I sorprendenti risultati economici, conseguiti in questi ultimi anni, hanno consentito alla
Repubblica Popolare Cinese di bruciare le tappe e di passare in un breve arco di tempo
da economia emergente a superpotenza economica e politica. Il “risveglio” della
nazione più popolata del pianeta, che è stato tanto improvviso quanto spiazzante, si sta
tuttora svolgendo attraverso un processo inarrestabile e denso di contraddizioni e spunti
d’analisi sotto i profili più vari: da quelli economici dell’apertura all’economia di
mercato, a quelli sociali riguardanti i diritti umani e la libertà di espressione; da quelli
politici inerenti al ruolo sempre più importante nel dibattito internazionale, alle
conseguenze ambientali di un processo di catching-up tecnologico imponente e
repentino.
La nuova dimensione della Cina è un concetto che deve essere ancora inquadrato e
metabolizzato dall’opinione pubblica. Parallelamente al boom economico, dalla Cina ha
avuto luogo una diaspora di migranti, che si sono spostati verso diverse zone
dell’Europa e, in particolare, dell’Italia, permettendoci di osservare questo cambiamento
da vicino. I cinesi in Italia rappresentano una componente particolare e per molti versi
originale dell’immigrazione straniera. Essi hanno infatti innescato, nelle aree di
principale insediamento, trasformazioni economiche e sociali che non hanno confronti
rispetto alle modalità di inserimento degli altri gruppi. L’aumentare vertiginoso del
numero dei residenti in Italia e i risultati delle loro imprese, rallentate poco o niente
dalla crisi, hanno fatto sì che il fenomeno venisse percepito come una vera e propria
invasione.
L’oggetto del mio saggio finale è la migrazione cinese in Italia. Ho scelto
quest’argomento incuriosito dai risultati che gli imprenditori cinesi riuscivano ad
ottenere mentre tutto il resto dell’economia cercava di resistere alla crisi; con
l’intenzione di comprendere se dietro a una comunità che rileva un intero distretto o
un’intera zona di una città ci fosse una rete piuttosto che una strategia d’azione
concordata, ed eventualmente comprendere e descrivere questi meccanismi.
Ho iniziato la trattazione passando in rassegna alcuni modelli della teoria delle
migrazioni, per analizzare in generale qual è il ragionamento di un individuo nel
valutare la decisione di emigrare. Partendo dall’equazione di scelta individuale, tramite
l’analisi del lavoro di Borjas, introdurrò i concetti di guadagno netto dalla migrazione e
di costo migratorio, per poi allargare l’unità di osservazione al nucleo familiare.
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Successivamente, grazie all’adattamento alla migrazione della “ teoria dei club ” di
Buchanan, realizzato da Vergalli (2006), potrò analizzare la scelta migratoria alla luce di
un ulteriore fattore: la presenza, nel paese ospite, di una comunità di connazionali.
Spiegherò come questa variabile è in grado di influenzare le scelte dell’emigrante e di
modificare sia i costi che i benefici della migrazione, generando i cosiddetti salti
migratori, ovvero l’irregolarità nei flussi da un paese all’altro .
Con queste basi teoriche, nella seconda parte analizzerò la migrazione cinese in Italia.
Dopo un excursus riguardante la storia della migrazione cinese, concentrerò il mio
interesse sulla provincia di Zhejiang da cui, nonostante sia la più piccola delle regioni
della Repubblica Popolare Cinese, proviene la maggior parte dei “cinesi-italiani”. Mi
soffermerò sulle caratteristiche della popolazione di questa regione e sul “Wenzhou
model”, evidenziando come le peculiarità attitudinali rendano gli immigrati di questa
regione predisposti all’iniziativa economica. Quindi, avvalendomi dei dati Istat, farò un
quadro generale della presenza cinese in Italia negli ultimi quindici anni; per poi passare
all’analisi delle quattro comunità italiane più rilevanti, analizzando la loro storia e i
diversi tipi di attività economica che prediligono. Inizierò dalla comunità Milano, che
storicamente è quella più antica; proseguirò con la comunità cinese stanziata a Roma;
quindi tratterò le comunità che si sono insediate in Veneto per poi concentrarmi sulla
comunità cinese di Prato, che è una delle più importanti d’Europa ed è stata oggetto di
numerosi studi. In quest’ultima parte descriverò il processo attraverso cui la comunità
cinese ha praticamente rilevato il distretto tessile di Prato e con l’ausilio di uno di questi
studi, realizzato da Bacci e Zanni per conto dell’Osservatorio Regionale Toscano
sull’Artigianato (2007), delineerò alcune caratteristiche e prospettive dell’imprenditoria
degli immigrati cinesi e come queste si giustificano anche alla luce delle teorie della
migrazione precedentemente enunciate.
1.1 Il concetto di migrazione e le sue ragioni economiche La migrazione è lo spostamento di uno o più individui da un’area geografica ad un'altra.
Distinguiamo la migrazione residenziale, quando un individuo (o un nucleo familiare)
cambia il proprio luogo di residenza per trasferirsi in un altro quartiere della stessa
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zona; la migrazione interna, quando tale spostamento è circoscritto in un’area più vasta
ma sempre all’interno dei confini di una stessa nazione; infine la migrazione
internazionale, quando lo spostamento va oltre i confini nazionali.
“Lo studio della migrazione si trova al centro dei lavori economici a causa della
analisi dei flussi di lavoro – sia all’interno di una nazione che tra diverse nazioni – è un
ingrediente fondamentale in ogni discussione sull’equilibrio del mercato del lavoro.”
