Alessandra Cuppini
4
Introduzione.
I. Nota storica.
La Corte Penale Internazionale è stata istituita sul finire del XX secolo, periodo
caratterizzato da importanti e notevoli progressi nel diritto e nella giustizia penale
internazionale. I Tribunali Militari Internazionali di Norimberga e Tokyo, i successivi
Tribunali Internazionali ad hoc e Corti ibride hanno contribuito all‟evoluzione della giustizia
internazionale, affinché la Corte possa compiere un percorso efficace e credibile, è importante
che tenga conto degli insegnamenti appresi dai suoi predecessori, senza rinnegare i caratteri
sui generis dello Statuto di Roma che sta alla base della sua esistenza.
1
L‟idea di un tribunale internazionale per giudicare determinati crimini è tutt‟altro che
recente. Un approfondito studio storico di Jenny M. Martinez ha mostrato il ruolo svolto in
primis dall‟Inghilterra nelle regioni dell‟America -Latina e dei Caraibi, attraverso la
costituzione di tribunali internazionali anti-schiavitù. L‟epoca buia del commercio degli
schiavi internazionale ha avuto fine grazie alla combinazione di sforzi interni degli
abolizionisti riformisti e dei tentativi a livello internazionale per reprimere e abolire il
commercio degli schiavi. Tra il 1817 e 1871, la Gran Bretagna aveva stipulato trattati
bilaterali con più di venti nazioni, tra cui Spagna, Portogallo, Paesi Bassi, Stati Uniti, Brasile,
Cile, la Confederazione Argentina, Uruguay, Bolivia ed Ecuador, con il fine di abolire la
tratta degli schiavi
2
, gli eventi storici dell‟epoca , infatti, avevano dimostrato che purtroppo
l‟impegno abolizionista senza un adeguato meccanismo di attuazione avrebbe avut o solo una
limitata osservanza.
Queste corti anti-schiavitù, anche se oggi dimenticate, possono essere ritenute come le
prime corti internazionali per i diritti umani. Nei trattati stipulati erano identificate come
“Mixed Courts of Justice” o “Mixed Commissions” , ma poiché le procedure fornite dai
differenti trattati erano basicamente identiche i due termini sono intercambiabili.
I trattati internazionali istutitivi prevedevano una giurisdizione esclusiva sulla tratta
degli schiavi ma non sulla schiavitù stessa e stabilivano il diritto reciproco degli Stati
firmatari di ricercare e sequestrare le navi sospettate di trasportare schiavi. Pur non essendo
corti penali, giacché non avevano giurisdizione penale sull‟equipaggio delle navi incriminate,
erano composte da un “commissary judge” o “arbitrator”, nominati dai differenti paesi
stipulanti, che svolgevano il proprio mandato in una sede permanente applicando il diritto
1
R. Blattmann e K. Bowman, Achievements and Problems of the International Criminal Court. A View From
Within, Journal of International Criminal Justice, 2008, p. 712.
2
J. M. Martinez, Anti-Slavery Courts and the Dawn of International Human Rights Law, Yale Law Journal,
2008, pp. 550-556.
Alessandra Cuppini
5
internazionale.
3
Secondo i differenti trattati, gli Stati firmatari istituirono una corte nei
possedimenti britannici, una in quelli spagnoli e una terza in quelli portoghesi, rispettivamente
a Freetown in Sierra Leone, Havana a Cuba e a Rio de Janeiro in Brasile. Nonostante siano
stati attivi solo per un periodo di tempo limitato, questi tribunali hanno trattato più di 600 casi
e liberato quasi 80.000 schiavi
4
trovati a bordo dei vascelli che trattavano schiavi. Sebbene i
casi trattati dalle corti anti-schiavitù rappresentano solo una frazione della tratta di schiavi
dall‟Africa occidentale, tralasciando del tutto il commercio che avveniva sulla costa orientale,
la teoria di Martinez mostra come il diritto internazionale e, in particolare, i meccanismi
giudiziari internazionali sono stati utilizzati come importanti strumenti per limitare le più
gravi violazioni dei diritti umani. Più in generale, gli sforzi per abolire la schiavitù e la tratta
degli schiavi hanno avuto successo grazie alla combinazione di entrambi i processi: interni e
internazionali.
Oltre all‟intrinseco interesse storico, le vicissitudini delle corti anti-schiavitù, hanno
notevoli implicazioni su importanti questioni di diritto internazionale. La maggior parte degli
studiosi vede le corti internazionali e i diritti umani come un fenomeno sviluppatosi alla fine
della Seconda Guerra Mondiale con i processi del Tribunale di Norimberga ai criminali
nazisti e con la fondazione delle Nazioni Unite, considerati come momenti importanti per il
diritto internazionale inteso come un meccanismo per proteggere i diritti individuali.
