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spesso parlano di calcio come se fosse una guerra, una battaglia
1
in cui
l’imperativo è vincere per difendere il proprio onore, delle forze dell’ordine che
militarizzando gli stadi hanno creato ulteriore tensione o della televisione che ha
allontanato dagli stadi le famiglie e le persone “normali”?
Per inquadrare il problema da un punto di vista psicosociale, è importante
evidenziare la complessità del fenomeno, i cui attori non hanno solo colpe o
responsabilità. Nel gioco del calcio, infatti, dai calciatori all’arbitro, dai tifosi agli
ultras, dai dirigenti ai giornalisti fino alle forze dell’ordine, sono tutti attori
sociali che all’interno di una cornice simbolica (lo stadio) interpretano e
reinterpretano i significati e le regole del proprio agire. Essi contribuiscono con
la loro azione a definire una cornice che deve essere compresa nelle sue
dinamiche più profonde. Il presente lavoro emerge dalla necessità di affrontare il
fenomeno prestando attenzione, non solo all’evoluzione del tifo calcistico nella
società (cap.1) ma anche alle dinamiche psicosociali del gruppo ultras (cap.2),
fino ad arrivare attraverso una ricerca (cap.3) ad analizzare le "immagini" che
caratterizzano la visione del fenomeno attraverso i resoconti forniti dai giornali.
1
"Nesta è lo scudo, Inzaghi la spada ecco come ferire l’Olanda" titolava in prima pagina “La Gazzetta
dello Sport” del 28 maggio 2000.
5
Cap. 1 Analisi storica del fenomeno ultras
1.1 Prospettive teoriche
Il football hooliganism, nato come fenomeno tipicamente britannico, si è ormai
diffuso in tutti i paesi dell'Europa continentale. Comprensibile è quindi il fatto
che le ricerche sulla violenza nel calcio siano nate in Inghilterra sin dal 1960 e,
nelle altre nazioni europee, gli studi accademici siano sorti solo a partire dai
primi anni '80.
Gli studiosi inglesi si sono spesso divisi in opposte fazioni costituendo diverse
scuole di pensiero, che hanno dato luogo ad accese polemiche attraverso la
letteratura e le conferenze. Tuttavia, nonostante i tentativi degli autori di
affermare il contrario, appare chiaro dall'analisi della letteratura che un gran
numero di studi, apparentemente differenti, possono in realtà confluire in due
ampi filoni di ricerca. Da una parte coloro che hanno analizzato il fenomeno
prestando attenzione all'evoluzione storica dello sport nella società e alle
dinamiche della classe lavoratrice inglese ritenuta, dagli studiosi britannici, la
causa principale del teppismo calcistico. Dall'altra quanti, adottando una
prospettiva strettamente psicosociale, hanno analizzato il comportamento dei
tifosi "sul campo" e, attraverso i resoconti forniti dagli stessi, hanno tentato di
costruire un modello esplicativo di base del fenomeno.
6
1.1.1 Sport e società
Ian Taylor (1971) fu uno dei primi a pubblicare un'analisi sociologica del
problema. Nella sua analisi individua la causa del teppismo calcistico nei
cambiamenti avvenuti nel mondo del calcio sulla base di un processo da lui
stesso
definito di "borghesizzazione".
Partendo da un punto di vista marxista egli rilevò che la nascita degli hooligans
nel calcio inglese rappresentava un riflesso del cambiamento in atto nello sport e
in particolare rifletteva l'evoluzione del ruolo dei club locali. Le società di calcio,
nate in Inghilterra come espressione della classe lavoratrice, nel dopoguerra,
seguendo un processo di "professionalizzazione" dello sport (o
"borghesizzazione" per usare le parole di Taylor), iniziarono ad essere guidate da
dirigenti non più operai, ma di estrazione piccolo e medio borghese, causando
l'allontanamento dei club, dal punto di vista dei valori, dalle comunità operaie
dalle quali erano sorte. I tifosi si sentivano sempre meno rappresentati dai
giocatori e dai dirigenti con i quali non condividevano più la stessa origine
sociale.
