7
Più in dettaglio questo enorme agglomerato regionale ha le seguenti caratteristiche:
1) L'inaccessibilità al mare. Con la sola eccezione della Georgia, le nuove
repubbliche non possiedono, infatti, alcuno sbocco su un mare aperto.3
Ciò provoca una dipendenza fisica nei confronti dei paesi limitrofi, il passaggio sul
loro territorio é infatti indispensabile per stabilire un collegamento con l'Occidente
(attraverso il Mar Nero) e con i paesi arabi (attraverso il Golfo Persico).
2) Una relativa omogeneità etnolinguistica. Si tratta infatti di un sottosistema
prevalentemente turco-persiano. Tutti gli idiomi parlati nelle regioni centro asiatiche,
ad eccezione del Tagikistan che é di derivazione iranica, sono infatti, direttamente o
indirettamente, riconducibili al turco.
3) Una forte prevalenza della religione musulmana e, al suo interno, una netta
predominanza della confessione sunnita.4
4) L'essere stato parte integrante dell'Unione Sovietica
5) Il carattere artificiale della sua divisione statuale e delimitazione territoriale
6) Una elevata conflittualità ed instabilità
A seguito di questo sconvolgimento, che può essere definito epocale, il Sistema
Politico Internazionale (S.P.I.) ha subito (e continuerà a subire) profonde
conseguenze, il nuovo scenario politico-territoriale modifica, infatti, profondamente
gli equilibri preesistenti ed il valore stesso dello spazio occupato dai vari attori.
Le conseguenze geopolitiche dell'irruzione del Caucaso e dell'Asia centrale sul
proscenio internazionale possono essere indagate muovendo da una prospettiva
globale - analizzando, in particolare, il ruolo che la Federazione russa potrà giocare
nella regione, le reazioni della Cina o la definizione della politica estera degli Stati
Uniti - oppure ad un livello regionale.
In questa ottica la maggior parte delle analisi sembrava accreditare come scenario
probabile una accesa rivalità per l'egemonia tra due modelli politico-culturali
radicalmente alternativi: quello laico e filo occidentale incarnato dalla Turchia e quello
teocratico islamico con forti venature fondamentaliste e anti occidentali rappresentato
dall'Iran.5
Boulder CO, London, 1987.; O. Osterund, "The Uses and Abuses of Geopolitics", Journal of
Peace Research, N.2, 1988, pp. 191-199.; P.P. Portinaro, "Nel tramonto dell'Occidente: la
geopolitica", Comunità, n.184, 1982, pp. 1-42.; D. Weiser, "Geopolitics - Renaissance of a
Controversial Concept", Aussenpolitik , n. 4, 1994, pp. 402-411.
3
L'Azerbaigian, il Turkmenistan e il Kazakistan possiedono uno sbocco sul Mar Caspio che
però essendo un bacino chiuso è assimilabile ad un lago.
4
Soltanto l'Azerbaigian é a maggioranza sciita. Georgia ed Armenia hanno importanti comunità
cristiane.
5
Si vedano ad esempio, G. E. Fuller e I. O. Lesser (1993), Turkey's new geopolitics. From the
Balkans to Western China, Santa Monica, Rand.; S.T. Hunter; "The Muslim Republics of the
Former Soviet Union: Policy Challenges for the U.S", The Washington Quarterly, Summer 1992.;
R. Israeli, "Return to the source: the republics of Central Asia and the Middle East", Central
Asian Survey, vol. 13, n.1, 1994.; A. Bininachvili, "Nuovi scenari della geopolitica", Politica
Internazionale, n.2, aprile - giugno 1993.; R. Guolo, "Le terre di Tamerlano. L'Asia centrale dopo
l'Unione Sovietica", Politica ed Economia, novembre 1993.; e S. Battistella, "Asia centrale e
politica estera iraniana", Relazioni Internazionali, novembre 1994.
8
Questa ipotesi non è qui condivisa in quanto esclude una serie di attori di grande
rilievo (Pakistan, Afghanistan, Arabia Saudita, Cina e Pakistan, solo per citare i più
significativi) e, soprattutto, in quanto, implicitamente, considera come irreversibile la
perdita di influenza da parte russa.
Tale prospettiva appare progressivamente sempre meno realistica infatti, nonostante
le numerose incognite presenti nell'attuale assetto politico-economico del paese,
molteplici segnali indicano chiaramente la volontà e la determinazione del Cremlino a
perseguire un disegno neo-imperiale nelle aree ex-sovietiche dell' "estero vicino".
La posizione di Ankara appare, comunque, estremamente rilevante per una serie di
fattori esaminati nel corso del lavoro e dotata di alcuni assets interessanti.
Questo stato relativamente giovane, edificato sulle ceneri dell'impero ottomano al
termine della prima Guerra Mondiale da una élite politico-militare raccolta attorno
alla carismatica figura del generale Mustafa Kemal, si trova oggi al centro di un vasto
teatro caratterizzato da una elevata instabilità.
La simultanea disintegrazione di tutto il proprio "ambiente geopolitico" - dalla
Jugoslavia all'Unione Sovietica, passando attraverso l'Irak e i Balcani - pone la
Turchia, già avamposto Sud-orientale della NATO, in una situazione di grande
fluidità.
Oltre al classico ruolo di "cerniera" tra Oriente ed Occidente, tra mondo islamico e
cristiano, Ankara si trova attualmente a giocare su almeno cinque fronti: Europa
occidentale, Balcani, Medio Oriente, Caucaso e Asia centrale.
Per la prima volta, inoltre, lo spazio circostante non é connotato dalla presenza di un
impero potente ed espansionista ma da una corona di stati, politicamente inesperti,
ed economicamente fragili.
