Introduzione Il presente lavoro si propone di introdurre e definire gli investimenti
diretti esteri (IDE) e l’importanza da questi assunta nella vita delle imprese
moderne, in un mondo che tende ad essere sempre più globalizzato, in cui i
sistemi economici nazionali divengono parti interconnesse di un più ampio
sistema mondiale e dove, quindi, la competizione non avviene più soltanto
su scala regionale o nazionale, ma planetaria.
Il punto di partenza obbligatorio è costituito dall’analisi del processo di
internazionalizzazione delle imprese. Gli investimenti diretti esteri, infatti,
rappresentano una delle possibili modalità attraverso cui poter dar luogo a
processi di espansione estera delle proprie attività, affiancandosi ad altre
due modalità principali: esportazioni (dirette ed indirette) ed alleanze
strategiche (accordi strategici e joint ventures ).
Quindi, dapprima si è cercato di mettere in luce le motivazioni e le finalità
che spingono un’impresa ad avviare il suo sviluppo internazionale,
ponendo in risalto, tra l’altro, il cosiddetto approccio «per fasi» del
processo di espansione estera delle imprese, o «paradigma del
cambiamento incrementale», con i relativi limiti. Tale approccio adotta una
visione del processo di internazionalizzazione “a stadi”, nel senso che
l’espansione all’estero avviene in modo virtuoso, dalla fase meno
impegnativa (esportazioni), a quella più invasiva, che richiede, perciò,
1
maggior impegno, in termini di risorse umane e finanziarie (investimenti
diretti esteri).
Tuttavia, indipendentemente dall’esistenza o meno di precisi motivi che ne
giustificano l’attuazione, bisogna dire che, oggi, l’internazionalizzazione è
diventata una scelta obbligata, ai fini non solo dello sviluppo dell’impresa,
ma spesso della sua stessa sopravvivenza; infatti, la fortissima e crescente
integrazione dei Paesi, dei territori, dei mercati, delle imprese, delle
persone, dovuta a fattori istituzionali, economici, finanziari, sociali,
tecnologici, ha fatto in modo che l’ambito internazionale divenisse il
contesto di riferimento naturale.
Dopo aver effettuato una breve disamina delle due modalità di
internazionalizzazione alternative, si è passati a trattare, in maniera più
specifica, degli investimenti diretti esteri, definendone le caratteristiche, le
cause e gli obiettivi (avvalendosi soprattutto delle fonti internazionali) e
presentando, poi, alcune delle principali teorie più recenti che, dagli anni
’60 in poi, hanno cercato di studiarli, dando vita ad un’evoluzione delle
teorie tradizionali sul commercio internazionale.
Successivamente, si è focalizzata l’attenzione sui flussi di investimenti
diretti esteri in entrata (tralasciando i dati su quelli in uscita), cercando di
delineare l’evoluzione degli andamenti che questi hanno avuto negli ultimi
anni, con riferimento prima allo scenario mondiale e poi all’ambito
europeo.
Relativamente agli IDE mondiali in entrata, si è proceduto, inizialmente, a
definire un quadro generale, per poi passare ad un’analisi più dettagliata
della loro distribuzione geografica (in relazione ai tre principali gruppi
economici, cioè i Paesi sviluppati, quelli in via di sviluppo e quelli in via di
transizione) e settoriale (con riferimento alla classica distinzione fra settore
primario, secondario e terziario).
2
In relazione all’Europa, questa è stata valutata dapprima nella sua totalità e
poi si sono messi in rilievo i singoli Paesi che hanno attratto più flussi di
IDE, evidenziando le notevoli differenze fra uno Stato e l’altro; l’analisi
settoriale europea si è basata sulla stessa ripartizione utilizzata per l’ambito
mondiale.
La fonte di cui ci si è avvalsi per ottenere i dati, sia per l’indagine
mondiale, che per quella europea, è l’UNCTAD ( United Nations
Conference on Trade and Development ), che possiede un database sugli
investimenti diretti esteri che alimenta ed aggiorna costantemente tramite i
dati ufficiali che riceve dai singoli Paesi.
