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Premessa
Il seguente elaborato di tesi presenterà quelle che sono le tecniche più recenti e diffuse sullo
studio e l’analisi dettagliata di due componenti principali dei mercati finanziari: rischio e
rendimenti. La prima componente – che nel linguaggio comune è intesa come un sinonimo di
probabilità legata ad una perdita o ad un pericolo/minaccia che è presente in un’azione – è
strettamente legata a quella che gli esperti della finanza definiscono volatilità. Negli ultimi
trent’anni di attività i mercati finanziari sono stati attraversati da numerosi mutamenti, basti
osservare il periodo cominciato dalla liberazione dei mercati di capitali internazionali, con la
conseguente globalizzazione, ad oggi. Questi mutamenti hanno generato all’interno dei
mercati, e nell’economia in generale, quell’elevato dinamismo che li rende senza alcun dubbio
più instabili ed imprevedibili, appunto volatili.
La volatilità ha causato non pochi problemi alla massimizzazione, in termini di efficienza,
dell’allocazione del capitale spingendo gli attori sociali e le istituzioni creditizie a cercare
misure di redditività che tenessero conto dell’esatto legame che unisce tra loro rendimenti e
rischio. La misura statistica più recente del rischio legato all’allocazione del capitale è chiamata
Value At Risk (VaR), ossia quella massima perdita potenziale che uno strumento finanziario
(azione, obbligazione, portafoglio, ecc..) può subire con un certo margine di probabilità ed in
un dato orizzonte temporale. Gli istituti bancari, per definire i rischi legati al proprio livello di
liquidità e di stato patrimoniale, utilizzano due modelli uno dei quali è definito “modello
standard”, determinato dal primo accordo di Basilea del 1988, ed è basato proprio sul VaR.
Nel presente studio sarà data maggiore attenzione alla misura del VaR attribuito al periodo
della grande crisi economica del 2008, per cercare di capire se e quali mutamenti ha subito la
volatilità dei mercati finanziari nel periodo precedente e successivo alla crisi. Le analisi e le
dovute sperimentazioni saranno effettuate sull’indice italiano Ftse Mib e sull’indice
statunitense Dow Jones.
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Capitolo 1
La volatilità dei mercati finanziari e la grande crisi del 2008
1.1 Premessa
Come già anticipato nella premessa, in questo elaborato di tesi ci si occuperà del fenomeno
della volatilità presente nelle serie finanziarie, dove per volatilità intendiamo il grado di
variabilità che caratterizza la serie storica nel periodi di tempo oggetto di studio osservato. Il
presente capitolo è suddiviso in tre parti. Nella prima parte saranno opportunamente descritti
gran parte degli strumenti finanziari più diffusi focalizzando l’attenzione su quegli strumenti
quotidianamente esposti al rischio nel corso dell’operatività dei mercati, come le azioni
ordinarie ed i futures. Nella seconda parte sarà fornita un’adeguata panoramica sulle varie
tipologie di rischio che si distinguono nella compravendita finanziaria e si illustreranno le
metodologie di base del calcolo dei rendimenti sino ad arrivare alla misura del rapporto tra
rischio e rendimenti. Nell’ultima parte sarà dettagliatamente descritto il fenomeno della
volatilità specificandone tutte le varie forme di calcolo e sarà sinteticamente introdotto anche
il concetto di “volatilità condizionata”, la cui conoscenza è necessaria per l’esatta
comprensione dei modelli che saranno poi trattati nei capitoli successivi. L’ultimo paragrafo
del capitolo è una sorta di appendice nella quale saranno descritte sinteticamente quelle che
sono state le cause e le conseguenze della grande crisi del 2008, soprattutto nell’ambito dei
mercati finanziari.
1.2 Strumenti Finanziari
Prima di conoscere quelle che sono le componenti tecniche che saranno analizzate nel corso
dell’elaborato, è giusto percorrere prima una sintetica panoramica su quelli che sono gli
strumenti finanziari più diffusi che catturano l’attenzione di gran parte degli investitori. La
maggior parte degli investitori cerca solitamente – tra i vari prodotti che la Borsa Italiana offre
– le azioni, le quali rappresentano la quota di una società che diventa di proprietà
dell’investitore una volta acquistata. Altre attività finanziarie meno diffuse, soprattutto tra i
piccoli investitori, sono i derivati ed i futures. L’insieme di tutte le attività detenute da un
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investitore è detto portafoglio ed ogni singola attività, come ogni portafoglio, è esposto ad una
qualche tipologia di rischio.
