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INTRODUZIONE
Vi chiederete: perché analizzare cosa accade al momento del parto?
Perché la nascita porta con sé significati che normalmente vengono rimossi e
dimenticati, eppure continuano ad influenzarci.
Il lavoro che presento nasce, infatti, dal desiderio personale di lavorare
nel reparto maternità ospedaliero per aiutare la mamma, la coppia e il bambino
stesso a vivere in maniera più naturale possibile il momento della nascita
riducendo al minimo le “interferenze” del personale medico.
L’avventura del parto ha sempre interessato sia la psicologia che la
medicina: è l’evento più straordinario e allo stesso tempo il più studiato.
Sembra ormai, però, diventata una moda considerare la nascita come un
momento traumatico per il neonato, in primo luogo sul piano fisico ma,
soprattutto, su un piano emotivo e comportamentale. Si pensa, inoltre, che le
conseguenze di tale trauma si ripercuotano nella vita di ognuno di noi. Ma tutto
questo ha senso? E soprattutto che cosa significa? È un discorso molto
particolare ed è bene cercare di capire che cosa vuol dire “trauma della nascita”
e a cosa si riferisce.
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Il mio lavoro non si propone di fare alcuna ricerca sperimentale, bensì di
dare importanza a quelle già fatte e ai risultati ottenuti per “accompagnare” i
“non addetti ai lavori” ad avere un panorama generale sull’argomento e indurli
ad approfondire.
Nel primo capitolo, “La preparazione alla nascita”, parlo di
preparazione alla nascita, e non semplicemente di preparazione al parto, perché
non mi sono limitata ad approfondire unicamente i temi riguardanti gli eventi e
i mutamenti fisiologici e psicologici della donna in gravidanza e durante il
parto, ma ho focalizzato l’attenzione sulla nuova persona che nasce, sulla
transizione verso la genitorialità da parte della coppia e sulla nascita intesa
come evento familiare che include, pertanto, non solo la donna ma anche
l’uomo e, se presenti, gli altri figli. Ho sottolineato, infatti, l’importanza della
partecipazione attiva del padre all’evento nascita e della preparazione di
eventuali fratellini o sorelline. Ho evidenziato, anche, l’esigenza e
l’importanza di ampliare i tradizionali corsi di psicoprofilassi ostetrica, che
hanno come unico scopo quello di correggere i pregiudizi legati al parto e di
insegnare tecniche di respirazione e concentrazione, fino a farli divenire dei
veri e propri “percorsi educativi” per preparare la famiglia all’evento nascita e
che prevedano, pertanto, un’accurata informazione sulla vita e sulla psicologia
del nascituro.
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Nel secondo capitolo, “Il parto come trauma fisico per il neonato”, ho
esaminato, più da vicino, questo grande momento di transizione per capire, in
realtà, in cosa consiste il trauma fisico legato alla nascita. In primo luogo, ho
analizzato, infatti, le confortevoli condizioni in cui si trova il feto quando è
all’interno del grembo materno per poi confrontarle con l’ambiente in cui il
neonato viene al mondo. Questo passaggio dalla vita intra-uterina a quella
extra-uterina avviene in un intervallo di tempo relativamente breve e determina
un rapido adattamento da parte del nascituro. Ho poi evidenziato come, durante
il XX secolo, l’ospedalizzazione del parto, se da un lato ha permesso di
raggiungere una maggiore sicurezza riducendo notevolmente la mortalità
perinatale, dall’altro ha fatto perdere di vista quanto di naturale e umano c’è in
questo evento. È prassi ospedaliera, infatti, subito dopo la nascita, attuare delle
procedure assistenziali, ossia delle manovre più o meno invasive non così
necessarie e rispettose del magico momento.
Nel terzo capitolo, “Il trauma della nascita”, attraverso un piccolo
excursus storico ho spiegato come nasce e come si è evoluto il concetto
psicologico di “trauma della nascita”. Nel corso della storia della psicologia è
comunque raro trovare dei medici che hanno creduto che l’esperienza della
nascita potesse essere importante per il bambino, al punto da condizionare lo
sviluppo emozionale dell’individuo, e che, tracce del ricordo di
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quest’esperienza, possano persistere e provocare dei disturbi anche nell’adulto.
