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INTRODUZIONE
Si ritiene comunemente che le lingue straniere si imparino meglio in età infantile.
La letteratura abbonda di lavori inerenti l’apprendimento delle lingue straniere
riguardanti questa fascia di età, che si avvalgono del contesto scolastico come campo
di sperimentazione e applicazione di modelli d’insegnamento linguistico.
Al contrario, la ricerca in glottodidattica stenta a riconoscere gli anziani come un
pubblico a parte, nonostante la presenza sempre più massiccia nei corsi di lingua
straniera di studenti “in là con gli anni”. Quella degli apprendenti anziani è una fascia
che raramente è presa in considerazione al momento di trattare i pubblici che si
avvicinano alle lingue straniere.
L’idea diffusa è che l’apprendimento linguistico sia problematico e poco adatto a
un’età matura, in quanto il decadimento fisiologico viene spesso fatto corrispondere
ad un decadimento delle funzioni cognitive.
Tuttavia, negli ultimi anni si assiste al diffondersi di un nuovo orizzonte teorico,
costituito dalla nozione di apprendimento lungo l’arco di tutta la vita.
L’interesse nei confronti dell’apprendimento delle lingue straniere in terza età sta
aumentando, rientrando nell’ottica di una “profilassi cognitiva” per la terza età, cioè di
un’attività che contribuisce al mantenimento e potenziamento delle funzioni cognitive
nella terza età. Recenti studi di carattere neurologico, infatti, suggeriscono i vantaggi
cognitivi del bilinguismo, sia nei bambini che negli anziani.
Ad ogni modo, l’insegnamento agli anziani non viene ancora condotto con modalità
specifiche, ma è assimilato alle modalità correnti per l’insegnamento agli adulti.
In pratica, mancano dei metodi didattici espressamente sviluppati per questo tipo di
pubblico. Nello specifico, le ricerche sono frammentarie e non costituiscono un quadro
di riferimento completo per quanto riguarda la componente metodologica
dell’apprendimento/insegnamento delle lingue straniere in terza età.
Partendo dallo straordinario successo del progetto “Le avventure di Hocus e Lotus”
per l’apprendimento della seconda lingua nella scuola dell’infanzia, questo lavoro si
pone come studionullpilota con l’obiettivo sperimental e di applicare il modello
glottodidattico del format narrativo in terza età.
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Nello specifico, tale lavoro si propone di indagare la componente emotiva implicata ed
attivata dai format narrativi piuttosto che concentrarsi su di una componente
prettamente linguistica.
L’ipotesi di partenza è che, nonostante i format narrativi siano stati ideati per dei
soggetti in età infantile, la loro efficacia e validità possa riscontrarsi anche con
apprendenti in terza età.
Nella prima parte, si procederà ad una rassegna teorica sulla letteratura esistente
circa l’apprendimento delle lingue straniere in terza età. Verranno illustrate le possibili
motivazioni che spingono un apprendente senior verso l’apprendimento di una lingua
straniera e verrà descritto il profilo di un apprendente anziano.
Nella seconda parte, invece, verrà presentato il progetto sperimentale, che ha previsto
l’applicazione pratica del modello glottodidattico del format narrativo ad un campione
di soggetti over 60 nella città di Roma.
Si premette che l’argomento che si è scelto di esaminare richiederebbe una
trattazione molto complessa, impossibile da affrontare in questo contesto nella sua
completezza.
Pertanto ne saranno tracciate, qui di seguito, solo le linee teoriche principali.
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PARTE PRIMA – BASI TEORICHE DEL PROGETTO
1. IL FORMAT NARRATIVO
1.1 IL PROGETTO DI RICERCA “LE AVVENTURE DI HOCUS E LOTUS”
Partito nel 1992, il progetto “Le avventure di Hocus e Lotus” si è sviluppato nell’ottica
della ricerca di condizioni ambientali e interattive capaci di avviare nel bambino
processi di acquisizione del linguaggio, promuovendo l’adozione di un modello
educativo adeguato per favorire e migliorare la qualità dell’acquisizione bilingue
all’interno delle istituzioni educative rivolte al mondo dell’infanzia.