Fu quindi il senso di alienazione della classe lavoratrice conscia di aver perso il
"controllo" di un gioco nato come espressione e ricreazione della working class a
causare, secondo Taylor, l'esplosione della violenza sui campi da calcio.
Più ampio l'approccio di Elias e Dunning (1989) secondo cui nella società
moderna lo sport, un tempo divertimento fine a sé stesso, si è svuotato
oggigiorno del suo aspetto ludico per essere utilizzato come uno dei più
importanti mezzi per creare situazioni di eccitamento piacevole, permettendo
l'allentamento delle tensioni ed una loro gestione controllata.
7
La tesi sostenuta da Elias e Dunning (1989), è quella secondo cui la limitazione
dell’aggressività e la razionalizzazione avrebbero progressivamente sterilizzato
lo sport, neutralizzandone e sublimandone la carica aggressiva. Si tratta di
un'umanizzazione o civilizzazione dello sport che non mira tanto a preservare
l’incolumità fisica degli atleti, quanto a tutelare la nostra morale sempre meno
tollerante verso la violenza “gratuita”
2
. In questo quadro solo i gruppi più
marginali o emarginati della società, quindi meno sensibili a una cultura
civilizzata, troverebbero nelle manifestazioni sportive l'occasione di esprimere la
loro aggressività.
Williams e Dunning (1984) e i loro collaboratori dell'università di Leicester
ampliarono la spiegazione del football hooliganism utilizzando la sociologia di
Elias e l'enfasi data al processo di civilizzazione dello sport. Uno dei maggiori
assunti di questa scuola è che attraverso la recente storia, le aspettative di un
mondo e di un comportamento più civilizzato sono passati gradatamente
attraverso le classi sociali. Questi valori "civili" non sono penetrati nelle classi
più basse, quelle che Dunning (1981) definiva la rough working class (la rozza
classe lavoratrice). Il comportamento sociale di queste classi è ancora dominato
da valori "subculturali" come la mascolinità e l'aggressività. Secondo Dunning
per descrivere la violenza nel calcio bisogna prestare attenzione agli aspetti
strutturali di questa classe e alla relazione tra i membri di questa e il gioco del
calcio.
Le comunità lavoratrici sono caratterizzate da un ciclo positivo di feedback che
tende ad incoraggiare l'insorgere dell'aggressività specialmente tra i maschi. La
capacità di consumare alcool in gran quantità, così come le risse, sono tra le
poche fonti di eccitamento che conferiscono identificazione e status ai maschi
2
La maggiore importanza data a record, punteggi e classifiche, distoglierebbe quindi l’attenzione dalla
violenza che si suppone avere sul pubblico un effetto negativo (Dal Lago, 1990).
8
delle working class. Le classi medie trovano gratificazione alla propria identità
nell'attività lavorativa e scolastica, a differenza dei soggetti delle classi più basse
a cui tali gratificazioni sono negate.
L'approccio della Leicester school, con l'enfasi posta sulle dinamiche della classe
lavoratrice e al processo di civilizzazione, ha molto in comune con l'approccio di
Taylor anche se nel lavoro di Williams e Dunning ci sono delle differenze
sostanziali: la violenza non è vista come conseguenza dell'alienazione delle classi
lavoratrici ma l'attenzione è focalizzata sulle specificità "subculturali" che danno
legittimazione al comportamento violento. In altri contesti europei la
composizione interclassista dei tifosi rende problematica l'applicabilità di questa
teoria, dato l'accento troppo marcato sulla connessione tra la rough working class
e il football hooliganism posto dalla scuola di Leicester.
9
1.1.2 Dal modello etologico al concetto di aggro
Il modello di Elias e Dunning (1989) è un modello che, sebbene offra una
ricostruzione dell’evoluzione culturale dello sport, non riesce a spiegare alcuni
aspetti tipicamente moderni del comportamento degli spettatori allo spettacolo
sportivo, in particolare la loro propensione a conquistare e ritualizzare gli spazi
pubblici durante le manifestazioni sportive (Dal Lago, Moscati, 1992).