Sempre dalla stessa fonte sono state tratte anche le informazioni
riguardanti, più nello specifico, l’Italia; in questo caso, però, ci si è avvalsi
di ulteriori ricerche e studi. Con riferimento al nostro Paese, dopo aver
definito un quadro generale, l’attenzione è stata posta, dapprima sulla
distribuzione geografica degli IDE in entrata tra le varie Regioni italiane
(dalla quale si evince il nettissimo divario fra Nord e Sud), poi sulla loro
distribuzione settoriale, integrata, al fine di una maggiore completezza,
dalla dinamica della multinazionalizzazione passiva, ossia i dati relativi alle
partecipazioni estere in Italia. Da tali ricerche emerge l’arretratezza del
nostro Paese, in merito all’attrazione degli IDE, rispetto agli altri Paesi
europei sviluppati, per cui si è cercato di individuare le principali ragioni;
ciò nonostante, l’Italia ha manifestato, negli ultimi anni, una crescita a
“piccoli passi”, che, però, resta insufficiente per raggiungere il “passo”
delle altre nazioni europee best performers .
L’ultima parte del lavoro è stata dedicata al marketing d’area, quale
strumento per migliorare la competitività del sistema produttivo locale e,
soprattutto, per attrarre investimenti esogeni nell’area di competenza.
3
È stato già sottolineato il fatto che la competizione ha, ormai, assunto una
dimensione planetaria; ciò è valido, non soltanto per le imprese, ma altresì
per i territori. Oggi, si assiste, dunque, ad un incremento di concorrenzialità
anche fra aree (“ipercompetizione” territoriale), che porta all’adozione di
logiche e strumenti competitivi e giustifica l’utilizzo di strategie e politiche
di marketing per la gestione dei territori. Si può affermare che territori e
imprese coevolvono nella ricerca di vantaggi competitivi, essendo gli uni
reciprocamente risorse critiche per la competitività degli altri.
Dopo aver descritto i fini e le caratteristiche di un territorio, o area, le
specificità della competizione fra sistemi territoriali e le cause dell’aumento
della loro concorrenzialità, e dopo aver definito il marketing d’area ed il
suo campo di applicazione, ci si è incentrati sulla ideazione ed
implementazione di una strategia di offerta territoriale o, meglio, del
«pacchetto localizzativo d’area» e delle fasi principali attraverso le quali si
esplica.
Infine, poiché l’azione di marketing d’area prevede la partecipazione di
diversi attori, appare necessaria la creazione di organismi ad hoc che siano
in grado di coinvolgerli e coordinarne le attività. Tali organismi possono
essere costituiti dalle agenzie di marketing d’area, oggetto di trattazione
dell’ultimo paragrafo, le quali rappresentano il fulcro dell’intero sistema,
venendosi a porre come elemento catalizzatore di tutti i soggetti, interni ed
esterni, che contribuiscono allo sviluppo dell’area in questione. Queste
agenzie, dunque, cercano di migliorare la competitività delle imprese locali
e la visibilità dell’area nei confronti dei potenziali investitori, puntando ad
attrarli e, successivamente, in caso di risposta positiva, ad accompagnarli
nel loro processo di insediamento sul territorio. In tal modo, costituiscono
esse stesse un significativo fattore di attrattività per l’area di riferimento.
4
CAPITOLO 1:
Il processo di internazionalizzazione delle imprese 1.1. Cenni introduttivi L’internazionalizzazione 1
è un fenomeno che oggi influenza le scelte
strategiche di tutte le aziende, indipendentemente dalla dimensione, dal
settore e dall’area geografica di appartenenza. I mercati internazionali sono
sempre più interdipendenti e le aziende si confrontano con essi sia come
fonte di approvvigionamento, che come mercato di sbocco dei propri
prodotti e servizi.
Lo sviluppo del processo di internazionalizzazione delle imprese può essere
suddiviso in quattro fasi temporali 2
. La prima fase vede come protagoniste
assolute le imprese europee (in particolar modo quelle nord-europee) che,
nel periodo antecedente le due guerre mondiali, aumentarono la loro
presenza nei mercati internazionali cercando di soddisfare le richieste dei
mercati coloniali e prelevando in loco diverse materie prime.
La seconda fase, che inizia nel secondo dopoguerra, è governata dalle
imprese americane, principali attori a causa dei forti vantaggi competitivi
legati alle superiori capacità in ambito innovativo nella produzione di
1
L’internazionalizzazione racchiude sia lo svolgimento di attività all’estero che la presenza di imprese
estere nel proprio mercato, ma anche una tendenza all’attenuazione delle differenze, a livello
internazionale, di modalità e metodologie operative, di caratteristiche di prodotti come di
regolamentazioni e di comportamenti. Cfr. Usai G., Velo D., Le imprese e il mercato unico europeo ,
Pirola, Milano, 1990.
2
Baronchelli G., La delocalizzazione nei mercati internazionali , LED Edizioni Universitarie di Lettere
Economia Diritto, Milano, 2008, p. 13.
