Introduzione Lo sviluppo di questo lavoro ha l’obiettivo di descrivere la gestione integrata dei
rifiuti e tutte le sue implicazioni, economiche, sociali e ambientali.
La struttura del mercato e i costi favoriscono la nascita di monopoli naturali
territoriali. Nel testo, verrà sviluppato un modello teorico al fine di individuare gli
strumenti attraverso i quali favorire un migliore trattamento dei rifiuti in grado di
massimizzare il profitto dell’impresa incaricata e di minimizzare i costi sociali.
Negli ultimi anni l’aumento del benessere della popolazione ha provocato un
aumento nella quantità di rifiuti da trattare, sebbene molti programmi di riciclaggio
siano stati attuati.
Le istituzioni hanno, inoltre, promosso una serie di campagne di “prevenzione” atte
a modificare il sistema e l’oggetto di produzione di molte aziende: i prodotti devono
essere ripensati come beni da essere utilizzati e anche, una volta terminato l’uso,
come oggetti da essere riciclati, reintroducendoli nel processo produttivo come
input. Oggi giorno non si pone più il problema del modo in cui i rifiuti devono
essere smaltiti ma di come devono essere gestiti. Descriveremo le diverse fasi di
gestione, comparando le diverse soluzioni alternative disponibili per ogni fase,
come per esempio l’attività di raccolta (porta a porta, o cassonetto) o la fase di
smaltimento (discarica o incenerimento), sottolineando le differenze fra costi
economici, ambientali e sociali.
Vedremo come l’Italia, rifacendosi al modello americano di trentenni fa, a causa di
un’inefficiente regolamentazione del mercato, stia incorrendo negli stessi sbagli.
Inoltre confronteremo,anche se in maniera superficiale, come gli altri Stati
affrontano tale problema. Purtroppo la soluzione ottimale dello smaltimento dei
rifiuti (rifiuti zero) è un progetto che non è realizzabile nel breve periodo ma solo
nel lungo periodo, perché necessita di un cambiamento sociale simultaneo da parte
di tutti gli attori coinvolti nel sistema: istituzioni, imprese e cittadini. Infatti,
vedremo come le imprese hanno recepito questo aspetto, mostrando come siano
sempre più competitive, considerando la variabile “ambiente” non più come un
vincolo di produzione ma come una variabile fondamentale, che in alcuni mercati di
nicchia rappresenta un elemento di sopravvivenza. Dall’altra parte analizzeremo,
attraverso studi effettuati in passato e l’applicazione della teoria dei giochi, come il
cittadino sia parte attiva e altrettanto fondamentale della gestione dei rifiuti.
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Se l’obiettivo da raggiungere ha una visione di lungo periodo, nel breve periodo
dobbiamo trovare delle soluzioni sub-ottimali, che ci permettano di minimizzare gli
effetti negativi di anni di cattiva gestione e progettazioni dei beni.
Questi aspetti devono essere chiaramente divulgati alle istituzioni, alle imprese e ai
cittadini, al fine di renderli consapevoli degli svariati e complessi aspetti della
gestione dei rifiuti.
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1) La gestione dei rifiuti • 1.1) L’evoluzione dei rifiuti Tutti i giorni ogni essere vivente produce o consuma un bene, che oggi o domani
diventerà un rifiuto. Quando si affrontano le problematiche connesse ai rifiuti,
l’aspetto più rilevante riguarda la loro produzione. Nel ciclo dei beni, come
sappiamo, il processo produttivo è la genesi del percorso di un bene, infatti
ottimizzare tale percorso considerando l’aspetto ambientale come vincolo, è di
notevole importanza. Nonostante che negli ultimi anni tale aspetto ha introdotto
nuovi pensieri e cambiamenti sociali, i rifiuti totali sono in continua crescita; anche
se vi sono stati dei miglioramenti dei processi di gestione, che hanno permesso un
aumento del riutilizzo e del riciclaggio. Infatti i rifiuti totali di ogni genere a livello
nazionale sono aumentati del 50% passando da 87.490 milioni di tonnellate
prodotte nel 1997, a 167.235 milioni di tonnellate nel 2007 ( APAT , annuario dati 2008 ).
