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Introduzione
La devianza e la criminalità rappresentano nella nostra società fenomeni di rilevante in-
teresse politico, sociale e scientifico. Questi prevedono una presenza sempre più attiva
di figure, chiamate ad adottare modelli operativi sempre più innovativi. Forze
dell‟ordine, esperti della sicurezza, educatori, operatori nel campo della rassicurazione
sociale devono infatti operare oggi in ambienti assai più complessi e diversi rispetto a
quelli del passato. Le istituzioni che in tale contesto rivestono un ruolo fondamentale
avvertono sempre più l‟esigenza di disporre di esperti nel campo della criminalità e del-
la devianza che siano in grado di elaborare politiche ed interventi adeguati a dare una
risposta efficiente alla domanda di sicurezza da parte dell‟opinione pubblica.
Lo scopo generale di tale indagine è quella di analizzare la criminalità sotto le sue di-
verse accezioni, con particolare attenzione alla criminalità organizzata.
La vastissima letteratura sulle forme di criminalità si è a lungo basata sulla distinzione
fra gang e criminalità organizzata. Le gang descritte dalla Scuola di Chicago, sarebbero
gruppi criminali tipicamente urbani, cresciuti nei suburbi con l‟espandersi della popo-
lazione che vive ai margini dello sviluppo economico delle grandi città: gruppi infor-
mali, con leadership e scopi temporanei, con prevalenti attività predatorie e poco isti-
tuzionalizzate, longevità non molto elevata, scarsa continuità attraverso le generazioni,
età dei componenti molto bassa. Queste eserciterebbero una violenza incontrollata in
un susseguirsi di conflitti di tra bande avversarie e tra scissionisti. La criminalità orga-
nizzata invece sarebbe composta da gruppi formalizzati, con leadership di lungo perio-
do, strutture imprenditoriali, distribuzioni di ruoli e funzioni, longevità, presenza di di-
verse generazioni. Secondo gli studiosi, a partire dagli anni Novanta si assiste, ad un
espandersi delle gang: ampliano le loro attività economiche, hanno una maggiore lon-
gevità, estendono il loro territorio di competenza, agiscono anch‟esse come imprese, si
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inseriscono nelle attività economiche del mercato globale illegale. I motivi sono stati
individuati nella crescita del mercato della droga e dei mercati illegali e nella contem-
poranea crisi delle opportunità lavorative sui mercati legali. È proprio qui che la distin-
zione fra gang e crimine organizzato va definitivamente in crisi. Più che una netta di-
stinzione si preferisce parlare di un continuum fra crimine organizzato e gang. Obietti-
vo specifico del lavoro è quello di analizzare una particolare forma di criminalità orga-
nizzata: la mafia. In passato si pensava che il fenomeno mafioso affondasse le sue ra-
dici, almeno in Italia, in un‟entità immateriale, la cultura del meridione e si immagina-
va che il soggiorno obbligato al Nord sarebbe bastato a redimere i mafiosi. Ciò si è ri-
velato con gli anni non veritiero, infatti, in presenza di una combinazione di fattori e-
conomici e sociali, qualunque zona si è rivelata a rischio. Il fenomeno mafioso ha as-
sunto nel corso del tempo dimensioni sempre più globali ed è diventato uno dei pro-
blemi rilevanti e radicati con cui le istituzioni pubbliche sono chiamate a fare i conti.
Le attività dei mafiosi minano le basi della convivenza civile, non solo perché si fonda-
no sul ricorso alla violenza (effettiva o minacciata), insidiando perciò il monopolio del-
la forza che spetta allo Stato, ma anche perché esse ipotecano pesantemente le libertà
civili, politiche ed economiche dei cittadini di vaste aree del nostro Paese. La crimina-
lità organizzata di tipo mafioso continua a caratterizzare il panorama delinquenziale
Nazionale secondo modelli in persistente evoluzione, privilegiando un sostanziale radi-
camento sul territorio d‟influenza e mantenendo un‟elevata capacità di infiltrazione nel
tessuto economico finanziario. I sodalizi criminali più strutturati continuano ad eserci-
tare un‟efficiente azione di controllo del proprio territorio di origine condizionando
segmenti dell‟economia imprenditoriale nazionale, con ingerenza negli appalti pubbli-
ci, nell‟utilizzo dei fondi strutturali, nell‟acquisizione e il controllo di attività illegali.