In realtà, il movimento per l‟abolizione della schiavitù del XIX secolo fu la prima
campagna internazionale per i diritti umani: i trattati e le corti internazionali sono le sue
caratteristiche fondamentali. La vicenda delle corti anti-schiavitù rivela una complessa
interrelazione tra potere dello Stato, idee morali e istituzioni interne e internazionali che molte
teorie contemporanee di diritto internazionale conoscono. Rispetto al post Seconda Guerra
Mondiale, che colloca il Tribunale Militare di Norimberga come punto di partenza, la
concezione dei diritti umani internazionali che ha inizio con il movimento antischiavista pone
una maggiore enfasi sugli attori non statali, sia i mercanti di schiavi, che hanno commesso
violazioni dei diritti umani, sia la società civile, che ha guidato i movimenti abolizionisti in
diversi paesi. Invece, i processi di Norimberga si differenziano, poiché riguardavano la
responsabilità penale personale, focalizzandosi sui crimini commessi su ordine degli stati-
nazione, anzi, i crimini contro l‟umanità sono stati riconosciuti solo nella misura in cui sono
stati perpetrati in connessione con il crimine di guerra d‟aggressione, che è stato la base
principale per la competenza della Corte.
3
J. M. Martinez, Anti-Slavery Courts and the Dawn of International Human Rights Law, Yale Law Journal,
2008, pp. 550-556.
4
J. M. Martinez, Anti-Slavery Courts and the Dawn of International Human Rights Law, Yale Law Journal,
2008, p. 553.
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6
In disaccordo con le teorie di Martinez, la ricostruzione storica di M. Cherif Bassiouni
s‟incanala nel solco delle teorie tradizionali sulla nascita della giustizia penale internazionale .
Secondo quest‟ultimo per parlare di giustizia penale internazionale bisogna partire
dalla storia più recente, nel caso di specie tra il 1919 e il 1994, periodo in cui sono state
istituite cinque commissioni d‟ indagine internazionale
5
e quattro tribunali penali
internazionali ad hoc
6
.
Nel 1919, con il Trattato di Versailles, s‟intendeva creare un tribunale penale
internazionale ad hoc per processare il Kaiser Guglielmo II per il “delitto supremo” contro la
pace. Il Trattato prevedeva, inoltre, che gli Alleati vittoriosi fossero legittimati a perseguire i
criminali di guerra tedeschi. Per ragioni politiche, tuttavia, il mandato affidato al tribunale dal
trattato non fu eseguito. Meno di un ventennio dopo, le atrocità della II Guerra Mondiale
evidenziarono l‟inevitabile necessità di promuovere un‟azione penale internazionale.
Gli Alleati vittoriosi istituirono il Tribunale Militare Internazionale di Norimberga, per
giudicare i gerarchi nazisti, attraverso l‟accordo di Londra dell‟8 agosto 1945
7
, che fu firmato
dalle quattro maggiori potenze alleate
8
. In seguito, nel 1946, il generale Douglas MacArthur,
nella sua qualità di Comandante Supremo delle Forze Alleate per il Pacifico, promulgò
un‟ordinanza che istituì il Tribunale Militare Internazionale per l‟Estremo Oriente, con sede a
Tokyo. Questi due Tribunali Militari furono previsti per perseguire e punire chi era accusato
di aver commesso crimini contro la pace, crimini di guerra e crimini contro l‟umanità. Nel
1955 il Tribunale Militare Internazionale per l‟Estremo Oriente concluse la sua attività e nel
1958 tutti i criminali di guerra condannati furono rilasciati. In Occidente, la Germania ha
continuato a perseguire le persone accusate di crimini commessi durante la II Guerra
Mondiale, come hanno fatto altri paesi.
Dopo quasi cinquanta anni di silenzio, nel 1992, il clima politico e l‟intensità del
5
1. The 1919 Commission on the Responsibilities of the Authors of War and on Enforcement of Penalties (1919
Commission);
2. The 1943 United Nations War Crimes Commission (1943 UNWCC);
3. The 1946 Far Eastern Commission (FEC);
4. The 1992 Commission of Experts Established Pursuant to Security Council Resolution 780, 1992, to
Investigate War Crimes and other Violations of International Humanitarian Law in the Former Yugoslavia (1992
Yugoslavia Commission of Experts);
5. The 1994 Independent Commission of Experts Established Pursuant to Security Council Resolution 935,
1994, to Investigate Grave Violations of International Humanitarian Law in the Territory of Rwanda (1994
Rwanda Commission of Experts).
6
1. The 1945 International Military Tribunal to Prosecute the Major War Criminals of the European Theater
(IMT);
2. The 1946 International Military Tribunal to Prosecute the Major War Criminals of the Far East (IMTFE);
3. The 1993 International Criminal Tribunal for the Former Yugoslavia (ICTFY);
4. The 1994 International Criminal Tribunal for Rwanda (ICTR).
7
Prosecution and Punishment of Major War Criminals of the European Axis (London Agreement), Aug. 8,
1945, 82 U.N.T.S. 279
8
Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Unione Sovietica.