Ciò implica, necessariamente, una profonda revisione di schemi politico diplomatici
ben collaudati e, soprattutto, una vera "rivoluzione" concettuale della propria auto
percezione.
Nonostante il proprio secolare rapporto con l'Europa - istituzionalizzato nella
adesione all'Alleanza Atlantica e nella associazione all'Unione Europea -importanti
fattori, sia di ordine contingente che strutturale, lasciano infatti presagire la concreta
possibilità di un parziale riorientamento delle linee della politica estera turca.
Mutuando una evocativa formula utilizzata da C.M. Santoro,6 la penisola anatolica
può essere attualmente vista come una "croce geopolitica regionale", al centro sia
della direttrice Nord-Sud che di quella Est-Ovest, essa si configura come un
possibile polo di aggregazione nella ridefinizione della natura stessa della regione.
Attorno a questo (ipotetico) perno geopolitico verrebbe infatti a ruotare una vasta
area, occultata dalla storia, popolata da circa 150 milioni di abitanti di ceppo turco e
6
C. M. Santoro utilizza questa formula per indicare la posizione dell'Italia all'interno del
sottosistema mediterraneo. Cfr. C. M. Santoro, La politica estera di una media potenza. L'
Italia dall' unità ad oggi, Il Mulino , Bologna 1991.
9
di religione musulmana estesa dal Mediterraneo (Bosnia) fino alle province
occidentali della Cina (Xinjiang).7
Paradossalmente, dopo una iniziale lettura "a caldo" che considerava inevitabile in
seguito alla disgregazione dell'Unione Sovietica un drastico ridimensionamento del
ruolo geostrategico della Turchia, si è assistito ad un suo rilancio in grande stile, sia
come (possibile) fattore di stabilizzazione che come (ipotetico) vettore di
penetrazione politico economica per l'Occidente in queste aree vergini.8
Sembrerebbe quindi possibile una forte crescita di influenza e l'apertura di
promettenti margini di manovra per la diplomazia di Ankara.9
L' utilizzo del condizionale appare tuttavia obbligato, esistono infatti una nutrita serie
di limiti, sia di carattere strutturale che contingente, evidenziati nel corso del lavoro,
che inducono a grande cautela..
Questo studio ambisce pertanto a configurarsi come il tentativo di condurre una
indagine sulla imponente azione politica, economica e culturale (e sui fattori che la
sottendono) condotta dall' establishment turco nel Caucaso e nell'Asia centrale (due
teatri strettamente correlati sia sotto il profilo geostrategico che geopolitico) nel lasso
di tempo che intercorre tra la dissoluzione dell'entità statuale sovietica e la prima metà
del 1995 tesa a verificare la reale percorribilità di un disegno che vede nella Turchia il
futuro fulcro di questo magmatico universo turcico.
Segnatamente è utile indicare che l'analisi dello "scenario Asia centrale" è stata
ritenuta prioritaria rispetto allo scenario caucasico, trattato essenzialmente per i
propri riflessi sul primo e sugli attori in esso operanti.
A tal fine si è ritenuto indispensabile procedere ad una sintetica analisi storico -
culturale che mira ad evidenziare i profondi legami che uniscono la Turchia, erede
dell'impero ottomano, a questa regione, sottolineando alcuni fondamentali turning
points che hanno inciso sull'identità della penisola anatolica nel proprio passaggio da
centro di un impero multietnico alla attuale dimensione di stato nazionale.
Si è altresì cercato di evidenziare il substrato culturale e percezionale che ha
incoraggiato il gruppo dirigente turco ad intraprendere questa ambiziosa
"ricognizione" ad Est nella cui elaborazione non può essere certo trascurato l'impatto
emotivo (e le ripercussioni politiche) determinato dalla (definitiva ?) chiusura ad
7
L'aggettivo "turcico" è utilizzato per indicare il comune ceppo etnico. Tuttavia nessuna lingua
turkic (uralo-altaica) dispone di termini diversi per distinguere un turco di Turchia rispetto ad un
turco centro asiatico. La differenziazione è tuttavia presente sia nella lingua inglese che
distingue tra "turkish" e "turkic", sia in quella russa che usa rispettivamente "turetskiy" e
"tyurskiy". Su questa importante distinzione semantica si veda, V. Sanguinetti, "Unione
Europea e Turchia: europeismo anatolico o panturanesimo riformista ? ", Rivista di studi
politici internazionali, N.242, aprile-giugno 1994, p. 204.
8
Tra i fattori considerati determinanti ai fini del "rilancio" a livello internazionale troviamo
sicuramente l'esito e il ruolo svolto dalla Turchia nel corso della guerra del Golfo e, appunto,
l'emergere del nuovo quadro nella regione centro asiatica e caucasica.
9
Per una visione piuttosto ottimistica delle prospettive turche si veda ad esempio, G. Fuller e I.
O. Lesser, Turkey's new geopolitics, 1993, Santa Monica , Rand.
10
Ovest materializzatasi nel reiterato rifiuto ad ammettere il paese nelle strutture
comunitarie.
Infine, si è tentato di focalizzare l'attenzione su alcuni snodi concettuali ritenuti
significativi per meglio delineare il complesso e magmatico scenario all'interno del
quale si colloca l'attore Turchia.
In questo contesto una analisi, necessariamente breve, della variabile islamica -
costituendo un ineliminabile fattore politico culturale per comprendere il futuro
assetto della regione - è ritenuta significativa, sia per vagliarne il potenziale coesivo a
livello politico sociale, che per evidenziare la stretta connessione tra i futuri equilibri
interni della Turchia e gli orientamenti in politica estera che il paese assumerà.10
Più in dettaglio il tentativo operato da Ankara vorrebbe essere inquadrato in una
sorta di confronto ideale (economico, politico e culturale) con l'attore che
storicamente, pur attraverso differenti manifestazioni statuali, le ha conteso il controllo
della regione: la Russia.