La concezione teorica, secondo cui il tifo calcistico può essere interpretato come
una celebrazione rituale della metafora bellica, trova la sua origine nel modello
etologico di Morris (1982).
“La tribù del calcio” utilizzerebbe il rituale per dar sfogo e neutralizzare
l’aggressività esprimendola in forma mimetica, metaforica, piuttosto che
attraverso comportamenti violenti. Tale analisi del fenomeno ha influenzato gli
studi successivi di autori che, facendo riferimento ad un ambito disciplinare più
strettamente psicosociale, hanno rielaborato il modello etologico di Morris
evidenziando soprattutto la componente comunicativa e simbolica del
comportamento rituale. I giocatori, gli spettatori, i giornalisti, le forze
dell’ordine, i tifosi e gli ultras sarebbero accomunati dalle medesime regole:
violenza rituale significa “trasformata”, “celebrata”, “simbolica” e quindi non
necessariamente praticata (Dal Lago, 1990).
Il tifo ultras, quindi, si rivela come fenomeno psicosociale, per la sua coerenza
con il contesto storico-culturale in cui si inserisce e per la strutturazione interna
dei gruppi capace di offrire ai propri membri un’identità in altri contesti negata.
Anche se dall’esterno possono sembrare “anomici”
3
, i gruppi ultras sono di fatto
3
Mancanza di norme o regole. Il termine, di origine sociologica è stato introdotto da Durkheim (1897)
per descrivere quella situazione in cui l’agire secondo norme non viene più vissuto come una meta
sociale. Si determina così uno stato anomico della società dove cedono i valori che l’avevano tenuta
integrata (Galimberti, 1994).
10
altamente “nomici”, organizzati informalmente e gerarchicamente con una
divisione degli incarichi e una distribuzione dei ruoli effettuata in base alle
competenze e all’impegno individuale (il direttore dei cori, il responsabile della
coreografia, l’organizzatore delle trasferte).
Come evidenziano Marsh, Rosser e Harrè (1984) il comportamento dei loro
membri è governato da un preciso e sovente ferreo repertorio di regole. Pertanto
distinguere tra i concetti di aggressività e quello di violenza, spesso usati come
sinonimi, è il primo fondamentale passo da fare verso la comprensione di tali
regole. L’aggressività può essere definita solo tenendo in considerazione il
processo che può avere diversi sviluppi in relazione al contesto: può così
esprimersi in azioni violente, come in manifestazioni comportamentali rituali che
gli autori denominano aggro
4
. Non si tratta semplicemente di attività ordinate,
ma di azioni sostenute da un complesso sistema di simboli che sottendono
significati specifici. Anche allo stadio, come nel più ampio contesto sociale,
esistono meccanismi che permettono di controllare e dirigere l’aggressività dei
suoi membri. Una struttura di regole implicite, un insieme di aspettative
comportamentali a cui i tifosi si attengono e che rendono prevedibili le
dinamiche interattive: sono “le regole del disordine” (Marsh, Rosser, Harrè,
1984).
In contrasto con teorie sociologiche, con la loro enfasi sulle classi e i
cambiamenti macro politici, il lavoro di Peter Marsh e dei suoi collaboratori è
centrato principalmente sul comportamento osservato e sui resoconti forniti dai
tifosi stessi.
4
Il termine aggro si riferisce alle manifestazioni rituali di violenza (Marsh, 1978).
11
Il paradigma teorico su cui Marsh fonda le sue analisi, si origina dal lavoro di
Harrè e Secord (1972) ed è stato successivamente etichettato come approccio
etogenico
5
o nuovo paradigma in psicologia sociale. Anziché condurre
esperimenti in laboratorio trattando le persone come soggetti di ricerche
empiriche, per capire il comportamento dei tifosi, per tre anni Marsh passò il suo
tempo sui terreni di gioco, sui treni e gli autobus che viaggiavano per le partite in
trasferta e nei pub dove i tifosi spendevano il resto del loro tempo libero. Il
principale intento era quello di avere un punto di vista da insider del football
hooliganism e stabilire un modello di base esplicativo del fenomeno. A sostegno
del suo lavoro, Marsh concluse che molto spesso, quello che viene definito come
violenza, in realtà è un comportamento altamente ritualizzato ed è meno
pericoloso di quello che potrebbe sembrare. Egli suggerì che gli scontri tra tifosi
sono in realtà altamente ordinati e le azioni sociali sulle gradinate sono guidate e
vincolate da implicite regole sociali.