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7
conflitto nell‟ex-Jugoslavia hanno creato una situazione in cui l‟unica risposta alle
preoccupazioni per le terribili atrocità della guerra, come pulizia etnica, lo stupro sistematico
e altre violazioni del diritto internazionale umanitario, è stata l‟istituzione di un Tribunale
Penale Internazionale. Il 22 febbraio 1993, a seguito della presentazione del primo Interim
Report
9
della Commissione di Esperti, il Consiglio di Sicurezza con la Risoluzione 808:
“Decides that an international criminal tribunal shall be established for the prosecution of
persons responsible for serious violations of international humanitarian law committed in the
territory of the former Yugoslavia since 1991.”
10
L‟ultimo caso di creazione di un Tribunale penale internazionale ad hoc, risale al
luglio 1994, con l‟approvazione da parte del Consiglio di Sicurezza della Risoluzione 935,
che istituiva una Commissione di esperti per indagare sulle gravi violazioni del diritto
internazionale umanitario, tra cui possibili atti di genocidio, commesse durante la guerra
civile in Rwanda. La Commissione ruandese ha presentato al Segretario Generale una
relazione preliminare
11
(4 ottobre 1994) e una finale
12
(9 dicembre 1994) per merito delle
quali è stato possibile gettare le basi per istituire il Tribunale Penale Internazionale ad hoc per
il Rwanda. Lo Statuto e i meccanismi giudiziari di questo Tribunale sono stati adottati
successivamente nella Risoluzione del Consiglio di Sicurezza 955
13
. “[The] Statute of the
Rwanda tribunal (…) was an adaptation of the Statute of the Yugoslav Tribunal to the
circumstances of Rwanda (… )”.
14
Come il Tribunale Penale Internazionale per l‟ex -
Jugoslavia, anche quello per il Rwanda può esercitare l‟azione penale per le ipotesi di
genocidio
15
e di crimini contro l‟umanità
16
.
Questo, molto sinteticamente, è lo sfondo storico dal quale emerge la Corte Penale
Internazionale che sarà istituita 150 anni dopo la nascita delle prime corti anti-schiavitù.
Lo Statuto di Roma, entrato in vigore nel 2002, ha posto come finalità principali della
giustizia penale internazionale:
“to put an end to impunity for the perpetrators of these crimes and thus to contribute to the
9
Interim Report of the Commission of Experts Established pursuant to Security Council Resolution 780, 1992,
U.N. SCOR, 48th Sess., Annex, at 20, U.N. Doc. S/25274, 1993.
10
Preambolo della S.C. Res. 808, U.N. SCOR, 48th Sess., U.N. Doc. S/RES/808, 1993. “ Decide che un
Tribunale Penale Internazionale è costituito per il perseguimento delle persone responsabili di gravi violazioni
del diritto umanitario internazionale commesse nel territorio dell'ex Jugoslavia dal 1991.”
11
Lettera del 1° ottobre 1994 del Segretario Generale indirizzata al Presidente del Consiglio di Sicurezza, U.N.
SCOR, 49th Sess., U.N. Doc. S/1994/1125, 1994
12
Lettera del 9 dicembre 1994 del Segretario Generale indirizzata al Presidente del Consiglio di Sicurezza, U.N.
SCOR, 49th Sess., U.N. Doc. S/1994/1405, 1994.
13
Risoluzione del Consiglio di Sicurezza 955, U.N. SCOR, 49th Sess., U.N. Doc. S/RES/955, 1994.
14
Report of the Secretary-General Pursuant to Paragraph 5 of Security Council Resolution 955 (1994), U.N.
SCOR, 50th Sess., para. 9, U.N. Doc. S/1995/134, 1995, “ ( lo) Statuto del Tribunale del Rwanda (...) era un
adattamento dello statuto del Tribunale per l‟ex – Jugoslava alle circostanze del Rwanda (…) ”.
15
Statuto del Tribunale Penale Internazionale per il Rwanda, art 7.
16
Statuto del Tribunale Penale Internazionale per il Rwanda, art 2.
Alessandra Cuppini
8
prevention of such crimes, (…) Recognizing that such grave crimes threaten the peace, security
and well-being of the world, (…) affirming that the most serious crimes of concern to the
international community as a whole must not go unpunished and that their effective prosecution
must be ensured by taking measures at the national level and by enhancing international
cooperation”
17
.
II. Oggetto di studio.
Il postulato, per cui i delitti più gravi che riguardano la comunità internazionale non
debbano rimanere impuniti e la loro repressione debba essere efficacemente garantita, diventa,
quindi, un punto imprescindibile dallo sviluppo della giustizia penale internazionale.
È nel processo che si manifesta in concreto questa esigenza primaria: il diritto delle
prove, o meglio, il metodo di accertamento è uno snodo essenziale per i diversi valori tutelati
e seguiti da simili modelli di giustizia. Nel giudicare su crimini internazionali, l‟oggetto
essenziale della contesa rimane sempre l‟accertamento di fatti co mmessi da singoli individui,
dei quali è richiesta da un organo requirente la punizione.
