“Ci fu un tempo in cui si credette che il suolo d'Italia fosse il più
fertile e ricco del mondo e bastasse graffiarlo con un chiodo per
farne zampillare ricchezze mai più vedute. Poi quella della ricchezza
del suolo italiano divenne una leggenda, e la nostra terra fu detta
naturalmente povera. Ambedue le credenze erano erronee, perché
basate su un' imperfetta conoscenza dei fatti”.
(Luigi Einaudi 1874-1961 da Il suolo d'Italia,
Conoscere il mondo di F. Palazzi)
3
INTRODUZIONE
Quando è stato che abbiamo smesso di sapere da dove viene ciò che mangiamo?
Quando è stato che gli involucri degli alimenti hanno superato la bontà,
l’attrattività e la quantità del cibo stesso? Quando è stato che ci siamo scordati il
valore di uno dei mestieri più significativi della storia, quello dell’agricoltore? La
maturazione dei prodotti, il bello o il cattivo tempo, non sono più un affare
esclusivo del vecchio contadino che abita nella campagna lontana dalle nostre
città dai nostri ritmi e abitudini, ma in questa nuova fase di riavvicinamento alla
fonte del cibo è diventato affare di tutti, argomento condiviso da chi mangia oltre
che da chi produce. È una valorizzazione della ruralità quella a cui stiamo non
solo assistendo ma anche partecipando, o meglio una ri-valorizzazione, già,
perché chi prima e chi dopo ci facciamo i conti tutti, con le risorse che si
esauriscono, con la nostra terra sempre più avvelenata, con le emergenze e i danni
nell’alimentazione e negli alimenti. Rivedere il nostro sistema di consumi è
necessario per tornare a dare il giusto valore al cibo, quel valore che le super
promozioni ci hanno fatto confondere, e ci hanno fatto pretendere erroneamente
un prezzo basso come se ci fosse dovuto, senza pensare mai a come quel prezzo si
forma, anzi talvolta a scapito di che cosa si forma. Per tutte queste ragioni occorre
riconsiderare l’antico sapere contadino oltre che i ritmi della terra, anzi non solo
occorre, ma si rivela sempre più indispensabile.
È in questo clima di rispetto della terra che abitiamo che si sviluppano i Farmers’
Markets: non lasciamoci ingannare dal nome in inglese più trendy e accattivante,
non ci troviamo infatti di fronte all’ ennesima moda del momento, o per lo meno
questo è ciò che mi auguro e che cercherò di dimostrare nelle prossime pagine. I
cosiddetti mercati dei contadini potranno anche far sorridere molti, in un primo
momento, non sembrano un fenomeno degno di nota ma piuttosto delle
folkloristiche bancarelle, ma frequentandoli e cercando di capire come sono nati e
come continuano a diffondersi si riescono a cogliere le relazioni che si stanno
instaurando col mondo contadino, relazioni che l’industria alimentare e gli stili di
vita frenetici stavano rischiando di farci perdere. Tuttavia quella che mi accingo a
scrivere è una tesi di economia, quindi cercherò di quantificare il fenomeno dei
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Farmers’ markets e di delinearne un trend passato e uno futuro, i temi che
verranno toccati non li vedo però come “romantiche” visioni ecologiste che
sciameranno all’arrivo della prossima moda, ma tematiche con cui, se già non lo
stiamo facendo, dovremo tutti imparare a vivere, fortunatamente. Inoltre, avendo
studiato marketing e trade marketing in questi ultimi anni e, nonostante abbia
scelto un argomento che va in controtendenza alle grandi industrie ed aziende
della GDO, credo che l’importante sia cogliere i segnali deboli, come mi è stato
insegnato, cioè quei fenomeni che partono da pochi e con poco e spesso arrivano
lontano. Per di più penso che sia cruciale capire, come in tutte le fasi, dove va il
consumatore, cosa desidera e cosa desidererà in seguito, e non è detto che a dare
queste risposte siano sempre “i più grandi”.
