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INTRODUZIONE
Le disposizioni contenute nell’art. 117 Cost., volte a
delineare il ruolo delle Regioni sul piano comunitario e
internazionale, hanno riaperto il dibattito dottrinale su tematiche,
in particolar modo quelle relative al cd. “potere estero”, che
sembravano oramai sopite.
La dottrina e la giurisprudenza costituzionale, confortate
da sporadici interventi normativi, avevano proceduto alla
sistematizzazione di un complesso di attribuzioni sottese al ruolo
costituzionale delle Regioni quali enti dotati di autonomia
politica. In nome delle ragioni dell’unità, espresse dall’art. 5
Cost., le attività esterne delle Regioni dovevano essere pur
sempre assoggettate al controllo statale, tanto piø intenso quanto
piø forte fosse il grado di politicità sotteso alle singole iniziative.
7
La questione centrale era divenuta quella concernente la
scansione dei moduli procedimentali attraverso cui Regioni e
Governo avrebbero dovuto collaborare lealmente, in vista di
finalità che apparivano orientate a tutelare il ruolo estero dello
Stato.
Le Regioni, dunque, non avevano ottenuto alcun
riconoscimento del “potere estero”. I moduli procedimentali
predisposti dalla normativa dovevano essere idonei ad evitare
che l’esercizio delle competenze regionali negli ambiti ad esse
costituzionalmente riservati sfociasse in indebiti sconfinamenti
nel terreno della conduzione di rapporti con l’estero.
Il vero problema si annidava nel presupposto teorico di
partenza, ossia nell’impostazione delle attività esterne delle
Regioni come esercizio di potestà ad esse consentite in via di
fatto, ma pur sempre, quanto alla sostanza, derogatorie rispetto
alla totalità della competenza estera statale.
8
Il complesso delle norme ora delineato dall’art. 117 Cost.,
ha invece rivitalizzato la questione. Le Regioni vengono investite
di una potestà che, a prescindere dai limiti che vi si vogliono
attribuire, appare configurata come potestà propria delle comunità
territoriali costitutive della Repubblica, con tutte le conseguenze
che ne derivano e che influenzano l’esercizio di tutte le altre
funzioni. L’uso della locuzione “potere estero” denota proprio
l’insieme delle disposizioni costituzionali che, in maniera piø o
meno diretta, incidono sulla dimensione internazionale delle
Regioni.
Il presente lavoro, dopo un excursus giurisprudenziale e
normativo del fenomeno regionale italiano nei rapporti con il
diritto comunitario e internazionale, si sofferma sulle novità
introdotte dal novellato articolo 117 della Costituzione, sui
dibattiti dottrinali intercorsi sull’interpretazione delle innovative
norme in esso contenute e sui provvedimenti attuativi degli stessi,
9
non dimenticando il fondamentale ed insopprimibile ruolo dello
Stato.
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CAPITOLO I
EVOLUZIONE STORICA E NORMATIVA DEL
RUOLO DELLE REGIONI NELL’ORDINAMENTO
COMUNITARIO
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1.1. L’originaria indifferenza comunitaria nei confronti
delle Regioni.
All’ indomani della costituzione delle Comunità europee
vi era nei riguardi delle Regioni una vera e propria indifferenza
comunitaria.
I Trattati istitutivi, infatti, pur non ignorando del tutto gli
enti territoriali infranazionali, hanno strutturato la Comunità su
base rigorosamente statale, riconoscendo la soggettività
comunitaria esclusivamente agli Stati membri
1
. Si riconosceva,
dunque, solo un regionalismo funzionale, ovvero una serie di
politiche mirate a favorire lo sviluppo economico di zone con
tenore di vita notevolmente basso o con gravi forme di
disoccupazione, in modo da poter garantire uno sviluppo
1
A. D’ATENA, “Il doppio intreccio federale: le Regioni nell’Unione europea”, in Le
Regioni, 6, 1998, 1401-1402.
12
armonico ed adeguato per tutta l’area comunitaria (art. 93 co. 2
TCE)
2
.
Con riferimento al nostro ordinamento istituzionale è solo
negli anni ’70 che si dava attuazione al progetto costituzionale di
una organizzazione territoriale della Repubblica su base
regionale, per effetto della costituzione delle 15 Regioni ad
autonomia ordinaria, che andavano a completare l’assetto già
formato dalle 5 Regioni a statuto speciale.
Anche nel resto d’Europa si assisterà, nel corso degli anni
successivi, ad una rapida diffusione del regionalismo negli Stati
membri, di cui la Comunità doveva prendere atto.
Un primo segnale di riconoscimento del ruolo delle
Regioni si ha nel 1975, quando si pensa ad un comitato di politica
regionale, cioè un comitato che avrebbe dovuto coordinare gli
interventi indirizzati alla aree depresse.
2
M.P. CHITI, “Regioni e Unione europea dopo la riforma del Titolo V della Costituzione:
l’influenza della giurisprudenza costituzionale”, in Le Regioni, 6, 2002, 1404 ss.
