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Introduzione
Negli ultimi anni il tema dei rifiuti è balzato agli onori della cronaca, soprattutto per
via della perdurante emergenza che affligge la regione Campania. Molti non sanno
però che dietro i cumuli di rifiuti per le strade e i roghi notturni, c‟è la mano della
camorra, la quale, insieme alla complicità e alla connivenza di altri soggetti
dell‟imprenditoria, della politica e della pubblica amministrazione, ha determinato
una devastazione ambientale difficile da risanare.
Argomento della tesi è quindi l‟ingerenza delle organizzazioni criminali nella
gestione dei rifiuti urbani ed industriali, conseguenza anche dell‟orientamento in
senso imprenditoriale assunto dalla mafia in tempi recenti. I fatti di cronaca che
spesso vengono riportati dai mezzi di informazione, mi hanno indotta ad indagare sul
come e sul perché le organizzazioni mafiose, fermo restando lo svolgimento delle
tradizionali attività illecite, hanno iniziato ad “annusare” questo business, allo scopo
di mettere insieme i diversi tasselli di una realtà che sta faticosamente affiorando.
Al fine di delineare un quadro completo, la tesi è stata articolata in tre capitoli. Nel
primo capitolo si passa in rassegna la letteratura sociologica in tema di mafia,
cercando di giungere ad una definizione di questo eterogeneo fenomeno. La grande
quantità di studi sul tema ci restituisce un immagine della mafia e delle mafie molto
differenziata, privilegiando ora un approccio culturale, ora quello relazionale.
Tuttavia, sembra esserci sostanziale accordo sul fatto che la mafia non potrebbe
esistere senza un‟organizzazione ed in particolare, essa è considerata un network di
organizzazioni che svolgono una serie di attività illecite volte al raggiungimento di
guadagno, reputazione e controllo del territorio. In ogni consorteria mafiosa è
possibile riconoscere gli elementi caratteristici di un‟organizzazione, ovverosia la
struttura; l‟ambiente con cui essa interagisce; le funzioni del potere mafioso e
l‟insieme di simboli, codici comunicativi e valori della specifica cultura
organizzativa. Dopo una sintetica descrizione delle quattro mafie, Camorra,
N‟drangheta, Cosa Nostra e Sacra corona unita, ciascuna delle quali ha la propria
base operativa rispettivamente in Campania, Calabria, Sicilia e Puglia, viene fatta
una disamina delle attività illecite riferibili alla mafia. Tradizionalmente le attività
illecite legate al controllo del territorio sono le estorsioni e l‟usura; il traffico di
droga, tabacchi, armi e la tratta di esseri umani sono, invece, attività che interessano
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molteplici persone e luoghi e per questo non vincolate ad un determinato territorio.
Ma la sfera d‟azione mafiosa non si ferma alla sola dimensione illegale, bensì si
espande a quella legale: a proposito, si parla di mafia imprenditrice che ricicla in
attività lecite i proventi accumulati nel circuito illecito. Utilizzando metodi violenti o
formalmente pacifici, l‟impresa mafiosa o i comitati d‟affari cui le organizzazioni
partecipano a vario titolo, riescono ad avviare esercizi commerciali, a controllare il
settore dei trasporti, ad alterare il settore delle scommesse sportive, ad aggiudicarsi
appalti pubblici, a gestire l‟intero ciclo del cemento, insinuandosi, finanche, nel ciclo
dei rifiuti.
Nel secondo capitolo si introduce il tema dei rifiuti, spiegando come il problema di
una loro corretta gestione è diventato centrale nella società contemporanea e
operando una distinzione degli stessi in rifiuti urbani ed industriali. Vengono poi
illustrate le principali tecniche di smaltimento, diversificando tra raccolta
differenziata, incenerimento, conferimento in discarica o presso ditte specializzate.