Per inquadrare meglio il fenomeno dei Farmers’ markets di cui tratta la tesi è
stato regolamentato da un decreto del Ministero delle Politiche Agricole
Alimentari e Forestali nel 2007, l’anno scorso (2010) si contava un totale di oltre
705 mercati attivi che coinvolgevano già più di 16000 produttori in Italia, per un
fatturato stimato in 320 milioni di euro, ora sfioreranno il migliaio (fonte dati
Coldiretti, vanno poi aggiunti i mercati organizzati da altre associazioni, quelli
organizzati con frequenza non regolare o quelli che per ragioni varie non rientrano
nelle statistiche).
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CAPITOLO I
UNA NUOVA COSCIENZA SOCIALE
1.1 Back to basic: moda o inversione strutturale?
Sarà stata la crisi economica ad aver mosso un desiderio di ritorno all’economia
reale e ad una volontà di maggiore concretezza negli scambi ma ciò a cui si assiste
oggi è un ritorno alle origini che si esprime sotto molteplici aspetti. Tutti hanno
assistito, o vissuto in prima persona, a cosa può portare il vivere al di sopra delle
proprie possibilità, il celebre “American way of life” ha fatto sfuggire la
situazione di mano ed il cambiamento di rotta è stato quasi naturale. Nello stesso
tempo la crisi ha portato anche ad una perdita effettiva ed ingente di posti di
lavoro, e molte persone hanno così pensato, con molto spirito d’iniziativa e
altrettanto sforzo, di reinventarsi ad esempio piccoli coltivatori. Il nuovo
orientamento che va emergendo è fatto di consumi e spese più oculati, di
riflessione prima di buttare o sostituire un oggetto, di ricerche su internet per
trovare il miglior rapporto qualità-prezzo o anche solo per avere un’idea precisa,
del prodotto che si intende acquistare, delle sue caratteristiche e delle alternative
1
.
È un ritorno al giusto valore quello in cui ci stiamo addentrando, sia del denaro
che degli oggetti, ma non solo, al giusto valore del tempo e delle relazioni. Non è
infatti solo una questione di consumi, back to basic è una tendenza che sta
investendo molto altro: semplicità, autenticità e ricerca o riscoperta delle radici
sembrano essere le parole guida. È così che si spiegano vari fenomeni come il
lento ma progressivo ripopolarsi delle zone di campagna, l’improvvisa quanto
sensata decisione di molti di passare da una vita di lavoro frenetico e pieno di
stress ad una di fatica fisica ma costellata di soddisfazioni tangibili, è quanto è
successo a chi ha deciso di stabilirsi in campagna e dedicarsi all’attività agricola
ad esempio. Già da qualche anno si è avviata la tendenza di un ritorno nelle
campagne: accantonare per sempre i ritmi dettati dalle sveglie, dai cartellini da
timbrare, dai semafori o dagli orari dei mezzi: per molti è solo una distrazione per
il week end, ma ci sono anche persone che investono tutti i risparmi della propria
vita nell’agricoltura sostenibile perché la considerano un modello di vita
1
Cfr. Latouche S., La scommessa della decrescita, Feltrinelli, Milano, 2007, pp. 154-155.
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alternativo a quello del grande commercio, della grande produzione, e dei prodotti
che viaggiano per decine di migliaia di chilometri prima di arrivare sulle nostre
tavole. Lo scopo per chi investe in questo genere di impresa (ma anche per i
consumatori finali) è tornare ai ritmi della natura e lavorare per migliorare la
propria salute e la qualità dell’ambiente.
