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INTRODUZIONE
Non avevo mai sentito parlare di Decio Trabalza. Non lo conoscevo. A pensarci bene, può
risultare un po’ strano, considerando che due dei pochi dipinti ad oggi conosciuti di questo
pittore si trovano, dalla data della loro realizzazione, collocati nel Duomo della mia città
natale, Foligno.
Quando la Professoressa Migliorati mi propose di fare una tesi su di lui, dicendomi che non
esisteva nessuna pubblicazione riguardante quest’artista, e che con molta probabilità avrei
trovato poche notizie archivistiche, accettai, e presi questa ricerca come una sfida, che
dovevo assolutamente vincere.
Come previsto, le ricerche archivistiche da me condotte nei maggiori archivi di Foligno,
Assisi, Bastia, Perugia e Roma hanno dato pochi frutti, e poche sono state le notizie inedite
da me trovate su questo autore. Dico inedite poichØ, essendo stato Trabalza un allievo di
Jean Baptiste Wicar, già nel 2002 Fedora Boco, nella sua pubblicazione “Da Lille a Roma:
Jean Baptiste Wicar e l’Italia”, trattando dell’ultima commissione del Wicar prima della
sua morte - un Battesimo di Cristo collocato nel Duomo di Foligno -, aveva dovuto
necessariamente parlare anche di Trabalza, giacchØ fu lui, per volontà testamentaria dello
stesso Wicar, a portare a termine questo dipinto. Il libro della Boco è stato per me un buon
punto d’inizio, insieme al breve excursus vitae tracciato dalla mia relatrice e pubblicato nel
volume “Pittori Umbri dell’Ottocento - Dizionario e Atlante” del 2006. Rispetto a queste
due pubblicazioni sulla vita artistica di questo pittore di rilevante ho trovato solo che
lavorò anche a Bastia, nella chiesa di Santa Croce, dove lasciò un Battesimo di Gesø:
questa scoperta non è stata supportata di fatto da nessun rinvenimento archivistico, ed è
solo grazie al libro di Antonio Cristofani, “Storia della Bastia Umbra” del 1872, che si
deve l’attribuzione di questo quadro al Trabalza.
Certo è che, benchè le notizie archivistiche siano state alquanto misere, Trabalza non
dovette essere un pittore mediocre se arrivò addirittura ad avere, prima della sua prematura
morte avvenuta nel 1842 a soli 38 anni, un incarico per la decorazione di un soffitto
dell’Anticamera del Casino Nobile di Villa Torlonia a Roma, proprietà del mecenate
romano Alessandro Torlonia, incarico che gli permise di lavorare a fianco a fianco ad
illustri pittori di storia dell’ambiente romano, quali Francesco Podesti e Francesco
Coghetti, per citare i piø famosi.
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In parte, comunque, la sfida è stata vinta: le difficoltà per ricercare il materiale sono state
molte, soprattutto per il fatto che non disponevo di precise indicazioni archivistiche, per
cui, per ogni archivio in cui mi sono recata, ho dovuto procedere ad uno spoglio
sistematico dei documenti in cui si poteva presumere vi fossero anche solo delle semplici
indicazioni che mi conducessero al “mio pittore”. A volte, questo spoglio mi ha portato a
dei risultati considerevoli, altre volte ho seguito delle strade che sono risultate “a senso
unico”, ma tutto sommato questo mi è servito per testare sul campo che cosa volesse dire
l’espressione “ricerca d’archivio”, e per questa opportunità devo solo ringraziare la
professoressa Migliorati, senza la quale non avrei certamente imparato a giostrarmi tra i
documenti d’archivio.
Lo scopo della mia ricerca è stato quello di fornire un’idea, piø chiara e dettagliata di
quanto fino ad oggi non lo fosse, sulla vita artistica di Decio Trabalza: per fare questo, mi
sono preoccupata di parlare sì dell’artista in sØ, ma soprattutto di collocarlo nell’ambito
storico e territoriale in cui egli è vissuto. Per questo, ad una descrizione delle opere in sØ,
laddove è stato possibile, ho anteposto una descrizione di collocazione dell’opera stessa,
senza comunque tralasciare di analizzare, almeno sommariamente, la vita artistica e
culturale di Foligno e di Roma, agli inizi del XIX° secolo.