Invece i rifiuti urbani sono passati da 501 kg/ab nel 2000, a 533 kg/ab nel 2004,
anche a livello europeo la produzione di rifiuti urbani è in costante aumento ed è
arrivato a 580 kg/ab nel 2004, mentre si è registrata una lieve diminuzione nella
produzione di rifiuti totali ( dati Environmental Signas 2002 ). L’aumento della produzione
dei rifiuti è dovuto sostanzialmente alla crescita della ricchezza e della produttività,
che in una società come la nostra comporta un aumento della domanda dei prodotti
di breve ciclo (usa e getta, ecc.). La quantità dei rifiuti può essere considerato come
un indicatore di quanto una società usi con efficacia le sue risorse a disposizione. I
rifiuti rappresentano infatti una perdita di risorse preziose che potrebbero essere
recuperate, riciclate e rimesse nel ciclo produttivo, richiedendo di conseguenza
meno materie prime e ottenendo una riduzione dei rifiuti provenienti dall’estrazione
delle stessa . Il modo più efficace per risolvere tale problema è agire a monte,
riducendo la quantità di rifiuti generati. Purtroppo i miglioramenti di gestione non
bastano, bisogna riuscire a limitare gli impatti; partendo dal trasporto, che provoca
inquinamento atmosferico, incidenti e sversamenti, allo smaltimento e recupero, che
oltre a presentare rischi di inquinamento del suolo dell’aria e dell’acqua, presentano
problemi legati alla saturazione degli impianti esistenti e alla difficoltà di
localizzarne altri nuovi (problema attuale in Campania). Il problema della
prevenzione nella produzione dei rifiuti deve essere quindi affrontata sia in termini
6
quantitativi, riducendo i volumi prodotti, che qualitativi, riducendo la pericolosità.
La prevenzione è strettamente legata all’aumento dell’efficienza delle risorse, alla
possibilità di influenzare i modelli di consumo e alla riduzione dei rifiuti,
considerando l’intero ciclo di vita dei prodotti: dalla produzione all’uso, fino al
momento in cui il prodotto stesso diventa rifiuto. Per ridurre la produzione di rifiuti
è necessario agire a monte e cioè ampliare la vita dei prodotti, utilizzare meno
risorse, con processi di produzione più puliti e con meno sprechi, influenzare le
scelte e la domanda dei consumatori, rendendoli partecipi e consapevoli delle
nuove politiche, che sono volte verso un nuovo sistema di produzione che considera
l’ambiente una variabile fondamentale per il nostro futuro.
La gerarchia dei rifiuti seconda la direttiva 2008/98/CE :
Figura 1 : Fonte U.E. “ La gerarchia dei rifiuti.”
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E.U
.
Prevenzion e Riuso Riciclaggio
Recupero energetico Smaltimento
1.2) Prevenzione e Concetto di Eco-efficienza
La ricerca e l’innovazione, sui temi dell’eco-efficienza dei processi e dei prodotti
industriali
1
in paesi come il Canada, il Nord America e il Nord Europa, sono ormai
radicate nelle società e fanno parte della loro cultura. In Italia sì è diffusa
l’attenzione verso le problematiche ambientali dei prodotti industriali, sia nel
campo scientifico che accademico ed imprenditoriale. Tutto ciò sollecitato da
movimenti ambientalisti radicali o ideologici e dalle attenzioni che questo concetto
ha riscosso a livello europeo, nazionale e distrettuale, attraverso la destinazione di
ingenti risorse economiche per favorire la ricerca e la sperimentazione. L’Italia si
sta dimostrando intenzionata a cambiare, iniziando un percorso di sostenibilità,
finalizzato al rispetto dell’ambiente dei propri sistemi di produzione e consumo,
valutato nell’interesse sociale e competitivo delle stesse imprese produttrici. Questo
risultato è dovuto ad una concordia di diversi fattori e dall’attività congiunta di
differenti soggetti: pubblici e privati. Accanto alla più recente generazione di
politiche ambientali dell’Unione Europea, che ha funzionato come motore d’avvio
del cambiamento, si è affiancato il comparto della ricerca e formazione, sia in
ambito universitario che imprenditoriale. Essi hanno elaborato contributi
significativi per la costruzione del background culturale e tecnico-scentifico
necessario ad ottenere concreti risultati d’innovazione ambientale nell’ambito della
progettazione e della produzione industriale .