Lo sgretolamento dell’economia di carta ha portato probabilmente anche ad un
riavvicinamento all’economia reale, quella dei produttori che coltivano prodotti, li
trasformano e in modo diretto li vendono, e chi li acquista, acquista nel contempo
garanzia, sicurezza alimentare, gratificazione nell’aver fatto una scelta giusta e
nello stesso tempo assicura un reddito reale all’agricoltore. L’esigenza del fare e
dell’essere partecipi alla creazione di quanto si acquista spiega il più ampio
fenomeno del “prosumerismo” (dove il consumatore svolge il ruolo che prima era
esclusivo del produttore) e del cosìdetto “pick your own”, cioè l’auto raccolta
dagli alberi da frutto “adottati” presso un coltivatore o l’adozione di un animale da
allevamento vero e proprio di cui poi si potranno godere i derivati a titolo
personale, o ancora il diffusissimo fenomeno dell’orticoltura, anche in versione
“da appartamento”.
Semplicità e autenticità nei consumi significano riscoprire ad esempio da chi e
come viene prodotto il cibo di cui ci nutriamo, che ha una storia, che nella
maggior parte dei casi non conosciamo perché lo troviamo sullo scaffale di un
supermercato. Questo implica quindi anche un recupero del tempo che
congestionato e scandito da orari ci dà l’impressione che quando è libero sia
tempo perso. Quest’ ansia di perdita del tempo di cui parla Giampaolo Fabris nel
suo libro “La società post-crescita” ci deriva dall’eccessivo e consolidato just in
time, dal multitasking, dall’esigenza di accelerare e flettere ogni momento,
generando così una generale concitazione sociale.
Recupero della lentezza e delle radici di ognuno di noi, sembrano andare in
controtendenza con il recente passato dove il punto d’arrivo era sentirsi cittadini
del mondo e allontanarsi sempre più dal proprio luogo d’origine poiché il centro
d’interesse era sempre altrove. Vediamo che queste tendenze sono sovrapposte e
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anzi spesso convivono in ognuno di noi. Ad essere coinvolta in questa tendenza
dicevo, è anche la ripresa dei rapporti interpersonali, che ha portato alla nascita ed
alla diffusione del social networking, che ha la sua emanazione positiva nella
creazione di comunità (come i Gruppi d’Acquisto Solidali), nel ritrovamento di
vecchie amicizie e nello sviluppo di nuove, ed una sua emanazione negativa
ovviamente data dall’abuso di questi potenti mezzi. Quello che comunque emerge,
come sostiene Fabris, è la voglia di comunità che si è diffusa nella nostra società,
è infatti un continuo assistere alla nascita di microgruppi animati spesso dal
desiderio di stare insieme o di condividere un’esperienza comune (come la nascita
di un figlio, il fatto di possedere un certo animale domestico, o l’aver frequentato
un certo luogo). L’impegno nella difesa delle proprie radici ed il desiderio di
comunità emergono anche dal continuo proliferare di feste e sagre di paese,
momenti aggregativi e in cui si sente forte l’appartenenza ad una collettività.
Coerente con queste tendenze è il nuovo Social Media Food Market, nato
dall’idea di due parigini nel maggio dello scorso anno, ha avuto grande successo a
Parigi e si sta diffondendo anche in altri paesi. È un incrocio tra un blog ed un
social network che porta il simpatico nome di “Super Marmite – It’s coking up in
your neighborhood”
2
, permette alle persone di vendere a prezzi ragionevoli delle
porzioni extra di cibo preparato in casa, permettendo in questo modo di evitare
sprechi e di guadagnare qualcosa. Presto sarà disponibile anche come application
su smartphone e per usufruirne basta iscriversi, pubblicare una lista dei piatti che
si prepareranno, o si stanno preparando, specificando porzioni, tempi di cottura e
proprio indirizzo ed il prezzo. Chi è interessato al piatto lo segnalerà tramite
Facebook o Super Marmite e si presenterà per il ritiro della sua porzione fatta in
casa. Vediamo quindi come in un fenomeno del genere si intersechino la voglia di
condivisione, quella di mangiare cose preparate in casa ed in generale di creazione
di una rete di conoscenze.