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CAPITOLO PRIMO
La situazione artistica a Foligno fra tardo Settecento e primo Ottocento
L’Umbria ebbe da sempre un rapporto privilegiato con la “Dominante”, termine
abitualmente usato dagli artisti per definire l’antica città di Roma.
1
Questo legame così
stretto che unì l’Umbria alla capitale dello Stato Pontificio fu in primo luogo dovuto
all’antichissima e intensa frequentazione della via Flaminia, fatta costruire intorno al 200
a.C. dal console Caio Flaminio e collegante direttamente Roma con le province orientali
della penisola e con i territori del Nord. All’inizio del Seicento, la via Flaminia fu seguita
anche dagli artisti che giungevano in Roma alla ricerca di fama e successo. Un’antica
guida ampiamente diffusa tra i pionieri del Grand Tour, l’Itinerario di Francesco Scoto
proponente una descrizione dettagliata dei percorsi italiani nel 1670
2
, precisava due
percorsi: il primo percorso strategico riguardava chi partiva da Rimini e per giungere a
Roma doveva imboccare la via Flaminia ad Acqualonga, dopo una tappa ad Urbino, o
raggiungerla a Foligno, dopo tappe a Loreto, Recanati e Macerata; il secondo percorso
strategico, che sul versante tirrenico collegava l’Umbria con la capitale, veniva utilizzato
dai viaggiatori provenienti da Firenze che passavano per Arezzo, Cortona, Città della Pieve
e Orvieto, talvolta raggiungendo la via Cassia all’altezza del lago di Bolsena, altri
deviando verso l’Umbria.
In effetti, sul finire del XVIII sec., il generale declino economico e lo scarseggiare delle
committenze della capitale contribuì a incoraggiare i piø affermati tra i pittori romani a
conquistare nuovi “mercati” nelle province dello Stato Pontificio: è così che alcuni di
questi pittori soggiornarono sul territorio umbro. Ma c’è anche un altro punto: se nel
Seicento gli artisti locali umbri erano ancora numerosi e comunque tali da riuscire ad
impedire l’infiltrazione degli artisti romani, successivamente, con l’affermarsi del nuovo
gusto neoclassico a Roma, venne superato ogni artificio di marca squisitamente barocca
che aveva caratterizzato fino a quel momento gli artisti locali, e fu subito chiaro che la
regione non disponeva di alcun pittore capace di interpretare le nuove istanze. Successe
così che gli artisti locali andarono a formarsi a Roma, tanto che l’egemonizzazione della
1
CASALE Vittorio, La Pittura del Settecento in Umbria, in “ ( a cura di ) BERTELLI Carlo, Pittura in Italia.
Il Settecento”, Mondadori Electa, 1990, pag.351-367
2
Cfr. http://www.ideararemaps.com/ElencoAutore_ita.asp?Lin=I&A=SCOTO%20Francesco
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città si può sintetizzare in due azioni complementari, l’una riguardante l’imposizione dei
prodotti romani, e l’altra inerente la capacità della Dominante di attrarre nella propria
orbita i migliori ingegni locali.
Tutto quello esterno a Roma, la cosiddetta “provincia”, appariva agli occhi dei pittori
romani come un allargamento del perimetro d’azione consueto, tanto è vero che nel
Settecento il livello di qualità dei pittori locali è assolutamente pari a quello dei pittori
romani, e anzi, mentre i pittori romani andarono sempre piø sostituendosi agli artisti locali
nel rispondere alle commissioni pubbliche della Chiesa come alle richieste dei privati, i
pittori locali tentarono l’egemonizzazione di Roma. E’ per questo motivo che Vittorio
Casale, in apertura del suo saggio del 1990 precisava di trattare della “pittura del
Settecento in Umbria” e non della “pittura umbra del Settecento”.
