3
INTRODUZIONE
La locuzione “commedia all’italiana”, che definisce un genere di
cinema comico di matrice neorealista, diventò corrente solo negli anni
Settanta, quando il filone esisteva da diversi anni e si andava ormai
esaurendo.
La commedia all’italiana si discosta nettamente dalla commedia
leggera e disimpegnata e dal cosiddetto filone del neorealismo rosa in voga
per quasi tutti gli anni Cinquanta, poiché, partendo dalla lezione del
neorealismo, si basa su una scrittura aderente alla realtà; pertanto, accanto
alle situazioni comiche e agli intrecci tipici della commedia tradizionale,
affianca sempre, con ironia, una pungente e talvolta amara satira di
costume, che riflette l’evoluzione della società italiana di quegli anni.
Si verifica quello che Gian Piero Brunetta definisce il passaggio verso
una commedia maggiorenne
1
, in cui la narrazione e i personaggi si fanno
più complessi e problematici a seguito di una riforma sostanziale dei
contenuti e delle modalità di narrazione che porta la commedia
dai canovacci dei primi anni cinquanta alla scrittura più elaborata di testi per
gli autori alla realizzazione di opere […] il cui successo sembra anche da
attribuirsi al merito di operare una vera e propria riforma di tipo goldoniano
all’interno delle forme del comico e della commedia di quel periodo, e alla
perfetta metabolizzazione e adattamento ai costumi degli italiani in via di
rapido mutamento.
2
Come i comici dell’arte passano da una recitazione libera e
improvvisata con il solo ausilio di un canovaccio di partenza alla aderenza
1
Cfr. Brunetta, 2003: 202.
2
Brunetta, 2003: 202.
4
e fedeltà ad un testo drammaturgico appositamente scritto, così gli
interpreti della commedia cessano di essere macchiette, maschere che
basano il loro repertorio comico su gag verbali e fisiche, recitazione sopra
le righe, giochi di parole, ma si affidano ad una sceneggiatura che valorizza
il racconto e il contesto sociale prima ancora che la verve attoriale, dove il
bozzetto lascia il posto ai personaggi e le gag si integrano con i drammi
quotidiani.
I soliti ignoti (1958) di Mario Monicelli è il primo esempio compiuto
e maturo della convergenza di elementi innovativi e di una propensione a
sperimentare soluzioni nuove e divergenti.
Da molti considerato la prima vera commedia all’italiana
3
, il film è,
secondo il suo stesso regista, «il punto d’arrivo di un percorso intrapreso
con Totò cerca casa (1949) e già definito in Guardie e ladri (1951), che
può essere considerato un film di confine», in quanto emblematico di come
«l’evoluzione dalla farsa alla commedia di costume ormai è compiuta»
4
.
Con I soliti ignoti «viene abbozzata un’analisi sociale. Nel senso di
un’attenzione sempre più minuziosa per i risvolti ambientali, psicologici e
materiali della realtà»
5
. È la dimostrazione di un percorso che il cinema
italiano compie verso la modernità.
3
È lo stesso Monicelli a suggerire una distinzione tra la cosiddetta commedia comica all’italiana (e cita a
tale proposito Guardie e ladri) e la commedia all’italiana cui, a suo dire, avrebbe dato il là I soliti ignoti.
Cfr. Borghini, 1985: 12-13.
4
Monicelli in Mondadori, 2005: 15.
5
Monicelli in Mondadori, 2005: 15.
5
Una modernità riscontrabile in strategie di narrazione poco percorse
come la segmentazione lineare del racconto. Tratto tipico della commedia
all’italiana è la configurazione di racconto corale, dove i punti di vista si
moltiplicano e dove viene meno l’idea di un unico protagonista. I soliti
ignoti è infatti un film costruito sulla sommatoria di singole vicende tra
loro intrecciate
6
.