L’ inclinazione generale del back to basic continua comunque a convivere con
altri trend come quello del “mordi e fuggi” cioè della breve durata dei prodotti (la
cui versione più negativa è rappresentata dall’usa e getta), delle relazioni, dei
2
La traduzione è all’incirca: “super pentola sta cucinando qualcosa vicino a casa tua”
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viaggi, del “low cost” per qualsiasi cosa o al contrario del lusso estremo, dai
ristoranti, alle vacanze, agli oggetti.
Quali sono allora gli indicatori che ci possono far pensare che questa non sia una
moda che presto verrà soppiantata ma piuttosto un’ inversione strutturale? Vari
fattori si mescolano nel ritorno alle origini e nel recupero selettivo del passato:
tanto per cominciare è una corrente che pervade tutti gli ambiti del vivere, anche
se non tutta la società nei suoi vari strati, inoltre si può ammettere che in molti
luoghi come i piccoli e medi comuni piuttosto che nelle grandi città, questa
tendenza ci sia sempre stata, cioè la tradizione non è mai stata sorpassata o
dimenticata, ma piuttosto si è cercato di mantenerla sempre viva conciliandola
nello stesso tempo con il nuovo che avanza. Per di più “back to basic” si sposa
molto bene con le attuali e lodevoli iniziative e correnti ecologiste, ambientaliste e
antispreco
3
. È quindi un ritorno alle origini doveroso anche da un punto di vista
della sostenibilità ambientale. Queste ultime non possono essere correnti
passeggere in quanto loro oggetto è il futuro del pianeta stesso è quindi fuor di
dubbio che progrediranno e anzi arriveranno a coinvolgere anche coloro che
ottusamente cercano di rimanerne fuori. A cambiare forse saranno le modalità di
attuazione, in quanto ad esempio una piccolissima percentuale di coloro che
hanno deciso di avvicinarsi alla vita di campagna saranno disposti a rinunciare a
quei comfort che nel corso degli anni sono stati raggiunti come i servizi interni
all’abitazione per citarne uno, ma rimane l’intento nitido della semplicità e della
genuinità degli usi a trainare la corrente. Non è un tempo preciso quello che ci
attrae, forse quello dei nostri nonni indicativamente, che ci porta a cinquanta o
sessant’anni fa, è il “come una volta” che ci affascina e ci accomuna, che sa di
fatto in casa, di “abbastanza” invece che di eccesso
4
. Sarà il tempo a stabilire se
l’inversione di tendenza sarà duratura.
3
Cfr. Antonelli G. (a cura di), Marketing agroalimentare, Ed. Franco Angeli, Milano, 2009, p. 190
4
Vedi “rivoluzione culturale” Cfr. Latouche S. La scommessa della decrescita, Feltrinelli, Milano
2007, p. 103
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1.2 Farmers’ markets: l’esperienza estera
In un certo senso i mercati degli agricoltori sono sempre esistiti, proprio perché
quella della vendita diretta sembra la tecnica più antica e sensata, le prime forme
di mercati si basavano esattamente sui coltivatori che andavano in città e con il
loro banco vendevano quanto erano riusciti a produrre. Tuttavia la diffusione delle
monocolture, dell’agricoltura industriale e della grande distribuzione, hanno fatto
si che il fenomeno a cui assistiamo da alcuni decenni negli Stati Uniti e da alcuni
anni in Italia, divenisse una riscoperta o ancor più spesso una nuova scoperta.