Primo “motore” (il termine è di Vittorio Casale) del generale rinnovamento della pittura
religiosa in Umbria nel Settecento, fu la volontà della Chiesa di promuovere un rifacimento
della decorazione interna di alcuni monumenti, in particolare il duomo di Foligno
3
, quello
di Città di Castello e quello di Spoleto: questi rappresentano tre momenti aggreganti che,
dal 1770, possono fornire una panoramica sulla situazione della contemporanea scuola
romana e sulla disposizione di quei materiali che intrecciano il tessuto della pittura del
Settecento in Umbria.
Per nessuna di queste ristrutturazioni si prendono contatti con artisti locali: ad esempio,
intorno al duomo di Foligno si affacciano le candidature del Trevisani e di Francesco
Mancini, poi il progetto architettonico viene affidato all’architetto di formazione romana
Sebastiano Cipriani che iniziò ad elaborare i disegni fin dal 1718 con uno stile tardo
barocco che era in voga a Roma e comunque sempre sotto il principio dell’imitatio Romae.
C’è comunque da fare una notazione riguardo questo progetto: i folignati che lavorarono al
duomo della loro città furono solo intagliatori, e i pittori che entrano in ballo sono solo
forestieri.
4
Ma la particolarità di Foligno si trovava principalmente nel notevole impegno che i
folignati - specie la classe nobiliare folignate - misero per far conoscere l’antichità e la
nobiltà della loro patria soprattutto attraverso le accademie: erano, per così dire, convinti di
quello che Franco Bettoni definisce mirabilia urbis, ossia l’idea che la loro città fosse
3
3
METELLI Gabriele, Spigolature d'archivio: la quadreria Roscioli; le cappelle e gli artisti nella
Cattedrale di Foligno, in “Bollettino Storico della Città di Foligno, volume VI”, pag. 123-187
4
Per altre info sulla realizzazione e progettazione della restaurazione del Duomo di Foligno, vedi Cap. 3.1
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paragonabile a Roma, e sotto questa convinzione elaborarono via via un piano di sviluppo
economico – politico – sociale e, soprattutto, artistico. Da città molto piccola, ma molto
ricca, nella quale si trovava ogni sorta di mercanzia (grazie alla presenza di una pluralità di
botteghe e di laboratori di ogni genere, dal momento che l’economia locale tendeva
all’autosufficienza – cosa resa possibile dall’esistenza di terreni bonificati, fabbriche,
mulini e compravendita e allevamento di bestiame nell’immediato contado contadino
folignate), si trasformò in una città animosa, che voleva imitare l’aspetto di Roma stessa, e
per questo motivo all’inizio del Settecento provvide a dotarsi di nuove costruzioni religiose
e civili, a migliorarne l’aspetto, a realizzare alcuni necessari adeguamenti strutturali ed
infrastrutturali.
Per tutto il secolo la città utilizzerà la struttura antica apportandovi solo poche modifiche
su scala architettonica, legate comunque ad una committenza privata: l’ente pubblico si
trova in grosse difficoltà a stare dietro ai necessari, ma numerosi, lavori di manutenzione
richiesti dallo stato delle strutture antiche. Le mura urbiche si trovavano in pessime
condizioni come anche gli ingressi principali alla città, troppo stretti per il passaggio di
carri e carrozze e sempre meno funzionali al traffico; in città il fondo stradale, pavimentato
con le antiche tecniche dell’acciottolato con semplice terra battuta, lascia molto a
desiderare, e il ritardo nella manutenzione generale degli edifici pubblici si trovava sì nella
mancanza di fondi, ma anche e soprattutto nell’assenza di condizioni di reale autonomia di
potere dell’ente locale. Solo la chiesa, specie la Cattedrale, rappresenta un’eccezione a
questa situazione, ed anzi si può dire che per essa la disponibilità di mezzi si unisce alla
spinta ad un rinnovamento dell’architettura in senso rappresentativo. Gli interventi attuati
nel corso del Settecento nelle chiese di Foligno interessano principalmente la
trasformazione delle originarie strutture gotiche e il rimodellamento dell’esterno degli
edifici per dare maggiore risalto alle facciate: le chiese sono interessate da soluzioni
diverse tra di loro, ma le particolari scelte architettoniche o il grado di rappresentatività
sono legati in ogni caso alla committenza stessa e all’ordine religioso che promuove
l’intervento. Così, per esempio, l’ambizioso progetto elaborato prima dal Vanvitelli e poi
dal Piermarini per il Duomo di Foligno si concretizza sostanzialmente nell’imitatio Romae,
a cominciare dal baldacchino posto al centro dell’abside, copia del baldacchino eseguito
dal Bernini per la Basilica di Santo Pietro a Roma, fino all’edificazione di un muro dritto
sostenente la volta su cui furono approntate decorazioni eseguite da artisti assai noti al
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tempo, come il Cipriani e il Mancini.
