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CAPITOLO I
LA TESTIMONIANZA COME PROVA PENALE
1. La testimonianza come prova penale; 2. l‟oggetto della testimonianza; 3.
la capacità di testimoniare; 4. indagine sull‟idoneità del teste; 5. la
testimonianza indiretta; 6. la prova testimoniale e i segreti; 7.
l‟incompatibilità a testimoniare; 8. modalità di assunzione della
testimonianza.
1. La testimonianza come prova penale
La prova testimoniale ha sempre costituito la spina dorsale di ogni sistema
probatorio dal diritto romano ad oggi
1
.
Questo era già evidente sotto la vigenza del codice del 1930, informato a
principi inquisitori, ma oggi, sotto la vigenza del codice del 1989, grazie
all‟introduzione di un sistema processuale di tipo accusatorio, incentrato
sulla formazione della prova dinanzi al giudice e nel contraddittorio delle
parti, la testimonianza costituisce la prova “principe” nella ricostruzione
dei fatti su cui il giudice deve pronunciarsi.
Il carattere accusatorio del processo si manifesta più specificamente nel
principio enunciato dall‟articolo 190 del codice, secondo cui le prove sono
ammesse su richiesta delle parti, del pubblico ministero o delle parti
private, e, solo eccezionalmente, ai sensi degli articoli 195 e 507 c.p.p., dal
magistrato d‟ufficio.
1
C. MUSATTI, Intervento, in La testimonianza nel processo penale (Atti dell‟VIII Convegno E.
De Nicola, Foggia, 13-15 ottobre 1972), Milano, 1974, p.295.
10
Si noti inoltre che ogni richiesta avanzata dalle parti è sottoposta al
giudizio di ammissibilità del giudice, che della prova valuta la rilevanza e
la pertinenza per la decisione onde disporne l‟ammissione e l‟assunzione.
La parte è titolare di un vero e proprio diritto alla prova: ha diritto cioè
all‟accoglimento della domanda. Il giudice, dal canto suo, è tenuto ad
ammettere la prova dedotta con due sole eccezioni: se la richiesta verte su
prove vietate dalla legge (per esempio, un esame sotto ipnosi o la
testimonianza dell‟imputato), su prove manifestamente superflue (per
esempio se una parte deduce un numero iperbolico di testimoni da sentire
sulla stessa circostanza) o manifestamente irrilevanti (per esempio, una
testimonianza del tutto priva di utilità con riferimento all‟oggetto del
processo).
Una volta ammessa, a seguito della domanda di parte, la prova deve
essere assunta secondo le modalità previste dalla legge (o dal giudice se si
tratta di prove innominate da lui disposte ai sensi e nel rispetto degli
articoli 188 e 189 c.p.p.).
E‟ possibile che nello svolgimento dell‟attività processuale una prova
inizialmente ammessa si riveli superflua od irrilevante; in tal caso il
giudice, onde evitare d‟appesantire inutilmente il processo, può revocare il
provvedimento ammissivo dell‟elemento probatorio, previa audizione
delle parti, per non pregiudicare il loro diritto alla prova.
Dal carattere accusatorio del processo penale discende la distinzione tra
mezzi di prova e mezzi di ricerca della prova; i primi, ai sensi degli articoli
194-234 c.p.p. sono istituti processuali immediatamente funzionali alla
decisione giudiziale (testimonianze, documenti, perizie, esperimenti
giudiziali, ecc…), i secondi, ex articoli 244-271 c.p.p., sono strumenti
processuali necessari per acquisire le fonti di prova (sequestri,
intercettazioni telefoniche, ispezioni, perquisizioni ecc…).
La prova, in generale, consiste nell‟atto o documento idoneo a fornire la
certezza circa il modo di essere di un fatto relativo al merito del processo
11
(si pensi, per esempio, all‟innocenza o alla colpevolezza dell‟imputato)
ovvero agli aspetti processuali.
L‟operazione probatoria è complessa; al fatto da provare si arriva solo
dopo un macchinoso procedere investigativo ed intellettivo. Trattando
l‟argomento in termini teorici potremmo dire di trovarci di fronte ad una
triade di elementi: un enunciato osservativo del presente (fatto da
provare), un enunciato del passato sul fatto da provare (la prova), collegati
da un momento epistemico che ci permette di verificarne la coerenza.
