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Introduzione
Le problematiche che coinvolgono la donna nel conte sto musulmano sono oggi al centro
di numerosi dibattiti, e sono oggetto degli studi d i intellettuali che, collocandosi su
posizioni talvolta tra loro antitetiche, rispecchia no la varietà dei discorsi femministi.
Questa varietà è raggruppabile in tre principali mo dalità di approccio al problema, due
delle quali impostano le proprie argomentazioni seg uendo l’una la corrente islamista,
l’altra quella laica e tendente al secolarismo.
Per questo studio si è scelto di privilegiare il te rzo approccio che, collocandosi in una
posizione intermedia, mira al cambiamento proponend o soluzioni progressiste derivanti
da una prospettiva musulmana non conflittuale.
I movimenti non conflittuali per il cambiamento son o quelli delle intellettuali musulmane
che guardano essenzialmente al proprio tempo e che, quando si rivolgono al passato, lo
fanno per rintracciarvi l’esistenza, nell’ Islām de lle origini e nell’esempio del Profeta, di
messaggi di giustizia e di uguaglianza: per cambiar e oggi con l’Islām e non contro
l’Islām.
Lontane da qualsiasi forma di estremismo, affidano al potere della conoscenza un ruolo
essenziale nella costruzione della democrazia e nel l’aspirazione all’emancipazione: la
conoscenza delle dinamiche del potere delle regine del passato; la conoscenza dei diritti
umani fondamentali e dei primi movimenti femministi dell’età moderna; la conoscenza
delle recenti riforme che da quei movimenti derivan o e delle importanti conquiste in
materia di diritto.
Nel tentativo di dare un quadro di tale corrente, n ei limiti della reperibilità delle fonti, si è
scelto nel seguente lavoro di suddividere i contenu ti in due parti principali.
Con questo intento la prima parte – capitoli primo e secondo null analizza l’impostazione
ideologica da un punto di vista teorico delle fonti scritte; la seconda – capitoli terzo e
quarto null mette in evidenza l’applicazione di tale i mpostazione nelle dinamiche attuali
delle forme espressive e delle azioni concrete.
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Seguendo quest’ordine si affronterànull nel primo capi tolo null lo studio dei processi che,
secondo la sociologa Fatima Mernissi, possono esser e all’origine del nonnullpotere delle
donne. A partire da un hadīṯ null che può essere considerato il cavallo di battagl ia di quanti,
ancora oggi, desiderano escludere le donne dalla p olitica null si risalirà all’origine dello
stesso, per arrivare a comprendere come, la preesis tente società cui aveva dato origine il
Profeta, abbia cominciato ad assumere connotati ben diversi da quelli cui quest’ultimo
aspirava, già dal principio della storia dell’Islām . Nella società del VII secolo donne e
uomini discutevano di politica e insieme andavano i n guerra, ed è in questo secolo che
sono da ricercare le cause del ‘mal di presente’ de i musulmani, per ristabilire nel contesto
attuale quell’ordine nel quale ogni essere umano ha il posto che merita. Si prenderanno
in analisi le tracce storiche di una tendenza che esclude la donna dalle dinamiche del
sociale e del politico, e si ricorderà a questo pro posito l’esperienza di ‘Āʿīša null raccontata
da Fatima Mernissi null e della sua battaglia condotta contro ‘Alī, che le fonti riportano
come causa di una punizione divina ai musulmani per metterli in guardia dal voler
rivendicare diritti politici per le donne.
Successivamente il viaggio a ritroso continuerà all a ricerca delle ‘Sultane dimenticate’,
con un’analisi sociologica del rapporto donnanullpoter e nella quale una delle prime
questioni affrontate avrà carattere terminologico: si discuterà cioè dell’equivoco tra
califfato e sultanato, e si vedrà su quali principi si è basata l’esclusione della donna dal
califfato. E in questa seconda analisi del rapporto tra donne e potere emergeranno
importanti figure delle quali la storia sembra non aver dato sufficiente testimonianza:
dalle ğarīyah alle piccole regine di saba yemenite. Di quelle do nne, cioè, che hanno
lasciato traccia di una presenza forte nella storia dell’Islām, raggiungendo il potere tra il
VII e il XV secolo, e che hanno in certi casi sconv olto gli equilibri anche senza
attraversare i confini dell’harem.
