segna una svolta importante per
il coinvolgimento della società civile nel processo di integrazione. Tra l’altro,
la costruzione dell’Europa unita e federata si dimostrò un terreno
particolarmente fertile per l’impegno collettivo dei giovani la cui
rappresentanza e partecipazione affondavano le radici in una delle prime
esperienze di coinvolgimento per la costruzione di una federazione europea,
quale la Jeunesse fédéraliste européenne, costituita tra la fine del 1948 e i
primi mesi degli anni ’50, e seguita poi dalla Campagna europea della
Gioventù, trattate nel II Capitolo di questo lavoro.
IV
La riflessione sui movimenti giovanili impegnati attivamente nella lotta per
l’affermazione dell’unità europea rappresenta un passaggio importante sia per
valutare il ruolo della società civile nell’inclusione di nuovi contenuti nella
cooperazione europea sia per analizzare il difficile percorso di affermazione
del principio partecipativo nella definizione delle politiche comunitarie.
Per quanto riguarda l’evoluzione di tale politica, il Piano Schuman, lanciato
nel maggio del 1950 – vero punto di partenza del processo di integrazione
europea – avrebbe condotto allo sviluppo di una prima politica sociale europea
nel cui ambito veniva inserita la formazione professionale. Tale sensibilità
verso la dimensione umana e sociale dell’individuo nasceva dalla
consapevolezza che solo modificando le condizioni economiche che
determinavano il comportamento umano si poteva costruire veramente
l’Europa dei cittadini.
In attuazione di quanto disposto nella Dichiarazione Schuman, il Trattato
CECA, istitutivo della Comunità europea del carbone e dell’acciaio, dispose,
grazie alla partecipazione sindacale alle trattative per l’elaborazione del testo,
articoli le cui disposizioni erano finalizzate al miglioramento delle condizioni
di vita e di lavoro della manodopera impiegata nel settore del carbone e
dell’acciaio, e prevedevano meccanismi di garanzia a tutela della continuità
dell’impiego.
Non pochi furono i risultati importanti conseguiti: da aspetti più meramente
tecnici, come lo sviluppo della prassi di analisi e raccolta dati, ad aspetti più
eminentemente valoriali quale l’introduzione del principio di libera
circolazione dei lavoratori nell’ottica comunitaria; e ancora, da successi
concreti in materia di politica degli alloggi alle innumerevoli misure attuate in
tema di prevenzione degli incidenti sul lavoro e delle malattie professionali;
dal progressivo alleggerimento delle difficoltà incontrate dai lavoratori nei
periodi di disoccupazione, a importanti strutture che costituiscono ad oggi
un’eredità delle esperienze avviate con la CECA, come il Fondo Sociale
Europeo (FSE).
V
La limitatezza della dimensione sociale dovuta alla specificità delle
disposizioni rivolte ai due settori del carbone e dell’acciaio verrà superata con
il Trattato di Roma istitutivo della Comunità Economica Europea (CEE) ,
firmato nel 1957, quando, al fine di ridare slancio al processo d’integrazione
europea, si decise di proseguire sulla strada dei piccoli passi propugnata da
Schuman e Monnet.
Agli scopi economici – l’abolizione delle barriere doganali, lo sviluppo
armonioso delle economie, una stabilità nell’espansione, ecc. – si
aggiungevano valori impliciti tra cui quello della garanzia del progresso
sociale. In tale prospettiva così l’azione comunitaria in campo economico
avrebbe investito tutta l’attività sociale. Tuttavia se le iniziative della CECA
costituirono un importante passo verso lo sviluppo di un possibile nucleo
originario di politica sociale, le azioni della CEE, che si muovevano lungo le
linee tracciate dalle disposizioni contenute nel Trattato, si mostrarono più
caute.
Il contenuto sociale della grande impresa del Mercato comune comunque
venne approfondito solamente negli anni successivi. Precisamente nel corso
degli anni ’60 divenne consapevolezza comune che la politica sociale non
poteva più riguardare soltanto il lavoro ma anche la vita, nel suo senso più
generale, dei cittadini comunitari. Il decennio successivo vide così
l’elaborazione del Primo Programma di azione sociale comunitario – varato
nel 1974 – con il quale la Comunità intervenne su importanti aspetti della vita
sociale dei suoi cittadini come è stato possibile analizzare per mezzo della
lettura e della dettagliata analisi delle riviste specializzate – quali la “Rivista di
Diritto europeo” (RDE), la “Revue du Marché Commun” (RMC/UE) e il
“Journal of Common Market Studies” (JCMS) – dei periodici e della
documentazione ufficiale prodotta dalla Commissione europea per lo più
appartenente alla “Serie Politica sociale”.