Otto Rank (1924) è stato il primo a sviluppare questo tipo di concetto; poi ho
citato Winnicott (1949) che, in suo celebre saggio, parlò di “esperienza della
nascita”, individuandone tre categorie diverse, arrivando, infine, a parlare del
Rebirthing, ossia di un sistema pratico di respirazione che permette di
dissolvere il trauma della nascita.
Nel quarto capitolo, “Tipi di nascita e relazioni”, sulla base degli studi
svolti da Sandra Ray e da Bob Mandel (1996), ho spiegato il rapporto che
intercorre fra il tipo di nascita sperimentato e il tipo di relazioni interpersonali
che scegliamo di instaurare e coltivare, illuminando, così, molti lati oscuri del
nostro modo di essere e di comunicare. Il modo in cui nasciamo crea, infatti,
un imprinting nella nostra mente, ossia uno schema di azione e comportamento
che inconsciamente ripetiamo nella vita e che influenza la personalità e la
futura vita sociale di chi viene alla luce.
Nel quinto capitolo, “La mente del neonato”, ho inizialmente sfatato
una serie di miti che per lungo tempo hanno condannato i neonati, a causa delle
loro piccole dimensioni, ad essere considerati adorabili ma incapaci, non solo
di pensare, ma anche di provare sensazioni ed emozioni. Queste teorie hanno
permesso di giustificare non solo la routine di infliggere dolore inutile al
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momento della nascita e nei reparti di terapia intensiva neonatale, ma anche la
mancata somministrazione di anestetici in caso di interventi chirurgici eseguiti
sui neonati e quelle pratiche culturali o religiose, come la circoncisione, a cui
sono stati sottoposti, per generazioni, la maggior parte dei maschietti. Negli
ultimi venti anni, invece, molti studiosi si sono interessati alle competenze del
neonato alla nascita e, compiendo degli studi sui comportamenti di interazione
precoce tra il bambino, la madre e l’ambiente circostante, hanno aperto una
panoramica inaspettata sulle competenze di cui sono dotati i neonati e sulle
loro capacità di comunicare sentimenti, emozioni e interessi. Alla nascita,
quindi, il bambino possiede sia le qualità primarie delle sensazioni e sia la
capacità di esprimerle attraverso la mimica facciale, i movimenti del corpo, le
variazioni del pianto e lo sguardo. Il neonato è, inoltre, in grado di apprendere
e di ricordare.
Nel sesto ed ultimo capitolo, “I bambini ricordano la nascita”, ho
messo in luce una tra le numerose ricerche svolte, negli ultimi trent’anni, da
David Chamberlain (1998), per dimostrare come i neonati sono degli esseri
umani pienamente consapevoli e in grado di interpretare e sperimentare la
realtà che li circonda in modo estremamente raffinato. Essi sono, pertanto in
grado di percepire, comprendere e ricordare la loro nascita.
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Capitolo 1
LA PREPARAZIONE ALLA NASCITA
Premessa
Parliamo di preparazione alla nascita, e non semplicemente di
preparazione al parto, perché non si tratta di approfondire unicamente i temi
riguardanti gli eventi e i mutamenti fisiologici e psicologici della donna in
gravidanza e durante il parto, ma anche di focalizzare l’attenzione sulla nuova
persona che nasce, sulla transizione verso la genitorialità da parte della coppia
e sulla nascita intesa come evento familiare che include, pertanto, non solo la
donna ma anche l’uomo e, se presenti, gli altri figli (Sarti, Sparnacci, 1980).
1.1 Dalla diade alla triade
Quando sta per nascere un bambino, stanno per nascere, anche due
genitori; la gestazione segna, infatti, la svolta decisiva della coppia nel
percorso per tramutarsi in famiglia.
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Nella nostra epoca la transizione verso la genitorialità è un processo
arduo che non si riferisce ad un episodio circoscritto nel tempo, ma che
abbraccia i nove mesi della gravidanza fino a sconfinare nel primo anno di vita
del figlio primogenito.