Tra gli enunciati osservativi del passato, ossia le prove, differenziamo: le
prove costituende e quelle precostituite. Le prime (tra cui la
testimonianza) si formano nel dibattimento e nella fase preliminare del
processo attraverso l‟azione di chi partecipa al processo, le seconde invece
si formano fuori da esso o comunque vi preesistono (si pensi ad un
documento quale una lettera o una telefonata).
Si distingue inoltre tra prove dirette, che hanno come oggetto lo stesso
fatto da provare (per esempio, la testimonianza di chi ha assistito ad un
omicidio) e prove indirette, che hanno ad oggetto un fatto diverso dal
quale, con un ragionamento logico, il giudice può desumere il fatto da
provare (es.: testimonianza di colui che ha visto il presunto omicida
nascondere una pistola).
Oggetto di prova, ai sensi dell‟articolo 187 del codice di procedura penale,
sono i fatti che si riferiscono all‟imputazione, alla punibilità e alla
determinazione della pena o della misura di sicurezza, i fatti da cui
dipende l‟applicazione di norme processuali e, nel caso vi sia costituzione
di parte civile, i fatti inerenti la responsabilità civile derivante da reato.
Il giudice valuta le prove sulla base del proprio libero convincimento,
senza che possano crearsi artificiose gerarchie tra i mezzi di prova. Egli, ai
sensi dell‟articolo 192.1°co. c.p.p., è tuttavia tenuto a render conto nella
motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati nella valutazione
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delle prove, avendo il dovere di scegliere, tra gli elementi probatori offerti
al suo esame, quelli più idonei al conseguimento della decisione.
Nello svolgimento processuale si dispone di varie proposizioni probatorie
che, attraverso generalizzazioni induttive consentono di giungere all‟esito
del giudizio.
Spetta al giudice stabilire se le prove a sua disposizione consentono, o
meno, di provare oltre ogni ragionevole dubbio la colpevolezza
dell‟imputato che, si ricordi, è innocente fino a prova contraria.
Passiamo ora ad occuparci di alcuni personaggi che compaiono sulla scena
del processo penale sebbene non siano tra i soggetti menzionati nel libro I°
del codice, avendo il legislatore ritenuta preminente la messa a fuoco
dell‟attività ch‟essi esplicano ai fini della formazione del materiale
probatorio: i testimoni.
E‟ testimone la persona chiamata a narrare le proprie percezioni relative a
fatti da accertare processualmente. La sua presenza processuale è diretta a
fornire informazioni utili in base a quanto egli stesso ricorda di avere
sensorialmente appreso
2
.
La testimonianza può essere definita come una dichiarazione di scienza
concernente percezioni dirette di chi la rende
3
.
Il codice vigente riserva la qualità di “testimoni” alle sole persone
chiamate a rispondere a domande davanti al giudice, anche se l‟esame
avviene durante l‟udienza preliminare o in sede d‟incidente probatorio.
L‟articolo 120 c.p.p. tratta la particolare figura dei “testimoni ad atti del
procedimento”, il cui compito è asseverare il compimento di determinati
atti nella prospettiva processuale globale, affinché siano compiuti secondo
precise modalità. Coloro che sono ascoltati a fini investigativi dalla polizia
giudiziaria o dal pubblico ministero durante le indagini preliminari, sono
2
M. CHIAVARIO, Diritto processuale penale, profilo istituzionale, II ed. Utet, Torino, 2006,
p.200.
3
N. TRIGGIANI, Commento all‟art. 194 c.p.p., in Commento al c.p.p. Giarda e Spangher, vol II,
Milano, 2001, p.1057.
13
definiti invece, più genericamente, “persone che possono riferire
circostanze utili ai fini delle indagini” (articoli 351 e 362 c.p.p.).
2. L’oggetto della testimonianza
Coerentemente con una tradizione legislativa consolidata, il legislatore ha
rigorosamente circoscritto i limiti oggettivi della testimonianza: solo i fatti
che costituiscono oggetto di prova possono costituire il contenuto delle
dichiarazioni del teste e, di conseguenza, delle domande a lui poste in
sede di escussione testimoniale.