5
prodotti ad elevato contenuto tecnologico, oltre che alla forte spinta
derivante dagli aiuti concessi ai Paesi europei per la ricostruzione post-
bellica. In questo periodo, le imprese americane hanno dimostrato di
eccellere anche nell’area finanziaria e manageriale ed hanno sviluppato la
propria presenza internazionale anche con forme di investimento diretto.
La fase successiva vede come protagoniste non più le imprese statunitensi,
bensì quelle giapponesi, che dagli anni Ottanta fecero il loro ingresso sul
mercato mondiale, utilizzando strategie innovative implementate all’interno
del loro mercato e rivelatesi vincenti anche su quello internazionale. Le
imprese giapponesi si concentrarono in investimenti all’estero nei settori in
cui il Paese vedeva ridursi i propri vantaggi competitivi a causa
dell’incremento dei salari, dei tassi di cambio e della mancanza di materie
prime. Gli investimenti giapponesi erano, quindi, indirizzati verso quelle
aree asiatiche che permettevano loro di sfruttare le strategie sviluppate
all’interno, ma avvantaggiandosi contemporaneamente dei minori costi di
produzione. Tutto ciò ha permesso a imprese giapponesi, prima
sconosciute, di diventare concorrenti diretti di imprese multinazionali già
presenti nel settore da parecchi anni. Tipici esempi possono essere: la
Casio negli orologi e la Sony nell’elettronica di consumo.
La quarta ed ultima fase riguarda il periodo che, iniziando con gli anni
Novanta, può essere descritto come il periodo della globalizzazione ,
termine che dal punto di vista economico indica l’integrazione crescente
delle diverse aree del mondo 3
. In quest’ultima fase, non è più un solo
modello d’impresa referente ad una specifica area geografica a
contraddistinguersi, ma è un’impresa con origini diverse, presente sui
mercati internazionali, ma legata alle esigenze locali dei consumatori. Il
nuovo modello d’impresa valuta, infatti, le molteplici richieste dei vari
stakeholders sin dalla progettazione del prodotto, per continuare nella
3
Valdani E., Bertoli G., Mercati internazionali e marketing , Egea, 2003, p. 3.
6
localizzazione degli approvvigionamenti e della produzione e terminare
con la definizione delle modalità di approccio al mercato di sbocco.
L’organizzazione di questa “nuova” impresa si caratterizza per la sua
flessibilità e per la sua capacità di saper coordinare le differenti risorse
presenti in ciascuna area del mondo in cui si è sviluppata. Si tratta, quindi,
di una impresa che è efficiente a livello globale, ma molto attenta e
sensibile alle richieste locali.
Oggi, a differenza del passato, l’internazionalizzazione non può più essere
considerata come un’alternativa, un’opzione strategica, fra le tante a
disposizione del management delle imprese, ma deve essere vista come una
scelta obbligata, non solo per competere meglio con i concorrenti, ma ai
fini della stessa sopravvivenza delle imprese.
Nello scenario competitivo attuale, tutte le imprese, siano esse grandi,
medie o piccole, non si confrontano più su mercati limitati entro i confini
regionali o nazionali, ma hanno l’obbligo quasi, di allargare i propri
orizzonti, di estendere il proprio ambito d’azione oltre i suddetti confini. La
competizione, oggi, avviene su scala planetaria; il mercato, quindi, non può
che essere un mercato mondiale.
L’internazionalizzazione ha luogo nel momento in cui un’impresa amplia le
sue politiche di approvvigionamento, di vendita o di trasformazione al di là
dei confini dello Stato nel quale ha la sua sede di partenza 4
. Tale processo
implica che alla base ci sia una scelta strategica.
In termini più espliciti, internazionalizzarsi significa scegliere quali sono i
migliori mercati geografici ove approvvigionarsi, le aree in cui dislocare la
produzione, i Paesi nei quali vendere i propri prodotti, il posizionamento
più idoneo per i centri di ricerca e sviluppo, le piazze finanziarie dalle quali
attingere il capitale di rischio e quello di credito.
4
Dematté C., Perretti F., Marafioti E., Strategie di internazionalizzazione , Egea, Milano, 2008, p. 43.
7
La strategia così definita dovrà permettere il raggiungimento del triplice
equilibrio di gestione (economico, finanziario e patrimoniale) che sarà
ottenibile solamente se le scelte di cui sopra non saranno disgiunte l’una
dall’altra; è quindi necessaria la piena congruenza fra le scelte sui diversi
fronti su cui si dispiega l’attività dell’impresa.