Ogni sistema in questa sede considerato, postula come punto di partenza una struttura
prevalentemente adversarial, in linea di massima sulla falsa riga del processo di parti. Proprio
alle parti processuali l‟ordinamento riserva il compito di adottare le iniziative necessarie per
lo sviluppo delle proprie strategie davanti ad un organo giudicante, che mantiene un ruolo
apparentemente sussidiario e per tanto, ne dovrebbe conseguire l‟applicazione del metodo
della cross-examination nel momento di acquisizione delle prove in giudizio. Senza dubbio,
in accordo con tale impostazione del processo, la prova regina è la testimonianza.
Tenendo ben presenti l‟ambito e i crimini per c ui si procede in giudizio, è facile capire
come un testimone che rilascia dichiarazioni davanti ad un Tribunale Penale Internazionale,
contribuendo ad incriminare leaders politici e/o militari, possa correre rischi reali per la
propria incolumità e per quella dei suoi familiari. Ogni Tribunale Penale Internazionale non
può omettere che è stato creato anche allo scopo di ridurre le sofferenze e riparare le
ingiustizie subite dalle popolazioni civili vittime di conflitti, pertanto, dovrebbe cercare di
ridurre al minimo i rischi e il trauma psicologico associato al testimoniare. La formalità della
corte, la natura aggressiva di un‟ adversarial cross-examination, il centro dell‟attenzione che
si concentra sulla testimonianza resa nell‟aula del tribunale, la pubbl icità extragiudiziale dei
media, l‟ambiente non familiare, e una miriade di altri fattori, possono rendere l‟aula un luogo
17
Preambolo allo Statuto di Roma: “ Porre fine all'impunità per i più gravi crimini internazionali; contribuire alla
prevenzione degli stessi, (…) riconoscere che i crimini di tale gravità minacciano la pace, la sicurezza e il
benessere del mondo, (…) Affermando che i delitti più gravi che riguardano la comunità internazionale nel suo
insieme non debbano rimanere impuniti e che la loro repressione deve essere efficacemente garantita mediante
provvedimenti adottati a livello nazionale e attraverso il rafforzamento della cooperazione internazionale.”
Alessandra Cuppini
9
ostile, in cui è estremamente difficile, anche per il testimone più audace rivivere e descrivere
un‟esperienza dolorosa.
Nel perseguire i leaders militari e/o politici per crimini di guerra e violazioni dei
diritti umani, i Tribunali Penali Internazionali hanno riscontrato altri numerosi ostacoli:
l‟acquisizione degli elementi di prova sufficienti per esercitare l‟azione penale con suc cesso
rapprensenta una delle difficoltà più auno ardue, per lo più notevolmente ingrandito in caso di
stupro. Molto di frequente, a causa dei disordini in tempi di conflitto, alcuni testimoni hanno
abbandonato le aree teatro delle ostilità, altri sono stati uccisi e altri ancora possono essere
spaventati o riluttanti a testimoniare. Allo stesso modo, rilevanti prove materiali e
documentali degli abusi militari possono essere state distrutte e perdute o essere sotto il
controllo dei responsabili. In caso di stupro, raccogliere le prove è ancora più difficile perché
le vittime di violenza sono, in grandissima parte, riluttanti a parlare della loro esperienza.
18
Inoltre, chi testimonia può trovarsi a subire ritorsioni non solo dagli autori di tale
crimine, ma, le donne possono anche essere assoggettate a punizioni dalle loro famiglie e, in
particolare dai loro mariti. Nell‟adottare le norme processuali è fondamentale , perciò,
rispettare le esigenze individuali dei testimoni e lo zelo nel procedimento giudiziario non
dovrebbe far passare in secondo piano la necessità di proteggerli dal post-processo.
Per lo più, nel perseguire quest‟obiettivo, in un‟ottica di medio -lungo periodo, chi ha
da guadagnarne maggiormente sarebbe proprio il Tribunale, perché il beneficio collaterale più
evidente di un‟efficace protezione dei testimoni è la capacità di attrarne in un numero sempre
crescente nel futuro. Se testimoniare davanti al Tribunale fosse molto traumatico ed esponesse
a dei rischi sproporzionati, il suo lavoro si troverebbe rapidamente “impantanato” dalla
mancanza di cooperazione dei testimoni. Inoltre, la legittimità del Tribunale agli occhi del
mondo, verrebbe in parte sminuita proprio a causa della sua incapacità di proteggere i
testimoni.
Quest‟aspetto vitale per il processo penale internazionale non era sconosciuto al
Consiglio di Sicurezza che, nel ratificare lo Statuto dei due Tribunali ad hoc per l‟ex -
Jugoslavia e il Rwanda e lo Statuto di Roma, ha emanato norme che dispongono differenti
forme di misure di sicurezza per i testimoni.
L‟esigenza di tutela dei soggetti diversi da quelli raggiunti dall‟accusa penale, ma pur
sempre coinvolti nel procedimento, si manifesta e si fonda, non soltanto sul riconoscimento
dei singoli diritti e garanzie, operato a livello convenzionale, bensì sullo stesso concetto di
fair trial, del quale rappresenta un elemento costitutivo implicito. Così, nella sentenza
18
R. Blattmann e K. Bowman, Achievements and Problems of the International Criminal Court. A View From
Within, Journal of International Criminal Justice, 2008, p. 102.
