- 1 -
CAPITOLO I
COOPERAZIONE E COOPERATIVE
- 2 -
1.1 NOZIONI INTRODUTTIVE
«Cooperare», dal latino «cooperari, cum operari», operare insieme, sta ad indicare il concetto
di mutuo aiuto.
Il termine «cooperazione» già si rinviene nella prima metà del XIV secolo per esprimere il
concetto di mutuo aiuto, di solidarietà; «cooperatore» entra in uso nel XVI secolo per indicare
colui che partecipa all’azione di aiuto, mentre nel secolo scorso si trova per la prima volta la
parola «cooperativa» in riferimento alla ragione sociale e sede di coloro che si uniscono per la
difesa dei loro interessi di consumo e di lavoro
1
.
Il Faquet
2
fa risalire la cooperativa agli anni Quaranta del XIX secolo, con essa indicando «il
sistema associativo di produzione del lavoro creato dal filosofo inglese Owen», il quale ricol-
legò il tentativo di cooperazione alla realizzazione di utopie di vita comunitaria.
È difficile oggi dare una definizione univoca di cooperazione e di cooperativa. Ciò perché si
indugia troppo spesso a considerare la società cooperativa alla luce del diritto positivo, senza
percepire il fenomeno della cooperazione nella sua reale essenza, che fa di esso più che un i-
stituto, un movimento; e senza cogliere soprattutto la somma di valori che si agitano nel mon-
do cooperativo e che si esprimono in quei principi ai quali il movimento cooperativo interna-
zionale si ispira e mira ad informare la sua azione.
Si potrebbe affermare che nell’impresa cooperativa si assiste ad un’inversione tra obiettivi e
vincoli rispetto all’impresa capitalistica. Il profitto, obiettivo primario per quest’ultima, in co-
operativa è una condizione di efficienza, mentre quelli che per l’impresa privata sono vincoli
esterni (occupazione, valorizzazione della professionalità, conseguimento di migliori condi-
zioni di vita, ecc.) sono altrettanti fini per l’impresa mutualistica
3
.
Una strada che consente di giungere ad una comprensione sufficientemente chiara delle moti-
vazioni che stanno alla base del fenomeno cooperativo e dei suoi ideali ispiratori è quindi
quella di riferirsi a tali principi che sono tradizionalmente espressi dall’Alleanza
1
Cfr. O. Spinelli, La mutualità in Italia e all’estero, Edizioni de “La Rivista della Cooperazio-
ne” n. 31 a cura della Direzione Generale della Cooperazione presso il Ministero del Lavoro e
della Previdenza sociale, Roma 1987, pag. 19.
2
G. Faquet, “Cooperazione” e “Cooperative” donde vengono queste parole?, in G. Faquet,
Saggi sul movimento cooperativo, Roma 1949, pag. 45.
3
Cfr. V. Galetti, Cooperazione: partecipazione e riforme, Bologna 1977, pag. 33.
- 3 -
Cooperativa Internazionale (A.C.I. o I.C.A.)
4
. La pagina seguente riporta un prospetto dell’I.C.A.
a livello mondiale.
L’A.C.I. prescinde dall’impostazione dei diversi sistemi politici ed economici (economia di
mercato o economia socialista), perché intende essere il punto di incontro di organismi federa-
tivi nazionali che esprimono forze umane e sociali che, pur mirando a contribuire a un miglior
sistema di organizzazione economica, non intendono sovvertire il sistema in cui sono inserite,
ma semplicemente creare maggiori spazi vitali agendo quali correttivi degli squilibri o scom-
pensi del sistema stesso.
Oggigiorno più nessuno vede la cooperativa come una forma di autogestione alternativa al si-
stema capitalista o a quello socialista ad economia pianificata, quanto piuttosto una parte inte-
grante del sistema economico di mercato in cui imprese private, imprese cooperative e impre-
se pubbliche esercitano la loro attività secondo le regole della concorrenza.
Un’altra questione molto più controversa, che non si intende approfondire in questa sede, è se
le cooperative costituiscono una specie di «terzo settore» dell’economia, accanto alle imprese
private e a quelle pubbliche
5
.