Attualmente sembrano infatti misurarsi in questo vasto teatro una utopia politico
culturale, mirante ad una sorta di ricomposizione di quell'universo turco islamico
occultato e diviso nel periodo post bellico imperniata su una centralità dell'erede di
ciò che fu il fulcro dell'impero ottomano, e la potente inerzia dei legami strutturali e
pervasivi che, nonostante la frammentazione politica e l'evaporazione del collante
ideologico, continuano a vincolare queste fragili repubbliche neo indipendenti all'ex
centro imperiale russo.11
10
E' infatti nel futuro equilibrio politico interno alla Turchia, e in particolare nei rapporti di forza
che si determineranno con le imminenti elezioni politiche, tra l'attuale establishment laico e filo
occidentale, ancora profondamente imbevuto dall'eredità kemalista, e i gruppi politici di
ispirazione islamica (Refah Partisi in particolare) che risiede, probabilmente, la chiave dell'
orientamento di Ankara verso questa fondamentale macro area geopolitica.
11
Questa "utopia" affonda le radici nell'insegnamento e nelle aspirazioni dei fondatori dei
movimenti panturchici e panturanici (Nasiri, Gaspirali, Gokalp) che, in diverse epoche e con
differenti accenti, sottolinearono l'importanza di giungere ad una unificazione di tutti i popoli
turchi sotto l'egida spirituale della Turchia. Sull' opera di questi pensatori si rimanda a: H.
Carrere d'Encausse, Réforme et révolution chez les Musulmans de l'Empire Russe, Bukhara
1867 - 1924, Colin, Paris, 1966; J.M. Landau, Pan-Turkism in Turkey. A study of irredentism.,
Hamden, Archon Books, 1981 e.dello stesso autore, "The fortune and misfortune of Pan-
Turkism", Cenral Asian Survey, vol. VII, (1988), n.1.
11
CAPITOLO PRIMO. IL BACKGROUND STORICO
Per comprendere l'attuale situazione politica nella regione centro asiatica ex sovietica
appare utile ripercorrere, almeno brevemente, le principali tappe storico-politiche
che hanno contribuito in maniera rilevante a forgiarne le complesse caratteristiche.12
Abitata fin dalla prima metà del primo millennio A.C. da popolazioni indo europee,
principalmente di tipo iranico, l'Asia Centrale ha visto progressivamente spostare nel
corso dei secoli la propria composizione etnica a favore del ceppo turco.
La penetrazione di popolazioni turche, se si esclude la presenza di piccoli nuclei
turcofoni durante l'espansione Unna intorno al II secolo d.C., conosce il proprio
inizio attorno al VI secolo e si protrae, attraverso una successiva sovrapposizione di
regni e popolazioni, sino al XVI secolo.
Parallelamente al processo di turchizzazione si avrà l'islamizzazione della regione un
tempo fortemente influenzata dalle culture di India e Cina. Questo processo, per le
enormi implicazioni socio-culturali che ha comportato nei secoli a venire, rappresenta
un vero e proprio "punto di svolta" per la regione centro asiatica.13
L'Islam, nella sua variante confessionale sunnita, vedrà il proprio apogeo nella regione
durante il regno turco selgiuqide14 (XII secolo) e successivamente in quello timuride
fondato da Tamerlano (1336-1405) e brevemente conservato dai propri discendenti,
cioè nella sintesi turco-mongola successiva all'instaurazione dell'impero di Gengis
Khan, per poi ripiegarsi in una lenta ma costante decadenza a partire dal secolo
XV.15
E' a partire da questo momento che ha inizio il processo di penetrazione ed
espansione coloniale russa che, nel corso di oltre quattro secoli attraverso
l'esperienza zarista e successivamente sovietica, segnerà le linee fondamentali
dell'evoluzione e della stessa nascita come entità statuali delle attuali repubbliche.16
Dopo la distruzione e l'incorporazione nello stato russo dei khanati di Kazan e
Astrakan e del regno di Sibir, avvenuti nella seconda metà del XVI secolo,
l'espansione zarista conobbe tuttavia una lunga fase di stanca.
12
Si veda in particolare, V.Fiorani Piacentini, Turchizzazione ed islamizzazione dell'Asia
centrale, Milano, Roma, Napoli, Città di Castello, Dante Alighieri ed., 1974; e U. Marazzi, "I
condizionamenti del passato sulle società musulmane", Politica Internazionale, n. 2, (aprile-
giugno 1993), pp. 83-92.
13
Non è possibile in questa sede analizzare la complessa e multiforme avanzata di tribù di
ceppo turco nella regione centro asiatica, né la parallela islamizzazione della regione che vede la
fusione di elementi arabi, turchi e persiani e un complesso scambio "osmotico" tra le
popolazioni (stanziali e nomadiche) succedutesi nella regione. Sul complesso tema si rimanda
all'esaustivo studio di V. Fiorani Piacentini, Turchizzazione ed islamizzazione..., cit.
14
Sui caratteri dell'impero selgiuchide si veda, V.F.Piacentini, Turchizzazione..., cit., pp.31-37.
15
Ibidem, pp. 68-80.
16
La complessa e traumatica evoluzione storica di queste terre evidenzia la duplice ed
inestricabile influenza politica e culturale esercitata alternativamente da russi e turchi.
Sulla conquista russa si veda in particolare, V.F. Piacentini, "La penetrazione russa in Asia
centrale", Storia e politica, n.4, 1966.