Alessandra Cuppini
10
Doorson v. Netherlands
19
, la Corte Europea dei Diritti dell‟Uomo esprime una delle valenze
meno note e raramente sottolineate dell‟art. 6 della Convenzione Europea per la Salvaguardia
dei Diritti dell‟Uomo e delle Libertà Fondamentali: “(…) principles of fair trial also require
that in appropriate cases the interests of the defence are balanced against those of witnesses or
victims called upon to testify.”
20
Il principio del processo giusto, quindi, non è tale
esclusivamente per i risultati cui perviene, ma anche per gli strumenti e le metodologie cui fa
ricorso e che coinvolgono non solamente le prerogative dell‟accusato, ma, talora con intensità
non minore, quelle di chi nel processo svolge una funzione di comprimario.
La possibilità di ricondurre la tutela dei testimoni fra gli elementi costitutivi del fair
trial, se si profila come coessenziale alla definizione dei contenuti di tale principio, ne risulta
anche reciprocamente condizionata, cosicché il criterio del balancing of interests, ispirato alla
regola del sacrificio non solo minimo, ma anche proporzionato, rappresenta l‟unica via
concretamente perseguibile.
Alla base del progressivo riconoscimento del testimone come soggetto di diritti
all‟interno dell‟ordinamento processuale sembrano esserci due fattori di natura eterogenea. Da
un lato, si pone il dilagare di episodi intimidatori occasionati dalla partecipazione al
procedimento in chiave collaborativa, dall‟altro, su un piano più strettamente giuridico, si
riscontra la graduale attenzione verso nuovi beni, come la privacy e la riservatezza, nonché la
crescente valorizzazione di diritti già esistenti, che hanno conquistato più ampi e significativi
spazi di operatività, così come è avvenuto per le posizioni soggettive di particolare debolezza.
In ambito processuale la tutela del testimone come principio conformatore di norme,
pare incontrare, tuttavia rilevanti ostacoli, o, quantomeno, interessi confliggenti. I postulati
cardini del rito, ossia il contraddittorio, l‟immediatezza e la pubblicità, oltre alle prerogative
riconosciute alle parti principali (imputato e accusa) nelle diverse fasi in cui sono
protagoniste, si presentano frequentemente in termini antitetici rispetto all‟esigenza di tutela
del testimone, quasi che non si possa non sacrificare gli uni per poter garantire efficacemente
l‟altra. Muovendosi in una prospettiva adversarial, non si possono metterei in secondo piano i
diritti dell‟imputato: tali misure di protezione potrebbero minacciare il suo diritto all‟ equality
of arms e al fair trial.
Un obiettivo fondamentale dei Tribunali Penali Internazionali nel realizzare il loro
mandato è garantire che il processo sia imparziale ed equo. Con processo giusto ed equo,
s‟intende che il diritto processuale si debba basare sulle idee universalmente accettate di
giusto processo, imparzialità, presunzione d‟innocenza e adeguato esame delle prove. Allo
19
Corte Europea dei Diritti dell‟Uomo, Doorson v. Netherlands, 26 marzo 1996.
20
Doorson v. Netherlands, par. 70, “i principi del giusto processo richiedono anche che, in casi appropriati, gli
interessi della difesa siano bilanciati con quelli dei testimoni o vittime chiamate a testimoniare.”
Alessandra Cuppini
11
stesso modo è imperativo che il processo debba avere l‟apparenza di essere condotto con
giustizia, come riassume la massima “not only must justice be done, it must be seen to be
done”.
21
Quest‟aspetto del processo, mentre è generalmente riconosciuto come necessario nei
sistemi giuridici nazionali, assume un ruolo particolarmente critico in relazione alle finalità
dei Tribunali Penali Internazionali di ripristinare un senso di giustizia alle popolazioni
coinvolte e assicurare il sostegno permanente della comunità internazionale. Il Segretario
Generale ha affermato:
“It is axiomatic that the International Tribunal must fully respect internationally recognized
standards regarding the rights of the accused at all stages of the proceedings. In the view of the
Secretary-General, such internationally recognized standards are, in particular, contained in
Article 14 of the International Covenant on Civil and Political Rights”.
22
Fin dall‟inizio è apparso evidente che, l‟idea che tali Tribunali possano condurre un
processo giusto aderendo a standards di diritti umani come interpretati da altre giurisdizioni,
fosse inadatta al contesto in cui operano. La giurisprudenza sui diritti umani è stata sviluppata
dai giudici nazionali e dalla Corte Europea dei Diritti dell‟Uomo nell‟ambito di proced imenti
penali nazionali. Al contrario, i Tribunali in questione sono un forum internazionale penale
non supportati da istituzioni a livello nazionale e hanno perciò bisogno della cooperazione
degli Stati
23
.
