INTRODUZIONE Nel presente lavoro di tesi si è voluto indagare e approfondire il tema della
violenza e del terrorismo negli anni Settanta in Italia.
Lo si è fatto da un punto di osservazione particolare, utilizzando una fonte
tipicamente novecentesca quale è la fonte cinematografica, inserendosi nella
riflessione metodologica iniziata dall’École des Annales di Bloch e Febvre e
continuata fino ai giorni nostri, con un progressivo allargamento del concetto di
fonte storica ai più disparati documenti prodotti nel XX secolo.
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L’obiettivo è stato
dunque quello di ricercare all’interno dei film prodotti in quel decennio, come
sono stati raccontati i temi della violenza e del terrorismo in Italia.
Si è scelto come titolo della tesi “ Io ho paura” , la citazione del titolo di un film di
Damiano Damiani del 1977, per meglio descrivere il sentimento e la sensazione
che viveva la società italiana in quegli anni, di cui la cinematografia si è fatta
interprete.
Nel primo capitolo si è analizzata la situazione e il contesto storico, sociale,
politico e culturale italiano dalla fine degli anni Sessanta fino al Settantasette
circa, per meglio collocare e comprendere la lettura che i numerosi film usciti ne
hanno poi fatto. In particolare si sono approfonditi inoltre gli anni precedenti il
Sessantotto, per arrivare alla contestazione sessantottina, all’autunno caldo nelle
fabbriche, alla violenza nelle piazze, alle stragi e ai sequestri, al terrorismo di
estrema destra e di sinistra, alla strategia della tensione e ai tentativi di golpe.
Nel secondo capitolo dopo un primo studio sull’evoluzione storica del concetto di
fonte e del cinema come fonte per la storia, si è cercato di disegnare un quadro del
rapporto tra cinematografia e terrorismo, individuandone le ricorrenze, i generi, i
nodi e le tematiche di volta in volta affrontate dai registi che si sono cimentati nel
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Cfr. M. Ferro, Cinema e storia. Linee per una ricerca, Feltrinelli, 1977; J. Le Goff (a cura di), La
nuova storia, Mondadori, 1979; P. Sorlin, L’immagine e l’evento. L’uso storico delle fonti
audiovisive. Paravia, 1999; G. De Luna, La passione e la ragione. Fonti e metodi dello storico
contemporaneo, La nuova Italia, 2001.
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racconto di quella stagione che ha segnato in modo indelebile la storia della prima
repubblica
Nel terzo capitolo, cinema e terrorismo: quattro esempi, si è invece scelto di
individuare quattro esempi di film che, per cosa e come lo raccontano, possono
rappresentare degli archetipi tematici cinematografici di quegli anni di violenza. I
temi individuati nel vasto panorama sul rapporto tra cinema e terrorismo sono: la
manipolazione dell’informazione, i tentativi di golpe, le stragi e i servizi segreti
deviati.
Per quanto riguarda il tema della manipolazione dell’informazione, si è scelto il
celebre film del 1972 di Marco Bellocchio, Sbatti il mostro in prima pagina , una
pellicola che anche grazie a un’ottima interpretazione di Gian Maria Volonté,
mette in scena gli stretti legami tra la stampa, la politica e le forze dell'ordine,
ponendo come centrale il rapporto del potere con il mondo dell’informazione Il secondo film che presenta allo spettatore il tema dei tentativi di golpe che hanno
caratterizzato il nostro paese in quegli anni è Vogliamo i colonnelli diretto da
Mario Monicelli nel 1973. Per il tema delle stragi è stata scelta invece una
pellicola appartenente a un genere cinematografico tipico degli anni Settanta, il
genere poliziottesco, il poliziesco all’italiana, il film analizzato è La polizia ha le
mani legate, pellicola del 1975 del regista Luciano Ercoli.
Chiude l’analisi presentata nel terzo capitolo, il film descritto già citato, Io ho
paura di Damiano Damiani del 1977, scelto perché ben rappresenta il tema,
cardine per quegli anni di controinformazione, delle indagini deviate.