Così, la chiesa di S. Francesco, che era stata interamente demolita nel 1792, venne
ricostruita su progetto dell’architetto Andrea Vici d’Acervia, amico prediletto del
Vanvitelli nella costruzione della famosa Reggia di Caserta, che elaborò i disegni del
progetto nel 1796. Questo consisteva nello studio di un organismo architettonico
policentrico e nell’utilizzo di alcuni motivi decorativi - come le membrature a raggiera -,
soluzioni che testimoniano una dipendenza dal barocco, per quel che concerne le soluzioni
d’impianto, e dal neoclassicismo, soprattutto nella facciata: i lavori iniziarono nel 1796 ma
si conclusero solo nel 1856, dopo la morte del Vici (avvenuta nel 1817). Il Vici fu aiutato
dal folignate Giovanni Bettini (che collaborò anche in occasione del restauro del palazzo
Comunale di Bevagna nel 1799); inoltre il Vici, a Foligno, si occupò anche del restauro del
campanile pubblico, e fece alcuni interventi nel palazzo Vescovile e nel reclusorio, casa di
correzione minorile.
Così, negli anni Trenta dell’Ottocento, verrà ristrutturato anche l’Oratorio della
Nunziatella, su progetto dell’architetto Vincenzo Vitali, che riuscì ad armonizzare l’esterno
ottocentesco con l’interno prettamente rinascimentale, ospitante, tra le altre opere, anche
un Battesimo di Cristo di Pietro Perugino.
Per il comune, l’impegno finanziario legato ai lavori della Cattedrale e, in parte, alle altre
chiese del territorio, costituisce un motivo in piø per non riuscire ad affrontare un
programma di ristrutturazione dei palazzi pubblici: il palazzo comunale, per esempio,
aveva bisogno di un restauro alla struttura muraria, e solo con l’aggravarsi di questa
situazione, dovuta al terremoto del 1791, si pensò seriamente ad un progetto, poi affidato a
Virginio Bracci, che si occuperà principalmente della facciata, proponendo di consolidarla
mediante uno sperone che unificasse tutti gli edifici intorno in un prospetto omogeneo: al
progetto per il palazzo pubblico si unisce, a firma dello stesso Bracci, un piano di
ripavimentazione della piazza stessa, che però rimane su carta. I lavori ripresero solo nel
1835 con il prospetto realizzato dall’architetto Antonio Mollari, nativo di Macerata, di
matrice strettamente neoclassica (con un evidente richiamo all’arte di Canova): egli
elaborerà una facciata a quattro piani, con un avancorpo centrale la cui superficie è
scandita da sei colonne con capitello ionico, ed è decorata da bassorilievi; il paramento
esterno del pianoterra è lavorato a bugnato e presenta nove ingressi ad arco a tutto sesto, di
cui cinque di dimensioni maggiori. A seguito del crollo del torrino del Palazzo Comunale,
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causato dal terremoto del 1997, la facciata è stata recentemente restaurata e riportata al suo
antico splendore solo nel settembre del 2011.