L‟assenza di una forza di polizia o di programma di protezione dei testimoni sono
circostanze uniche rispetto ai regimi nazionali e il contesto in cui le disposizioni devono
essere applicate è ugualmente unico: mentre le giurisdizioni nazionali riguardano il
procedimento penale ordinario, i Tribunali Penali Internazionali “ are adjudicating crimes
which are considered so horrific as to warrant universal jurisdiction”
24
. La giurisprudenza
degli organi giudiziari internazionali è stata rilevante per l‟analisi del significato del concetto
di fair trial, ma il giusto equilibrio tra questo diritto dell‟imputato e la protezione delle vittime
e dei testimoni deve essere valutato nel contesto speciale in cui i Tribunali operano.
Come ha affermato Christine M. Chinkin
25
:
21
Prosecutor v. Zejnil Delalić and Others, Case No. IT-96-21-T, 20 Feb. 2001, para. 637.
22
Paragraph 106 of the Secretary General‟s Report, S/25704, 3 May 1993, “ È assiomatico che il Tribunale
Internazionale deve rispettare pienamente gli standards riconosciuti a livello internazionale per quanto riguarda i
diritti degli imputati in tutte le fasi del procedimento. Dal punto di vista del Segretario Generale, tali standards
riconosciuti a livello internazionale sono contenuti, in particolare, nell'articolo 14 del Patto Internazionale sui
Diritti Civili e Politici”.
23
G. McIntyre, Equality of Arms. Defining Human Rights in the Jurisprudence of the International Criminal
Tribunal for the former Yugoslavia, Leiden Journal of International Law, 2003, p. 270.
24
Prosecutor v. Tadić Case No. IT-94-1-T, Decision on Prosecutor‟s Motion Requesting Protective Measures for
Victims and Witnesses, 10 Aug. 1995, para. 26–28, “ sono aggiudicatari di reati, i quali sono considerati così
orrendi, da giustificare la giurisdizione universale”.
25
Christine M. Chinkin ha presentato un amicus brief sulla Regola 74 del Regolamento di Procedura e Prova,
nell‟ambito della Decision on the Prosecutor‟s Motion for Protective Measures for Victims and Witnesses,
Alessandra Cuppini
12
“The Chamber‟s decisions carefully constructed to give appropriate weight to both sets of
interests and not to give automatic priority to those of accused. (…) the accused‟s rights cannot
always be absolute, but must be weighed against those of other individuals.”
26
Quindi, riconoscere al teste la capacità di deporre fuori dall‟aula di udienza, magari
senza la presenza fisica dell‟imputato e delle altre parti, o addirittura oscurandone i tratti
fisionomici, configurare specifiche contrazioni della pubblicità, limitare l‟operatività della
cross-examination imponendo restrizioni nell‟ an e nel quomodo, sono soltanto esempi che
contribuiscono a chiarire la reciproca e problematica interazione tra i principi fin qui
richiamati. Non va neppure trascurata, però, l‟eventualità che la protezione del teste non si
ponga in termini esclusivamente antagonistici rispetto agli obiettivi dell‟accertamento o alle
garanzie degli altri protagonisti del rito, ma agisca in modo sincronico, ad esempio, rispetto ai
generali doveri di lealtà e correttezza o risponda all‟esigenza che l‟apporto conoscitivo del
testimone sia fornito secondo canoni di massima genuinità, come laddove consenta il ricorso a
forme di esame protetto o a distanza.
Il problema della tutela del testimone presenta un‟ineliminabile matrice processuale,
ma non si esaurisce sul piano delle regole del procedimento. È evidente che proprio nelle
situazioni in cui la prevalenza o il bilanciamento dei valori si presentano più delicati, la
medesima area normativa della tutela assume, forse inevitabilmente, confini più incerti,
all‟interno dei quali un ampio spazio risulta consegnato alla deontologia degli stessi
protagonisti del processo, che con il testimone si rapportano e interagiscono. Alla maggior
indeterminatezza normativa corrisponde però, generalmente, la valorizzazione del ruolo del
giudice quale garante dei valori coinvolti. Un tale ruolo pare, anzi, un profilo coessenziale alla
funzione giurisdizionale esercitata, che non snatura, ma esalta i relativi caratteri di terzietà e
imparzialità.
Da una prospettiva umanitaria, la necessità di tutelare i testimomi è evidente e tentare
di minimizzare questa difficoltà attraverso anche strumenti processuali, è molto importante.
Tre motivazioni sono sempre state avanzate per l‟esistenza dei tribunali internazionali
per crimini di guerra: moralità, educazione e la solidarietà per chi soffre.
27
Il fallimento nella
protezione dei testimoni indebolirebbe queste motivazioni e la legittimità dei Tribunali stessi.
Se la loro azione fosse “macchiata” dal dolore dei suoi testimoni, l‟obiettivo di
Prosecutor v. Tadić, U.N. Doc. IT-94-1-T, la prima ordinanza nella quale si ammetteva l‟uso della testimonianza
anonima nella fase processuale.
26
C. M. Chinkin, Due Process and Witness Anonymity, The American Journal of International Law, 1997, p.79,
“Le decisioni della Camera sono accuratamente costruite per dare il giusto peso a entrambi i gruppi d‟interessi e
non di dare la priorità automatica a quelli degli imputati. (…) i diritti dell‟imputato non possono essere sempre
assoluti, ma devono essere soppesati con quelli degli altri individui.”