Oggi le imprese italiane guardano con interesse la ricerca e la sperimentazione
sui temi dello sviluppo sostenibile, nella convinzione che l’ambiente sia sempre
più un fattore strategico di competitività sui i mercati internazionali, e che , in
alcuni casi stia diventando un criterio di selezione per certi mercati.
Un forte vincolo che ha portato le imprese italiane verso un percorso di
progettazione e produzione eco-innovativa con processi di eco-innovazione. Essi
sono dovuti al recente e notevole aumento di domanda dei “prodotti verdi”, non più
considerati come prodotti di nicchia. Tutto ciò è avvenuto quando è entrato in
vigore il decreto ministeriale 203/2003, che fissa la quota del 30% del fabbisogno
annuale delle imprese pubbliche e delle società a capitale pubblico, di manufatti e
beni realizzati con materiale riciclato. Ci sono imprese che hanno integrato i
1
Pietroni Lucia, “Eco-materiali ed Eco-prodotti made in Italy casi di studio di eco- innovazione
nelle imprese italiane”, 2002, pages 5-35
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principi e gli obiettivi della sostenibilità nella loro funzione obiettivo. Un processo
di cambiamento si pone come un processo di innovazione reale, quando trasforma e
modifica in modo efficace, sia il contesto tecnico-produttivo che socio culturale in
cui si applica. Quindi senza dubbio un sistema di produzione che applica delle
strategie, tenendo conto delle problematiche ambientali, sta usando una strategia
vincente e competitiva per la sopravvivenza in un mercato sempre più
concorrenziale. La fase di “design” assume un ruolo strategico nel processo di
sviluppo di prodotti e servizi eco-compatibili e nel processo di eco- innovazione
delle imprese in generale. Infatti gli obiettivi e i requisiti ambientali del prodotto,
definiti fin dalla fase di “design”, determinano significativi effetti durante tutte le
altre fasi di sviluppo del prodotto. Tale approccio progettuale innovativo viene
appunto definito “Design For Environment (DfE) o Ecodesign. Nel Design for
Environment, l’ambiente assume il medesimo status dei più tradizionali valori
industriali, quali il profitto, la funzionalità, l’estetica, l’ergonomia, l’immagine e la
qualità generale. Le strategie DfE mirano a integrare gli aspetti ambientali a
tutti i livelli del processo di sviluppo del prodotto, con l’obiettivo di
ottimizzarne la prestazione minimizzando l’impatto ambientale durante
l’intero ciclo di vita. Ai costi sostenuti per il miglioramento delle prestazioni
ambientali dei prodotti sono frequentemente associati vantaggi competitivi in
termini di risparmi sui materiali impiegati e di riduzione dei rifiuti prodotti,
nonché di marketing . Questo metodo può contribuire all’incremento dell’eco-
efficienza complessivo delle società industriali avanzate. “ Il pensiero ecologico può
oggi fornire la più rilevante sintesi d’idee che si sia vista dopo l’illuminismo. Può
aprire prospettive per una pratica che possa veramente cambiare l’intero paesaggio
sociale dei nostri tempi
2
.” La transazione verso la sostenibilità implica, come
abbiamo accennato prima, ad una profonda trasformazione non solo dell’attuale
sistema tecnico-produttivo ma anche del sistema socio-culturale. Un modello
sostenibile può essere attuato solo da una società che sia capace di generare un’idea
di benessere non più legata alla costante crescita dei consumi materiali e
responsabili nei confronti delle generazioni future. Praticamente deve essere capace
di produrre condizioni e opportunità di benessere sociale, uguali o maggiori a quelli
attuali, senza creare esternalità negative che ricadono sull’ambiente. Il concetto di
sostenibilità implica la formulazione di un giudizio di valore, l’attribuzione di
2
Murray Bookchin, “Per una società ecologica,1989” . E’stato uno scrittore , pensatore e militante
libertario statunitense , tra i fondatori della "ecologia sociale".