Grazie alla cosiddetta officina romana degli sceneggiatori (che
comprende, oltre agli sceneggiatori del film Suso Cecchi D’amico, Age e
Scarpelli, nomi come quelli di Amidei, Sonego e Maccari), la comicità
diventa il nucleo forte per raccontare i mutamenti in atto nel paese,
l’emergere del mondo giovanile, la richiesta di nuovi modelli di
comportamento e di rapporti all’interno della società, la coesistenza tra
vecchie e nuove identità nella società italiana
7
.
Esemplare di questa coesistenza tra vecchio e nuovo e di un simbolico
passaggio di consegne tra due diversi modi di intendere l’interpretazione
comica e, sostanzialmente, di fare cinema è il personaggio di Dante
Cruciani, interpretato da Totò.
«La partecipazione di de Curtis» sottolinea Alberto Anile «si riduce a
poche scene, alcune delle quali, per evitare il più possibile affaticamenti,
girate seduto. Totò non fa nulla di particolare, le sue lezioni di scasso non
sono neppure indispensabili alla narrazione»
8
; eppure «la sua personalità, il
6
Cfr. Bertetto, 2002: 175.
7
Cfr. Brunetta, 2003: 203.
8
Anile, 1998: 176.
6
suo profilo deragliato, la magia delle sue intonazioni si impongono su tutto
il film»
9
.
Dante Cruciani è un professore di scasso che istruisce i propri allievi;
allo stesso modo Totò si confronta con coloro che sono destinati a
raccogliere la sua eredità, seppure intraprendendo percorsi diversi.
Ne I soliti ignoti compaiono infatti due futuri colonnelli della
commedia all’italiana come Gassman e, seppure in misura minore e più
discontinua, Mastroianni, ma anche due caratteristi destinati a diventare
volti ricorrenti del genere come Tiberio Murgia e Carlo Pisacane.
Dante Cruciani rappresenta una sorta di parafulmine di tutto il film:
Totò tratteggia un personaggio esemplare e indimenticabile, freddo e
scientifico, d’una ironia clownesca, che lascia intravvedere una intera vita
di esperienza, ma anche di fallimento.
La sua apparizione in vestaglia sulla terrazza trasmette un’aria
malinconica e getta una luce sinistra sull’esito che avrà l’impresa che spetta
a quei giovani cui è diretta la lezione su come aprire una cassaforte;
Cruciani è quindi un fallito, esattamente come lo saranno i cinque poveri
diavoli alla fine della loro storia e forse anche della loro vita
10
.
Il mondo de I soliti ignoti è quello di figure marginali, inadatte alla
vita, destinate inevitabilmente alla sconfitta, a vedere i propri sogni
rimanere tali e ad accontentarsi, nella migliore delle ipotesi, di un piatto di
pasta e ceci; figure tipiche di tutto il cinema di Mario Monicelli.
9
Anile, 1998: 176.
10
Cfr. Bispuri, 1997: 196.
7
Ma lo sguardo del regista toscano è sempre critico e mai conciliante.
Vengono passati al settaccio
il costume, la cronaca, l’attualità per smascherare debolezze e sotterfugi,
piccolezze e difetti della gente della strada. Rovesciando luoghi comuni e
abbattendo miti, senza pietà e con cattiveria. Perché la commedia è cattiva,
anzi spietata.
11
Presentato in prima proiezione pubblica al Festival di Locarno, aver
partecipato alla sezione Informativa del Festival di Venezia e vinto la
conchiglia d’argento al Festival di San Sebastian, presentato a Torino il 24
settembre 1958, in concomitanza con l’inaugurazione del Museo del
Cinema
12
, uscito nelle sale di alcune tra le principali città italiane (Roma,
Milano, Genova) il 3 ottobre e nelle settimane successive nel resto d’Italia I
soliti ignoti riscontrò immediatamente un grande successo di pubblico,
incassando 901.296.042 lire, pari ad un valore attuale di circa 22 milioni di
Euro
13
.