Grazie al tradizionale controllo del territorio, alla disponibilità di cave e mezzi di
trasporto, le organizzazioni criminali rivolgono i loro interessi al settore dei rifiuti
con modalità differenti nel caso dei rifiuti urbani e di quelli industriali. Nel primo
caso, esse inoltrano richieste estorsive alle imprese sul territorio o manovrano gli
appalti per l‟affidamento del servizio urbano. Per quanto riguarda i rifiuti industriali,
le organizzazioni mafiose sbaragliano la concorrenza offrendo un servizio a prezzi
stracciati e smaltendo poi i rifiuti tossici in discariche abusive, sotterrandoli o
imbarcandoli in navi a perdere. L‟ecomafia − termine col quale si indica un insieme
di attività svolte dalla criminalità organizzata che danneggiano il patrimonio
ambientale e culturale − non è un fenomeno circoscritto alla Campania, ma riguarda
anche il resto dell‟Italia, con particolare riferimento ai traffici di rifiuti industriali
nocivi che viaggiano lungo le direttrici nord-sud. Indubbiamente la Campania è la
regione con la più alta percentuale di illeciti connessi al ciclo dei rifiuti, dove la
camorra ha interesse a protrarre lo stato d‟emergenza per potersi arricchire
indebitamente assumendo una funzione monopolistica nella gestione dei rifiuti; in
particolare, i camorristi hanno messo in campo la propria capacità di fare impresa,
intuendo la notevole redditività di un mercato in cui operano anche imprenditori
senza scrupoli disposti a interloquire con loro pur di ridurre i costi da sostenere.
L‟ultima parte della tesi è dedicata alla ricostruzione di una vicenda giudiziaria che
ha coinvolto il comune di Marcianise, in provincia di Caserta. Protagonisti
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dell‟inchiesta, denominata “Giudizio finale” e conclusasi nel 2009, sono
principalmente esponenti del clan Belforte che attraverso una perpetuata condotta
criminale, hanno instaurato un monopolio della gestione dei rifiuti nell‟area di
riferimento. Il modus operandi del clan si concretizzava nella richiesta di estorsioni
alle imprese operanti sul territorio e riciclando i proventi di questa ed altre attività
illecite venivano costituite nuove società − contando su una schiera di prestanome −
che si occupavano a vario titolo del trasporto e dello smaltimento dei rifiuti.
Quest‟ultimo veniva effettuato falsificando i codici identificativi dei rifiuti e quindi
conferendo i rifiuti presso impianti non idonei, diminuendo i costi ed aumentando i
guadagni. Nell‟indagine risultano coinvolti non soltanto personaggi riferibili al clan,
ma anche imprenditori incensurati − di fatto collaboratori del clan Belforte − e
compiacenti funzionari pubblici.
Per realizzare la tesi mi sono servita della lettura di diversi libri, articoli di giornale e
articoli di riviste sociologiche; ho consultato documenti giudiziari, relazioni di
commissioni parlamentari, della D.I.A. e della D.N.A., ma mi è stata d‟aiuto anche la
visione di programmi televisivi, interviste e documentari di denuncia.
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Capitolo 1
Criminalità organizzata e attività economiche
1.1. La mafia come organizzazione
Non vi è una definizione univoca e universalmente accettata che metta tutti
d‟accordo su che cosa sia la mafia. Questo perché il fenomeno mafioso non può
essere ricondotto a un modello omogeneo, ma si presenta molto differenziato in base
ai diversi contesti spazio-temporali. C‟è chi la considera un‟organizzazione; chi una
mentalità o un modo di sentire; chi una particolare forma di imprenditorialità
economica. Per gli scienziati sociali che condussero le prime indagini sul campo a
cavallo tra gli anni sessanta e ottanta, la mafia era puramente un atteggiamento, un
comportamento e non un‟organizzazione formale, per cui esistevano i singoli mafiosi
in sé, ma non esisteva alcuna organizzazione mafiosa per sé.
Nel corso del tempo, inoltre, la rappresentazione della mafia è passata attraverso
diversi stereotipi: la mafia come emergenza; la mafia come antistato, sempre in
conflitto con lo Stato e le istituzioni; la mafia come subcultura, ossia come cultura
specifica di determinate categorie e contesti sociali; la mafia come mondo chiuso,
estraneo. Lo stereotipo più famoso è quello che la vede simile a una piovra
1
, dai
lunghi tentacoli, invincibile e inafferrabile. Se fosse così, allora la mafia sarebbe una
super-struttura criminale con un unico vertice (e quindi con un solo centro di
comando), che ha esteso i suoi tentacoli in ogni ambito della società. Ma ci si è
accorti che la mafia non è una, ma tante. Non esiste un unico e organico grande
sistema illegale. Ci sono le associazioni mafiose, ma non c‟è la mafia come
organizzazione unitaria.