Il progetto ha rappresentato con successo il banco di prova dell’approccio
metodologico del format narrativo: un modello psicolinguistico utilizzato in Italia e in
altri Paesi d’Europa per l’insegnamento di una lingua straniera ai bambini della scuola
dell’infanzia, primaria e del nido (Taeschner, 1986; 1993).
Si tratta di una metodologia innovativa sviluppata presso l’Università di Roma “La
Sapienza” – Cattedra di Psicologia dello Sviluppo del Linguaggio e della
Comunicazione della Prof. ssa Traute Taeschner – in collaborazione con altre
università europee e verificata sperimentalmente con successo in più di 120 scuole
dell’infanzia e primarie italiane ed europee.
Attualmente è usato da più di 4.000 insegnanti in tutta Europa.
Vincitore dell’ORO al Festival per il Programma di Educazione Permanente a Berlino
nel 2007.
L’obiettivo prefissato era creare una condizione ambientale favorevole che motivi il
desiderio di comunicare. Infatti, il bambino inizia a parlare perché vuole essere capito
e vuole comunicare con la persona con la quale è stata instaurata una relazione
affettiva. Ciò avviene tanto per la prima lingua quanto per la seconda.
Numerosi studi (Taeschner, 1993; Taeschner, Lerna, 1991; Lerna, 1991; 1997;
Deflorian, 1997) hanno dimostrato che il processo di apprendimento di una lingua
straniera nei bambini normali è nettamente migliore per coloro che utilizzano il format
narrativo invece di un metodo tradizionale.
Inoltre, in letteratura sono state già descritte esperienze relative all’utilizzo di tale
approccio in ambito clinico, specificamente con bambini sordi (Ardito, Mignosi, 1995) e
con bambini con ritardo mentale, e conseguente ritardo di linguaggio (2002).
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1.2 PRESUPPOSTI TEORICI DEL FORMAT NARRATIVO
Il modello del format narrativo nasce dallo studio accurato del processo naturale di
acquisizione di due lingue in ambito familiare e dal confronto di questo processo con
quello realizzato nelle famiglie monolingue (Taeschner, 2005).
Molti studi nel campo della psicolinguistica dell’età evolutiva hanno dimostrato che
esistono specifiche e precise condizioni indispensabili all’acquisizione del linguaggio e
allo sviluppo dell’intenzionalità comunicativa (Bruner, 1973).
Alla nascita il comportamento del bambino non è ancora intenzionale.
L’intenzione comunicativa nasce all’interno di eventi condivisi tra mamma e bambino,
che si ripetono frequentemente e in modo molto simile sin dalle primissime ore di vita
del bambino, quali la poppata, il cambio del pannolino, la nanna, il bagnetto, ecc.
Tali eventi sono stati chiamati da Bruner “FORMAT” (Bruner, 1975).
Il concetto di format si riferisce, quindi, alla routine di azioni condivise tra adulto e
bambino, nonché ai “vissuti” che madre e bambino condividono quotidianamente.
E’ in questo contesto significativo sul piano emozionale ed affettivo che si sviluppa la
comunicazione. In particolare, l’apprendimento della lingua è condizionato da aspetti
di natura affettiva e di complicità che motivano il desiderio di comunicare del bambino.
Analizzando le caratteristiche della comunicazione umana e le condizioni relazionali
migliori per avviare con successo una comunicazione verbale in lingua straniera, si è
centrata l’attenzione sul principio della buona comunicazione e il principio del
bilinguismo.
Secondo il primo, per iniziare a comunicare bisogna porsi in relazione di reciproca
percezione, ovvero io percepisco che tu esisti e tu percepisci me. Tale fenomeno, che
prende il nome di intersoggettività, si verifica tra persone vedenti attraverso lo
sguardo.
In base al secondo, invece, avendo come scopo quello di essere capiti, impostiamo la
nostra produzione linguistica sulla capacità di comprensione dell’altro. Le
conseguenze di questo assunto sull’insegnamento delle lingue implicano che il
bambino non inizia a parlare una nuova lingua se l’insegnante comprende la sua
lingua madre.
L’espediente ideato prevede che l’insegnante faccia finta di non parlare o non capire
la lingua madre del bambino, in seguito all’ingresso nel mondo magico dei protagonisti
delle storie: Hocus e Lotus.