Un successo destinato a perdurare nel tempo, tanto che l’espressione
“i soliti ignoti” è diventata di uso comune, come accaduto per molti altri
film italiani realizzati a cavallo tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio
dei Sessanta: da La dolce vita (1960) a L’armata Brancaleone (1966), da I
mostri (1963) a Divorzio all’italiana (1961), dando il nome al nuovo filone
della commedia, appunto, all’italiana.
11
Monicelli in Mondadori, 2005: 15.
12
Cfr. Pallotta (a cura di), 2002: 269.
13
Cfr. Fanchi, 2001: 203.
8
Il seguente lavoro si propone di fornire un’analisi della fortuna critica
riservata al film di Monicelli dal momento della sua uscita sugli schermi
italiani fino ai giorni nostri.
Nel primo capitolo verranno affrontati gli aspetti relativi alla genesi
del film: l’originale intenzione di parodiare il francese Du Rififi chex les
hommes ( Rififi, 1954) di Jules Dassin, una storia di malavita che aveva
avuto un grande successo di pubblico e critica; l’ispirazione suggerita da un
racconto di Italo Calvino, Furto in una pasticceria, che diede lo spunto del
furto con la tecnica del “buco” che portava ladri molto inadeguati e
arruffoni, appunto, in una pasticceria invece che in una banca; i problemi
con la censura che bocciò il titolo originariamente scelto, Le madame,
espressione con cui a Roma venivano chiamati in gergo i poliziotti; la
scelta di un cast composito e anticonvenzionale.
Questo primo capitolo, inoltre, illustrerà, seppure in maniera sintetica,
la figura di Mario Monicelli presentandone la biografia, i tratti essenziali
della poetica filmica e la relativa filmografia.
L’accoglienza critica riservata al film sarà il punto su cui si focalizzerà
il secondo capitolo. In prima istanza si analizzerà l’accoglienza critica sui
quotidiani, prendendo spunto e citando articoli e recensioni apparse sulle
pagine di varie testate. In secondo luogo verranno prese in considerazione
le riviste specializzate, oltre a periodici di attualità, cultura e costume non
specializzati in ambito cinematografico, ma che comunque hanno dedicato
spazio e attenzione al film di Monicelli.
9
Successivamente ci si concentrerà sulla fortuna critica che ha
accompagnato I soliti ignoti nei decenni successivi e sulla grande
importanza che la pellicola ha assunto nella storia del cinema italiano e non
solo.
I soliti ignoti è infatti uno dei film italiani che è stato affetto da un
cospicuo numero di tentativi di imitazione (da Bottle Rocket [Un colpo da
dilettanti, 1996] di Wes Anderson a Small Time Crooks [ Criminali da
strapazzo, 2000] di Woody Allen, per citare gli esempi più recenti), oltre ad
aver ispirato due sequel (L’audace colpo dei soliti ignoti [1959] di Nanni
Loy e I soliti ignoti vent’anni dopo [1985] di Amanzio Todini), due remake
(Crackers [I soliti ignoti made in USA, 1984] di Louis Malle e Welcome to
Collinwood [Id, 2002] di Anthony e Joe Russo) e un musical a Broadway,
Big Deal
14
, scritto e diretto da Bob Fosse
15
. Nell’ultima parte di questo
lavoro ci occuperemo brevemente anche di questa realtà.
La ricerca del materiale è stata svolta presso la Biblioteca Nazionale
Braidense di Milano (Brera); la Biblioteca del Dipartimento di storia delle
arti, della musica e dello spettacolo (Università degli Studi di Milano); la
Biblioteca dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano; la
Biblioteca Comunale Centrale di Milano (Palazzo Sormani); la Fondazione
Alasca presso Torre Boldone (Bergamo); la Biblioteca Nazionale di
Cinema e Fotografia del Museo Nazionale del Cinema di Torino; la
14
Il titolo del musical di Bob Fosse fa riferimento al titolo inglese de I soliti ignoti: Big Deal on
Madonna Street.
15
Malgrado il clamoroso insuccesso commerciale, Big Deal ottenne cinque nomination ai Tony Award,
vincendo un premio per le coreografie.