Dalle vicende di regine come Asmā’, che assisteva a i consigli a viso scoperto, si passerà
poi a considerare – nel paragrafo successivo – la c ondizione delle muḥağğaba (‘velate’)
dei giorni nostri attraverso alcune testimonianze, raccolte da Hinde Taarji, di donne
velate incontrate durante un viaggio che va dal Mar occo all’Egitto, per passare poi agli
Emirati Arabi, il Kuwait e il Libano, e tornare inf ine indietro alla vicina Algeria; per
cercare di comprendere le motivazioni che oggi spin gono le donne a rivendicare il diritto
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di indossare l’ ḥiğāb , quando un tempo le loro madri hanno manifestato e lottato per
liberarsene. Da queste interviste emergerà un’idea predominante secondo la quale il velo
non sia tanto un’imposizione, quanto una scelta per sonale derivante da diversi motivi tra i
quali, ad esempio, quello di elevarsi come donna, e di distogliere così gli sguardi
indiscreti per cedere il posto a quelli di rispetto e ammirazione che danno un senso
maggiore di libertà e sicurezza. Se un pio conformi smo è, dunque, promosso da islamisti
e islamiste, l’accettazione di tale costume non imp lica necessariamente una
sottomissione.
Con il quarto ed ultimo paragrafo del primo capitol o, nel quale ci si muove
continuamente tra modernità e tradizione, si prende ranno in considerazione le paure
derivanti dai conflitti, la conseguente caduta del mito dell’occidente democratico, e la
ricostruzione di frontiere dentro le quali il mondo arabo, dal mašreq al maġreb, torna a
barricarsi. Frontiere che, se non proteggono dalla guerra, impediscono la promiscuità, le
mescolanze e controllano le differenze, che riducon o insomma il rischio di una fitna
(‘disordine’). Il primo capitolo volge al termine con l’analisi de lle paure della modernità
riemerse in seguito ai tragici eventi della guerra del Golfo, e riapparse poi negli echi
degli avvenimenti dell’undici settembre. Le paure c he hanno interrotto il dialogo tra il
mondo musulmano diffidente e quello occidentale che spaventa, e che cominciano ad
essere superate dai nuovi giovani che guardano al m ondo attraverso le televisioni
satellitari, e che elaborano così concetti e idee p roprie, servendosi dei media delle
paraboliche che a loro volta danno nuovo vigore all ’arte dello ğadal (‘controversia’).
Anche le donne abbandonano il sentimento della paur a, perché per loro la modernità
rappresenta una possibilità di costruire un’alterna tiva al peso della tradizione.
Il secondo capitolo sarà introdotto dallo stud io dei primi movimenti femministi e della
fervente attività modernizzatrice delle attiviste d ella rinascita egiziana: da Bāhitha alnull
Bādiya a Hudā Ša‘rāwī, da May Ziyāda a Duriyya Šāfi q; non trascurando importanti
personalità maschili come alnullTahtāwī e Qāsim Amīn, e i loro contributi alle riforme
attuate nei primi decenni del novecento – soprattut to in materia di istruzione. Un accenno
a questi avvenimenti sembra utile per comprendere i cambiamenti e le riforme attuate nel
tempo, poiché da essi derivano gli odierni moviment i femminili.
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Da queste prime manifestazioni deriva, infatti, la «molteplicità di risposte femministe alla
molteplicità di islamismi», delle quali si sono evi denziate null nel paragrafo così intitolato null
le caratteristiche di tre principali correnti, e le difficoltà per la corrente islamista e per
quella laica di trovare un adeguato supporto all’in terno degli stessi paesi musulmani.
Dopo una sintesi dei primi movimenti egiziani si pa sserà, quindi, alla descrizione delle
molteplici risposte femministe che da questi deriva no; per arrivare poi a individuare le
difficoltà di mettere in pratica le riforme attuate dai paesi del Maġreb nei codici di
famiglia.
Tocca poi a un argomento sul quale tutte le femmini ste, seppur in maniera differente,
sono d’accordo: la necessità di democratizzare il s apere. La necessità, cioè, di estendere
la possibilità di ricevere un’istruzione a qualsias i livello, a tutte le classi sociali.