Emergono in misura maggiore consolidate collaborazioni tra le stesse organizzazioni
criminali endogene e quelle di matrice straniera (intermafiosità), in particolare dell‟Est
Europeo, dell‟Area Balcanica, del Continente Asiatico, del Nord Africa e del Sud Ame-
rica, particolarmente attive e specializzate nel traffico di stupefacenti,
dell‟immigrazione clandestina, della tratta degli esseri umani e dello sfruttamento della
prostituzione. Lo scopo della ricerca è di analizzare le caratteristiche culturali e orga-
nizzative delle varie mafie esistenti e osservare il fenomeno mafioso nell‟organizzarsi
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all‟interno non solo del territorio italiano ma anche di quello internazionale. Con la
globalizzazione, la mafia è in forte espansione in tutto il mondo, sempre più fuori dai
propri territori di origine. Si parla dunque di organizzazioni che, seppur con strutture
proprie, si caratterizzano per una massiccia e capillare presenza nel luogo di origine ma
allo stesso tempo per una storica capacità di colonizzare altre regioni d‟Italia e di scon-
finare in altre Nazioni. Il primo capitolo del presente lavoro, presenta la descrizione te-
orica delle principali teorie della devianza e della criminalità sviluppate nel corso degli
anni dagli studiosi di scienze sociali e fa riferimento ad alcune forme di criminalità,
come i reati contro il patrimonio, la criminalità violenta e la criminalità economica. Il
secondo elabora una descrizione generale della criminalità organizzata e analizza in
modo specifico le particolari forme di mafia esistenti sul territorio italiano,mettendone
in evidenza le caratteristiche strutturali ed organizzative. Il terzo capitolo analizza le
diverse forme di mafia esistenti sul territorio internazionale e individua le diverse for-
me di contrasto nei confronti della mafia che iniziano coevamente al fenomeno mafioso
con la nascita dei cosiddetti fasci siciliani; negli anni ‟60 la lotta è condotta da mino-
ranze sia sul piano istituzionale che sul terreno sociale e negli anni ‟90 a seguito delle
stragi di Capaci e via d‟Amelio si assiste all‟indignazione dell‟intera società civile, con
la creazione di movimenti (anche informali da parte dei cittadini), comitati e associa-
zioni. Il quarto capitolo ha come oggetto di analisi la percezione del fenomeno mafioso
da parte dei giovani. Questi ultimi nutrono un generale pessimismo nei confronti di tale
fenomeno e lasciano trasparire una malinconica sfiducia nella sconfitta della mafia sen-
tendosi deboli dinanzi alle lungaggini dei difficili meccanismi politico-giudiziari che
soffocano il loro entusiasmo e la loro voglia di denunciare, gridare, parlare.