12
Ripresasi nel XVIII secolo vide la conquista, avvenuta con una progressione davvero
impressionante, di un immenso territorio compreso tra l'Ural e il Tienshan e tra la
Siberia e la zona desertica del Turkestan.
La conquista russa venne completata nella prima metà del secolo XIX con la
sconfitta dei khan dell' attuale Kazakistan controllati dalle quattro Orde.17
Per quanto concerne il Turkestan, cioè la regione centroasiatica abitata da
popolazioni di etnia turca, l'espansione prese il via a partire dagli anni 60 del XIX
secolo.
Alla vigilia della conquista, esso risultava diviso nell'Emirato di Buchara e nei khanati
di Qoqand e di Khiva, all'interno di questi regni sorgevano importantissimi centri di
cultura islamica quali Samarcanda, Tashkent e Khogend, tuttavia, dato il carattere
endemico delle guerre, il livello socio-economico della popolazione era piuttosto
basso.
Mentre l'Emirato di Bukhara e il Khanato di Khiva conservarono una formale
indipendenza, il territorio del Khanato di Qoqand venne inglobato nell'impero zarista
con il nome di Governatorato generale del Turkestan e sottoposto ad
amministrazione militare.
La conquista russa venne definitivamente completata con l'occupazione della
Turkmenia tra il 1873 e il 1881.
Per quanto concerne l'attuale Azerbaigian - già parte dell'impero persiano fondato da
Ismail Schah - in - Schah (re dei re) e iniziatore della dinastia dei sawafidi sotto il
segno dello sciismo e fortemente impregnato da quella cultura - la conquista russa
è databile tra il 1810 e il 1850 nel quadro dell'espansione all'interno della regione
caucasica sancita definitivamente dal trattato di Turkomanchai.
Nella seconda metà del secolo questa area periferica assunse una rilevante
importanza economica grazie alla scoperta di vasti giacimenti petroliferi che
trasformarono la capitale, Baku, in uno dei centri più ricchi e culturalmente vivaci
dello sterminato impero zarista.
Proprio dagli azeri e dai tatari, cioè dai due popoli più evoluti della galassia turco-
islamica dotati di una nascente borghesia, di una elevata consapevolezza culturale e,
soprattutto, in contatto con le ideologie europee, si sviluppò alla fine del secolo XIX
il movimento di rinascita nazionale dei popoli turchi in sintonia con analoghi fermenti
che scossero nel periodo il mondo islamico.
Questi movimenti riformisti influenzati dal pensiero russo e dagli ideali di
rinnovamento nazionale espressi dalle élite ottomane, dopo l' insuccesso di alcuni
tentativi di stampo conservatore ispirati al wahhabismo, furono una (parziale) risposta
alla crescente pressione e colonizzazione politico-culturale russa.
Gli esponenti più illuminati compresero pienamente i ritardi insiti nella cultura turco-
islamica e si sforzarono in primo luogo di elaborare una riforma religiosa che
17
Le popolazioni kazake, essenzialmente di tipo nomade, vivevano distribuite in quattro
confederazioni tribali: la Grande Orda, la Media Orda, la Piccola Orda e l'Orda di Bukey, in
perenne conflitto per il controllo dei pascoli migliori.
13
consentisse all'Islam, una volta rotto il proprio rigido tradizionalismo, di integrarsi alle
sfide del mondo moderno.
Tra gli esponenti più rilevanti ricordiamo il teorico del Giadidismo, Shiabeddin
Margiani18 e il tataro Abdul Qayyum Nasiri che comprese lucidamente la necessità di
operare una modernizzazione delle lingue turche.
La sua eredità venne raccolta da Ismail Bey Gaspirali19 (russificato in Gasprinski,
1851 1914) che vedeva il punto di partenza per l'unificazione culturale delle genti
turche nell'elaborazione di una lingua comune che potesse essere compresa "dal
Bosforo ai confini della Cina" basata sugli stilemi del turco ottomano ma semplificata
e depurata dagli influssi arabi e persiani.
Questo progetto, che fallì a causa dell'affermarsi di lingue nazionali più simili a quelle
parlate, conserva tuttavia un grande interesse in quanto espressione di quelle correnti
panturciche che attraversano come un fiume carsico il mondo turco musulmano nei
secoli XIX e XX e che stanno attualmente conoscendo un ritrovato vigore grazie alla
raggiunta indipendenza delle repubbliche centro asiatiche ex sovietiche.
Il panturchismo nasce infatti verso la metà del XIX secolo presso i turchi e i tatari
della Russia come opposizione al processo di russificazione e viene "importato" in
Turchia da intellettuali che si sottraevano alla repressione russa e adottato,
all'indomani delle guerre balcaniche, dai Giovani Turchi che, dopo l'espulsione dei
turchi dall'Europa, perseguivano la creazione di una patria turca in Anatolia.
Questo riformismo cultural-religioso costituì la base della reazione, propriamente
politica, dei turco musulmani alla crescente colonizzazione russa.
Nel periodo che va dal 1905 allo scoppio della prima guerra mondiale si assistette
alla nascita dell'Unione Musulmana (Ittifaq al - Muslim) che vedeva rappresentate
al proprio interno tutte le tendenze politiche. Progressivamente l'Unione Musulmana,
trasformata in vero e proprio partito politico, si spostò su posizioni socialisteggianti e
assunse toni fortemente nazionalistici nei rapporti con il governo russo.