Se oggi le donne rivendicano un ruolo attivo nella società, ciò è possibile grazie alla
conoscenza; e affinché un numero sempre maggiore di donne possa difendere
autonomamente la propria causa, è di primaria impor tanza che queste conoscano i mezzi
con i quali farlo. Ricevere un’istruzione potrebbe infatti essere un primo passo per poi
avvicinarsi, con la dovuta esperienza, allo studio esegetico del testo sacro, o a una lettura
cosciente del codice di famiglia. Per le femministe musulmane, questo percorso
individuale, parte proprio da un’esegesi al femmini le del Corano, grazie alla quale
riscoprire il testo sacro come mezzo stesso di eman cipazione, per riportare alla luce quel
messaggio di uguaglianza del Profeta che garantiva loro diritti e libertà, attraverso una
lettura consapevole di quei versetti che spesso si citano come proverbi, e che vanno
invece compresi e contestualizzati. Investire nell’ istruzione ‘di massa’ consentirebbe
inoltre il superamento di una certa impostazione ideologica che si regge sui paradossi, in
favore di un’acquisizione consapevole di invenzion i, idee e istituzioni, rivalutate sulla
base del merito più che sulla loro provenienza. Un livello di istruzione abbastanza alto
favorirebbe, infine, la costruzione di tecnologie d’avanguardia e la formazione delle
operaie nelle fabbriche, e gli effetti sull’economi a sarebbero notevoli nei paesi che
aspirano ad essere democratici.
Di musulmani desiderosi di una riforma ne esistono tanti, ed è scopo del progetto Iğtihād,
quello di farli uscire dall’ombra. La giornalista c anadese Irshad Manji propone, con
l’‘Operazione Iğtihād’, l’apertura ad un pensiero critico, che spalanchi le porte alla
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possibilità di nuovi dibattiti e dissensi, e che co nsenta di pensare ad un Islām positivo,
che abbracci la diversità delle scelte, di espressi one e di spiritualità. Per questa missione
però serve anche l’appoggio dei nonnullmusulmani. In p articolare delle loro risorse
finanziarie da investire nell’imprenditorialità del le donne musulmane, contribuendo così
a portare avanti quello che è il primo obiettivo di questo progetto che aspira ad indebolire
la concezione tribale delle attività commerciali. R egolarizzare i piccoli commerci illegali
consentirebbe alle madri analfabete di avere più te mpo, e questo tempo potrebbe essere
impiegato nella scelta di ricevere un’istruzione.
La diffusione del pensiero positivo di cui par la Irshad Manji, è rintracciabile oggi,
nelle nuove forme espressive, delle quali si vedr à nel terzo capitolo: dalle nuove
possibilità offerte da internet, grazie al quale si sperimenta una forma di giornalismo
alternativo, si arriva al grande schermo e ai nuovi linguaggi cinematografici, con i quali
un numero sempre maggiore di artiste musulmane sceg lie di misurarsi.
Con internet si favorisce la diffusione di una reli gione rinnovata, ma attraverso questo
potentissimo mezzo si entra anche in contatto con u n mondo virtuale quasi privo di
barriere. Un mondo nel quale i contenuti sono poco filtrati, e dov’è più facile, quindi,
proporre il proprio pensiero ed esporlo alle critic he o ai consensi degli altri.
Attraverso i dibattiti virtuali nei blog è possibil e ridimensionare l’immagine stereotipata
fornita da altri mezzi di comunicazione; ma è possi bile anche che un blog diventi una
personale raccolta di opere letterarie, e che quest e – com’è stato il caso di Salmā Salāḥ, la
giovane studentessa egiziana null attirino l’attenzion e di un editore alla ricerca di voci
nuove.
Altro potente mezzo risulta essere l’immagine cinem atografica. Che si tratti di corti o di
lungometraggi, le immagini dei documentari e dei fi lm possono raccontare situazioni
reali e condizioni attuali, leggende lontane e cos tumi tribali. Così se con Roguh Cut
(‘Taglio Netto’) , la regista iraniana Firouzeh Khosrovani sceglie di raccontare le
assurdità della crociata del regime ai manichini e si dà vita ad una metafora a tratti
grottesca, a tratti poetica, della stessa condizion e della donna iraniana; con 1001 Irans la
stessa regista cercherà di restituire al proprio pa ese un’immagine che ai suoi occhi appare
distorta tra gli occidentali con cui entra in conta tto; se con Kaīd alnullnisā’ (L’astuzia delle
donne), della marocchina Farida Benlyazid, si narra una leggenda che insegni a
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riconoscere il potere dell’astuzia, e a fare delle parole un’arma con cui imparare a
difendersi nei momenti di difficoltà; con Dunia di Jocelyne Saab si assiste a un viaggio
iniziatico, che impone il confronto della protagoni sta con le tradizioni che hanno distrutto
la sua attitudine al piacere prima che potesse sper imentarlo. Il vecchio cinema dunque si
rinnova, e con le donne e diventa versatile. Si può scegliere di denunciare, di raccontare,
o di fare entrambe le cose.