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CAPITOLO PRIMO
DEVIANZA E CRIMINALITA‟
Gli studiosi di scienze sociali hanno elaborato nel corso del tempo diverse definizioni
di devianza. Per alcuni deviante è ogni comportamento considerato inaccettabile dalla
maggioranza della gente e che provoca una risposta collettiva di carattere negativo , per
altri la devianza è un atto, una credenza, un tratto che viola le norme convenzionali del-
la società e che determina una reazione negativa da parte della maggioranza delle per-
sone. In entrambi i casi, la nozione di devianza presuppone l'esistenza di un complesso
di valori, di norme e di aspettative. L‟insieme dei valori, delle norme e delle concezioni
che, attraverso la socializzazione ,si trasmette nel tempo e nello spazio prende il nome
di cultura. I valori sono rappresentazioni astratte e collettive, attinenti a considerazioni
più o meno trasparenti e manifeste di ciò che è buono o giusto, le norme sono invece
aspettative in base alle quali tutti si attendono che in una determinata società i compor-
tamenti degli uomini si svolgano in un determinato modo . L‟uomo, quando non si so-
cializza ai modelli culturali in cui vive o li rifiuta, di solito, assume comportamenti
conflittuali o devianti. I primi vengono alla luce nel momento in cui un individuo o un
gruppo, acquisendo valori e norme diversi da quelli dominanti, entra in conflitto con
questi ultimi. La devianza si verifica, invece, quando si agisce in opposizione o in al-
ternativa ai valori e alle norme condivisi all‟interno di una società o di un gruppo. Essa
può assumere valenze e significati diversi: psicologici, giuridici e sociologici. Il com-
portamento deviante, dal punto di vista psicologico, fa assumere ai soggetti che ne sono
caratterizzati, atteggiamenti di disagio o di aggressività nei confronti del mondo circo-
stante; dal punto di vista giuridico è un atto di violazione delle norme, previste dalla le-
gislazione vigente, e si configura come un vero e proprio reato. Dal punto di vista so-
ciologico, la devianza si manifesta quando un individuo o un gruppo si costruisce, in
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contrapposizione ai valori e alle norme della cultura dominante e codificata, una sub-
cultura, con una tavola alternativa di valori e di norme. Gli studiosi di scienze sociali
definiscono, quindi, valori i fini ultimi dell'azione e norme le regole da seguire per rea-
lizzare un determinato valore, i mezzi che prescrivono o vietano dei comportamenti in
vista di qualche fine. Il sociologo americano William Graham Sumner ha distinto tre
diversi tipi di norme: norme d'uso (folkways),norme morali (mores) e norme giuridiche.
A differenza delle altre, le norme giuridiche prevedono delle sanzioni formali per chi le
viola e sono fatte rispettare da corpi specializzati di persone (polizia, magistratura). Vi
sono diversi tipi di norme giuridiche nel nostro ordinamento, quelle che regolano i rap-
porti fra i privati (diritto privato) e quelle che riguardano i rapporti fra i cittadini e lo
stato (diritto pubblico interno). La criminalità come violazione di norme penali è noto-
riamente una forma di devianza sociale, cioè di scostamento dalla “normalità” sociale
statisticamente intesa. Viene definito reato un comportamento che viola una norma del
codice penale e che comporta una sanzione: la multa, l‟arresto, la reclusione. Solo una
piccola parte degli atti devianti costituisce un reato, ma la grande maggioranza dei reati
sono anche atti devianti. La devianza diventa “crimine” se viene vietata dalla legge
penale, fermo restando che la società, o parte di essa, potrebbe ritenere non deviante un
comportamento vietato dalla legge penale. Ad esempio, in alcuni stati americani, il
gioco d‟azzardo è vietato dal codice penale, ma non è considerato negativamente dalla
maggioranza della popolazione. Il collocamento della criminalità nel quadro della devi-
anza spiega tra l‟altro il perché della coincidenza di parte dei reati con i comportamenti
ritenuti immorali (peccati); ma appunto i crimini sono comportamenti puniti penalmen-
te perché proibiti dal diritto penale (mala quia prohibita) e non perché immorali (mala
per se). Nell'ultimo secolo, gli studiosi di scienze sociali hanno condotto molte ricer-
che sulla devianza ed hanno elaborato diverse teorie che tentano di capire perchè le
persone commettono reati. Le principali sono nove: biologica, della disorganizzazione
sociale, della tensione, del conflitto di culture, del controllo sociale, dell'autocontrollo,
dell'etichettamento, della scelta razionale e delle attività abituali. Queste si collocano
all‟interno di due principali correnti di pensiero: la scuola classica e la scuola positiva.