Ogni nuovo bambino rivoluziona il sistema relazionale familiare, ma in
modo particolare i primogeniti. La trasformazione che vive la coppia in attesa
del primo figlio necessita, infatti, da parte dei due partner, di una
riorganizzazione dei propri modelli interiori per fare spazio al nascituro che si
inserisce all’interno del nucleo familiare con una gamma precisa di bisogni.
Il neonato, infatti, per quanto piccolo fisicamente, rappresenta un
universo immensamente variegato; conoscerlo e cogliere i suoi messaggi per
rispondere adeguatamente ai suoi bisogni richiede non solo un dispendio di
energie e un impegno costante ma anche un adattamento reciproco che, dal
punto di vista sia psicologico ma, soprattutto, pratico, costituisce la più grande
sfida alla stabilità dell’unione tra i genitori.
Il compito di cura, attenzione e premura verso il nuovo arrivato riveste,
pertanto, particolare importanza perché è all’interno di tali routine familiari che
si viene a costruire l’identità genitoriale dei partner e si rafforza il legame con
il bambino.
Durante l’attesa di un figlio riaffiorano sia i vissuti della propria
infanzia e sia i modelli delle figure genitoriali; questo periodo richiede,
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pertanto, sia all’uomo che alla donna una rielaborazione personale che
permetterà di ridefinire la loro identità relazionale e di acquisire quella di padre
e di madre.
Se i due coniugi saranno stati capaci di trovare una più adeguata
organizzazione mentale, il loro rapporto ne uscirà rafforzato e di ciò ne gioverà
soprattutto il benessere psicofisico del neonato. Se, invece, le tensioni che si
vengono a creare tra i partner, non vengono affrontate e risolte prontamente
potranno, in seguito, pregiudicare lo sviluppo del legame d’attaccamento del
bambino con uno dei due genitori e incrinare il rapporto di coppia. I primi mesi
dopo il parto rappresentano, in effetti, un periodo a rischio per l’equilibrio
matrimoniale.
Grazie ad un lavoro interdisciplinare si potranno, però, trovare spazi e
modalità per svolgere un’azione oltre che di risanamento anche di prevenzione
del fallimento matrimoniale. È, pertanto, importante impegnarsi a livello
mondiale per aiutare i genitori, il bambino e la società, in genere, ad affrontare
la gravidanza e la vita post-partum nel miglior modo possibile (Cimino, 2001).
1.2 I corsi di preparazione al parto
In seguito alle scoperte scientifiche sullo sviluppo fisico e psicologico
del neonato e di fronte alla fragilità delle nuove famiglie, ai giorni nostri,
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continuare ad attenersi ai primitivi schemi dei corsi di preparazione al parto,
risulta essere insufficiente.
Originariamente i corsi di psicoprofilassi
1
ostetrica avevano, infatti,
come unico scopo quello di correggere e, se possibile eliminare, i pregiudizi
legati al parto e di insegnare tecniche di respirazione e concentrazione, come il
metodo Lamaze
2
, per ridurre il dolore durante il travaglio e la fase espulsiva.
Questo è senz’altro un compito di primaria importanza ma, nonostante ciò, la
preparazione e l’informazione che i futuri genitori ricevono, durante tali corsi,
rappresenta solo una piccola parte di tutto quello che occorre loro sapere per
affrontare il grande incontro con il proprio figlio.
Dobbiamo comunque apprezzare la funzione svolta, fino ad oggi, da
questi corsi di preparazione al parto nell’attirare l’attenzione sulle
problematiche legate alla gestazione e alla nascita.
È necessario, però, che i tradizionali corsi di psicoprofilassi ostetrica, si
amplino fino a divenire dei veri e propri “percorsi educativi” per preparare
all’evento nascita che prevedano un’accurata informazione sulla vita e sulla
psicologia del nascituro.
1
Letteralmente significa “misura preventiva mentale” ed indica il concetto di preparare una persona ad
affrontare qualsiasi prova che impegni il fisico, il carattere o entrambi. Quando si parla di
psicoprofilassi ostetrica la prova è, ovviamente, il parto.
2
Introdotto in Europa nel 1952 dall’ostetrico francese Fernand Lamaze che ne apprese principi e
tecniche in una clinica ucraina.