In questo capitolo dedicato ai mezzi di comunicazio ne si prenderanno in considerazione,
inoltre, due modi differenti – legati a prospettive tra loro opposte null di sfruttare il potere
mediatico per dialogare sugli argomenti considerati tabù: Hiba Quṭb e il suo programma
televisivo per istruire le coppie sui rapporti matr imoniali; Ğumāna Ḥaddād che, con una
rivista seminullclandestina, cerca di restituire alla lingua araba il vocabolario erotico della
vecchia qasīda.
Nel quarto ed ultimo capitolo si riporterà, in fine, una breve analisi dell’impegno
concreto nell’ambito civile e umanitario delle asso ciazioni, in quello culturale delle
fondazioni, e nell’impegno politico che promuove il dialogo interreligioso e quello
interculturale. Nel primo caso si è scelto l’esempi o delle carovane civiche attive in
Marocco e che coinvolge volontari di tutto il paese in progetti atti a migliorare le
condizioni di vita degli abitanti delle aree rurali . I cosmocivici portano nei villaggi di
poche centinaia di abitanti l’energia elettrica, la rete idrica, le scuole, le biblioteche.
Creano nuove attività lavorative e nuove prospettiv e, rendono vivibili quei luoghi che
altrimenti rischierebbero di essere abbandonati.
Come testimonianza dell’impegno concreto nell’ambit o culturale, si ricorderà quello
portato a termine dalla collaborazione di diverse a ttiviste che in Egitto null accomunate dal
desiderio di restituire alla letteratura araba femm inile la dimensione che merita – hanno
collaborato alla stesura di un’enciclopedia delle s crittrici arabe del XIX e del XX secolo.
A unire le aderenti attorno al progetto, è un’idea comune secondo la quale tale letteratura
non sarebbe stata sufficientemente apprezzata. L’En ciclopedia delle scrittrici arabe
rappresenta un risultato concreto di un attivismo d i stampo culturale che, senza troppe
pretese, vuole preservare e imprimere un patrimonio letterario che non sia unicamente
quello delle contestazioni e delle rivoluzioni. Vuo le essere, cioè, una raccolta che induca
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il lettore interessato a rileggere le opere delle s crittrici arabe per il puro piacere di farlo,
e non per spingerlo ad avviare un’indagine sociolog ica.
La ricerca ha condotto, in ultima analisi, a un arg omento che può essere considerato un
eventuale accenno a possibili sviluppi futuri: l’im pegno di esponenti politiche operanti
all’interno dei paesi di appartenenza – e non solo null riconosciute a livello internazionale,
come Shirin Ebadi e Assia Bensalah Alaoui. Per quan to riguarda quest’ultimo esempio si
vedranno gli interventi di Shirin Ebadi sulla quest ione dello scontro di civiltà; e di Assia
Bensalah Alaoui sulle questioni di attualità che ri guardano i popoli di entrambe le sponde
del Mediterraneo.
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1. DALLA TRADIZIONE ALLA MODERNITÀ
1.1nullLam yaflāḥ qawmun wallaw amrahum imraʿa
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.
Donne e nonnullpotere: un hadīṯ all’origine?
«”Può una donna governare i musulmani?” domandai a l mio droghiere, che, come la maggior
parte dei droghieri del Marocco, è un vero e propri o ‘termometro’ dell’opinione pubblica.
“Che Allāh ce ne scampi e liberi”, gridò irritato, nonostante l’amicizia che ci lega. Rimase così
inorridito che per poco non lasciò cadere la mezza dozzina di uova fresche che ero andata a
comprare.
“Che Dio ci protegga dalle catastrofi del tempo” mo rmorò un cliente che stava comprando
delle olive, abbozzando il gesto di sputare. Il mio droghiere è un maniaco della pulizia, persino
l’anatema, per lui, non giustifica che si sporchi i l pavimento.
Fu allora che un secondo cliente, un maestro di scu ola che conoscevo vagamente per averlo
incrociato dal giornalaio, carezzando lentamente le foglie di menta umide del suo mazzetto, mi
assestò un Ḥadīṯ con cui sapeva di annientarmi:
“Mai conoscerà la prosperità il popolo che affida i suoi interessi a una donna”» (Mernissi
1992a, p.7).
Gli ahadīṯ costituiscono il fondamento della Sunna
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, la fonte complementare al Corano
basata sui comportamenti, e che fa parte degli ‘Uṣūl al fiqh’ (radici del diritto). Sono
detti, fatti e silenzi del Profeta che, a volte, po ssono anche risultare contraddittori rispetto
a quanto scritto nel Corano stesso, ma che sono com unque riferibili all’esempio di un
uomo il cui agire acquista col tempo valore di infa llibilità
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, come quello di un essere
ispirato direttamente da Dio. Sono dei racconti che provengono da catene di trasmettitori
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‘Mai conoscerà la prosperità il popolo che affida i suoi interessi a una donna’.