Nel Turkestan e nei protettorati di Buchara e Khiva il movimento nazionale assunse
un carattere panislamico radicale e, sotto la guida di un gruppo giaidida, elaborò,
approfittando dello sbandamento russo a seguito della sconfitta con il Giappone
18
Per Giadidismo (dall'arabo giadid che indica il "nuovo") si intende appunto il tentativo di
operare una rivisitazione dell'Islam in chiave più moderna superando le interpretazioni più
tradizionaliste. Viene visto in una contrapposizione ideale al Kadimismo (dall'arabo kadim cioè
"vecchio")
19
Seccondo Gaspirali tutti i popoli turchi della Russia dovevano porsi sotto l'egida spirituale
della Turchia ottomana per realizzare una unione culturale e, in prospettiva, politica. Questa
unità epressa nel motto: dilde, fikride, ishte birlik che significa " Unità di lingua, di pensiero, di
azione", doveva essere edificata sul substrato di una nuova cultura musulmana rinnovata dal
contatto con l'Occidente. Per veicolare questa lingua egli fondò un apposito giornale chiamato
"Tercuman". Sul tema si veda , J.M, Landau, "The fortune and misfortune of Pan-Turkism",
Central Asian Survey, vol. VII , (1988), n. 1, p. 2.; Per un approfondimento si veda, K.H. Karpat,
Modern Turkey, in Holt, Labton, Lewis (ed), The Cambridge History of Islam, Vol.I, Cambridge
University Press, Cambridge, 1970.
14
(1905), un programma di azione politica che prevedeva l'indipendenza di tutto il
Turkestan.
La caduta della monarchia zarista e la formazione del governo provvisorio trovarono
tuttavia i dirigenti turchi musulmani impreparati e apparvero in modo evidente le
profonde divisioni all'interno dell'Unione Musulmana.
Essi rimasero infatti sostanzialmente neutrali nel conflitto tra bolscevichi e anti
bolscevichi anche se traspariva chiaramente una certa simpatia per i primi visti come
potenziali alleati nella lotta per le proprie rivendicazioni nazionali.
Queste velleità risultarono presto utopiche, infatti, una volta consolidato il proprio
potere, i dirigenti bolscevichi liquidarono ogni loro illusione indipendentista.
Questo movimento venne, almeno inizialmente, potentemente influenzato anche dagli
scritti di Ziya Gokalp. Egli, oltre a sottolineare l'importanza del patrimonio linguistico
e culturale condiviso dalle popolazioni di ceppo turco, si spinse a teorizzare la
costruzione di un "Impero del Turan" che avrebbe unito politicamente il popolo turco
ai "fratelli separati" dell'Unione Sovietica.20 Tuttavia, contrariamente ai Balcani,
storicamente l'Asia centrale non è mai stata parte dell'impero ottomano la cui
frontiera orientale è rimasta, ad eccezione di brevi periodi, quella dell'attuale Turchia.
Il solo Azerbaigian ha fatto brevemente parte dell'impero per una ventina di anni alla
fine del XVI secolo e per pochi altri all'inizio del XVIII, mentre, per quanto riguarda
l'attuazione pratica delle velleità panturche ci si è limitati alla scorribanda degli eserciti
del generale Enver Pascià che, durante l'estate del 1918, marciò su Baku spingendosi
poi in profondità lungo le rive del Mar Caspio fino a raggiungere Petrovsk nell'attuale
Daghestan.
Dopo questo episodio il concetto di panturchismo venne ripudiato fermamente da
Mustafà Kemal (Ataturk) in quanto ritenuto un ostacolo alla costruzione della
moderna Turchia laica e, soprattutto, come potenzialmente in grado di destare timori
in Unione Sovietica forieri di gravi pericoli per il fragile stato turco.
Da allora l'ideale panturcico è rimasto appannaggio esclusivo dei circoli nazionalisti
dell'estrema destra fino a recuperare, dopo i recenti sconvolgimenti geopolitici, una
grande notorietà e una posizione rilevante nel dibattito politico turco.
Tuttavia, negli anni immediatamente successivi alla rivoluzione, si verificò un
massiccio ingresso di intellettuali musulmani nelle organizzazioni locali del partito
comunista; questo "innesto" avrebbe espresso successivamente un certo influsso
nazionalista creando non pochi problemi al governo centrale sovietico.
Durante i primi anni '20 il gruppo dirigente bolscevico iniziò l'opera di ridefinizione
della regione centro asiatica.21
20
Per una completa analisi dell'opera di Gasprinsky e Gokalp si veda, J.M. Landau, Pan -
Turkism in Turkey - a study of irredentism, Hamden: Archon Books, 1981.
21
Ancora all' inizio del XX secolo, l'Asia centrale veniva considerata un' unica entità geopolitica
comprendente, oltre ai possedimenti russi, l'Afghanistan, il Balucistan, il Khorasan e il
Turkestan orientale.
15
Alla base di questo colossale disegno stava il principio che l'interesse supremo dei
"lavoratori" esigesse uno Stato il più esteso possibile e che, pertanto, ogni divisione
avrebbe indebolito l'unità e la coesione dell'Unione Sovietica.
In Asia centrale venne inizialmente conservata la precedente divisione amministrativa
ma i due Regni di Buchara e Khiva furono, una volta cacciati i giaididi ed epurati i
quadri non comunisti, trasformati in Repubbliche Socialiste Sovietiche (R.S.S.).
L'antico Governatorato generale delle steppe divenne la Repubblica autonoma
kazaka, mentre il Governatorato generale del Turkestan prese il nome di Repubblica
autonoma del Turkestan.