10
Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino; la Biblioteca della Cineteca
Comunale di Bologna; la Biblioteca Luigi Chiarini di Roma; la Biblioteca
Nazionale di Roma.
11
I. GENESI DEL FILM
I. 1 I soliti ignoti: il risultato di combinazioni eccezionali
Nella storia della genesi de I soliti ignoti il caso ha avuto una parte
molto importante.
La sceneggiatrice Suso Cecchi D’Amico, Marcello Mastroianni e
Luchino Visconti si erano esposti finanziariamente per costruire una società
con il produttore Franco Cristaldi e produrre Le notti bianche (1957). Un
rischio calcolato, in un momento in cui nessuno voleva finanziare un film
di Visconti, che si era acquistato fama di perfezionista mai contento e
spendaccione con la realizzazione di Senso (1954).
Per non smentire tale sua nomea, nonostante questa volta avesse a che
fare con una storia meno ambiziosa, anche dal punto di vista delle
ambientazioni richieste, Visconti fece ricostruire in studio un intero
quartiere di Livorno, il quartiere Venezia, con tanto di canali; una
scenografia imponente e costosissima.
Cristaldi decise di recuperare un po’ di soldi, girando un altro film e
riutilizzando quella scenografia, prima che venisse smontata e distrutta per
sempre; «naturalmente un film di tipo affatto diverso, una commedia, che
potesse svolgersi per i vicoli di una città e di notte»
16
.
Cristaldi e la D’Amico pensarono subito a Monicelli, per certi versi un
regista agli antipodi rispetto a Visconti: rapido nella realizzazione; fedele
16
Dichiarazione di Suso Cecchi D’Amico riportate in D’Amico, 2001: 17.
12
ad un metodo di lavoro semplice ed essenziale; attento ai dettagli, senza
scadere nella maniacalità. Monicelli, inoltre, era una garanzia da un punto
di vista commerciale, avendo firmato (seppure in collaborazione con Steno)
due clamorosi successi al botteghino come Totò cerca casa e Guardie e
ladri.
Suso Cecchi D’Amico aveva già collaborato con Monicelli per
Proibito (1954), tratto dal romanzo di Grazia Deledda, e si propose per
collaborare alla sceneggiatura del nuovo film; ricorda la sceneggiatrice:
«Insistetti, perché, mentre io seguivo Le notti bianche, fossero della partita
anche i suoi collaboratori abituali Age e Scarpelli»
17
.
Ma «il gruppo degli sceneggiatori non fu così facile da mettere
insieme», racconta Monicelli, «Age e Scarpelli erano bollati come due
scrittori di farse. La Suso invece era la sceneggiatrice di Visconti. Due
mondi diversi, insomma»
18
.
Quello della giusta amalgama tra gli sceneggiatori fu solo uno dei
tanti problemi che Monicelli dovette affrontare nella realizzazione de I
soliti ignoti. «Adesso sembra facile, ma ripensando alla lavorazione del
film ogni tappa fu una conquista»
19
.
La preparazione del film, infatti, fu molto lunga e il set viscontiano
risultò inutile, sia perché i tempi si erano allungati per varie ragioni,
venendo quindi meno la possibilità di un riutilizzo immediato della
17
Dichiarazione di Suso Cecchi D’Amico riportate in D’Amico, 2001: 17.
18
Monicelli in Mondadori, 2005: 28.
19
Monicelli in Mondadori, 2005: 28.
13
scenografia, sia perché ad un certo punto la storia trovò tutt’altra
collocazione, sebbene quei fondali avessero suggerito la matrice
sottoproletaria del contesto e dei personaggi
20
.
Monicelli affidò il comparto scenografico a Piero Gherardi,
indirizzando la scelta dell’ambientazione verso un naturalismo non
ricercato, ma autentico, utilizzando le vere vie di Roma. L’ambientazione
in una Roma di borgata, grigia e anonima, costituisce un’importante novità
nel panorama della commedia italiana anni Cinquanta, dal momento che
offre uno spaccato drammatico della città, fornendo un’immagine urbana
degradata, povera, fatta di catapecchie di periferia, case-roulotte, panni
stesi e squallore
21
.