Ma quando si sarebbe prestata debita attenzione alla realizzazione di un
intervento reale e concreto in favore del mondo giovanile?
VI
Essendo la questione stata tralasciata dal Trattato CECA – come notato tramite
l’analisi del suo testo – l’intervento in favore del mondo giovanile si sarebbe
avuto solo conseguentemente alla formulazione dell’art. 128 del Trattato CEE
che parlava di una politica comune di formazione professionale che sarebbe
rientrata nelle più ampie prerogative di politica sociale che la Comunità
avrebbe assunto. Nonostante il Trattato includesse le tematiche educative
pressoché esclusivamente nell’articolo in questione, era chiaro che la
Comunità avrebbe dovuto intervenire principalmente su due aspetti: sulla
formazione professionale e sull’istruzione; se infatti l’attuazione di una
politica di preparazione al mondo del lavoro rispondeva essenzialmente
all’esigenza di rafforzare il tessuto economico e sociale comunitario, un
qualche intervento comunitario nella sfera dell’istruzione rifletteva, in primis,
la prospettiva di una futura università europea ambendo alla costruzione di una
dimensione educativa continentale, come premessa di uno sviluppo culturale e
di un approdo politico autenticamente europei. Inoltre, il settore educativo era
strettamente legato alla formazione professionale poiché la continuazione del
sistema economico europeo ed il suo sviluppo futuro dipendevano
essenzialmente dall’organizzazione dell’educazione generale e della
formazione professionale dei giovani.
L’esigenza di dover preparare i giovani all’attività lavorativa era divenuto un
problema difficile da risolvere in quanto nel corso dei decenni si erano
costantemente accresciute le esigenze di una maggiore capacità di rendimento
da parte dei lavoratori. I giovani che accedevano ai vari settori economici
dovevano acquisire quelle capacità che erano necessarie ad assicurare
l’avvenire economico dell’Europa, e i progetti che miravano
all’armonizzazione delle economie europee potevano essere realizzati e
condurre alla creazione di un’area economica europea unificata soltanto se la
politica economica comunitaria fosse stata sostenuta da una politica educativa
europea altrettanto sistematica.
VII
La preparazione della gioventù all’inserimento nella vita professionale, in
mano allora alle imprese commerciali e alle scuole professionali, tuttavia non
veniva più considerata pienamente soddisfacente. Si aspirava a concezioni
nuove più consone alle caratteristiche dell’economia moderna e ad una
complementarietà tra scuola e impresa nell’educazione dei giovani.
L’avvento dell’era industriale aveva fatto sorgere numerosi problemi non solo
per la richiesta di modalità nuove di formazione, ma anche perché si sarebbero
posti problemi al momento dell’adesione di nuovi Stati membri alla CEE per
ricercare forme applicabili di istruzione, educazione e formazione
professionale in tutti i paesi.
Come viene esposto nel Capitolo III, i loro fermenti e la volontà di
rafforzamento delle istanze democratiche e partecipative – emerse alla fine
degli anni ’60 – misero in luce la necessità di riforme e di intensificazione
della cooperazione tra gli Stati membri. Tuttavia è solo agli inizi degli anni ’70
che si arrivò alla creazione di un primo gruppo di lavoro sull’istruzione e
sull’insegnamento. Ciò avveniva nonostante la base legale di intervento fosse
ancora quella del 1957: l’art. 128 sulla formazione professionale, l’art. 50 sul
libero scambio di giovani lavoratori e l’art. 57 sul riconoscimento di diplomi,
titoli e qualifiche di studio conseguiti in uno stato diverso dal proprio.