Nei congressi dell’A.C.I. vengono periodicamente dibattuti i problemi dello sviluppo della
cooperazione e tra i compiti dell’organismo figura quello della revisione e aggiornamento dei
«principi» della cooperazione, la cui prima concreta formulazione è dovuta ai «Probi Pionieri
di Rochdale», cioè ad un gruppo di operai tessili disoccupati che nel 1844, sotto lo stimolo e
l’ispirazione delle teorie di Robert Owen, costituirono una cooperativa di consumo, la prima
4
Associazione nata a Londra nel 1895 per iniziativa del movimento cooperativo inglese, la qua-
le raggruppa le varie unioni ed organizzazioni cooperativistiche rappresentative dei diversi
movimenti nazionali, allo scopo di creare fra esse vincoli permanenti di collaborazione su tutti
i piani, non escluso quello economico, in vista dello sviluppo di un «sistema non lucrativo di
produzione e distribuzione» su scala mondiale. Grazie alla consistenza delle adesioni raggiun-
te, all’efficienza della sua azione ed ai risultati ottenuti, in particolare nei paesi del Terzo
mondo (ove si dimostra con maggiore evidenza l’utilità e l’incisività della presenza di validi
movimenti cooperativi atti a sollevare le condizioni economiche di quelle popolazioni),
l’A.C.I. ha ottenuto dalla Organizzazione delle Nazioni Unite lo statuto di «organizzazione
consultiva di prima categoria», con il diritto di inviare propri rappresentanti al Consiglio eco-
nomico e sociale ed alle assemblee annuali dell’Ufficio Internazionale del Lavoro di Ginevra.
5
Comité Economique et social des Communautes européennes, Secrétariat générel, Les Orga-
nisations coopératives, mutualistes et associatives dans la Communauté européenne et dans
les pays candidats, documentation, edition provisoire, Bruxelles, avril 1984, Tome 1, pagg.
44 ss.
- 4 -
- 5 -
compiuta organizzazione cooperativa del nostro tempo, come è intesa nell’accezione
moderna del termine.
L’organizzazione dei Pionieri di Rochdale non fu un fatto improvvisato, ma sorse come frutto
di una lunga preparazione, di talune sperimentazioni e in particolare di un processo di forma-
zione culturale che si riallacciava al pensiero e all’opera di Owen e soprattutto di William
King, che già negli anni 1828-30 aveva diretto la rivista «The Co-operator». Questi vedeva un
valido strumento di eliminazione o almeno di riduzione dei conflitti sociali nell’assunzione
dell’iniziativa economica da parte di coloro che erano soggetti allo sfruttamento altrui, cioè
nel fatto che costoro riuscissero a farsi imprenditori di se stessi, eliminando sia sul versante
degli acquisti, sia, più tardi, su quello del mercato del lavoro, il profitto dell’imprenditore in-
termediario.
È interessante notare che la singola iniziativa cooperativa non era mai vista come fine a se
stessa, ma nel quadro di una prospettiva più ampia, quello della creazione di una comunità in
cui potessero dissolversi, o quantomeno attenuarsi, quelle caratteristiche negative che con-
traddistinguevano la società del tempo.
Alla vigilia del primo congresso dei cooperatori italiani (1886) un giovane e colto studioso
della cooperazione, Ugo Rabbeno, tracciando alcune linee dello sviluppo del movimento in
Italia, indicava che carattere essenziale delle cooperative
è di essere unioni di persone aventi per iscopo non di speculare, ma soltanto di adem-
piere mutuamente e collettivamente ad un bisogno comune a tutte; od in genere di
rendersi un servizio a tutte necessario e che altrimenti sarebbe richiesto ad altri con di-
spendio maggiore; di sopprimere gli intermediari costosi e di esercitarne collettiva-
mente la funzione con vantaggio comune.
Ed ancora:
di occuparsi, in genere, non dell’interesse di pochi individui, o di una classe ristretta,
ma dell’interesse di intere classi; di essere animate in generale non da spirito egoistico,
ma da un vasto e liberale spirito di simpatia e di fratellanza
6
.
Il vantaggio collettivo ed una base morale formano quindi il contenuto essenziale della coope-
6
Cfr. Ugo Rabbeno, La Cooperazione in Italia. Saggio di sociologia economica, Milano 1886,
in AA.VV., Storia del movimento cooperativo in Italia 1886-1986, Giulio Einaudi Editore,
Torino 1987, pag. 48.
- 6 -
razione.
In un’intervista rilasciata nell’imminenza del primo congresso nazionale della Confederazione
Cooperativa Italiana
7
tenutosi il 2 e 3 aprile 1921, l’allora Segretario Generale avv. Ercole
Chiri così tratteggiava gli scopi della cooperativa:
i primi consistono nella eliminazione di qualsiasi intermediario dal ciclo e-
conomico con vantaggio dei consumatori e dei produttori che ne beneficiano
nella riduzione dei prezzi e dei costi, mentre i secondi, d’indole più ampia,
coincidono con la tendenza a trasformare l’attuale assetto sociale su un fon-
damento migliore
8
.