Sostanzialmente, comunque, si può affermare che alla fine del Settecento vi fu un certo
dinamismo negli interventi in città: per iniziativa di privati, si realizzerà il parco dei
Canapè, tra 1777 e 1778 verrà costruito il Reclusorio recuperando l’ex convento delle
monache della SS. Trinità, si introduce l’illuminazione stradale e si provvede a costruire o
a riadattare zone da utilizzare come sedi per l’ospedale, il teatro e il cimitero, inoltre ci si
occupò a sistemare l’ingresso di Porta Romana, ingresso per eccellenza della città.
In questo clima di rinnovamento e di rimodernamento cittadino, numerose sono le
residenze private ristrutturate o ricostruite in città, viste come possibilità d’investimento
per quelle famiglie che possiedono beni terreni e hanno un ruolo nella vita pubblica
comunale.
Come si è già avuto modo di sottolineare, si registra su tutto il territorio umbro una forte
concentrazione di pittura romana, dettata soprattutto dalle opere di ammodernamento delle
chiese che richiamano gli artisti da Roma verso i centri di Provincia. Questi stessi artisti
che si cimentarono nella decorazione o ristrutturazione delle chiese umbre, si occuparono
anche del restauro o della decorazione ex- novo dei palazzi restaurati o costruiti a Foligno.
Due artisti in particolare emergono nei cantieri di questi palazzi: Liborio Coccetti,
contemporaneo del Piermarini, e Marcello Leopardi.
Nato a Foligno nel 1736 e morto a Roma nel 1816, Liborio Coccetti è l’unico a distinguersi
a Roma tra i pittori di origine umbra: come sottolinea Cecilia Metelli in un suo saggio
presente all’interno del catalogo dedicato alla mostra Piermarini tenutasi a Palazzo Trinci
di Foligno nel 2010, “il pittore riesce a rinnovare alla radice il linguaggio che gli proviene
dal suo background artistico di provincia, immergendosi completamente nella piø
aggiornata temperie culturale romana.”
5
A Roma si distingue soprattutto nell’ambito della decorazione, genere che perfezionerà
grazie al vescovo di Spoleto, Francesco Maria Locatelli, intrinseco di Papa Pio VI, che lo
farà diventare l’artista prediletto del pontefice. A Foligno lascia alcune tele ad olio
(attribuitegli dal Faloci Pulignani) nel palazzo Lezi – Marchetti in via Cairoli n.38 – al
tempo chiamata via della Fonte del Trivio -, un affresco nel sott’arco di porta Todi (ora
abbattuto), una tela nella chiesa di San Giacomo dei Servi di Maria, un dipinto raffigurante
5
METELLI Cecilia, La Pittura decorativa a Foligno al tempo di Piermarini, pag. 279
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San Marco in gloria nella chiesa di San Pietro a Sant’Eraclio di Foligno e il ciclo pittorico
a Palazzo Barugi.
Anche Marcello Leopardi, nato a Potenza Picena nel 1750 e morto a Roma nel 1795, è
presente a Palazzo Barugi, dove gli sono stati attribuiti due dipinti, raffiguranti
rispettivamente Isacco e Giacobbe e Abramo ed i tre angeli, presenti nella Cappella di
Famiglia. Ma egli si distingue molto per il suo distacco dallo stile rococò e per le sue
aperture, al contrario, verso il vasto campionario di matrice classica soprattutto in Palazzo
Lezi – Marchetti, dove il pittore marchigiano “aggiorna il retaggio carraccesco in un
linguaggio pittorico originale, che evoca al tempo stesso il disegno sodo e il ductus
narrativo brioso di Cades e di Giani e un colorismo luminoso, di matrice veneta, che negli
azzurri e nei verdi accesi risulta non lontano da quello di Bison.”