Solo nel 1924 venne avviata, sotto la diretta supervisione di Stalin che era stato in
precedenza ministro delle Nazionalità, quell'operazione di ridefinizione dei
confini territoriali (razmezevanie) che sfocerà nella attuale divisione geografica.22
Il criterio ufficialmente adottato fu quello di un aggiustamento dei confini territoriali
alle divisioni etniche e linguistiche presenti. In realtà il vero obiettivo era il
contenimento della potenziale azione unificatrice dell'Islam e del nazionalismo
panturco. Venne pertanto considerata come altamente pericolosa la creazione di un
unico Turkestan come entità statuale e si agì secondo la collaudata massima del
"divide et impera".
La tematica leniniana dell'autodeterminazione delle nazioni venne dilatata al punto da
trasformarsi in "invenzione delle nazioni" attraverso una creazione artificiale di storie
nazionali, miti fondatori, alfabeti e lingue parlate al fine di distinguere e separare le
giovani repubbliche.23
Nacquero in tal modo le Repubbliche Socialiste Sovietiche del Turkmenistan,
Uzbekistan, Kirghisistan, Kazakistan e Tagikistan.
La tappa successiva fu quella del consolidamento, o della creazione, di lingue
letterarie nazionali. Dotate inizialmente di una scrittura a caratteri latini vennero
successivamente rivoluzionate con l'adozione di caratteri cirillici per timore di possibili
contaminazioni da parte della Turchia kemalista che aveva in quegli anni
abbandonato l'alfabeto arabo nel suo sforzo di occidentalizzazione.
Risulta evidente la costante attenzione sovietica, in questo processo di colonizzazione
politico-culturale, per la potenziale influenza esercitata nella regione da Ankara.
22
Si vedano su questo argomento, S. Battistella "Asia centrale e politica estera iraniana",
Relazioni Internazionali, n.30, novembre 1994, pp. 24-25; A. Bininachvili "Nuovi scenari della
geopolitica" (Dossier: l'Asia centrale ex sovitica: problemi e prospettive), Politica
Internazionale, n. 2 (aprile-giugno 1993); B. Nicolini, Dinamiche storico-politiche in Asia
centrale. Il secolo XX., in V.F. Piacentini, La disintegrazione..., op. cit, pp.165-198.; S.Sabol,
"The creation of Soviet Central Asia: the 1924 national delimitation", Central Asian Survey,
vol.14, n.2, 1995, pp. 225-241.; G. M. Winrow, "Turkey and the former central Asia : national and
ethnic identity" , Central Asian Survey, Vol. 11, n. 3, settembre 1992, pp.104-106.
23
Prima della costruzione nazionale operata dai sovietici le popolazioni di questa vasta area
erano in parte nomadi e in parte sedentarie (soprattutto qelle stanziate in Tagikistan e
Uzbekistan), non esisteva inoltre una divisione netta dei territori su basi etniche né tantomeno
una consapevolezza nazionale.
16
Questa opera di ridefinizione dei confini non avvenne pacificamente, infatti ampi
settori della popolazione musulmana si mobilitarono contro il potere sovietico
formando il movimento controrivoluzionario dei Basmaci (letteralmente "banditi")
che, sotto la direzione dell'ex ministro della Guerra Enver Pasha, si estese nel 1921 a
tutto il territorio dell' ex Emirato di Bukhara.
L'Insurrezione, che mirava alla creazione di uno stato musulmano autonomo in Asia
centrale, fu duramente repressa dalle forze sovietiche che, eliminato il carismatico
leader, ripresero rapidamente il controllo della regione.
La parte più evoluta dell' intellighentia aderì tuttavia alle idee del "comunismo
musulmano nazionale" teorizzato da Said Sultan Galiev.24
Questo movimento, pur accettando il nuovo corso, considerava indispensabile
conservare ed integrare progressivamente la cultura tradizionale impregnata dalla
religione islamica. Il movimento venne duramente represso e il proprio leader,
accusato di "deviazionismo", eliminato nel 1928.25
Il gruppo dirigente sovietico riteneva invece che l'instaurazione del socialismo
avrebbe progressivamente eliminato le differenze religiose, culturali e perfino razziali
dei popoli dell'impero.
Per rendere effettiva questa uguaglianza era però necessario colmare il divario
"tecnico e culturale" esistente tra il proletariato russo e le altre etnie in modo da poter
creare dei moderni aggregati statuali a partire dalle preesistenti strutture clanico-
tribali.
Una volta liquidata l' intellighentia nazionale negli anni 20 e 30 mediante le
famigerate "purghe staliniane" giustificate dalla "lotta al deviazionismo", Mosca poté
proseguire la potente opera di "rifondazione" politico-culturale della regione
praticamente indisturbata.
Particolarmente virulenta fu la lotta contro le istituzioni musulmane e contro ogni
manifestazione della cultura nazionale percepita come pericoloso richiamo al
panturchismo e, quindi, politicamente destabilizzante.
Parallelamente si ebbe una progressiva "sovietizzazione" della società secondo le
direttive staliniane che prevedevano:
24
Di origine tatara, indicava i seguenti punti programmatici come base teorica del movimento
comunista musulmano :
1) In un sistema socialista i musulmani devono conservare la loro cultura originale imbevuta
della tradizione religiosa islamica. L'Islam non deve essere distrutto ma laicizzato
progressivamente .
2) Tutti i popoli musulmani dell'Unione Sovietica devono unirsi politicamente e dare vita ad un
grande Stato nazionale turco, la Repubblica del Turan, che comprenda oltre alle repubbliche
dell'Asia centrale (compreso il Tagikistan), il Tatarstan, la Baschiria e, possibilmente,
l'Afghanistan.
3) La Repubblica federativa popolare e socialista del Turan è il punto di partenza per l'obiettivo
finale che consiste nell'unione di tutti i popoli oppressi del Terzo mondo in una Internazionale
coloniale.