Il concetto di internazionalizzazione si è allargato, nel tempo, riflettendo la
crescente complessità delle modalità con cui le imprese sviluppano la loro
presenza all’estero.
Una definizione assai ampia del termine internazionalizzazione vi fa
rientrare tutte le imprese che, in qualche modo, intrattengono rapporti non
occasionali con l’estero. Tali rapporti possono essere di natura finanziaria,
commerciale e produttiva. Naturalmente questi ultimi, in genere,
richiedono un maggior impegno ed un maggior esborso di capitale
(economico-finanziario, ma anche umano) da parte dell’impresa che li
attua.
Se prima si era affermata la forma di internazionalizzazione “mercantile”,
che consisteva nell’approccio ai mercati esteri tramite le esportazioni 5
,
dirette o indirette, oggi ormai prevale la forma di internazionalizzazione
“produttiva”, che consiste nel trasferimento, da parte delle aziende, di
risorse e di capacità tecnologiche dal Paese di origine ad un altro.
L’internazionalizzazione produttiva può essere considerata, quindi, come la
strategia competitiva, perseguita dall’impresa, finalizzata all’istituzione di
una presenza stabile nei Paesi esteri attraverso la realizzazione di
investimenti produttivi e commerciali che possono permettere alla stessa di
agire direttamente sui mercati internazionali.
5
Majocchi A., Economia e strategia dei processi di internazionalizzazione delle imprese , Giuffrè, Milano,
1997.
8
1.2. Le cause e le finalità dell’internazionalizzazione dell’impresa Nel corso degli anni si sono avuti numerosi contributi interpretativi
del processo di espansione estera delle imprese e dei fattori che ne sono
all’origine. Una specie di sintesi può ritrovarsi nel “paradigma eclettico”
elaborato da J. Dunning 6
.
Il paradigma di Dunning individua tre specifiche condizioni che spingono
l’impresa a investire all’estero:
• Ownership advantage . L’impresa si internazionalizza perché
possiede particolari risorse e competenze distintive che le permettono di
avere un vantaggio competitivo rilevante anche in ambito internazionale
oppure perché proprio attraverso l’organizzazione della produzione su scala
internazionale riesce a ridurre i costi di transazione ad un livello inferiore
di quello dei concorrenti. Tali vantaggi da proprietà includono tutti i fattori
competitivi appropriabili ed esclusivi, come ad esempio il livello delle
economie di scala, l’abilità nell’innovazione tecnologica, la capacità
imitativa, l’abilità organizzativo-manageriale, la disponibilità finanziaria, le
conoscenze in vari ambiti, le competenze e gli skill 7
.
• Location advantage . L’impresa, in questo caso, trova dei vantaggi
localizzativi connessi a specifiche caratteristiche dell’ambiente in cui vuole
espandersi. Essa può sfruttare delle condizioni estere favorevoli che le
permettono di valorizzare le risorse e le competenze che ha già a sua
disposizione; inoltre, ha la possibilità di utilizzare risorse presenti nel
territorio estero che prima non possedeva e di goderne i relativi e
conseguenti vantaggi. Questi vantaggi possono derivare dalla presenza di
risorse naturali, dalla disponibilità, dal costo e dal grado di qualificazione
6
Dunning J.H., International Production and the Multinational Enterprise , Allen & Unwin, London,
1981.
7
Paoli M., Marketing d’area per l’attrazione di investimenti esogeni , Guerini, Milano, 1999, p. 41.
9
del lavoro, dalla presenza di adeguate infrastrutture, dal potenziale
scientifico-tecnologico ed innovativo nazionale, dalla dimensione dei
mercati, dalla distanza (sia geografica che culturale) dal Paese investitore,
da fattori istituzionali e da politiche pubbliche 8
.
• Internalization advantage . Vantaggio derivante dall’integrazione
all’interno dell’impresa di attività diverse. L’impresa può sfruttare meglio
la valenza competitiva internazionale di determinate risorse di cui dispone
all’interno della propria struttura organizzativa piuttosto che concedendone
l’utilizzazione a terzi mediante vendita o licenza.
In base al tipo di vantaggio posseduto dall’impresa si svilupperanno diverse
modalità di internazionalizzazione: ad esempio, l’ottenimento di vantaggi
localizzativi favorirà la decisione di creare delle unità produttive nel Paese
obiettivo attraverso gli investimenti diretti esteri.