Oggetto della prova testimoniale sono, ai sensi dell‟articolo 187 c.p.p.,
quelli che “si riferiscono all‟imputazione, alla punibilità e alla
determinazione della pena o della misura di sicurezza” e quelli da cui
dipende l‟applicazione di norme processuali ai sensi del secondo comma
del medesimo articolo.
Se vi è costituzione di parte civile, il terzo comma dell‟articolo 187 prevede
che la testimonianza possa vertere su fatti inerenti la responsabilità civile
nascente da reato e, quindi, sui problemi del danno e sulle questioni
civilistiche che ad esso sono in qualche modo legate.
Ai sensi dell‟articolo 194.1°co. c.p.p. il teste “non può deporre sulla
moralità dell‟imputato salvo che si tratti di fatti specifici, idonei a
qualificarne la personalità in relazione al reato e alla pericolosità sociale”.
Qualora i limiti dei divieti probatori siano violati, l‟indirizzo
giurisprudenziale prevalente in tema di valutazione della prova
testimoniale, consente l‟applicazione del principio della “scindibilità della
valutazione dalla testimonianza”, che consente di ritenerne veritiera una
parte, disattendendone altre nel contempo. Il giudice dovrà comunque dar
conto dell‟applicazione di tale principio con adeguata motivazione che
esplichi le ragioni di tale diversa valutazione e del perché il configgente
esito di essa non si rifletta in un complessivo contrasto logico-giuridico
14
della prova posta a supporto della decisione
4
.
Il particolare ruolo di collegamento tra il giudice ed il fatto storico, svolto
dal testimone nel processo penale, giustifica l‟ulteriore ampliamento della
prova testimoniale “ai rapporti di parentela e d‟interesse che intercorrono
tra il testimone e le parti o altri testimoni nonché alle circostanze il cui
accertamento è necessario per valutarne la credibilità”(articolo 194.2°co.
c.p.p.).
L‟elenco all‟articolo 194.2°co., c.p.p. si chiude con un‟indicazione ampia e
generica riguardo all‟estensione dell‟esame del teste, che può spingersi
fino alle «circostanze il cui accertamento è necessario per valutarne la
credibilità». In conseguenza, quando appare necessario, è possibile
addentrarsi nelle informazioni da richiedere al teste per conoscerne il
profilo umano, la sua individualità e la sua posizione in relazione ai fatti
narrati; sempre nel rispetto della prescrizione legislativa per cui “la
deposizione sui fatti che servono a definire la personalità della persona
offesa dal reato è ammessa solo quando il fatto dell'imputato deve essere
valutato in relazione al comportamento di quella persona”.
L‟art. 236.2°co. c.p.p. ammette poi, al fine di valutare la credibilità di un
testimone, che possano essere acquisite le sentenze irrevocabili di
qualunque giudice italiano, le sentenze straniere nonché i certificati del
casellario giudiziale
5
.
Non deve dimenticarsi inoltre, che l‟art. 500 c.p.p. prevede la possibilità di
contestare mediante lettura al teste escusso in dibattimento, le
dichiarazioni precedenti rese nel corso delle indagini preliminari alla
polizia giudiziaria, al pubblico ministero o al giudice per le indagini
preliminari, se discordanti con quelle rese in dibattimento, onde fornire
4
Cass., sez. un., 6 luglio 1998, n. 7900; Cass., Sez. VI, 4 agosto 1999, Gabrielli, G.Dir, 1999,
p.42, p.98; Cass., Sez. VI, 22 aprile 1998, Martello, Giust.Pen., 1999, III, p.443.
5
N. TRIGGIANI, Commento all‟art. 194 c.p.p., in Commento al c.p.p. Giarda e Spangher, vol II,
Milano, 2001, p.1059.
15
una spiegazione del contrasto, allo scopo di saggiarne la credibilità.
Tutti questi elementi, nel loro insieme, permettono al giudice la
formazione di un quadro completo del soggetto che depone, così da
valutare congiuntamente, sempre secondo la sua discrezionalità,
l‟attendibilità dei fatti narrati e del narrante.