1.2.1 Portafoglio
Un portafoglio è l’insieme delle attività finanziarie, appartenenti a persone fisiche o giuridiche,
in seguito ad un investimento (Brealey-Myers, 2007). Costituire un portafoglio nasce
dall’esigenza per l’investitore di diversificare i propri investimenti in modo tale da poter ridurre
il più possibile il rischio di subire delle perdite a causa di una singola attività. Questo concetto
verrà poi approfondito nel corso del paragrafo successivo. Sui mercati finanziari sono
tantissime le attività che possono costituire un portafoglio, che sono oggetto di contrattazione,
e quindi soggette a variabilità nelle proprie quotazioni. Nel presente lavoro saranno descritte
le azioni, i derivati ed i futures (particolare tipo di derivato).
1.2.2 Azioni
Le azioni sono titoli che rappresentano una quota di una società, la quale diventa di proprietà
dell’investitore, una volta acquistato il titolo. Il possesso di almeno un’azione è la condizione
necessaria per essere soci di una società per azioni (S.P.A.). L’azionista usufruisce dei profitti
dell’azienda per una quota proporzionale agli utili, qualora essi siano distribuiti, e al patrimonio
in caso di liquidazione ed acquisisce il diritto di prendere parte alla politica decisionale della
società partecipando all’assemblea degli azionisti. Le azioni si dividono in tre gruppi:
Azioni ordinarie, le quali assegnano diritti patrimoniali (attribuzione del dividendo),
diritto al rimborso del capitale in caso di scioglimento della società, diritto di opzione
in caso di aumento di capitale, diritti amministrativi (voto nell’assemblea ordinaria e
straordinaria della società).
Azioni privilegiate, le quali sono azioni nominative che assicurano all’azionista la
prelazione nella ripartizione degli utili e nel rimborso del capitale all’atto dello
scioglimento della società e, pertanto, gli azionisti in possesso di tali titoli subiscono
delle limitazioni nel diritto di voto nelle assemblee ordinarie dei soci, cosa che non
accade in quelle straordinarie.
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Le azioni sono scambiate sui mercati specializzati durante i periodi di apertura ufficiale,
periodo nel quale si concentrano la maggior parte degli scambi che vengono finalizzati ad un
determinato prezzo e ad un determinato quantitativo. Il prezzo è il risultato di scambio a
fronte di due quotazioni per le quali gli operatori sono disposti ad acquistare (bid) o a vendere
(ask) (Gallo-Pacini, 2002).
1.2.3 Derivati
I derivati appartengono a quella categoria di strumenti finanziari che replicano l’andamento di
un determinato indice o azione, il quale tecnicamente prende il nome di “sottostante” (Borsa
Italiana – “Conoscere la borsa e gli strumenti finanziari”). Delle tipologie di derivati molto
diffusi sono le opzioni. Le opzioni sono costituite da un contratto che conferisce diritto, ma
non l’obbligo, per l’acquirente di acquistare (oppure alienare) una determinata attività reale o
finanziaria ad un prezzo stabilito e ad una certa data o entro un periodo di tempo prefissato
(Siani, 2001). Il diritto è rilasciato dal venditore (definito writer) all’acquirente (holder) dietro
pagamento contestuale di un premio stabilito come una percentuale dell’importo oggetto del
contratto, che poi costituisce anche il prezzo dell’opzione. Le opzioni si suddividono il call ed
put.
Un’opzione call consente, al costo di un premio (striking price), di poter scegliere se comprare
l’attività sottostante alla scadenza prefissata dal contratto stipulato, oppure di poter rinunciare
all’acquisto perdendo il premio già versato. Un’opzione put, invece, consente di scegliere se
vendere o meno l’attività sottostante, al prezzo e alla scadenza prefissata, oppure
abbandonare. In termini tecnici, nel primo caso si punta al rialzo del sottostante in modo tale
da ottenere profitto dalla differenza tra il prezzo attuale dell’attività ed il costo d’esercizio
dell’opzione. Nel secondo caso il profitto si ottiene se il prezzo del sottostante è più basso alla
scadenza dell’opzione: vendo ad un prezzo più alto di quello con il quale ho acquistato.
Esempio: Se il prezzo d’esercizio di una call è 100€ e l’azione, alla scadenza dell’opzione, vale
150€, l’acquirente eserciterà l’opzione obbligando il venditore a consegnare l’azione ad un
prezzo di 100€ ottenendo così un profitto di 50€. Se invece l’acquirente avesse acquistato una
put, non poteva esercitare l’opzione, poiché fuori mercato, perdendo così il prezzo d’esercizio.
Un ulteriore fattore da evidenziare riguarda proprio il tempo d’esercizio del diritto di un
opzione. Le opzioni posso essere di tipo “americano” e di tipo “europeo”, con la differenza che
mentre le prime possono essere esercitate in qualsiasi momento prima della scadenza, le