Questa combinazione di idealismo e di intenti pratici immediati spiega perché quel seme get-
tato in Gran Bretagna, abbia ben presto attecchito dando luogo all’affermarsi, su scala ormai
mondiale, di un sistema di imprese non fondate sulla ricerca del profitto ma sul servizio degli
associati e destinato a porsi quale correttivo del sistema economico in cui è inserito.
Ideali come eguaglianza, proprietà sociale, vicendevole assistenza, giusto prezzo, abolizione
della molla del profitto, educazione alla cooperazione, che animarono il pensiero di Owen,
King, Fourier ed altri, vennero in seguito trasfusi nel moderno movimento cooperativo.
C’è un brano della Commissione preposta ai Princìpi che delinea il concetto di cooperativa, la
sua funzione, i suoi caratteri differenziali rispetto alle imprese ordinarie:
In tutti tempi l’elemento comune è stato che la cooperazione, nella sua forma ideale,
vuol fare qualcosa di più che promuovere gli interessi dei singoli soci che compongo-
no ogni cooperativa. Il suo obiettivo è soprattutto quello di promuovere il profitto e il
benessere dell’umanità. È questo scopo che differenzia in qualche modo una società
cooperativa da una impresa economica ordinaria, e che giustifica il fatto che una coo-
perativa non va giudicata soltanto dal punto di vista della capacità commerciale, ma
anche dal punto di vista del suo contributo ai valori sociali e morali che elevano la vita
umana al di sopra di ciò che è puramente materiale e animale.
In questa frase è espressa e sintetizzata l’ideologia moderna della cooperazione: la cooperati-
va è e resta una impresa privata, ma ad impronta sociale; si propone cioè di realizzare ad un
tempo sia gli interessi di coloro che vi partecipano, sia un servizio o beneficio per la comunità
nella quale essa opera, e questo vale tanto nei sistemi ad economia di mercato quanto in quelli
7
Associazione rappresentativa delle cooperative a matrice cattolica.
8
Cfr. Confederazione Cooperativa Italiana, Primo Congresso Nazionale della Cooperazione
Cristiana, Treviso 2-3 aprile 1921, Atti ufficiali, Ed. Luigi Buffetti, Roma 1981, pag. 25.
- 7 -
a economia pianificata.
Quanto sopra enunciato è l’elemento di caratterizzazione che da sempre ha ispirato il movi-
mento cooperativo ed è tenuto presente, più o meno esplicitamente, nelle legislazioni dei vari
paesi volte a regolamentare la cooperazione
9
.
«Il movimento cooperativo è una sfida costante al sistema economico tradizionale. Esso prova
che è possibile dar vita ad un sistema alternativo basato sulla solidarietà e la democrazia». In
questi termini si espresse nel giugno 1976 il premier M. Olaf Palme al Congresso del massi-
mo organismo della cooperazione di consumo svedese
10
.
I principi cooperativi sono regole pratiche concernenti la strutturazione ed i modi di gestione
dell’impresa cooperativa; rivestono un’importanza di primo piano per una piena comprensio-
ne del diritto societario cooperativo vigente e delle iniziative di armonizzazione ed adegua-
mento dello stesso. L’esposizione che segue è quella risultante dall’ultima rielaborazione e ri-
formulazione dei principi suddetti, messa a punto nel 1966 dal Congresso di Vienna del-
l’A.C.I.:
1) Libera adesione. L’adesione ad una cooperativa deve essere volontaria ed aperta a
tutti coloro che possono utilizzarne i servizi e che acconsentono ad assumere le re-
sponsabilità inerenti alla qualità di socio. Essa non deve essere oggetto di restrizione
artificiosa né di alcuna discriminazione sociale, politica, razziale o religiosa.
Presupposto per l’attuazione del presente principio è l’esistenza di un regime di libera orga-
nizzazione della vita sociale ed economica. Di conseguenza «libera adesione» non significa
che le cooperative sono obbligate ad accettare tutte le domande di adesione. Possono esistere
restrizione nell’ammissione dei soci derivanti dalla qualifica professionale dei soci, dalla spe-
cializzazione e dalle finalità della cooperativa nonché da ragioni di economicità e sussistenza
della stessa.