Il terzo comma dell‟articolo 194 persegue lo scopo di garantire la genuinità
della prova sfrondando la testimonianza da ogni possibile divagazione ed
impedendo che vi trovino ingresso gli echi delle voci pubbliche.
Inammissibili sono le deposizioni sulle “voci correnti nel pubblico”. Ai “si
dice”, alle notizie minute che circolano tra la gente, è negato ogni accesso
al fascicolo, costituendo esse la netta antitesi dei “fatti determinati”
6
e
mancando di qualsiasi concreta capacità probatoria.
Un ulteriore divieto, dotato però di un “correttivo”, è riportato nel
medesimo articolo ed attiene agli “apprezzamenti personali” sia sui fatti
conosciuti, che sulle persone coinvolte. L‟attenuazione di codesto divieto è
situata tanto nell‟impossibilità di scindere quelli che sono gli
apprezzamenti, dalla deposizione sui fatti
7
, quanto dall‟evenienza in cui il
teste sia un soggetto che, per i suoi studi o per la professione svolta,
possieda una particolare conoscenza e preparazione sui fatti oggetto della
testimonianza. Se s‟incorre in queste eventualità può ammettersi nel primo
caso, la deposizione contenente apprezzamenti personali, nel secondo, la
richiesta di un parere o apprezzamento sulle circostanze oggetto della
deposizione da parte dell‟esperto
8
. Il divieto non riguarda quindi ogni
6
E FLORIAN, voce, La prova testimoniale, II diritto processuale penale, in Enc.giur. I vol.
Treccani, Roma, 1994.
7
L. SCOMPARIN, Testimonianza, in Le prove. Giur. sist. c.p.p. Chiavario e Marzaduri, vol. II,
Torino, 1999, p.17.
8
Per la posizione della giurisprudenza si veda per tutti, Cass., sez. III, 1 ottobre 1998,
Russo, RP 1999, p.507; Cass., sez. III, 21 dicembre 1998, Crispolti, CP 2000, p.2381. In
dottrina, NAPPI, Commento all‟articolo 194, in Commento al codice di procedura penale
coordinato da Lattanzi e Lupo, III, Milano, 2003, p.99.
16
valutazione soggettiva (ciò si ridurrebbe ad una mera utopia, dal
momento che qualsiasi narrazione è intessuta di giudizi personali, quando
addirittura non si risolve totalmente in essi
9
), ma soltanto quella
valutazione che “resta al di fuori di una costatazione del testimone o che
vada oltre tale costatazione
10
.
La giurisprudenza aggiunge che non sono oggetto di prova, ma possono
essere considerati accertati senza ulteriori argomentazioni dimostrative, i
fatti notori, la cui comprensione appartiene ad un patrimonio di
conoscenze comuni alla generalità delle persone.
Ciò detto, la forza probatoria della testimonianza non si ricollega solo alla
narrazione dei fatti conosciuti dal teste, ma anche alla credibilità accordata
a quest‟ultimo. Essa presenta, quindi, i caratteri della prova complessa: il
contenuto della dichiarazione testimoniale non può essere utilizzato dal
giudice se il dichiarante appare «non attendibile». Spesso si rende
necessaria la valutazione della credibilità del teste e della personalità
dell‟offeso dal reato, ecco perché è prevista la possibilità di estendere
l‟esame al c.d. “oggetto indiretto del processo” e cioè, a fatti
indirettamente collegabili a quelli oggetto dell‟imputazione.
Testimonianza non è, infatti, soltanto ciò che si racconta, ma anche come lo
si racconta: bisogna osservare la spontaneità della narrazione, le reticenze,
le ambiguità e le contraddizioni, l‟atteggiarsi del viso del narratore, il suo
sguardo ed i suoi gesti. L‟esame del teste è anche esame della sua
personalità, intelligenza, memoria, cui si aggiunge un giudizio di
verosimiglianza sui fatti narrati.
Raccontando un fatto conosciuto, anche se lo si fa in modo impersonale, si
è sempre influenzati dalle proprie impressioni e dal proprio modo di
9
M. PISANI, voce, La prova testimoniale, II diritto processuale penale, in Enc.giur. I vol
Treccani, Roma, 1994.