L’idea alla base de I soliti ignoti era quella di fare una parodia del film
Du Rififi chex les hommes di Jules Dassin, uscito nelle sale italiane nel
1955
22
, ottenendo un grande successo di critica e pubblico e destinato a
diventare una pietra miliare del cinema francese
23
.
20
Cfr. Mondadori, 2005: 25.
21
Alessandra Fagioli rinvia al primo cinema di Pasolini. In Accattone, Mamma Roma e La ricotta «le
“figure” del sottoproletariato […] si inscrivono tutte in quel mito dell’innocenza primitiva che li
“preserva” – finché rimangono confinati nei limiti territoriali della loro esistenza – dalla corruzione del
mondo borghese, rendendoli realmente incapaci (in un certo senso come gli eroicomici de I soliti ignoti)
di modificare il proprio destino. La stessa immagine della borgata proposta come sfondo epico nel film di
Monicelli, diverrà in Pasolini una vera e propria categoria esistenziale – sede di una purezza arcaica e
luogo di rivelazione del sacro – contrapposta dialetticamente al “centro di città” – dimora della storia e
della ragione ma soprattutto fonte di morte. Si pensi a Cosimo che, uscito da galera, altro confino, si
rimette “in gioco” nella città e muore durante un tentativo di scippo». Fagioli, 2001: 245.
22
In Italia il film all'epoca fu distribuito con tagli per circa 14 minuti e con un doppiaggio che in parte
nascondeva la provenienza italiana di alcuni protagonisti (il "milanese" Cesare diventa "marsigliese").
L'edizione DVD del 2004 (General Video Recording / 20th Century Fox Home Entertainment) presenta la
versione integrale.
23
Il film di Dassin appartiene al sottogenere del colpo grosso (heist movie) di cui fanno parte anche i
contemporanei The Killing (Rapina a mano armata, 1956) di Stanley Kubrick e Bob le flambeur (Bob il
giocatore, 1955) di Jean-Pierre Melville.
14
Sono gli anni in cui a Hollywood e in Francia si realizzano grandi film
di rapina, come The Asphalt Jungle ( Giungla d’asfalto, 1950) di John
Huston o The Naked City ( La città nuda, 1948) e Night and the City ( I
trafficanti della notte, 1950) entrambi dello stesso Jules Dassin.
«Mentre in Rififi c’era un colpo attuato in maniera magistrale, con
grande precisione, noi volevamo mostrare una banda di cialtronelli che
tentava un colpo più grosso di loro e che poi falliva»
24
.
La dimensione parodistica, dunque, non scaturisce solo dal fallimento
grottesco del “colpo grosso”, «ma è alimentata soprattutto da quell’umanità
umile, spicciola e meschina che si confronta con un’impresa spropositata
rispetto alle proprie risorse e abilità»
25
.
Inizialmente il film doveva intitolarsi Le madame, espressione con cui
venivano chiamate allora le forze dell’ordine, ma su richiesta del produttore
e per evitare possibili guai con la censura, che Monicelli aveva già dovuto
affrontare per il film Totò e Carolina (1955), mutilato da un enorme
numero di tagli e di battute modificate
26
, il titolo venne cambiato.
In un primo momento si pensò a O di riffe o di raffe e a Rufufù,
entrambe storpiature di Rififi; poi, in corso di lavorazione, venne proposto
24
Monicelli in Codelli, 1986: 57.
25
Fagioli, 2001: 234.