2) Amministrazione democratica. Le società cooperative sono organizzazioni democrati-
9
Cfr. Piero Verrucoli, I principi dell’Alleanza Cooperativa Internazionale e la loro applicazio-
ne nella legislazione italiana, in «Rivista della Cooperazione», n. 5 nuova serie, Roma otto-
bre-dicembre 1980, passim.
10
Cfr. Renato Dabormida, Il movimento cooperativo e la legislazione in materia di “società eco-
nomiche” in Svezia, in «Rivista della Cooperazione», n. 7 nuova serie, Roma aprile-giugno
1981, pag. 105.
- 8 -
che: i loro affari devono essere amministrati dalle persone scelte o nominate secondo
la procedura adottata dai soci nei cui confronti sono responsabili. I soci delle società
di primo grado debbono avere uguale diritto di voto (un socio un voto) e di partecipa-
zione alle decisioni che interessano la società. Nelle società di grado superiore, l’am-
ministrazione deve essere esercitata su una base democratica, in forma appropriata.
La risoluzione fissa il principio di responsabilità degli organi sociali, il principio del voto uni-
co a base dell’amministrazione democratica, per le cooperative di primo grado, ed i sistemi di
rappresentanza nella gestione dei consorzi, le modalità di formazione degli organi sociali nelle
grandi cooperative mediante le assemblee separate.
3) Interesse sul capitale. Se pagato un interesse sul capitale sociale il suo tasso deve esse-
re strettamente limitato.
Mentre nelle società ordinarie e soci conferiscono il capitale allo scopo di dividere gli utili in
modo che esso diventa fine a se stesso e costituisce quindi un investimento, nelle cooperative
il capitale ha una funzione strumentale, ed è fornito dai soci per procurarsi beni o servizi op-
pure occasioni di lavoro alle migliori condizioni, oltre che assolvere la funzione di autofinan-
ziamento. Non c’è principio che obblighi a corrispondere un interesse, e se questo viene corri-
sposto, il suo tasso deve essere limitato e fisso, per evitare che le cooperative degenerino ver-
so forme speculative.
Il capitale sociale è tuttavia indispensabile per evitare il ricorso eccessivo a capitale di credito
gravando l’economia della società e mettendola in posizione di subordinazione verso i forni-
tori dello stesso. L’interesse sulla partecipazione ha lo scopo di favorire la crescita del capitale
sottoscritto dai soci.
4) Distribuzione degli avanzi di gestione. Gli utili e gli eventuali avanzi di gestione risul-
tanti dalle operazioni sociali appartengono ai soci e debbono essere ripartiti in modo
da evitare che qualcuno di essi sia favorito a danno degli altri. Ciò si può ottenere
mediante la scelta delle seguenti destinazioni: sviluppo degli affari sociali; creazione
di servizi comuni; ripartizione tra i soci proporzionalmente alle loro operazioni con
la società.
Il principio in oggetto differenzia gli utili o avanzi di gestione della cooperativa da quelli della
- 9 -
società ordinaria: mentre in quest’ultima il saggio di profitto è commisurato al capitale inve-
stito dal socio, nella società cooperativa si realizzano essenzialmente «vantaggi cooperativi»
consistenti in risparmi di spesa o in maggiori redditi realizzati dal socio nelle operazioni so-
ciali con la cooperativa.
Viene inoltre istituito per tutte le cooperative il «ristorno», consistente nell’attribuzione al so-
cio del risultato conseguito dalla società in rapporto al grado di partecipazione del socio stesso
all’attività d’impresa.
5) Educazione cooperativa. Tutte le cooperative debbono curare la diffusione tra i soci,
dirigenti ed impiegati e il pubblico dei principi e dei metodi della cooperazione sul pi-
ano economico e democratico.
È il principio che rende possibile l’osservanza e l’applicazione degli altri principi. Essi rap-
presentano qualcosa di più che formule verbali o articoli di un regolamento da osservare: sono
lo spirito della cooperazione che deve essere rinnovato continuamente, cosa che diventa pos-
sibile solo se si effettua con cura e assiduità una idonea educazione cooperativa a tutti i livelli.
Essa compete allo Stato, in attuazione dell’articolo 45 della Costituzione, in quanto riconosce
la funzione sociale della cooperazione; ma compete altresì al movimento cooperativo, per il
quale la formazione deve essere impegno permanente specialmente di fronte ai complessi
problemi tecnici ed economici posti dalla società moderna.