La varietà strategica di manifestazione dell’internazionalizzazione
produttiva si basa sulla tassonomia di Dunning che considera i seguenti
obiettivi: necessità di reperire risorse a basso costo ( resource seekers ),
volontà di stabilire un presidio diretto sui mercati esteri ( market seekers),
desiderio di razionalizzare la struttura produttiva esistente ( efficiency
seekers), esigenza di accedere ad asset complementari di natura strategica
(strategic asset seekers).
L’internazionalizzazione produttiva 9
può essere considerata anche in base
alle seguenti finalità:
1. Internazionalizzazione produttiva indotta da fattori istituzionali.
Esistono fattori che stimolano l’internazionalizzazione produttiva in
entrata ed in uscita. I primi mirano ad attrarre investimenti esteri in
una determinata regione attraverso una politica di marketing
territoriale di primo livello (finanziamenti agevolati, imposizione
8
Paoli M., Marketing d’area per l’attrazione di investimenti esogeni , Guerini, Milano, 1999, p. 41.
9
Ferrucci L., Strategie competitive e processi di crescita dell’impresa , Franco Angeli, Milano, 2000.
10
fiscale ridotta, modelli societari semplificati, procedure burocratiche
più snelle) e di secondo livello ( industry-specific ). I secondi, invece,
attengono ad un processo di rilocalizzazione internazionale di
imprese nazionali per effetto di interventi istituzionali pubblici.
2. Internazionalizzazione produttiva finalizzata al vantaggio di
costo. Questo tipo di internazionalizzazione è diretto a contenere i
costi medi totali, stabilizzando soprattutto i costi di logistica ed il
costo del lavoro. In tal caso, le operazioni decentrabili devono essere
standardizzate, devono richiedere un’ingente quantità di lavoro
(labour intensive ) e devono essere semplici in relazione al
trasferimento del know how .
3. Internazionalizzazione produttiva finalizzata al presidio dei
mercati. Si avverte l’esigenza di presidiare i mercati esteri con nuovi
strumenti per rispondere alle nuove esigenze di consumo e per
fronteggiare la concorrenza su nuovi “terreni”.
4.Internazionalizzazione produttiva finalizzata ai learning
markets. Esistono delle aree nel mondo in cui si cumulano svariate
conoscenze che, una volta applicate, consentono una fervente
generazione di processi innovativi. Tali aree vengono comunemente
definite “ learning markets ”. Essi, in genere, si distinguono in
learning markets tecnologici e di consumo. I primi contribuiscono a
ridurre l’incertezza sulle traiettorie scientifico-tecnologiche che
potranno divenire “vincenti”; i secondi, invece, permettono di
comprendere in anticipo le nuove tendenze di consumo destinate a
diffondersi su scala mondiale ed assecondano la comprensione di
soft signals di mercato, ossia quei segnali non desumibili, facilmente,
dalle normali ricerche di mercato.
11
Le imprese che intendono espandere la propria attività produttiva e
commerciale all’estero sono influenzate, quindi, da diversi fattori che
possono, sinteticamente, essere ordinati in due categorie:
• fattori connessi allo sviluppo della posizione competitiva
dell’impresa (cause interne);
• fattori connessi all’adeguamento o allo sfruttamento degli stimoli
provenienti dall’ambiente rilevante (cause esterne).
L’evoluzione internazionale dell’impresa non si manifesta, salvo casi
particolari, in un evento unico, ma risulta piuttosto un processo articolato in
diversi passaggi. È corretto spiegare il processo di espansione estera
dell’impresa attraverso un insieme di motivazioni, che intervengono in
diversi momenti temporali e con valenza differente. Spesso, nessuna delle
concause individuate spiega completamente la dimensione internazionale
raggiunta dall’azienda, ma ciascuna è alla base di un certo passaggio del
processo che ha condotto al raggiungimento di tale dimensione.
L’enfasi deve essere posta principalmente sui fattori interni, in quanto il
processo di espansione all’estero è la manifestazione delle caratteristiche
dell’impresa dal punto di vista organizzativo, strategico e dei meccanismi
di creazione delle conoscenze. I fattori esterni vanno interpretati come
elementi dai quali l’impresa può trarre una spinta verso specifiche modalità
di espansione estera.
L’azienda deve quindi avere dal proprio interno la spinta per il cambio
organizzativo mentre le forze esterne devono essere solamente di supporto
alle scelte aziendali e possono facilitarne l’approccio. La combinazione
delle due spinte può generare un incremento del vantaggio competitivo:
infatti, grazie alla presenza in diverse aree geografiche, l’azienda può
scambiare informazioni, risorse e conoscenze che permettono una crescita
ed un rafforzamento della propria posizione competitiva.
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