10
E. DOSI, voce, La prova testimoniale, II diritto processuale penale, in Enc.giur. I vol
Treccani, Roma, 1994.
17
sentire.
Nella mente del teste interagiscono tra loro l‟attività intuitiva, quella
conoscitiva e quella rappresentativa, ecco perché non è chiaro fino a che
punto una deposizione possa effettivamente dirsi “neutra”
11
. Chi
presenzia ad un certo avvenimento lo percepisce, lo interpreta e lo registra
nella propria mente in modo squisitamente soggettivo.
Nella fase di cosiddetta di «latenza» (la quale, per le lungaggini
processuali, può protrarsi per lungo tempo) che intercorre fra
l‟accadimento e la deposizione, quanto conosciuto viene ulteriormente
intimamente rielaborato
12
.
Ai sensi dell‟articolo 191 c.p.p., rubricato “prove illegittimamente
acquisite”, l‟eventuale violazione dei limiti che circoscrivono l‟oggetto
della testimonianza produrrà la tipica e generale sanzione processuale
dell‟inutilizzabilità di quando dichiarato.
L‟atto inutilizzabile risulta inidoneo ad essere impiegato con fini
probatori: si tratta di una tipica e generale sanzione processuale che
colpisce gli atti a contenuto probatorio, se acquisiti in violazione dei divieti
stabiliti dalla legge. Ciò mira alla tutela del principio di legalità delle
prove: solo quelle acquisite in modo conforme alle previsioni di legge
possono essere utilizzate ai fini della corretta formazione del
convincimento del giudice. Sarebbero certamente inutilizzabili le prove
acquisite in contrasto ad espressi divieti di legge, come, per esempio, la
testimonianza estorta tramite la minaccia delle armi o attraverso la
somministrazione di droghe ovvero sotto ipnosi (articolo 188 c.p.p.).
Il codice di rito penale del 1988 recepisce dunque le acquisizioni di
11
E. DOSI, La prova testimoniale. Struttura e funzione, Milano, 1974, p.74 «Ogni uomo vede
ciò che vuole vedere».
12
C. DI MARTINO - T. PROCACCIANTI, Introduzione, in Di Martino-Procaccianti, La prova
testimoniale nel processo penale, Cedam, Padova, 1999.
18
un‟attenta dottrina che, vigente il codice Rocco, aveva individuato
nell‟inutilizzabilità, la sanzione per le prove illegittimamente acquisite,
rilevando come la nullità, quando prevista, si risolveva in pratica in un
perverso meccanismo che finiva per aprire un‟inammissibile breccia nel
sistema.
Trattandosi, nella maggior parte dei casi, di nullità relative, la loro
sanatoria avrebbe reso perfettamente utilizzabili i risultati di una prova
assunta contra legem.
13
L‟articolo 191.2° co. c.p.p., consentendo la deducibilità, anche ex officio, in
ogni stato e grado del procedimento, del vizio che riguarda tale prova
garantisce la genuinità del materiale cui il giudice attinge per la
formazione del suo convincimento.
Al riguardo abbiamo già visto che, qualora l‟inutilizzabilità colpisca parte
del contenuto della deposizione testimoniale, il giudice può limitarsi ad
ignorare soltanto le parti che sono in contrasto con le prescrizioni dell‟art.
194 c.p.p., onde valutare, dandone coerente motivazione, solo quelle con
esso coerenti.
Ci si è domandati inoltre, se la sanzione dell‟inutilizzabilità, dettata per le
prove acquisite in violazione dei divieti imposti dalla legge, possa
estendersi anche agli atti delle indagini preliminari (che non costituiscono
mai prove, semmai fonti di prova) inficiati dal medesimo vizio: la
giurisprudenza
14
ha solitamente dato risposta negativa, poiché, trattandosi
di una sanzione, non può essere analogicamente estesa oltre l‟ambito che
la legge ha fissato per la sua operatività.
3. La capacità di testimoniare
L‟articolo 196.1°co riconosce ad ogni persona la capacità di testimoniare.
13
F. CORDERO, Il procedimento probatorio , in Tre studi sulle prove penali, Milano, 1963.
14
Cass., Sez I, 27 gennaio 1992 n. 4745