6) Integrazione intercooperativa. Per poter curare in miglior modo l’interesse dei soci e
della collettività, ogni organizzazione cooperativa deve cooperare attivamente in tutti i
modi possibili, con le altre cooperative su scala locale, nazionale e internazionale.
L’integrazione, sia orizzontale che verticale, rappresenta un’estensione naturale della società
cooperativa tendente a conseguire un’economia di scala ed una presenza più efficace sul mer-
cato nazionale e internazionale. Essa prefigura nei vari tipi consortili la forma appropriata di
aggregazione delle imprese cooperative
11
.
Sin dalle origini la società cooperativa è quindi il risultato della combinazione di elementi as-
sociativi e di elementi societari: da un lato infatti è caratterizzata dai principi della democrazia
11
Cfr. Gherardo Pignagnoli, La Società Cooperativa, Edizioni Conedit, Roma, pagg. 19 ss.
- 10 -
propri delle associazioni
12
, mentre dall’altro è una impresa, il momento di massima espressio-
ne delle economie individuali dei soci. I due momenti sono legati tra loro da speciali «relazio-
ni di servizio».
La coesistenza di queste due caratteristiche sta alla base delle difficoltà incontrate dai legisla-
tori europei nel disciplinare il nuovo schema societario. Lo strumento giuridico stentò infatti
alquanto ad adeguarsi a quel movimento di idee e di azione che non investiva soltanto l’eco-
nomia, ma altresì i rapporti sociali ed interindividuali
13
. In considerazione appunto della «fun-
zione sociale» svolta dalla cooperazione retta con i principi della «mutualità», si assiste al ri-
conoscimento da parte di quasi tutte le legislazioni della sua meritevolezza a godere di benefi-
ci ed incentivi pubblici di varia natura, tra cui si annoverano anche esenzioni ed agevolazioni
fiscali, sia nell’ambito delle imposte dirette, sia in quello delle imposte indirette.
Delineata così per sommi capi quella che è la cooperazione in base ai suoi principi ideali, si
deve tuttavia ammettere che ci troviamo di fronte ad una nozione solo apparentemente chiara;
essa rappresenta, all’opposto, un terreno di discussione tra i più fertili e tormentati, a causa
appunto della nebulosità di concetti come «mutualità», «funzione sociale» e simili.
Che cosa sia una cooperativa, la sua struttura, i suoi principi sono infatti argomenti tutt’altro
che pacifici in dottrina e in giurisprudenza: essi hanno impegnato e impegnano tuttora politici,
economisti, giuristi, sociologi, storici con esiti e valutazioni spesso discordanti e
contrapposti
14
.
È evidente che si tratta di un dibattito che ha dei riflessi sostanziali sul tema oggetto del pre-
sente lavoro. Sarà quindi necessario, dopo aver brevemente considerato l’evoluzione storica
della cooperazione in genere e di quella di produzione lavoro in particolare, soffermarci ad
esaminarne gli aspetti più rilevanti.
12
Cfr. Piero Verrucoli, L’istituto cooperativo nel quadro delle forme associative, in Cooperazio-
ne e cooperative, Liguori editore, Napoli 1977, pag. 42.
13
Cfr. Renato Dabormida, Evoluzione dei principi e del diritto cooperativo: dall’utopia
all’imprenditoria del futuro, in «Rivista della Cooperazione» n. 31, Roma 1987, pag. 61.
14
Cfr. Guido Bonfante, La legislazione cooperativa – Evoluzione e problemi, Giuffré editore,
Milano 1984, pag. 1.
- 11 -
1.2 LA COOPERAZIONE DI PRODUZIONE E LAVORO
1.2.1 Concetto e classificazione secondo la disciplina italiana
Ugo Rabbeno, grande studioso della cooperazione della fine del secolo scorso, tentò per la
prima volta in Italia di tracciare le prime linee di una teoria delle società cooperative di pro-
duzione. Egli individua la vera essenza della cooperativa di produzione nel fatto che entrambi
gli elementi che concorrono alla produzione industriale, capitale e lavoro, esercitino insieme
l’impresa per conto comune, assolvendo insieme la funzione di imprenditori
15
.