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senso, l’attivazione di consenso di comportamenti consapevoli, responsabili,
riflessivi d’interpretazione e valutazione di ciò a cui si impegna a dare sostegno.
Questo può avvenire solo attraverso un impegno attivo, sollecito e consapevole di
tutti gli attori sociali (imprese, istituzioni, utenti-utilizzatori) che considerino la
sostenibilità ambientale un reale obiettivo da raggiungere. La transazione verso la
sostenibilità pone dei punti interrogativi sui suoi modi, poiché è difficile prevedere
la natura della domanda sociale di benessere, che potrà nascere dal cambiamento
che avverrà considerando i mezzi con cui attualmente vengono soddisfatti i bisogni
individuali e collettivi, legato alla necessita di una drastica riduzione dell’attuale
consumo di risorse ambientali. Questa incertezza è generata dalla complessità dei
rapporti tra le modificazioni strutturali richieste dalla sostenibilità ambientale e i
cambiamenti culturali necessari per la transazione verso una società sostenibile.
Mentre l’entità dei cambiamenti strutturali è in qualche modo misurabile e
quantificabile, invece i lineamenti culturali di una società sostenibile , che possa
promuovere e attribuire valore ad essi, sono imprevedibili, poiché ogni forma
sociale è una costruzione umana in continua modificazione. La sostenibilità
richiede una trasformazione delle attività di produzione e consumo così profonda,
da essere interpretata da alcuni autori come una “discontinuità sistematica”, cioè
come un fenomeno innovativo che mette in discussione la continuità dei sistemi
socio-economici delle attuali società industriali mature.
La sostenibilità può fare riferimento all’insieme della ricchezza materiale (capitale
artificiale e capitale naturale), oppure al solo capitale naturale, cioè alla base fisica
della produzione.
Abbiamo due concezioni interpretative di “sostenibilità”:
• La prima viene definita “sostenibilità debole”, si riferisce esclusivamente al
benessere materiale della specie umana e considera il capitale naturale e
quello prodotto come sostituibili;
• La seconda viene definita “sostenibilità forte”, che afferma il bisogno di
lasciare alle generazioni future lo stock attuale di capitale naturale e che
questo non possa essere sostituito con il capitale costruito.
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E’ intesa come definizione “forte”, poiché lo stock attuale da lasciare alle
generazione future non è inteso solo alla loro quantità, ma anche alla loro qualità.
La differenza tra questi due filoni è importante poiché indica due diverse concezioni
di benessere, e due diversi modi d’intendere la responsabilità verso le generazioni
future. Nel primo caso, ci si impegna a mantenere costante il livello di benessere
materiale dell’umanità, cioè lasciare alle prossime generazioni una disponibilità di
beni materiali non inferiore a quella attuale; nel secondo caso, ci si preoccupa di
conservare le potenzialità dell’ambiente di produrre risorse e di auto-rìgenerarsi,
allargando quindi la disponibilità alle altre specie viventi, lasciando le generazioni
future libere di scegliere in che modo usare il patrimonio naturale e in che modo
costruire e raggiungere il proprio benessere. Quindi assumere la “sostenibilità
forte”, come linea guida verso uno sviluppo sostenibile è il modo per configurare un
approccio profondo alla sostenibilità, che non interpreti la riduzione dei consumi di
risorse ambientali e dell’emissioni, come puro fatto economico-produttivo ma
anche come radicale cambiamento dei paradigmi culturali sui quali si è fondato fin
ora lo sviluppo delle società industriali. Porsi in questa prospettiva significa inoltre
avere più possibilità di riuscire a rompere il rapporto lineare che fino ad oggi ha
legato l’idea di benessere alla quantità di beni materiali posseduti e consumati.