27
E. L. Pearl, Punishing Balkan War Criminals: Could the End of Yugoslavia Provide an End to Victors‟
Justice?, American Criminal Law Review, 1993, p. 1408.
Alessandra Cuppini
13
promuovere un‟azione per porre fine crimini contro l ‟umanità sarebbe ridotta. Ad ogni modo,
l‟importanza delle misure di protezione da garantire ai testimoni, non riguarda solo la
categoria delle vittime, perché, chi commette violazioni dei diritti umani può essere spinto,
per paura di essere condannato, a uccidere qualsiasi testimone oculare, anche coloro i quali,
solo poco tempo prima, appartenevano alla stessa fazione politica e/o militare.
Questo ampio tema sarà illustrata attraverso un esame dei sistemi processuali dei
Tribunali ad hoc per l‟ex -Jugoslavia e il Rwanda e della Corte Penale Internazionale,
esplorando le scelte che queste istituzioni hanno ritenuto opportuno adottare.
III. Metodologia.
Nonostante le istituzioni internazionali chiamate a celebrare processi penali siano
numerose e in via di accrescimento, ho ritenuto di riservare l‟attenzione a quelle che hanno
costituito un passaggio decisivo, nella recente evoluzione della giustizia penale
internazionale. Pertanto, l‟a nalisi riguarderà i Tribunali ad hoc per l‟ex -Jugoslavia e il
Rwanda e la Corte Penale Internazionale. Sia i Tribunali ad hoc e sia la Corte Penale
Internazionale presentano uno sviluppato corpus di fonti positive, nel quale le previsioni di
carattere processuale sono contenute nei rispettivi Statuti e Regolamenti di Procedura e Prova.
I suddetti Tribunali hanno scelto, non di rado, di rimettere ai case law la soluzione
delle questioni più delicate e proprio per i Tribunali ad hoc il ruolo delle pronunce giudiziali è
così importante che, spesso, una riforma del diritto positivo è stata anticipata da una decisione
della Trial Chamber. Per questo motivo, nel trattare il tema della protezione dei testimoni,
l‟analisi dei sistemi processuali dei Tribunali ad hoc, terrà in conto delle decisioni adottate dai
giudici e delle considerazioni rinvenute nelle relative motivazioni. Per la Corte Penale
Internazionale, invece, un metodo del genere non è automaticamente possibile, poiché per ora
manca un sostrato giurisprudenziale adeguato, le prime decisioni risalgono al 2007 e
riguardano solo la fase del pre-trial. L‟attenzione maggiore, verrà per ciò dedicata alle
previsioni contenute nello Statuto di Roma e nel Regolamento di Procedura e Prova.
Un interesse particolare sarà riservato alla misura di protezione dell‟anonimato del
testimone nei confronti della difesa durante il processo, che rappresenta un‟ipotesi limite in
cui il diritto dell‟imputato è maggiormente compresso a favore delle esigenze del testimone.
Lo Statuto e i Regolamenti dei due Tribunali ad hoc e della Corte Penale
internazionale prevedono espressamente questa misura solo nella fase del pre-trial e a
determinate condizioni, mentre nulla dicono riguardo alla fase processuale.
Proprio in ragione di ciò, una parte della dottrina nega la legittimità di questa misura,
rigettando la possibilità di autorizzare l‟anonimato dei testimoni nei confronti dell‟accusato
Alessandra Cuppini
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per tutta la durata del processo. Questo orientamento è sorretto principalmente dall‟argomento
che tra le garanzie minime previste a favore di quest‟ ultimo, è compreso il diritto a interrogare
i suoi accusatori, cosa che non sarebbe effettiva senza il diritto di conoscere la loro identità.
Quindi, la limitazione prevista per la tutela dei testimoni e della loro identità, sarebbe
da intendersi come tutela dai media e dal pubblico. Solo la natura pubblica del processo è
soggetta alle limitazioni per la tutela dei testi, non il diritto di difesa dell‟imputato.
Dall‟altro lato m i sembra maggiormente condivisibile l‟idea secondo la quale è
innegabile che esista una regola generale, nel senso che, per principio, tutte le prove devono
essere prodotte in presenza dell‟accusato, durante una pubblica udienza, al fine di realizzare
una disputa adversarial, ma ugualmente bisogna ritenere che il diritto dell‟imputato a
conoscere e confrontarsi con i testimoni che lo accusano non è assoluto e nemmeno i requisiti
del processo equo possono essere determinati in astratto. I Tribunali ad hoc sono stati istituiti
durante un conflitto armato tra reali paure per chi coopera con esso e sebbene l‟uso
dell‟anonimato nei confronti dell‟imputato e dei suoi difensori du rante tutto l‟arco del
processo non sia riconosciuto esplicitamente nelle convenzioni internazionali sui diritti
umani, tali Tribunali non devono essere strettamente vincolati da queste, proprio in virtù delle
condizioni uniche par exellence in cui si trovano ad operare.