Si potrebbero raggruppare tout court nel termine «cooperative di lavoro» le «organizzazioni
imprenditoriali» composte esclusivamente da lavoratori che si associano ed assumono collet-
tivamente mediante un ente da essi stessi creato, l’esecuzione di opere e di servizi, procurando
così ai soci condizioni di stabilità, sicurezza e remuneratività sostanzialmente migliori di quel-
le di mercato. Dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che oggetto sociale delle
cooperative di lavoro sia l’occasione di lavoro per i soci. Il contributo del socio si risolve fon-
damentalmente nell’esecuzione di un’attività lavorativa destinata a creare, assieme a quella
degli altri soci, un organismo di lavoro collettivo. Si ritrovano così nelle cooperative di lavoro
tutti gli elementi definitori di una società cooperativa, caratterizzata però da un oggetto socia-
le consistente nella produzione di beni (cooperative di produzione e lavoro, o cooperative in-
dustriali) o nella fornitura di servizi di vario tipo per mezzo del lavoro dei soci
16
. In questa lu-
ce perde gran parte di significato il criterio di classificazione assunta dal Ministero del Lavoro
di cui all’art. 13 del D.L.C.P.S. 14 dicembre 1947, n. 1577 per l’iscrizione nel registro prefet-
tizio, criterio che tuttavia è determinante ai fini di questo lavoro, in quanto è ad esso che fa ri-
ferimento la normativa delle agevolazioni tributarie.
Esiste tuttavia una notevole confusione intorno al concetto, indipendentemente dalla defini-
zione legislativa, di società cooperativa costituita tra lavoratori allo scopo di rendersi autono-
mi dai datori di lavoro lavorando a proprio rischio e procurandosi nello stesso
tempo un beneficio.
15
Cfr. Ugo Rabbeno, Le società cooperative di produzione, Collana di studi cooperativi n. 19,
Edizioni de «La Rivista della Cooperazione», Roma 1953, pagg. XVI ss.
16
Cfr. Marco Biagi, Cooperative e rapporti di lavoro, Franco Angeli Editore, Milano 1983,
pagg. 28 ss.
- 12 -
Ciò è confermato addirittura dal documento conclusivo della conferenza mondiale dell’A.C.I.
del 1978 sulle cooperative di sviluppo e industriali, ove è detto che alle imprese che tendono a
guidare la produzione industriale e le attività ad esse collegate in modo diretto responsabile
verrà dato il nome di cooperative di lavoro. Ma bisogna comprendere che i termini
«cooperative industriali», «cooperative di produzione lavoro», «cooperative di ser-
vizio» e «cooperative artigianali» possono essere impiegati nel corso del documen-
to per esprimere differenti aspetti della stessa idea fondamentale: quella cioè di
produttori uniti su base democratica per perseguire obiettivi economici, culturali e
sociali comuni, per il tramite di un’organizzazione in cui essi lavorano
17
.
L’uso indiscriminato di queste diverse espressioni per esprimere la stessa idea fondamentale è
indice non solo della mancanza di una terminologia comunemente accettata, ma anche di una
chiara definizione delle differenti forme di società cooperative e delle loro caratteristiche fon-
damentali, il che rende difficile analizzare i problemi specifici delle varie forme di società co-
operative. Si può tuttavia tentare una definizione approssimativa dei concetti su esposti.
Nelle cooperative di servizio le imprese o le economie individuali restano unità indipendenti,
mentre la cooperativa offre assistenza ai soci sotto forma di servizi ausiliari, atti a promuovere
le singole imprese o economie individuali.
Le cooperative di lavoro sono organizzazioni di lavoratori che hanno di mira la promozione
della posizione sociale ed economica di chi lavora ed è alle dipendenze di un datore di lavoro
attraverso la contrattazione collettiva finalizzata all’esecuzione dei lavori. In esse il lavoro è
organizzato su basi cooperative quale funzione separata rispetto alla gestione economica e fi-
nanziaria di un’impresa.
Nelle cooperative di produzione e lavoro invece i soci diventano collettivamente proprietari
di un’impresa comune, operando in essa come lavoratori autonomi a proprio beneficio ed a
proprio rischio: se artigiani, non mantengono la propria impresa, se lavoratori non sono in po-
sizione subordinata. Essi partecipano alla cooperativa con il proprio capitale e con il proprio
lavoro, deliberando altresì in tutte le materie connesse all’attività dell’impresa. Lo scopo prin-
cipale dell’attività comune è la produzione di beni e/o servizi, e la loro commercializzazione.
Si tratta di una gestione democratica dell’impresa fondata sulla partecipazione di chi apporta
allo stesso tempo lavoro e capitale.
17
International Co-operative Alliance, World Conference: Development and Industrial Coope-
ratives, Relazione finale, Roma e Londra 1978, pag. 3.