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CAPITOLO I UNA FOTOGRAFIA DELL’ITALIA. LA SITUAZIONE
STORICA 1. In principio. Il Sessantotto in Italia e l’autunno caldo L’Italia degli anni Sessanta veniva da anni in cui era stata protagonista di una
guerra disastrosa, che si concluse nel 1945, e che portò un notevole esborso
economico e di uomini. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta poi si sono succeduti
anni di ripresa, il cosiddetto “boom economico” in cui gli italiani si reagirono per
fare crescere l’Italia in ogni ambito, sociale, economico e delle riforme.
Sono anni caratterizzati da un’economia in crescita, da una democrazia giovane e
da una struttura nazionale in continua trasformazione, come per esempio l’esodo
dalle campagne verso un’urbanizzazione violenta, il grosso fenomeno migratorio,
dal sud Italia verso le regioni industrializzate del nord, la nascita della figura
dell’“operaio di massa”, e la grande diminuzione della disoccupazione. Vengono
inoltre fatti grandi investimenti statali e privati, da parte di aziende come IRI,
ENI, e FIAT nell’Italia meridionale.
Riguardo all’aspetto politico, dopo la guerra e i primi governi di Alcide De
Gasperi, ci sono dieci anni di assoluto centrismo, con la DC naturalmente
protagonista, con i governi Fanfani, Segni, Tambroni, e Leone, fino ad arrivare
alla celebre apertura a sinistra, con i governi di Aldo Moro, che vanno dal 1963 a
giugno 1968, assieme a PSI, PSDI, e PRI.
Le elezioni politiche del 1958 consegnano alla storia un Parlamento dove il PSI di
Pietro Nenni è in crescita di percentuali e di seggi, grazie anche alla politica di
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dialogo e del confronto da poco instaurata con la Democrazia Cristiana;
quest’ultima, d’altro canto, vanta un forte successo elettorale, andando a
beneficiare dell’emorragia di voti che colpì i partiti di ispirazione monarchica e il
Movimento Sociale; una buona dose del loro consenso andò così a rinforzare l’ala
destra della DC, contraria ad ogni ipotesi di accordo con le forze socialiste e
riformiste. Con questa base nel febbraio 1959 nasce un governo monocolore
democristiano presieduto da Antonio Segni: il governo si regge anche sui voti del
MSI e dei monarchici, il cui intento era proprio quello, stante l'avanzata socialista
guidata da Nenni, di spostare ancor più a destra l'asse del governo. Dopo alcuni
mesi, il governo medesimo entra in crisi, abbandonato dal PSDI e dai laici del
PRI. Segni non si reca neppure in Parlamento e preso atto dell'assenza di numeri
per lui positivi, si reca al Quirinale dal Presidente della Repubblica Gronchi e gli
consegna la lettera di dimissioni. Il Capo dello Stato nel marzo 1960 assume
un’iniziativa personale che fu molto criticata: senza riprendere l’usuale giro di
consultazioni con le alte cariche dello Stato e soprattutto con i gruppi
parlamentari, incarica uno dei suoi fedelissimi, l’avvocato Fernando Tambroni, ex
Ministro dell’interno del Governo Segni, di formare un nuovo esecutivo.
La scelta di Gronchi fu molto criticata. Tambroni comunque forma la sua
compagine governativa e si presenta alla Camera per chiederne la fiducia: la
ottenne, ma con un numero di voti molto risicato e soprattutto con l'appoggio
determinante del MSI. A questo punto, alcuni ministri ritennero, in virtù della loro
storia personale, di non voler far parte di un esecutivo che si reggeva grazie ai voti
determinanti di una formazione neofascista: fu così, allora, che i ministri Giorgio
Bo, Fiorentino Sullo e Giulio Pastore si dimisero, causando la crisi del governo
stesso.