25
Cfr, A. Bennigsen, Sultan Galiev: the USSR and the Colonial Revolution, in W.Z. Lacquer
(ed), The Middle East in Transition, Routledge and Kegan Paul, London. 1958, pp. 398-414.
17
1) La sedentarizzazione dei nomadi
2) La collettivizzazione delle campagne
3) Un massiccio afflusso di immigrati russi in modo da alterare sensibilmente
l'equilibrio socio-demografico dell'area.
In conclusione occorre rilevare che, nonostante la radicalità della sovietizzazione e
modernizzazione, alcuni importanti tratti della cultura tradizionale sono sopravvissuti, ciò
dimostra l'indiscutibile vitalità di questi popoli e, soprattutto, rappresenta una potenziale
risorsa nella attuale fase di costruzione di una propria autonoma identità nazionale
all'interno della Comunità degli Stati Indipendenti.
18
CAPITOLO SECONDO. UNA NASCITA PREMATURA
Ai fini di una migliore comprensione delle attuali difficoltà e profonde incertezze entro cui
si dibattono i governi delle cinque repubbliche centro asiatiche può essere utile ricordare
brevemente le condizioni che hanno accompagnato la loro genesi.26
Divenute indipendenti tra l'agosto e il dicembre del 1991 dopo il fallito golpe,
l'estromissione di Gorbaciov e la conseguente dissoluzione dell'U.R.S.S., si sono
drammaticamente trovate totalmente prive delle strutture minimali per rendere effettiva
una sovranità giunta troppo repentinamente e, in larga parte, non rivendicata.27
Escluse inizialmente dalla Comunità degli Stati Indipendenti (C.S.I.), frettolosamente
costituita dalle tre grandi repubbliche slave (Russia, Bielorussia, Ucraina) nel meeting di
Minsk del 8 dicembre 1991, le cinque repubbliche centro asiatiche si sono trovate a
dover scegliere tra tre opzioni : procedere isolatamente, costituire un proprio gruppo,
aderire alla Comunità ingoiando l'affronto della iniziale esclusione.
Dopo un frenetico incontro nella capitale turkmena, Ashkhabad, si scelse l'ultima
opzione in quanto sembrava permettere una maggior gradualità nel difficile processo di
indipendenza e la possibilità di conservare, almeno temporaneamente, i complessi vincoli
economici stratificatisi in epoca sovietica.
Anche per sanare l'infelice scelta iniziale operata dal "club slavo" si tenne un secondo
incontro ad Alma-Ata nel Kazakistan il 21 dicembre al fine di formalizzare solennemente
l'ingresso di Kazakistan, Kirghisistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan nella
C.S.I..
All'interno di questa struttura allo stato nascente, per la prima volta, ogni repubblica
della defunta Unione Sovietica avrebbe avuto il pieno controllo sulle risorse e le imprese
localizzate sul proprio territorio.
26
Per una esaustiva analisi delle fasi e delle conseguenze di questo avvenimento si rimanda a,
M. Brll Olcott, "Central Asia's catapult to independence", Foreign Affairs, vol. 71, n.3, 1992; A.
Hyman, "Moving out of Moscow's orbit: the outlook for central Asia", International Affairs,
vol. 69, n. 2, aprile 1993 ; R. Israeli, "Return to the source: the republics of central Asia and the
Middle East", Central Asian Survey, vol. 13, n. 1, 1994; e R. Dannreuther, "Creating new states
in central Asia", Adelphi Paper, n. 288, marzo 1994.
27
Per comprendere la rapidità del processo disgregativo è utile ricordare che i primi significativi
segnali di dis senso in Asia centrale risalgono al 1988 quando, nel nuovo clima scaturito dalle
riforme gorbacioviane, gruppi eterogenei rivendicarono maggior autonomia su determinati e
limitati punti. E' altresì interessante notare come la prima area toccata dalla protesta fu quella
ambientale. In questa regione la dominazione sovietica ha effettivamente inferto all'ambiente
ferite profonde. In Kazakistan un gruppo raccolto attorno allo scrittore Olzhas Suleimeinov,
pubblicò un dossier sui danni ecologici e biologici causati dai numerosi esperimenti nucleari
effettuati nel poligono di Semipalatinsk chiedendone l'immediata chiusura. Sulle tragiche
conseguenze dei numerosi esperimenti nucleari condotti in questo poligono si veda, E. Mo,
"Tra i dannati della lebbra atomica", Il Corriere della Sera , 6/9/1995.Nel vicino Uzbekistan il
gruppo Birlik manifestò contro il drammatico inquinamento e prosciugamento del Mar d' Aral
dovuto alla eccessiva coltivazione di cotone e all'impiego massiccio di fertilizzanti e pesticidi.
Fino al 1991 le richieste si limitarono, tuttavia, dalla promozione dei linguaggi nazionali ad una
maggiore autonomia da Mosca senza mai giungere ad ipotizzare una completa indipendenza.
19
Giungeva così a compimento quel processo che, a partire dal 1987 attraverso una serie
di fasi sempre più frenetiche, aveva visto il passaggio dalle prime timide richieste di
autonomia economica alla realizzazione di una (teoricamente) piena sovranità.
E' essenziale sottolineare che in questa rivoluzione copernicana, guidata dai paesi baltici
e dall'Azerbaigian, le repubbliche centro asiatiche hanno storicamente svolto il ruolo di
freno cercando di mantenere in vita fino all'ultimo l'impalcatura dell'Unione Sovietica.28
Questa resistenza è riconducibile principalmente a fattori economici e storici. Essendo,
come mostrato precedentemente, delle creazioni artificiali, le repubbliche centro
asiatiche hanno sempre goduto di limitata autonomia rispetto al potere centrale di
Mosca, è pertanto facilmente comprensibile che il processo di nation building sia stato
lento e superficiale.