È dopo un processo durato più di un quinquennio che, in virtù di una
risoluzione del Consiglio europeo del 9 febbraio 1976, si arriva all’adozione
del primo programma di cooperazione nel campo dell’istruzione e della
formazione. Nel programma erano indicate sei priorità per la cooperazione in
materia di istruzione e precisamente l’istruzione dei figli dei lavoratori
immigrati, la promozione dei rapporti più stretti tra i sistemi d’istruzione
europei, la produzione di documentazione e statistiche, l’istruzione superiore e
universitaria, l’insegnamento delle lingue straniere, l’attenzione e il sostegno
per le pari opportunità.
La situazione a cui doveva far fronte il Programma non era certo delle
migliori, come testimoniato dalle “Informazioni Statistiche” prodotte
VIII
dall’Istituto statistico di Bruxelles; ma il processo che poi ha portato agli
sviluppi più recenti era stato finalmente innescato anche se la mancanza di una
base legale più ampia e solida rendeva difficile non solo l’adozione di
decisioni, ma anche la realizzazione di iniziative condivise. A ciò si
aggiungevano i timori di interferenze nella propria sovranità da parte di alcuni
Stati membri.
I primi programmi di azione per l’istruzione e la formazione adottati su più
larga scala risalgono solo agli anni Ottanta, programmi la cui introduzione si
rese necessaria a causa della crisi economica e della conseguente
disoccupazione che affliggevano molti paesi europei – esami comparativi delle
drammatiche condizioni nazionali sono forniti sia a livello individuale sia a
livello aggregato sempre nel III capitolo del presente lavoro.
In quegli anni si rivelò centrale l’intervento del Cedefop – il Centro europeo
per lo sviluppo della formazione professionale – che ha rappresentato un
elemento di impulso agendo da catalizzatore nella definizione delle linee guida
miranti a conseguire uno sviluppo armonioso della formazione professionale
all’interno della Comunità. Le sue direttive sono state seguite dalla
Commissione, come è dato notare dalle fonti ufficiali della CEE e dalle
Relazioni di sintesi prodotte dai responsabili del Cedefop e dalla
Documentazione della Direzione generale dell’informazione della
Commissione.
Era dunque ben chiara alle personalità politiche attive nella Comunità,
l’importanza di concretizzare gli interventi auspicati per lo sviluppo di una
dimensione comunitaria dell’educazione giovanile. Aspirazioni che
diventeranno reali per mezzo degli innumerevoli piani di intervento attivati
dalla seconda metà degli anni Ottanta ai quali è dedicata la prima parte del IV
capitolo di tale tesi.
Ebbe non poco peso in tali circostanze il Parlamento europeo che, nel febbraio
del 1984, approvò un ambizioso progetto di Trattato sull’Unione europea, il
“Progetto Spinelli”. Anche se tale testo non ebbe un seguito, l’inclusione, tra
IX
gli altri, di un capitolo intitolato “La politica della società”, che abbracciava
anche la politica dell’educazione, influenzerà nel suo insieme gli avvenimenti
che seguiranno e, in particolare, la decisione del Consiglio europeo di
Fontainebleau del giugno 1984 di mettere in piedi un comitato ad hoc, il
comitato Adonnino, in vista della promozione e del rafforzamento
dell’immagine della Comunità agli occhi dei cittadini e nel mondo. Il rapporto
del Comitato, adottato dal Consiglio europeo di Milano nel giugno 1985,
accordava un ampio posto all’educazione e alla formazione e sottolineava
l’importanza dell’insegnamento delle lingue straniere e il bisogno di dare un
nuovo impulso alla dimensione europea dell’educazione. Si trattava di
rafforzare ulteriormente la cooperazione in materia educativa e la mobilità
universitaria, incentivando provvedimenti quali la realizzazione di un sistema
europeo di crediti accademici trasferibili in tutta la Comunità, il
riconoscimento dei diplomi ai fini accademici e professionali, la realizzazione
di reali piani di mobilità per i giovani e lo sviluppo di partenariati tra le
istituzioni nazionali responsabili dell’educazione e della formazione degli
stessi.