Si possono rintracciare due principali filoni interpretativi della mafia
2
: la prospettiva
culturalista e quella organizzativa. La prima sottolinea i fattori culturali e riduce in
extremis la mafia alla cultura diffusa dei contesti in cui si è sviluppata. La seconda
1
A rafforzare questo stereotipo è intervenuto il successo registrato dalla celebre saga televisiva
italiana “La Piovra”, ispirata alle intricate vicende di politica, finanza e criminalità del novecento
italiano.
2
Sciarrone R., Mafie vecchie Mafie nuove, Donzelli, Roma, 2009.
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vede la mafia come un fenomeno organizzativo. Pur riconoscendo grande rilevanza
ai fattori culturali, sarebbe riduttivo appiattire la complessità della mafia alle sole
norme, rappresentazioni e valori, espressione di una società, o ancora peggio, allo
spirito mafioso. Al contrario, la mafia non potrebbe esistere senza
un’organizzazione
3
. Anche se il comportamento mafioso esalta al massimo le
caratteristiche individualistiche dell‟esser “uomo”
4
, esso si manifesta in forme che
non sono individuali, ma si plasmano e si concretizzano all‟interno di
un‟organizzazione.
Secondo la concettualizzazione di Sciarrone, “la mafia può essere considerata un
network di organizzazioni criminali, la cui attività è finalizzata, per coloro che vi
appartengono, al conseguimento di guadagno, sicurezza e reputazione”
5
.
Quest‟insieme di organizzazioni criminali, a detta di Santino
6
, configurano un
sistema di violenza e illegalità finalizzato all‟accumulazione del capitale e
all‟acquisizione e gestione di posizioni di potere, e si avvale di un codice culturale e
gode di un certo consenso sociale. Guardare alla mafia come a un network permette
di combinare allo stesso tempo la tesi culturalista e la tesi organizzativa. Essa si
manifesta come fenomeno di società locale, radicato tradizionalmente in un preciso
contesto territoriale, dove si riproduce e dal quale si diffonde essenzialmente
attraverso l‟impiego di capitale sociale
7
.
Che la mafia costituisca un‟organizzazione ormai non è più messo in discussione.
Innanzitutto, si è composta da individui che svolgono al suo interno compiti
differenti e che sono legati da precisi vincoli di lealtà e da una precisa gerarchia di
comando. La specificità della mafia come organizzazione consiste nei principali
mezzi di cui la mafia fa uso effettivo o potenziale per raggiungere i suoi scopi: il
metodo mafioso, di cui la violenza rappresenta lo strumento principale nell‟esercizio
del potere, nella manipolazione delle relazioni sociali e politiche, finalizzata alla
cooperazione con altri attori sociali con cui poter instaurare rapporti di scambio.
3
Catanzaro R. Il delitto come impresa. Storia sociale della mafia, Liviana Editrice, Padova, 1988.
4
A proposito della concezione di „esser uomo‟, è interessante leggere un passo de “Il giorno della
civetta” di Leonardo Sciascia, dove si parla di uomini, mezz'uomini, ominicchi, pigliainculo e
quaquaraquà.
5
Sciarrone R., Mafie vecchie Mafie nuove, Donzelli, Roma, 2009, p.22.
6
Santino U., Dalla mafia alle mafie, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2006.
7
Per quanto riguarda la diffusione in aree non tradizionali, accanto alla tradizionale tesi del contagio,
rivelatasi una spiegazione molto parziale dei meccanismi diffusivi della mafia, possiamo collocare la
tesi della colonizzazione, ossia l‟espansione su un nuovo territorio, e dell‟imitazione, secondo la quale
si riproducono modelli di azione e di organizzazione dei gruppi mafiosi di origine antica.