26
21 tagli e 23 battute modificate. Il film viene ritenuto offensivo e irrispettoso verso le forze di pubblica
sicurezza. La storia è infatti quella di uno scapestrato poliziotto incaricato di riaccompagnare al paese
natio la mite Carolina, prostituta improvvisata. Tra le battute modificate: il termine «peripatetica» viene
sostituito con «disgraziata»; il coro Bandiera Rossa che si sente da un camion carico di dimostranti
diventa Di qua e di là del Piave; tra le altre sparisce l’amarissima frase che Totò rivolge ad una Carolina
che rimpiange di non essere riuscita ad ammazzarsi: «Il suicidio non è per noi, noi siamo povera gente, il
suicidio è fatto per i ricchi, il suicidio è un lusso, e noi, questo lusso, non ce lo possiamo permettere». Cfr.
Mereghetti, 2008: 5.
15
I soliti ignoti, definizione ricorrente nel racconto di fatti di cronaca sui
giornali.
Un’intuizione difficilmente attribuibile con precisione ad uno degli
sceneggiatori; Monicelli comunque esclude categoricamente se stesso:
«Personalmente non ci ho mai preso con i titoli. Speriamo che sia femmina
(1986) […] volevo chiamarlo Rapporto sui rapporti. Non sarebbe andato a
vederlo nessuno»
27
.
È attribuibile invece a Suso Cecchi D’Amico l’idea di utilizzare un
racconto di Italo Calvino, Furto in una pasticceria
28
, che risultò fonte di
ispirazione decisiva: si trattava, infatti, del racconto di un furto con la
tecnica del buco che portava dei ladri improvvisati, inadeguati e
impreparati, in una pasticceria, invece che in una banca.
Spiega Suso Cecchi D’Amico:
Un cambiamento importantissimo lo facemmo mentre si stava girando, o
forse addirittura dopo, non mi ricordo. Il finale. Io lessi il racconto di
Calvino Furto in pasticceria [sic], e lo proposi quando Mario aveva girato
un finale diverso, che non funzionava. Così utilizzammo quello,
naturalmente con il permesso di Calvino; ho ancora la sua lettera.
29
In fase di scrittura incontrò non poche resistenze da parte di Cristaldi
quello che sarebbe stato uno degli elementi innovativi e caratterizzanti de I
soliti ignoti: l’introduzione della morte nella commedia.
In modo particolare non convinceva l’idea di far morire proprio il
personaggio di Cosimo, interpretato da un bravissimo attore come Memmo
27
Monicelli in Mondadori, 2005: 70.
28
Racconto contenuto nella raccolta Ultimo viene il corvo.
29
D’Amico in D’Amico, 2001: 17-18.
16
Carotenuto, capace di dare una connotazione umana e simpatica ad un
ladruncolo da quattro soldi
30
.
Ma «il primo morto della commedia all’italiana»
31
si rilevò funzionale
a tutta l’impostazione del progetto: un progetto anomalo, e rischioso per
l’epoca, di commistione tra dramma e comicità.
In tal senso si operarono precise scelte formali come quella di dare un
tono drammatico all’ambientazione, un’intuizione del direttore della
fotografia Gianni Di Venanzo, concordata con lo scenografo Piero
Gherardi. Si ottenne, quindi, una combinazione insolita, con un copione
comico girato su uno sfondo quasi lugubre.
«A differenza delle commedie di allora ambientate in estate, piene di
luce e di sole, noi girammo in autunno, con un cielo spesso plumbeo e
persino la pioggia durante il funerale»
32
.
Ma il maggiore motivo di contrasto di Monicelli con Franco Cristaldi,
nonché con i suoi tre co-sceneggiatori, fu la scelta di scritturare Vittorio
Gassman per un ruolo comico.
Una scelta osteggiata dalla produzione per via dell’immagine da
villain di Gassman e per lo scarso richiamo al botteghino dell’attore,
decisamente più apprezzato in teatro che al cinema e reduce dal fallimento
della sua avventura cinematografica a Hollywood
33
.
30
Cfr. Faldini; Fofi, 1979: 286.
31
Lizzani, 1979: 198.
32
Monicelli in Mondadori, 2005: 29.
33
Cfr. Fofi, 2009: 4.