Nell‟analisi della giurisprudenza dei Tribunali Internazionali si può verificare come
difficilmente le soluzioni o i compromessi al dilemma sull‟utilizzo delle testimonianze
anonime durante il processo siano adeguati.
Con il mio studio intendo dimostrare come tali misure di protezione dei testimoni,
oltre a essere essenziali, poiché se testimoniare esponesse a dei rischi sproporzionati, il
mandato dei Tribunali Penali Internazionali si troverebbe rapidamente frenato dalla mancanza
di cooperazione dei testimoni, siano anche legittime in quanto ci si trova ad operare in
circostanze eccezionali ed uniche, che conducono inevitabilmente a derogare agli standards
internazionali dei diritti dell‟imputato. I diritti dell‟accusato garantiti dal principio di un
giusto ed equo processo non devono essere ritenuti del tutto senza riserve.
Nel caso specifico della misura di protezione dell‟anonimato nel processo, ritengo che
non costituisca una violazione del diritto dell‟imputato a un fair trial. Infatti, la
giurisprudenza dei Tribunali ad hoc non impedisce all‟accusato di controinterrogare i
testimoni contro di lui, ma, nell‟ammettere la testimonianza anonima valuta caso per caso e
traccia le linee guida da seguire nell‟escussione di questo mezzo di prova, in modo da
garantire alla difesa un‟effettiva ed efficace cross-examination.
Queste linee guida forniscono rimedi prodedurali che possono essere adottati per
sopperire a ogni diminuzione del diritto a un processo equo: il giudice deve essere nella
Alessandra Cuppini
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posizione di poter osservare il contegno del testimone e conoscere la sua identità, mentre alla
difesa deve essere concessa un‟ampia opportunità di interrogare il teste su questioni, però,
non collegate alla propria identità o l‟attuale ubicazione. Inoltre, l‟identità del teste deve
essere rivelata quando non ci siano più pericoli per la sua incolumità.
Dal mio punto di vista, la premessa fondamentale e imprescindibile, su cui basare la
legittimità della testimonianza anonima, è che il concetto di fair trial non sia da ritenersi come
diritto assoluto ma soggetto a deroghe in circostanze eccezionali anche perché, la riluttanza
dei testimoni a deporre impedirebbe proprio di raccogliere prove contro coloro che sono
accusati, minacciando così gli obiettivi stessi del Tribunale.
Concludendo nel senso dell‟ammissibilità della testimonianza anonima nel processo, è
opportuno affrontare la questione successiva: come bilanciare questo diritto con le esigenze
dei testimoni. Le difficoltà nel bilanciamento di opposti valori derivano dal fatto che la
legittimità dei Tribunali soffrirebbe se le vittime, i testimoni o gli imputati fossero
danneggiati. È innegabile, però, che, prevedere “scudi” per i testimoni, richieda una
limitazione al right to confrontation. L‟equilibrio sviluppato nelle disposizioni che governano
i Tribunale Penali Internazionali, favorisce l‟ammissione dell‟ adversarial cross-examination,
rispecchiando la tendenza verso la parità delle armi: principio che impone che la difesa abbia
la stessa possibilità dell‟accusa nella presentazione delle prove.
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D‟altra parte, però, le norme hanno posto dei limiti alla cross-examination: i giudici
del Tribunale sono istruiti prevenire domande che hanno lo scopo di intimidire o molestare.
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Un circuito chiuso o un sistema televisivo a senso unico può essere utilizzato anche
per impedire ai testimoni di venire in contatto diretto con gli imputati che in precedenza ha
fatto loro del male. Inoltre, nei casi di violenza sessuale, l‟esame è limitato da ciò che è
essenzialmente una norma “scudo” per le vittime, che impedisce l‟introduzione come prova
della condotta sessuale antecedente al reato; vieta l‟utilizzo del consenso come una difesa;
impone che le prove che confermano la testimonianza di una vittima non siano necessarie per
ottenere una condanna. Si può ritenere, comunque, che le regole che limitano la cross-
examination preservano il cuore dell‟attività processuale: la ricerca della verità, intervenendo
in modo significativo solo a beneficio dei testimoni. Pertanto, la deroga alla parità delle armi
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M. Cherif Bassiouni, Human Rights in the Context of Criminal Justice: Identifying International Procedural
Protections and Equivalent Protections in National Constitutions, Duke Journal of Comparative & International
Law, 1993, p. 277.
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In questa direzione la Regola 75(C), ICTY RPP, la Regola 75(D) ICTR RPP, le quali stabiliscono con
un‟identica disposizione: “A Chamber shall, whenever necessary, control the manner of questioning to avoid any
harassment or intimidation” e la Regola 88, para. 5, ICC RPP: “ Taking into consideration that violations of the
privacy of a witness or victim may create risk to his or her security, a Chamber shall be vigilant in controlling
the manner of questioning a witness or victim so as to avoid any harassment or intimidation, paying particular
attention to attacks on victims of crimes of sexual violence.”