Le diverse interpretazioni della criminalità e della giustizia penale che emersero nel di-
ciottesimo secolo sono definite generalmente come scuola classica. Due sono i princi-
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pali esponenti di tale corrente: Beccaria (1738-1794) e Bentham (1748-1832). Nei loro
scritti entrambi si opponevano alla natura capricciosa e arbitraria del sistema giudizia-
rio dell'epoca. Proponevano di basare sia le leggi sia l'amministrazione giudiziaria sulla
razionalità e sui diritti umani, due criteri allora non applicati. Tra le idee fondamentali
che derivano da questa scuola possiamo annoverare la concezione degli uomini e donne
come esseri dotati di libero arbitrio, razionali, calcolatori, edonistici, che agiscono se-
guendo i propri interessi, ricercando il piacere e fuggendo il dolore. Dunque per gli es-
seri umani violare le norme è un fatto naturale; i reati sono il risultato non di influenze
esterne ma di un'azione intenzionale basata sulla concezione che nella commissione di
un reato i benefici saranno sempre maggiori dei costi. Per ridurre la criminalità è neces-
sario convincere i cittadini che le pene per i reati sono superiori ai benefici che ne rica-
vano, in quanto rapide e severe. La scuola positiva sviluppatasi nel XIX secolo, ha in-
vece una concezione deterministica del comportamento umano e di quello criminale;
mentre i classicisti ritenevano che gli esseri umani avessero una mente razionale, che li
poneva in grado di scegliere liberamente tra il bene e il male, i positivisti vedevano il
comportamento umano come determinato da tratti biologici, psicologici, sociali. Le ca-
ratteristiche principali del pensiero criminologico positivista sono: una visione deter-
ministica del mondo e l'interesse verso il comportamento criminale in sè più che verso
aspetti legali come i diritti, la prevenzione del crimine, la cura e la riabilitazione dei rei.
1.1 Le spiegazioni biologiche
Fin dai primi studi scientifici, il presupposto di una trasferibilità degli strumenti utiliz-
zati nelle scienze fisiche ai fatti umani e sociali (Taylor, Walton e Young 1973) ha po-
tuto suggerire e sostenere l‟ipotesi di una conoscenza della criminalità basata sullo stu-
dio del criminale, nei suoi aspetti osservabili: in primis l‟aspetto fisico ed esteriore. Ciò
ha favorito il recupero e il consolidamento, in veste scientifica, di assunti e credenze di
senso comune tesi a discriminare il bene dal male e riconoscere il cattivo per difender-
sene e separarlo dai buoni. Già a partire dal 1700 si affermano studi tesi a definire i
tratti osservabili e riconoscibili del criminale, con il chiaro obiettivo di mettere ordine
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nella realtà, attraverso la classificazione e la categorizzazione degli individui. Uno dei
primi studiosi a fornire una veste scientifica a questa tesi è stato Cesare Lombroso, se-
guace del positivismo, medico psichiatra vissuto nel XIX secolo e considerato da molti
come il padre della criminologia moderna. Lo studioso diede il via all‟indirizzo indivi-
dualistico della criminologia, secondo il quale lo studio doveva polarizzarsi sulla per-
sonalità del delinquente. I suoi studi comportarono il superamento delle precedenti vi-
sioni esclusivamente legali,morali o sociali del diritto, allora dominanti. Lombroso ap-
plicò per primo i metodi di ricerca biologica per lo studio del singolo autore del reato e
diede il via ad un indirizzo organico e sistematico nello studio della delinquenza (an-
tropologia criminale).Egli condusse le prime indagini sulla popolazione detenuta e per
lungo tempo considerò la costituzione fisica come la più potente causa di criminalità.