Per quanto riguarda i processi produttivi, questo significa l’utilizzo di tecnologie
pulite, la riduzione dei consumi energetici complessivi e dei materiali impiegati, e
eliminazioni delle sostanze nocive, il trattamento degli affluenti inquinanti e il
riciclo o lo smaltimento degli scarti della lavorazione.
Per quanto riguarda i prodotti, si tratta di una loro riprogettazione in base ad una
valutazione e una riduzione del loro impatto ambientale durante tutto il ciclo di vita,
dalla produzione allo smaltimento.
Questo nuovo pensiero di sistema tecnico-produttivo ha però evidenziato due
diversi livelli d’intervento, che hanno due modi diversi di interpretazione della
transazione verso la sostenibilità:
• il primo consiste in una visione di sistema più eco-compatibile dei prodotti
già esistenti sul mercato,cioè aggiungere qualità ambientale a prodotti che
rispondono ad una domanda ben consolidata;
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• il secondo invece consiste al rispondere ad una domanda sociale già
conosciuta con la definizione di nuovi prodotti a basso impatto ambientale,
cioè prodotti in cui la qualità ambientale è un elemento caratterizzante e non
aggiuntivo.
Il secondo livello di intervento, indica un modo di affrontare il tema in maniera
propositiva e non difensiva come il primo livello, che considera il tema ambientale
come un vincolo. Questa sperimentazione purtroppo è per lo più tecnica, in quanto
esaurisce la ricerca della sostenibilità nel come produrre e progettare prodotti a
basso impatto ambientale, partendo da una domanda sociale data ed immutabile,
cioè dando per scontati i comportamenti e gli stili di vita degli attori sociali. La
riduzione dell’impatto ambientale complessivo dipende ampiamente dalla qualità
ambientale dei prodotti, ma non solo come sono progettati e prodotti, ma anche
come vengono usati, dalla qualità delle relazioni che intrattengono, e dai
comportamenti che inducono. Su questo si basa molto lo studio “dell’ ecologia
industriale” che cerca di cogliere tutti i cicli della trasformazione della materia,
dove l’uso di un prodotto diviene la fase più importante del suo ciclo di vita. Non
solo dal suo punto di vista dell’impatto ambientale, in quanto è la fase in cui
l’impatto è più difficilmente misurabile e governabile poiché dipende dal modo in
cui l’utente lo usa, ma soprattutto dal suo punto di vista sociale, da cui l’impatto
ambientale dipende grandemente.
La possibilità che questo avvenga con successo, dipende dall’allargamento delle
responsabilità ambientali e dalla ridefinizione dei ruoli dei diversi attori sociali:
• i produttori dovrebbero farsi carico della vita dei prodotti, modificando
strutturalmente il loro modo di operare, costituendo rapporti di stretta
collaborazione con altri produttori, con i distributori e con gli utenti
consumatori, gli utenti dovrebbero contribuire alla chiusura del ciclo della
materia, attraverso la raccolta differenziata e la resa dei prodotti,
modificando il loro comportamento passivo;
• i progettisti dovrebbero modificare i lori criteri progettuali e i loro strumenti
tecnici, pensando a dei prodotti più eco-efficienti durante tutto il loro ciclo
di vita, più duraturi, riciclabili, disassemblabili;
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• le istituzioni dovrebbero ripensare al proprio ruolo e alle proprie politiche
ambientali in modo da orientare e promuovere le dinamiche evolutive del
sistema produttivo e di consumo, affinché la transazione verso la
sostenibilità avvenga nel modo più socialmente accettabile.