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Modo di fare, modo di vita, cioè contegno del Prof eta (imitatio muhammadis) non in quanto profeta ma in
quanto uomo il cui comportamento è ispirato da Dio, e anche dei compagni del profeta e delle personali tà
delle prime generazioni dell’islām.
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Il Profeta stesso ammette, secondo gli ḥadīṯ la possibilità di errore nei suoi pareri personali riguardo ai
problemi terreni. Recita un ḥadīṯ: ‘ Io non sono che un essere umano. Quando vi ordino q ualcosa in fatto di
religione, ubbiditemi; quando invece vi parlo in ba se alla mia opinione personale, allora sono soltant o un
essere umano, e voi potreste saperne di più per ciò che concerne i vostri problemi quotidiani’ (Riferi to da
ʿᾹ’iša, Rafīʿ ibn Ḫadīğ e Mūsa ibn Talha nel Ṣaḥīḥ di Muslim).
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(‘isnād’) suddivise in tre distinte categorienull marfū’, mawquf, maqtu’
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null a seconda della
vicinanza maggiore o minore al Profeta stesso, del la continuità dei soggetti che li
riportano, dal modo in cui trasmettono l’hadīṯ. Di conseguenza esistono anche tre
categorie di hadīṯ. Essi possono infatti essere: ṣaḥīḥ (perfetti), ḥasan (buoni), da‘īf
(deboli). La mera spiegazione di cosa sia un hadīṯ , lascia qui intendere quanto possa
essere complicato esaminare la letteratura religios a. Tantissimi sono i volumi, e ciò può
anche essere esplicativo del perché il musulmano me dio non possa mai saperne quanto un
Imām.
La Mernissi però, in seguito all’episodio sopra cit ato, decide di affrontare questa ricerca
nella speranza, magari, di incontrare questo hadīṯ tra gli spuri, anziché tra quelli autentici.
Ma scoprirà che il maestro della drogheria aveva ra gione, l’ hadīṯ da questi ripreso in
quella occasione compare nel tredicesimo volume dei ṣaḥīḥ di AlnullBuḫārī (Vacca, V.,
Noja, S., Vallaro, M., 1982, p. 683) ovvero tra que lli considerati autentici. E AlnullBuḫārī è
una delle autorità più rispettate da secoli in mate ria.
Questo hadīṯ gode di tale rilevanza che può essere considerato il cavallo di battaglia di
quanti desiderano escludere le donne dalla politica , tanto che è quasi impossibile che si
parli di diritti politici delle donne senza che ess o venga ricordato.
Il primo caso in cui si è sentita la necessità di f are riferimento a questo detto del profeta
riguarda una battaglia condotta da ‘Āʿīša
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. La Mernissi ci ricorda che ‘Āʿīša guidò un
esercito per contestare la legittimità del quarto c aliffo ‘Alī
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nel 656: «Non significa forse
partecipare alla vita politica contestare il califf o spingendo la popolazione alla sedizione
e alla guerra civile?»(Mernissi 1992a, p.11). Non s i può allora cancellare ‘Āʿīša dalla
storia dell’Islām, nonostante l’iniziativa di quest a sia vista come un errore dai più
autorevoli discepoli, e condannata dalle altre mogl i del Profeta.
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Rispettivamente riferibili: al Profeta stesso, ai compagni o ai discepoli, ai seguaci.
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Moglie di Maometto e figlia del califfo Abū Bakr.
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'Alī ibn Abī Ṭālib era cugino e genero del Profeta , avendone sposato la figlia F ā ṭima nel 622. Divenne nel
656 il quarto califfo dell'Islām ed è considerato d allo Sciismo il suo primo Imām. Secondo gli sciiti sarebbe
dovuto essere il successore di Maometto, ma fu prec eduto da tre califfi: Abū Bakr (632null634), 'Umar ibn alnull
Khaṭṭāb (634null644) e 'Uṯmān ibn 'Affān (644null656). ‘A lī fu designato califfo in una Medina fortemente
destabilizzata. Solo qualche mese prima, con l’ucci sione di ‘Uṯmān, aveva avuto inizio quella che venn e
chiamata la prima ‘ fitna’, un periodo di disordine e instabilità che, nonostan te la sua designazione a quarto
califfo ortodosso, avrebbe fatto precipitare il pae se in una guerra civile.