Studiando il cranio del brigante Vilella, rilevò che nell'occipite, invece che una piccola
cresta, presentava una fossa, che chiamò occipitale mediana. Lombroso prendendo in
considerazione anche altre parti del corpo affermò che i criminali sono affetti da anor-
malità fisiche multiple. Queste inferiorità fisiche caratterizzavano un prototipo biologi-
co che lo studioso, nella sua opera più famosa L‟uomo delinquente (1876), definì "de-
linquente nato". Quest'ultimo era segnato da stigmate esteriori: aveva in genere la testa
piccola, la fronte sfuggente, gli zigomi pronunciati, gli occhi mobilissimi ed errabondi,
le sopracciglia folte e ravvicinate, il naso storto, il viso pallido o giallo, la barba rada e
da caratteristiche psicologiche e comportamentali: mancanza di senso morale, vanità,
crudeltà, pigrizia, l‟uso di un gergo da delinquente, una specifica insensibilità nervosa
al dolore e infine una inclinazione al tatuaggio . Influenzato dalle teorie di Darwin,
Lombroso sostenne che il delinquente nato presentava delle caratteristiche ataviche,
simili cioè a quelle degli animali inferiori e dell'uomo primitivo, che rendevano diffici-
le o impossibile il suo adattamento alla società moderna e lo spingevano a commettere
reati. Un altro importante esponente di tali teorie è il medico e psicologo americano
William H.Sheldon . Il comportamento folle e quello criminale appaiono nuovamente
prevedibili sulla base dell‟aspetto somatico, contenitore di caratteristiche psicologiche
e comportamentali. Lo studioso sosteneva che si potevano individuare tre tipi di costi-
tuzione fisica ai quali corrispondevano personalità diverse. Il primo è il tipo endomor-
fo: aspetto fisico rotondeggiante, ossa piccole, arti corti, muscolatura scarsamente svi-
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luppata, pelle morbida e vellutata. Ha un temperamento viscerotonico: tende ad essere
socievole, accomodante e indulgente con se stesso. Il secondo è il tipo mesomorfo: ha
un tronco imponente, un torace robusto e muscoloso e di solide ossa. Ha un tempera-
mento somotomico: attivo e dinamico, irrequieto, aggressivo, energico e instabile. Il
terzo è il tipo ectomorfo: ha un corpo magro, fragile, delicato, ossa piccole, spalle cur-
ve. Ha un temperamento cerebrotonico: è introverso, ipersensibile, nervoso, soffre di
insonnia e di allergie. Nell‟indagine condotta su 200 ragazzi, ospiti di un istituto di rie-
ducazione a Boston, l‟autore individua una prevalenza di mesomorfi, distribuiti invece
in maniera tendenzialmente simile agli endomorfi e agli ectomorfi, in un campione di
studenti universitari. Secondo Sheldon, gli individui mesomorfi hanno maggiori proba-
bilità di diventare criminali. Nell'ultimo ventennio, la teoria biologica è stata riformula-
ta da alcuni studiosi. La tendenza degli individui a infrangere le norme deriverebbe da
alcune forme di anormalità genetica e in particolare quella che chiamano la sindrome
XYY. Normalmente gli esseri umani hanno quarantasei cromosomi. Rarissimi casi
prevedono che alcune persone ne abbiano invece quarantasette. Nel caso in cui il cro-
mosoma in più sia quello X (ereditato dalla madre)non accade nulla di rilevante. Ma se
è uno Y (ereditato dal padre) allora è assai probabile che tali persone commettano reati
di vario tipo.
1.2. La teoria della disorganizzazione sociale
L'elaborazione della teoria della disorganizzazione sociale si deve alla scuola di Chica-
go, prima scuola di sociologia urbana negli Stati Uniti d'America .Venne fondata negli
anni venti da Albion W. Small ed ebbe tra i suoi maggiori esponenti Robert Park ed al-
tri studiosi tra cui Ernest W. Burgess e Roderick D. McKenzie. La scuola affrontò per
la prima volta uno studio sistematico della città dal punto di vista sociologico attraverso
uno studio empirico della società urbana. Park studiando la diversa incidenza di feno-
meni come la criminalità, il divorzio, il suicidio nelle aree urbane e in quelle rurali di-
mostrò che i rapporti sociali e culturali sono strettamente condizionati dall'ambiente di
appartenenza. Nei primi decenni del Novecento, questo gruppo condusse una serie di
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ricerche sulla città di Chicago, la cui popolazione aveva conosciuto una straordinaria
espansione (dal 1833 al 1910 la popolazione era passata da 4 mila a 2 milioni di abitan-
ti) per analizzare le conseguenze di tre processi: l'industrializzazione, l'urbanizzazione