(Borjas, 2000, pag.1) I lavoratori rispondono alle differenze nei risultati economici
votando “ with their feet ”, cioè attraverso gli spostamenti. Questi flussi occupazionali,
secondo un approccio puramente teorico, migliorano l’efficienza del mercato del lavoro.
Per spiegare in modo semplice questo concetto supponiamo che in una particolare
nazione vi siano due soli mercati del lavoro, quello del Nord e quello del Sud;
supponiamo altresì che questi mercati impieghino lavoratori con competenze simili.
Infine, ammettiamo che il salario corrente nel Nord ecceda quello del Sud. A parità delle
altre condizioni, tale differenza salariale tra le due regioni non potrà durare, una volta
che l’economia nel suo complesso raggiunge un equilibrio nazionale competitivo.
Infatti, la differenza salariale incoraggia alcuni lavoratori del Sud a trasferirsi verso il
Nord, dove possono ottenere salari più alti e presumibilmente raggiungere un maggior
livello di utilità. Il flusso di lavoratori meridionali verso il Nord contribuirà a un
aumento del salario meridionale (poiché in quella regione diminuirà l’offerta di lavoro)
e ad una diminuzione del salario settentrionale (poiché, al contrario, in quella regione
saremo di fronte ad un aumento dell’offerta). Ipotizzando una totale libertà di entrata e
di uscita dei lavoratori nei mercati del lavoro, l’economia nazionale giungerebbe alla
fine ad offrire un medesimo salario d’equilibrio.
La determinazione di un salario d’equilibrio competitivo ha importanti implicazioni per
l’efficienza dell’economia. La teoria della domanda del lavoro mostra che il salario
eguaglia il valore del prodotto marginale del lavoro in un mercato competitivo; quindi
non appena i lavoratori si spostano verso regioni che offrono le migliori opportunità,
essi eliminano le differenze salariali regionali. In aggiunta, i lavoratori con determinate
competenze avranno il medesimo valore in termini di prodotto marginale del lavoro in
tutti i mercati. La collocazione dei lavoratori presso le imprese che eguagliano il valore
del prodotto marginale tra i diversi mercati è un’allocazione efficiente perché
massimizza il reddito nazionale.
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In sintesi, la migrazione e l’efficienza economica sono strettamente collegate in
un’economia competitiva; attraverso una mano invisibile , i lavoratori che cercano per
loro stessi migliori opportunità raggiungono uno scopo che nessuno persegue
dichiaratamente in economia, un’allocazione efficiente delle risorse.
1.2.1 L’immigrazione come investimento in capitale umano. Il modello teorico di
George J. Borjas (2000).
Già nel 1932, l’economista inglese Sir John Hicks argomentò che “ le differenze in
vantaggi di rete, principalmente differenze nei salari, sono la causa principale della
migrazione ”. Praticamente la totalità dei moderni studi sulla migrazione usa questa
ipotesi come punto di partenza interpretando lo spostamento dei lavoratori come una
tipologia di investimento in capitale umano.
Prendendo come riferimento il lavoro di George J. Borjas 1
, “i lavoratori calcolano il
valore delle opportunità disponibili in ogni alternativo mercato del lavoro, al netto del
costo di compiere lo spostamento, e scelgono qualsiasi opzione massimizzi il valore
attuale dei guadagni percepibili considerando l’intero periodo lavorativo”.
Ipotizziamo che un determinato lavoratore possa scegliere tra due mercati del lavoro.
Questi è attualmente impiegato nella regione i e sta prendendo in considerazione la
possibilità di spostarsi verso la regione j. Se ha un orizzonte temporale d’impiego pari a
t anni, i suoi guadagni complessivi ammonteranno a wit dollari. Qualora si volesse
spostare verso l’altra regione, l’ammontare complessivo dei suoi guadagni
1 1 Borjas G. J (2000) “Economics of Migration” in International Encyclopedia of the Social and
Behavioral Sciences, Section no. 3,4, Article No.38, Harvard University 6
ammonterebbe invece a dollari wjt . Indichiamo con M l’ammontare dei costi necessari
per spostarsi dal paese i al paese j ; in questi costi includiamo le spese attuali sostenute
nel trasportare il lavoratore e la sua famiglia, così come il valore in dollari del “ costo
psicologico ”, inteso come la paura e la sofferenza che inevitabilmente si verificano
quando un soggetto si allontana dalla famiglia, dai vicini e dalla propria rete sociale.
Come tutte le altre modalità di investimenti in capitale umano, le decisioni migratorie
sono guidate dalla comparazione del valore attuale dei guadagni totali nelle (in questo
caso due) opportunità alternative. Il guadagno netto dell’immigrazione è dato
dall’equazione:
(1) Guadagno Netto = k=tTwjk-wik (1+r)k-t – M Dove r è il tasso d’interesse e T l’età di pensionamento. Il lavoratore si sposta se il
guadagno netto è positivo.
Da questo schema è possibile ricavare in maniera immediata alcune proposizioni
verificabili empiricamente:
1. Un miglioramento delle opportunità disponibili nella regione di destinazione
migliora il profitto netto dell’emigrazione e accresce la probabilità che i
lavoratori si spostino.
2. Un miglioramento delle opportunità economiche nella corrente collocazione
diminuisce il guadagno netto dell’emigrazione e abbassa le probabilità che i
lavoratori si spostino.
3. Un aumento nei costi migratori abbassa il guadagno netto dell’emigrazione,
riducendo le probabilità di spostamento.
Riassumendo, la migrazione si verifica quando il lavoratore rileva buone possibilità di
recuperare il proprio investimento in capitale umano. Come risultato, gli emigranti
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