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Tambroni si recò al Quirinale, ma riottenne immediatamente l'incarico da
Giovanni Gronchi: a questo punto, non ricominciò l'iter parlamentare dalla
Camera ma, dopo aver sostituito i ministri dimissionari, si presentò direttamente
al Senato e ottenne la fiducia negli stessi termini della Camera dei deputati, quindi
con il MSI determinante. Si aprì così un enorme problema costituzionale, con un
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Il Governo Tambroni rimane in carica dal 25 marzo 1960 al 25 luglio 1960. Cfr. G. Mammarella,
L’Italia contemporanea 1943-1998, Il Mulino, 1998, pp. 265-269.
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governo che si presentò in una composizione diversa alle due camere per
ottenerne la fiducia: ci fu anche chi sostenne che si trattava di due governi diversi,
data non solo la differente composizione ministeriale, ma visto soprattutto il
secondo incarico concesso a Tambroni dal Presidente della Repubblica. Il
governo, comunque, era nella pienezza delle sue funzioni e iniziò il suo
cammino.
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Sul fronte della cultura, il 15 giugno 1960, il ministro dello Spettacolo Umberto
Tupini, inviò una lettera al presidente dell’Associazione industriali
cinematografici, che causò reazioni molto vivaci e uno stato di allarme nel mondo
del cinema. Nella lettera, il ministro Tupini lamentava che la produzione
cinematografica andava peggiorando e insidiava le sorti della società italiana;
dichiarando: «Da questo momento sarò più severo in materia di censura,
rivedendo in pieno i criteri di eccessiva larghezza usati fino a questo momento
dalle commissioni di censura».
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La presa di posizione apparve al mondo del
cinema come un annuncio di pratiche restrittive suscettibili di limitare
notevolmente la libertà del cinema. Molto vivaci furono le reazioni delle
personalità legate al mondo del cinema. Il regista Luchino Visconti dichiarò:
«Sono rimasto esterrefatto nel leggere questa lettera di tono veramente inaudito;
temo che siamo arrivati all’epoca di Polverelli. (noto gerarca fascista del
cinema)». Pier Paolo Pasolini invece disse: «Ho preso atto con un senso di vero e
proprio terrore della dichiarazione dell’On Tupini».
Il ministro poi chiarì la situazione, dicendo che la sua era una lettera a carattere
personale e si limitava a formulare solo alcuni «suggerimenti».
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Tornando alla situazione politica del paese, l’MSI ottenne l’autorizzazione di
poter tenere il suo congresso dal 2 al 4 luglio del 1960, a Genova; una città a forte
densità comunista e medaglia d’oro al valore militare, per la sua attività nella lotta
partigiana durante la seconda guerra mondiale. La decisione del Governo, che
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Cfr . G. Crainz, Storia del miracolo italiano. Culture, identità, trasformazioni fra anni cinquanta e
sessanta, Donzelli, 1996, pp. 163-165.
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Per la citazione della lettera e le reazioni dei registi; Cfr . “La Stampa”, 16 giugno 1960.
4
Ibidem.
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acconsentì alla richiesta, scatenò la rivolta nel paese: il 30 giugno 1960 a Genova
fu proclamato lo sciopero cittadino dalla locale Camera del Lavoro e fu
organizzato un corteo cui partecipò gran parte della cittadinanza, preceduto dal
Gonfalone della città. Prima la formazione del governo Tambroni con l’appoggio
determinate del MSI e poi la scelta di Genova per il congresso provocarono nel
paese indignazione e una forte mobilitazione popolare, con manifestazioni di
protesta che si tennero in tante città italiane. Quelle in Sicilia provocarono quattro
morti. Mentre a Reggio Emilia, il 7 Luglio si consumò un popolare fatto di
sangue; durante una manifestazione sindacale, organizzata dalla CGIL, morirono
cinque operai durante gli scontri con le forze dell’ordine.