13
Nel corso degli anni ottanta lo scenario muta rapidamente,
riconoscendosi una diretta rilevanza comunitaria alle Regioni. Le
ragioni di tale svolta sono da attribuirsi ad una serie di fattori:
l’affermazione della Comunità quale ordinamento giuridico che, a
differenza di quello internazionale, non è composto solo dagli
Stati membri; le implicazioni istituzionali di principi quali la
disapplicazione, da parte degli operatori interni, del diritto
nazionale contrastante con il diritto comunitario; il maggior
respiro assunto dalle politiche comunitarie che coinvolge, per il
principio dell’esecuzione indiretta, tutte le amministrazioni
nazionali; la rapida diffusione del regionalismo negli Stati
membri, di cui la Comunità europea deve prendere atto, pur se il
principio generale rimane quello della indifferenza comunitaria
nei confronti degli assetti costituzionali infranazionali
3
.
Questi fattori costituiscono la base per una serie di
sviluppi del regionalismo comunitario, quali la politica di
3
M.P. CHITI, “Regioni e Unione Europea….”, cit., 1406.
14
“Coesione economica e sociale” creata con l’Atto Unico del
1986
4
(art. 23), secondo la quale i governi regionali possono
acquistare una certa rilevanza senza che però venga attribuito loro
alcun ruolo formale nella definizione della politiche comunitarie;
e inoltre è previsto un rapporto di paternariato, attraverso il quale
le Regioni assumono autonomia soggettiva comunitaria.
La prima rilevante espressione di tale rapporto è data dai
Programmi Integrati Mediterranei (PIM), per i quali le norme
comunitarie (regolamento 2088/85/CEE) prevedono un
coinvolgimento diretto delle regioni interessate nelle azioni
comunitarie e attribuivano loro competenze inedite, dando avvio
ad una tendenza proseguita anche in occasione della riforma dei
fondi strutturali (2052/88/CEE).
Altra data importante è il 1988, anno in cui la
Commissione, accogliendo le sollecitazioni pervenute dalle stesse
4
L’Atto Unico Europeo è entrato in vigore il 1° luglio 1987. Contiene le modifiche
apportate ai Trattati istitutivi delle Comunità ed è composto da due parti distinte, ma per
evitare la separazione formale tra l’aspetto economico e quello politico è stato redatto
sottoforma di atto “unico”.
15
Regioni e dal Parlamento europeo, costituiva un organismo
consultivo collocato all’interno della sua struttura, il Consiglio
consultivo degli Enti regionali e locali, organismo che può essere
consultato in qualsiasi momento dalla Commissione, per ogni
questione relativa alla elaborazione e attuazione della politica
regionale della Comunità.
Ma è principalmente il Trattato di Maastricht
5
a dare
impulso al coinvolgimento degli Enti locali attraverso una serie di
previsioni, quali l’introduzione del principio di sussidiarietà e
l’istituzione del Comitato delle Regioni (organo a rilevanza
costituzionale comunitaria).
Il principio di sussidiarietà è certamente principio dai
molti significati, ma comporta quale prima e diretta conseguenza
che l’attuazione della politiche comunitarie avvenga al grado
istituzionale piø prossimo ai soggetti interessati, valorizzando il
5
Il Trattato di Maastricht (noto anche come Trattato sull’Unione Europea, TUE) venne
firmato il 7 febbraio 1992 nella cittadina olandese di Maastricht dai 12 Paesi membri
dell’allora Comunità Europea, oggi Unione Europea, ed è entrato in vigore il 1° novembre
1993.
16
ruolo degli enti locali e delle Regioni, chiamate a realizzare
direttamente tutte le politiche appropriate per il loro livello.
Il trattato di Amsterdam del 1997 non ha recepito le
proposte del Comitato delle Regioni, per un ampliamento del suo
ruolo consultivo e propositivo, per il riconoscimento del Comitato
quale istituzione comunitaria e per l’attribuzione della
legittimazione a ricorrere alla Corte di Giustizia. La ragione di
tali mancati sviluppi è nella difficoltà di trovare una complessiva
soluzione istituzionale ai numerosi problemi determinatisi. Non
va dimenticato, però, che con tale Trattato si è giunti
all’approvazione del Protocollo sull’applicazione dei principi di
sussidiarietà e di proporzionalità, di grande rilievo
6
.
Con il Trattato di Nizza del 2000, il Comitato delle
Regioni ha visto ampliato il proprio ruolo con il riconoscimento
del potere di autoorganizzazione, l’estensione dei casi di
6
A. D’ATENA, “Il doppio intreccio federale…”, cit., 1401-1402.
17
consultazione obbligatoria e la sua introduzione nel processo
decisionale.
Il diritto comunitario derivato ha seguito nello stesso
periodo la medesima tendenza alla valorizzazione delle Regioni.
Si pensi alla riforma dei fondi strutturali con il regolamento CE n.
1260/99 e con i regolamenti collegati del Parlamento Europeo
relativi al Fondo Sociale Europeo, tutti incentrati sulla
partnership con le Regioni.
A sua volta la giurisprudenza comunitaria ha confermato
la distinta soggettività comunitaria delle Regioni, che non sono
state considerate delle generiche persone giuridiche, come tali
dotate di una generale legittimazione ad agire avverso le misure
di cui siano destinatarie o che comunque le riguardino
direttamente, ma anche quali articolazioni istituzionali
dell’ordinamento comunitario.
Pur nella valorizzazione delle entità regionali nel contesto
europeo, è ovvio che resti fermo il principio insovvertibile,