Sarà altresì fondamentale l’ascesa di Jacques Delors alla presidenza della
Commissione europea nel 1985. Da quel momento in poi si susseguiranno
proposte di creazione, e la successiva attuazione, di piani comunitari specifici
in materia di educazione e formazione – come i programmi Comett, Erasmus,
PETRA, Lingua e FORCE – nonché iniziative mirate. Le motivazioni alla
base di tali proposte erano sia di tipo economico – ossia fornire le risorse
umane necessarie per sfruttare al massimo tutte le potenzialità offerte dal
mercato unico – sia di tipo socio – culturale – cioè creare un’Europa dei
cittadini e dare alla Comunità quel volto umano che ancora le mancava. Fu
infatti con l’introduzione dei sopracitati programmi – qui analizzati tramite lo
spoglio dei Bollettini di informazione e dei Rapporti finali prodotti dalla
Commissione su ciascun programma e pubblicati a scadenze regolari
dall’Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee – che la
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presenza dell’Europa comincia a farsi sentire nel mondo della scuola e delle
università.
Tuttavia, se già la formazione aveva la sua base chiara e giuridica nel Trattato
di Roma, di istruzione come fattore strategico si comincerà a parlare solo nel
Trattato di Maastricht, firmato nel 1992, il quale gettò le basi legali per lo
sviluppo dei programmi comunitari in tale materia. Negli artt. 126 e 127 del
Trattato si sancisce l’importanza sia dell’istruzione sia della formazione per lo
sviluppo dell’Unione ma si ribadisce anche il ruolo sussidiario di quest’ultima
rispetto ai Paesi membri. Infatti, in virtù di una delle novità fondamentali del
Trattato UE, la Comunità, secondo i termini che definiscono il principio di
sussidiarietà, non era abilitata a intervenire se non nella misura in cui gli
obiettivi dell’azione prevista non potevano essere sufficientemente realizzati
dagli Stati membri e potevano dunque, a motivo delle dimensioni o degli
effetti dell’azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario.
Tale principio, dinamico, flessibile, permetteva così alla cooperazione
comunitaria in materia di istruzione e formazione di evolversi e di adattarsi in
maniera permanente ai nuovi bisogni e alle nuove esigenze degli attori
coinvolti su tale terreno, e, nella pratica, poteva anche rivelarsi un efficace
strumento di responsabilizzazione dei differenti livelli di potere.
Un notevole impulso alla cooperazione europea venne poi dai cambiamenti
che hanno caratterizzato gli anni ’90, quali i progressi nell’ambito delle
tecnologie dell’informazione e il delinearsi sempre più chiaro delle
conseguenze del processo di globalizzazione e soprattutto di apertura delle
frontiere comunitarie ai nuovi paesi membri. Alcuni importanti Libri bianchi –
il Libro bianco di Jacques Delors, Crescita, Competitività e Occupazione , del
1993, quello di Edith Cresson e Padraig Flynn del 1996, Insegnare ed
Apprendere. Verso una società conoscitiv – e le Linee direttrici per l’azione
comunitaria in materia di educazione e formazione professionale del 1993,
oltre ai numerosi memorandum, contribuirono a porre in primo piano l’assetto
dei sistemi di istruzione e formazione e la necessità di una maggiore
XI
cooperazione tra gli Stati nel quadro di una cornice unica comunitaria.
L’ultimo decennio del secolo scorso ha così visto il varo dei grandi programmi
europei per l’istruzione e la formazione e per la cooperazione e la solidarietà:
Socrate, Leonardo da Vinci e Gioventù, la cui seconda fase si è conclusa nel
mese di dicembre 2006.
Non meno propizio come momento politico sembrò l’inizio del nuovo
millennio. Nel 2000, la presidenza di turno portoghese dell’Unione aveva
attribuito al Consiglio europeo straordinario di Lisbona del marzo del 2000
l’obiettivo ambizioso, tra gli altri, di creare entro il 2010 un’economia basata
sulla conoscenza, più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare
una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una
maggiore coesione sociale. L’Unione doveva adattarsi, modernizzarsi,
accelerare le riforme strutturali che potevano permettere di rinforzare la sua
capacità di innovazione e la sua competitività, preservando la coesione sociale
e permettendo ai giovani europei di beneficiare di un’istruzione e di una
formazione qualitativamente migliori rispetto a quelle del millennio
precedente.