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Il triennio 1960 - 1963 è caratterizzato anche da forti lotte sindacali, con
l’obiettivo di aumenti salariali e miglioramento delle condizioni di lavoro nelle
fabbriche; con esse iniziano anche i primi spiragli di violenza, protagonisti poi per
tanti anni.
Gli anni Sessanta sono caratterizzati da scontri anche tra gruppi estremisti di
studenti di opposte posizioni ideologiche, come il 27 aprile del 1966 quando viene
colpito Paolo Rossi, studente socialista di architettura di diciannove anni, che
sarebbe poi morto nella notte dopo una lunga agonia; la notizia di questa morte
destò viva impressione in tutto il paese; Paolo Rossi era la prima vittima
riconducibile alle violenze tra avversari politici, dalla fine degli anni quaranta.
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Il 1° luglio 1966, due mesi dopo l’occupazione dell’università “La Sapienza” a
Roma, il ministro dell’Interno Paolo Emilio Taviani invia ai prefetti delle città
universitarie una circolare riservatissima, destinata a modificare un aspetto
importante; tradizionalmente, infatti, le forze dell’ordine intervenivano negli
atenei solo su richiesta del rettore: d’ora in poi dovranno intervenire
immediatamente e anche preventivamente, se possibile, salvo che il rettore non lo
5
Cfr. G. Crainz, Storia del miracolo italiano, pp. 166-170.
6
Cfr. G. Panvini, Ordine nero, guerriglia rossa. La violenza politica nell’Italia degli anni
Sessanta e Settanta (1966-1975) , Einaudi, 2009, p. 12.
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vieti in modo esplicito. Taviani ribadisce questo concetto con anche un'altra
circolare riservatissima del 27 gennaio 1967.
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Nel 1967 inoltre ci fu un incontro tra la cultura della nuova sinistra e quella
cattolica. Inizia a circolare tra gli studenti il libro: Lettera a una professoressa , di
Don Lorenzo Milani. Questo libro è scritto dal sacerdote toscano insieme agli
studenti della piccola scuola di Barbiana, situata sulle montagne in provincia di
Firenze, in cui si documentano i pregiudizi di classe del sistema educativo e il
trionfo dell’individualismo nella nuova Italia; il libro diventò rapidamente uno dei
più letti dagli studenti, molti suoi brani ripresi nei volantini studenteschi e
l’obbediente Don Milani diventò un icona della disobbedienza del Sessantotto.
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Nel 1968 le movimentazioni iniziate negli anni precedenti arrivano al suo apice,
nasce il cosiddetto “movimento del ‘68”.
Il movimento nacque originariamente a metà degli anni Sessanta negli Stati Uniti
e raggiunse la sua massima espansione appunto nel 1968 nell'Europa occidentale,
col suo apice nel maggio francese. Come scrivono Flores e De Bernardi nella loro
analisi sul Sessantotto «In Francia dal 3 maggio all’università di Parigi della
Sorbona, si mobilitarono migliaia di giovani, con slogan e scritte che
rappresentavano l’umore di quel periodo e che faranno presto il giro del mondo:
“tutto è possibile”, “vietato vietare”, “l’immaginazione al potere”, “siate realisti,
desiderate l’impossibile”».
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Negli Stati Uniti la protesta giovanile si schierò contro la guerra del Vietnam,
legandosi alla battaglia per i diritti civili e alle filosofie che esprimevano un rifiuto
radicale dei principi della società del capitale.
Marica Tolomelli individua gli obiettivi comuni ai diversi movimenti, che erano la
riorganizzazione della società sulla base del principio di uguaglianza, il
rinnovamento della politica in nome della partecipazione di tutti alle decisioni,
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Cfr. G. Crainz, Il paese mancato: Dal miracolo economico agli ottanta, Donzelli, 2003, p. 217.
8
Cfr . P. Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi. Società e politica 1943-1988, Einaudi,
1989, p. 407.
9
M. Flores, A. De Bernardi, Il Sessantotto , Il Mulino, 1998, pp. 72-76.
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