Un ulteriore pensiero, è quello di contribuire alla costruzione di uno “scenario della
sostenibilità”, trovando i modi in cui la qualità ambientale possa tradursi in qualità
sociale, affinché la ricerca della sostenibilità ambientale possa coincidere con la
transazione verso una società sostenibile. Perciò il grado di innovazione ambientale
dipende maggiormente dal grado di innovazione sociale che sottende e che
contribuisce a determinarlo. L’analisi delle conseguenze ambientali e dell’uso dei
manufatti di largo consumo, e di quelle connesse allo smaltimento dei rifiuti, mette
in luce l’esigenza di affrontare già nelle fasi iniziali dell’ideazione e della
progettazione dei prodotti, il problema della prevenzione e della riduzione dei lori
impatti ambientali. L’importanza della fase di progettazione sotto questo aspetto è
assai elevata dal momento che essa influenza tutte le scelte che riguardano, oltre
alla configurazione dell’oggetto, la qualità e la quantità dei materiali, le tecnologie e
i processi di produzione, le modalità d’uso, riciclo e smaltimento dei prodotti di
scarto e dei rifiuti. Pertanto nell’Ecodesign i criteri ambientali assumono lo stesso
peso delle altre variabili (tecniche funzionali, estetiche, ergonomiche, economiche,
sociali, ecc.).
In particolare, i principali obiettivi che riguardano il DfE:
• ↓ del consumo di risorse ambientali (materie prime, energia);
• ↑dell’impiego di materiali derivanti da risorse rinnovabili o dal riutilizzo e
riciclo dei prodotti usati e dei rifiuti;
• la minimizzazione dei residui, delle emissioni inquinanti, del consumo
energetico durante le fasi di produzione e di utilizzo;
• il contenimento dei rifiuti “post-consumo” e una gestione più agevole del
loro smaltimento;
Questo permette la progressiva sostituzione dei prodotti e processi ambientalmente
incompatibili con prodotti e servizi molto “ eco-efficenti”.
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• 1.3) Classificazione dei rifiuti La protezione dell’ambiente e la tutela della salute dei cittadini sono i principi
fondamentali alla base di una politica sulla gestione dei rifiuti. La disciplina
“Strategia Generale sui Rifiuti 1996” contenuta nella norma comunitaria “ VI
Programma europeo di azione per l’ambiente ”, che definisce gli obiettivi
prefissati per il 2010, si ispira ad una politica ambientale basata sulla gestione
razionale delle risorse naturali, sullo sviluppo sostenibile delle attività economiche
e sulla conversione dei sistemi produttivi verso le scelte tecnologiche e gestionali di
minore impatto ambientale. Tale disciplina evidenza i seguenti principi, ritenuti
come linea guida per impostare le attività di gestione.
Questi sono i seguenti:
- prevenzione → consiste nel ridurre a minimo ed evitare, per quanto possibile la
produzione di rifiuti;
- di responsabilità condivisa → avviene quando tutti gli attori che fanno parte del
ciclo di vita del rifiuto, dal produttore all’utente finale, si fanno carico delle proprie
responsabilità (chi inquina paga);
- di precauzione → avviene in fase di pianificazione, con adeguati strumenti di
analisi per prevedere i potenziali associati ad ogni intervento in materia di gestione
dei rifiuti;
- di prossimità → consiste nella riorganizzazione dei servizi di raccolta e trasporto e
della distribuzione dei sistemi di smaltimento, al fine di smaltire il più possibile
vicino al punto di produzione.
La normativa italiana, all’ art. 183 del D.lgs. n. 152/06 – Norme in materia
ambientale definisce
3
:
- rifiuto : “qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate
nell’allegato A alla parte quarta del D.lgs n. 152/06 e di cui il detentore si disfi o
abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi. ” Il DLgs. 3 aprile 2006, n. 152 è la nuova norma quadro di riferimento in materia di
rifiuti, in attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti
3
“Testo unico”ambientale è la raccolta di tutte le regole normative che disciplinano il rispetto
dell’ambiente .
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