Dopo le varie revisioni, a Barcellona il 15 e 16 marzo 2002, i Capi di stato o di
governo confermarono i principali obiettivi fissati a Lisbona, precisando e
sottolineando nuovamente la loro ambizione di creare un sistema di
educazione e formazione europea che doveva diventare un modello di qualità
mondiale da allora al 2010. Su tale base, nel gennaio del 2007 ha preso avvio
la nuova generazione di programmi europei in materia di istruzione e
formazione che riassumono l’esperienza di trent’anni di cooperazione a livello
transnazionale e in particolare raccolgono gli spunti del grande dibattito che si
è svolto negli ultimi dieci anni. A partire dalla Conferenza di Amburgo e con
la conseguente designazione del 1996 quale Anno europeo per
l’Apprendimento Permanente, è stato avviato il percorso che ha portato al
Consiglio europeo di Lisbona del 2000, durante il quale è stato delineato il
ruolo primario dell’istruzione e della conoscenza per la crescita economica e
XII
sociale dell’Unione europea e dei suoi Paesi membri. Solo grazie a sistemi di
istruzione e formazione di qualità, più efficienti e più equi, l’Europa avrebbe
potuto competere con i grandi paesi come gli Stati Uniti e il Giappone e allo
stesso tempo preservare il modello sociale.
Gli obiettivi da raggiungere in questo campo, le leve su cui agire, in una parola
le vie da percorrere, sono contenuti nel programma di lavoro Istruzione e
Formazione 2010. È in questa prospettiva e nel rispetto degli ambiti di
competenza dei singoli Paesi membri, che alla scuola e alle università è stato
dedicato il nuovo programma di azione integrato per l’apprendimento
permanente che, con un bilancio di quasi 7 miliardi di euro distribuiti su un
periodo di sette anni, intende offrire ai cittadini dell’Unione uno strumento
finalizzato a migliorare la qualità dei sistemi di istruzione e formazione e a
facilitare la mobilità per studenti e lavoratori. Il programma si articola in
quattro sotto – programmi incentrati rispettivamente sull’istruzione scolastica
(Comenius), sull’istruzione superiore (Erasmus), sulla formazione
professionale (Leonardo da Vinci) e sull’educazione degli adulti (Grundtvig)
in quanto questi settori sono stati individuati come settori chiave su cui far
leva per contribuire a creare quella società della conoscenza che rappresenta
l’obiettivo strategico da conseguire entro il 2010.
Nonostante le luci e le ombre che ancora caratterizzano le cooperazione in
materia di istruzione e formazione in Europa, notevoli sono stati i progressi
realizzati. Tuttavia è vero anche che alcuni dati informativi e alcuni concetti
fondamentali veicolati da molti documenti europei sono, nel settore
dell’istruzione e della formazione, ancora patrimonio di pochi addetti ai lavori.
Spesso le informazioni sono frammentarie e non sempre di facile
contestualizzazione all’interno delle politiche europee.
È tuttavia indubbio che, nel corso degli ultimi anni, decine di migliaia di
studenti hanno avuto la possibilità di studiare al di fuori del proprio paese,
esercitando in questo modo non solo il diritto alla mobilità fisica, ma anche
affermando quella libertà di muovere e scambiare idee che è uno dei diritti
XIII
prioritari dei cittadini dell’Unione. Altrettanti insegnanti hanno incontrato
colleghi dei Paesi membri dell’Unione grazie al supporto finanziario fornito
dai programmi europei. Molte istituzioni scolastiche hanno partecipato e
continuano a partecipare con entusiasmo a progetti europei. È nata una rete di
apprendimento telematico ed è stato rafforzato un sistema di riconoscimento
crediti sia sotto il profilo dell’istruzione sia sotto il profilo meramente
formativo professionale. È altresì vero che, nonostante gli sforzi fatti da più
parti a livello istituzionale affinché la dimensione europea diventi un elemento
centrale della vita scolastica e prassi didattica delle istituzioni educative, è
ancora lungo il cammino da fare per realizzare gli obiettivi individuati per il
2020. Il Consiglio ha infatti adottato nel maggio del 2009 una comunicazione
intitolata “The strategic frame work for European cooperationin education
and training” (ET 2020) – meglio analizzata al termine dell’ultimo capitolo di
tale lavoro – nella quale ha individuato i traguardi che gli Stati sono chiamati a
raggiungere entro il 2020: continuare a investire in risorse umane, in primis
giovanili, migliorando e approfondendo le politiche di istruzione e formazione
professionale rimane la priorità fondamentale dell’intero percorso in materia
di educazione intrapreso dall’UE.