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In questa prospettiva, la motivazione a parlare la lingua straniera nasce
dall’impossibilità di farsi capire altrimenti.
Inoltre, i risultati di numerose ricerche evidenziano che, per ottenere buoni risultati
nell’apprendimento delle lingue straniere, le variabili più importanti sono:
− la relazione comunicativa e affettiva che l’insegnante instaura con i bambini;
− il metodo d’insegnamento, ovvero il modo in cui il bambino viene messo a
contatto con la lingua (Taeschner, 2003).
Sulla base di questi presupposti teorici, dunque, si è elaborato il metodo del format
narrativo come modalità d’insegnamento in L2.
Nello specifico, il format narrativo consiste in brevi storie ripetute e condivise fra
insegnante e bambini che si riconducono ad un vissuto del bambino e si realizzano
nella forma di un’azione teatrale di tipo mimiconullge stuale (Taeschner, 1992).
Si tratta di storie scritte nella modalità di un copione teatrale, i format riprendono
eventi reali e frequenti della vita dei bambini e adottano come attività pratica la
narrazione.
Il vantaggio della narrazione è quello di essere un tutto circoscritto e completo (Smorti,
1994), con un certo numero di personaggi ed eventi che si riescono a raccontare con
un numero relativamente fisso di parole. Raccontare una storia, infatti, non implica
conoscere l’intero lessico di una data lingua. Bastano determinate parole, come quelle
degli eventi, dei personaggi, delle emozioni di quella specifica storia.
Inoltre, in considerazione del fatto che l’apprendimento linguistico richiede un uso
frequente del linguaggio, nella narrazione le parole non si utilizzano una sola volta, ma
ripetutamente.
La narrazione rappresenta, dunque, il punto di collegamento fra la teoria e la pratica,
fra la teoria e l’attività da svolgere durante il trattamento.
Sul piano metodologico, invece, l’approccio è strutturato in forma teatrale.
La realizzazione teatrale di storie, supportata dalla gestualità, dalla mimica e dalla
musica, permette che il significato di parole e frasi sia appreso attraverso un lavoro
attivo.
La lingua non viene insegnata o spiegata attraverso la traduzione, ma viene usata per
comunicare in un contesto reale che permette di dare un senso al suono delle parole
della nuova lingua.
L’azione teatrale è un’esperienza condivisa che promuove la relazione affettiva ed
emotiva con l’altro. Vengono proposte storie che fanno riferimento al vissuto
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quotidiano del bambino e che consentono l’innescarsi di intenzioni comunicative
personali. Un ruolo cruciale è svolto dal ricorso a gesti ed espressioni facciali adatti ad
ogni momento della storia, in modo tale che la stessa sia comprensibile ai bambini
anche senza parole. Inoltre, tutti i bambini assumono tutti i ruoli dei vari personaggi
della storia, così che, nel passaggio dal ruolo di un personaggio all’altro, si realizzi
l’alternanza dei turni, prerequisito fondamentale della comunicazione. Nell’azione
teatrale, infine, ha spazio anche l’intersoggettività, che permette di interpretare le
emozioni dell’altro.
La storia, dunque, non viene raccontata ai bambini, né mostrata attraverso le
immagini: sono i bambini che, tutti insieme, “fanno” la storia, la agiscono, la vivono e,
man mano, la capiscono.
In conclusione, il format narrativo si fonda sulla costruzione reciproca della relazione
affettiva tra insegnante e alunni, sulla natura dei processi comunicativi, sulla natura
del bilinguismo, sulla costruzione condivisa delle azioni di storie e sulla costruzione di
un contesto adeguato all’apprendimento linguistico (Taeschner, 2003).
Il format narrativo si presenta non solo come uno strumento per insegnare le lingue,
ma anche come un mezzo per facilitare il buon rapporto comunicativo e affettivo tra i
partecipanti. Inoltre, si propone come promotore di un cambiamento di prospettiva
nell’ambito delle metodologie didattiche: da un’impostazione centrata sul risultato in
termini di produzione linguistica ad una fondata sul processo di apprendimento di una
lingua straniera.
Nella pagina seguente, si propone uno schema riassuntivo di quanto detto sopra.