Negli Stati Uniti i mercati contadini sono circa 4400 (fonte: United States
Department of Agriculture, agosto 2006), hanno avuto un incremento medio
annuale del 12%. Attualmente il numero più elevato di mercati contadini si conta
in California, grazie probabilmente al clima mite e ai prolifici vigneti. La prima
esperienza però è sorta a Madison, capoluogo del Wisconsin, il 30 settembre
1972. Inizialmente i produttori erano 11 e il loro numero è cresciuto rapidamente
sino a raggiungere gli attuali 120. Il mercato nasce sulla scia di una radicata
tradizione: dal 1850 al 1920 gli agricoltori locali hanno sempre venduto i loro
prodotti direttamente, in prossimità dell’attuale piazza del Campidoglio (Capitol
Square). Il mercato si svolge il sabato, dalle 6,30 alle 13, e da aprile a ottobre nel
centro della città, mentre da novembre a marzo (dal 2001) in una struttura coperta
messa a disposizione dal comune. Nel mercato di Madison i primi contadini
arrivano verso le 5 del mattino e tutti devono essere comunque presenti entro le
6,30 perché i primi clienti, tra i quali le cosiddette «giacche bianche», i cuochi di
ristoranti e alberghi della zona che sono spesso alla ricerca di prodotti particolari,
erbe rare e primizie, cominciano ad arrivare molto presto. Arrivano poi i clienti
abituali, che fanno regolarmente la spesa per l’intera settimana. Il mercato è nato
sotto la tutela della città e della contea ed è ora gestito da un’organizzazione no
profit composta da circa 300 membri. Esiste anche un comitato di gestione,
composto dal direttore e da 7 collaboratori, scelti tra tutti gli espositori, che ogni
anno verifica le regole e formula eventuali proposte per ottimizzare l’offerta. I
10
venditori, per qualificarsi come membri del mercato, devono condurre
direttamente il fondo e occuparsi, in particolare, della produzione dei prodotti che
intendono vendere. Il proprietario-titolare dell’attività deve essere presente al
mercato, anche se amici, parenti e collaboratori possono aiutarlo sia nella
produzione sia nella vendita dei prodotti. Questo terzo punto è particolarmente
importante: il responsabile dell’attività deve rispondere a domande del tipo «come
è stato prodotto?», «come posso usare il prodotto?» e deve prendere decisioni in
merito a variazione dei prezzi, offerte, promozioni, ecc. I prodotti trasformati
devono provenire per la maggior parte da materie prime aziendali e ogni venditore
firma un contratto con il quale consente al direttore del mercato di ispezionare
l’azienda in qualsiasi momento e per qualsiasi motivo; i controlli vengono
comunque effettuati regolarmente. Le ispezioni vengono attuate anche dal
Dipartimento della salute che controlla temperatura dei frigoriferi, etichette, ecc.
Il mercato ha raggiunto un ottimo rapporto con i ristoratori della città, che ne
utilizzano i prodotti quale elemento di qualificazione del ristorante che viene
identificato da un cartello specifico; uno dei migliori ristoranti di Madison riporta
nel menù i nominativi dei produttori. Il comune di Madison fornisce alle persone
in condizioni economiche disagiate dei buoni spesa da utilizzare al mercato
contadino.
Negli Stati Uniti il fenomeno dei mercati contadini ha conosciuto negli ultimi anni
una forte crescita: il loro numero è aumentato del 78% tra il 1994 e il 2002, al
punto da preoccupare fortemente le catene della grande distribuzione organizzata.
Nel 2000 uno studio dell’USDA (United States Department of Agriculture)
condotto sui mercati contadini americani ha stimato il loro volume di affari in 890
milioni di euro l’anno. Nel 2002 gli agricoltori che hanno venduto direttamente i
loro prodotti esclusivamente nei farmers’ markets, sono stati 19.000 ed ora il
numero è quasi triplicato. Lo sviluppo di questi mercati e l’enorme successo
riscosso tra i consumatori hanno indotto il Dipartimento dell’agricoltura degli Usa
ad approvare un programma di promozione dei mercati contadini con una
dotazione finanziaria di 1 milione di dollari. Ogni mercato può ricevere contributi
sino a 75.000 dollari. I mercati contadini sono protagonisti anche dell’educazione
alimentare con iniziative rivolte alla sicurezza e alla qualità dei generi alimentari e