Essere un football hooligan permette ai giovani maschi, con poche prospettive di
successo a scuola o sul lavoro, di acquisire un senso di identità e valore personale
attraverso il riconoscimento dei propri pari. Le gradinate degli stadi permettono
in questi termini una "carriera" alternativa e soddisfacente rispetto agli insuccessi
scolastici o lavorativi. Sulla base dei rapporti ufficiali del governo e delle forze di
polizia, Marsh dimostrò che i dati relativi alle conseguenze del teppismo
calcistico erano stati fortemente sovrastimati.
5
Tra le tesi maggiormente significative sostenute dai due autori la necessità di concepire le persone come
agenti che ricercano e producono l'informazione, piuttosto che come macchine che la trasformano;
l'importanza conferita all'attività del soggetto percipiente che implica la sua capacità di scelta; la
competenza anticipatoria ed immaginativa del soggetto e quindi la sua capacità di aderire o di darsi regole
percettive in relazione all'ambiente; la critica radicale verso la sperimentazione in laboratorio (Salvini,
Pirritano, 1984).
12
Dal momento che la violenza è un aspetto ostentato e ritualizzato, il cui scopo è
quello di ottenere stima e prestigio del gruppo del pari, essa secondo Marsh, è
un'attività praticata abbastanza di rado.
Marsh fu accusato, per queste sue dichiarazioni dalla stampa e dai circoli
accademici, di giustificare il comportamento violento dei tifosi, fu "obbligato" a
precisare le sue tesi alla luce degli incidenti letali che accaddero negli anni '80
6
.
Egli continuò a sostenere che il comportamento dei tifosi è un'attività
ritualizzzata e che se il football hooliganism si è spostato da un rituale verso un
tipo più pericoloso di comportamento, la causa è delle inappropriate misure che
furono introdotte per combattere il problema e della distorsione operata dei
media nei resoconti degli incidenti sui campi di calcio. Nonostante le critiche
subite va evidenziato come gli autori della scuola di Oxford non volessero negare
la potenziale pericolosità di certe attività rituali (la metafora può non essere
compresa, le regole possono essere disattese, la struttura normativa può
dimostrarsi inadeguata in certe circostanze), quanto cercare di evidenziare il
senso e il valore che i rituali svolgono nel controllare e dirigere l’aggressività dei
propri membri. "I rituali spesso mediano e neutralizzano l’aggressività, è di
questi che è importante occuparsi senza chiedersi se l’uomo sia per natura
aggressivo o pacifista" (Marsh, Rosser, Harrè, 1984, p.163). Diversamente da un
rituale etologico, un rito sociale è soggetto a mutamento. L’uomo può alterare i
suoi riti, ma non può farne a meno, ogni manifestazione di vita con altre persone
necessita di regole e simboli.
6
Nel maggio del 1985 prima della finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool allo stadio
"Heysel" di Bruxelles, l'aggressione da parte dei tifosi inglesi nei confronti del settore occupato dai tifosi
italiani, provocò una reazione di fuga e panico con il conseguente crollo di una parte della tribuna che
causò la morte di 39 persone. Le responsabilità per la morte degli italiani, oltre che all'aggressione dei
tifosi inglesi, sono in questo caso da attribuirsi all'inadeguatezza dell'impianto e ad una irresponsabile
distribuzione degli spettatori: il settore italiano era occupato da tifosi non ultras che erano stati sistemati
vicino alla cop (la curva) dei tifosi inglesi.
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Gli ultras sono individui impegnati in un tentativo di ridefinire le regole del gioco
(a cui non vogliono rinunciare) che costituisce la condizione necessaria per
partecipare attivamente allo spettacolo (Termini, Gnisci, 1996).