Ciò spiega in larga misura la crescita più lenta di gruppi nazionalisti e indipendentisti
rispetto alle repubbliche baltiche o caucasiche dove il senso di appartenenza è
storicamente molto più radicato.
Tuttavia, sebbene con una intensità inferiore ad altre zone dell'ex U.R.S.S., le
repubbliche centro asiatiche non sono state immuni agli stimoli della politica
gorbacioviana incarnata nelle linee guida della glasnost e della perestroika. Muovendo
dalle tematiche ambientali, ed in particolare dalle conseguenze di quello che è stato
definito un "tragico esperimento" e cioè l'imposizione in una vasta regione della
monocoltura cotoniera che ha comportato conseguenze ecologiche gravissime (secondo
alcuni irreversibili) è stata avanzata una critica radicale alla politica centralistica di Mosca
accusata di aver deliberatamente imposto una forma di sfruttamento coloniale al fine di
creare una totale dipendenza economica della periferia.29
Parallelamente si sono intensificate le richieste finalizzate ad ottenere una maggiore
autonomia culturale e libertà religiosa, con il conseguente programma di costruzione di
moschee, il riconoscimento e la valorizzazione dei dialetti originari e maggiori legami con
il mondo islamico.
Gli iniziali tentativi delle élite locali, eterodirette da Mosca, di stroncare alla nascita ogni
manifestazione di nazionalismo su base etnica accompagnati da una intensa campagna
contro la diffusa corruzione legata all'industria cotoniera vennero percepiti a livello
popolare come volti a diminuire l'embrionale autonomia raggiunta.
28
E' sintomatica in questo senso l'azione svolta dal presidente kazako Nazarbaev. Dopo aver
vanamente chiesto al Soviet Supremo, nell'autunno del 1991, di considerare l'appello di
Gorbaciov per salvare l'Unione, ospitò un incontro tra le dodici restanti repubbliche sovietiche
al fine di raggiungere almeno un accordo economico. Nonostante le dichiarazioni
d'indipendenza delle altre quattro repubbliche operò quindi forti pressioni per convincere i
presidenti delle repubbliche indipendenti a siglare un accordo che portasse ad una ricostruzione
dell'U.R.S.S. nella forma di una debole confederazione e soltanto il 16 dicembre 91, dopo il
meeting di Minsk, si "rassegnò" a dichiarare l'indipendenza del Kazakistan.
29
Cfr. A. A. V.V., "Central Asia : shaping new states", I.I.S.S. Strategic Survey, 1991-1992, pp.
152-153.
20
In questo contesto si inquadrano i ripetuti disordini scoppiati ad Alma-Ata nel corso del
1986 a causa della sostituzione, imposta da Mosca, del Primo Segretario, di etnia
kazakha, con un russo.
Un episodio, questo, indicativo del livello di guardia raggiunto verso i diktat di Mosca e
seguito, infatti, a breve distanza dalle rivolte localizzate nella depressa valle del
Ferghana (maggio 1989) e nella capitale tagika Dushanbe (febbraio 1990).
I mancati successi della perestroika e la sua cronica incapacità di garantire una effettiva
crescita economica esacerbarono le tensioni di una regione già segnata da elevati livelli di
disoccupazione e standard di vita notevolmente inferiori al resto dell'Unione Sovietica,
costringendo Mosca e i leaders repubblicani a rivedere la politica repressiva sino ad
allora utilizzata per combattere il montante scontento popolare.
Si assistette allora ad un colossale, quanto abile, esperimento di trasformismo politico da
parte della nomenklatura centro asiatica che, espressione dei quadri di partito e
custode dei dogmi del marxismo leninismo, si impossessò repentinamente dei motivi
nazionalistici propagandati dai ristretti movimenti di opposizione assicurandosi così una
nuova legittimità.
Pur insistendo sulla necessità di preservare i legami esistenti, tutte le repubbliche
reclamarono la piena sovranità e il controllo delle proprie risorse.
Per sottolineare questa rottura, Turkmenia e Kirghizia vennero "ribattezzate" in
Turkmenistan e Kirghisistan, quest'ultima recuperò anche l'antico nome della propria
capitale (Bishkek) in sostituzione di Frunze imposto dai sovietici.
Seguendo l'esempio dello stesso Gorbaciov tutti i leaders dei partiti comunisti ai vertici
delle repubbliche si autoproclamarono, quindi, presidenti.
Grazie al totale controllo dei mezzi di informazione e ad una ben orchestrata campagna
tesa ad accreditare il loro impegno a garanzia e difesa dei diritti delle popolazioni
nazionali nel confronto con le strutture centrali, riuscirono ad ottenere un consistente
appoggio popolare prima che l'opposizione potesse avere una sufficiente capacità di
radicarsi e coagularsi in una alternativa credibile.
L'ottenimento della piena indipendenza, alla fine del 1991, rafforzò ulteriormente le
credenziali nazionalistiche di questa nomenklatura abilmente sottolineate dall'adozione
dei simulacri nazionali (nuove bandiere, costituzioni, apertura di relazioni diplomatiche,
ammissione alle organizzazioni internazionali) tese ad accreditare una sovranità in realtà
molto formale.
Il pieno controllo dei media, la capillare rete delle ex strutture di partito prontamente
"riverniciate" e la marginalità di una opposizione confinata agli intellettuali concentrati
nelle grandi città, spiegano le percentuali plebiscitarie ottenute da questi personaggi nelle
elezioni prontamente indette per formalizzare un potere mai seriamente messo in
discussione.