e l'immigrazione. Questi autori divisero la città in cinque zone concentriche distinte; la
prima zona era quella del quartiere centrale degli affari, con pochi residenti ma nume-
rose fabbriche e uffici. Quella adiacente veniva definita "zona di transizione"; essa non
era una zona appetibile per risiedervi e il suo degrado la rendeva l'area abitativa più e-
conomica della città. Di conseguenza vi si insediavano gli immigrati di vari gruppi et-
nici che approfittavano sia del basto costo delle abitazioni che della vicinanza alle aree
dove speravano di trovare lavoro. Passando alle zone più esterne si trovavano prima i
quartieri degli operai specializzati e poi quelli dei ceti medi. Il modello delle zone con-
centriche fu applicato allo studio della criminalità. Calcolando il tasso di delinquenza,
cioè il rapporto fra il numero degli autori di reato residenti in un'area e il totale della
popolazione di quell'area, essi videro che il tasso raggiungeva il punto più alto nella
zona di transizione e diminuiva man mano che si passava alle zone esterne. Anche ana-
lizzando gli altri mali sociali notarono lo stesso andamento, cioè che la loro frequenza
diminuiva passando dalla zona di transizione a quella esterna della città. Quindi il tasso
di delinquenza della varie zone era dovuto non alle caratteristiche individuali di coloro
che vi abitavano ma al grado di integrazione e di organizzazione sociale. La criminalità
risultava maggiore nelle aree più povere e più eterogenee dal punto di vista della com-
posizione etnica. La variabile fondamentale che secondo questi autori era la causa im-
mediata della criminalità era la disorganizzazione sociale, ovvero l'incapacità da parte
dei residenti di un quartiere di convivere, associarsi e cooperare stabilendo legami forti.
L‟assenza di relazioni stabili e solide era provocata proprio dall'eterogeneità etnica che
ostacolava il formarsi di valori comuni e dalla povertà e instabilità residenziale che sco-
raggiava l'identificazione con il quartiere nel quale si cercava di vivere meno a lungo
possibile. Tale condizione rendeva più difficile il controllo sociale e ciò favoriva la
criminalità.
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1.3. La teoria della tensione
La teoria della tensione è strettamente collegata all‟ anomia. Quando Durkheim
introdusse il concetto nel suo libro La divisione del lavoro sociale, lo utilizzò per
descrivere la deregolamentazione che avveniva all'interno di una società; questa
deregolamentazione o mancanza di norme conduce facilmente alla devianza.
La tesi centrale espressa dall'autore nel suo libro è che le società si sono evolute da una
forma semplice, non specializzata (meccanica), a una complessa, altamente
specializzata (organica). Nella società meccanica la gente si comporta e pensa in
maniera simile, è effettuata la divisione del lavoro in base al genere, tutti svolgono
quasi le stesse attività lavorative, e i loro fini sono orientati verso il gruppo. Le società
moderne sono invece caratterizzate da relazioni altamente interattive, compiti lavorativi
specializzati, da fini individualizzati. In questo tipo di società, le regole che governano
l'interazione reciproca delle persone (i contratti) si caratterizzano per la loro fluidità,
per cui le condizioni di socialità corrono costantemente il rischio di disgregazione e
quindi di anomia. Studiando la Francia e l'Europa dopo la rivoluzione industriale,
Durkheim individuò le cause dell'anomia nell'industrializzazione forzata, nella
commercializzazione e nella crisi economica. Le società occidentali contemporanee
stavano attraversando uno stato costante di anomia. Lo studioso riteneva che un
periodo di disgregazione sociale, causato da una depressione economica, avrebbe
accresciuto il grado di anomia, quindi i tassi criminalità, suicidio e devianza. Nel 1938
Robert Merton riprese e riformulò l'idea di Durkheim, sostenendo che la devianza è
provocata dalle situazioni di anomia, che a loro volta nascono da un contrasto fra la
struttura culturale e quella sociale (Barbagli M., Colombo A., Savona E. (2003),
Sociologia della devianza, il Mulino, Bologna) . La prima definisce le mete verso le
quali tendere ed i mezzi con i quali raggiungerle; la seconda consiste nella
distribuzione effettiva delle opportunità necessarie per arrivare a tali mete con quei
mezzi. A differenza del sociologo francese, il quale riteneva che la presenza di norme
impediva la devianza, mentre la loro mancanza la favoriva, Merton sosteneva che