6
Gli affreschi del
Leopardi si pongono probabilmente come un apice della decorazione d’ambiente non
soltanto umbra: “il rococò vi trapassa senza abiure nelle forme squisite di un classicismo
neocarraccesco osservante del decalogo fra Mengs e antichità di Ercolano e della Domus
Aurea che ispira gli elementi romani piø a la page, le sale del Casino Borghese.”
7
Successivamente sarà presente anche a palazzo Ubaldi – Alleori, in via Gramsci n. 55, il
cui ciclo decorativo si estende dalla Sala del Convito (Convito di Assalonne), alla sala
d’angolo (con scene dipinte sulla volta di soggetto biblico), alla Galleria dei paesaggi (
Sacrificio della figlia di Jefte, soffitto) alle sale di Mosè ( Mosè riceve le tavole della
legge), del Sacrificio (Sacrificio a Giunone), di Tobiolo, dei Trionfi, della Musica,
dell’Aurora, di Diana, delle Stagioni. La decorazione ottocentesca è attribuibile a Mariano
Piervittori (1818-1888), pittore folignate che fu indirizzato allo studio della pittura molto
probabilmente dal suo concittadino Decio Trabalza che lo indirizzò nel 1834 ad iscriversi
all’Accademia di Belle Arti di Perugia.
8
Foligno, allo scadere del Settecento, si presentava come un grande cantiere a cielo aperto,
pronto ad accogliere le piø moderne idee provenienti da Roma, città da cui provenivano
artisti richiamati dalle imprese decorative pubbliche e private, e in cui andavano i pittori
umbri per tentar di esercitare al meglio la propria professione: ecco così che, a fianco di
maestranze locali romane, si trovano maestri e pittori locali. Decio Trabalza è uno di questi
pittori.
6
CARACCIOLO Maria Teresa, Arte in Umbria nell’Ottocento, pag.42
7
CASALE Vittorio, La Pittura del Settecento in Umbria, pag. 366
8
MIGLIORATI Alessandra, Mariano Piervittori Pittore dell’Italia Unità, Edizioni Orfini Numeister, 2010
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CAPITOLO SECONDO
DECIO TRABALZA: LA VITA
2.1 Nascita e Formazione
“Decio Ottavio Trabalza, figlio dei signori Vincenzio Trabalza e della Signora Marianna,
coniugi sotto la parrocchia di Santa Maria Infraportas, fu battezzato da me, Giustiniano
Arciprete Poggi, questo giorno 7 febbraio 1804. Compari il Nobil uomo Signor Decio
Barugi degli Onofri e la nobil donna Ottavia Cantagalli Orfini. Nacque a dì detto alle ore
14:00 incirca di martedì.”
9
Decio fu il sesto di nove figli (Giò Battista
10
, Carolina
11
, Gaetano
12
, Rosalba
13
,
Ferdinando
14
, Rosa Albina
15
, Leopoldo
16
, Nazarena
17
) che nacquero dall’unione tra
9
Comune di Foligno, Battesimi della Cattedrale di San Feliciano, Reg. Parrocchiale n.4 cc. 332
10
Comune di Foligno, Battesimi della Cattedrale di San Feliciano, Reg. Parrocchiale n.4 cc.75: “Giò
Battista Giuliano Claudio, figlio del signor Vincenzo Trabalza e della Signoria Marianna Innamorati, coniugi
sotto la curia di S. Niccolò, fu battezzato da me Onofrio Felice adì 18 settembre 1792. Compari il Nobil
uomo Signor Claudio Giusti e la Nobil donna Signora Contessa Marianna Melluti […]. Nacque adì alle ore
20 minuti di domenica.”
11
Comune di Foligno, Battesimi della Cattedrale di San Feliciano, Reg. Parrocchiale n.4 cc. 189: Carolina
Maria Rosa figlia di Vincenzo Trabalza e Marianna Innamorati coniugi sotto la curia di S. Niccolò, fu
battezzata da me Onofrio Canonico Elisei adì 4 settembre 1796. Compari illustrissimi signor Claudio
Seracchi e Feliciana Fagotti. Nacque il 3 alle ore 3 e mezzo di sabbato.”
12
Comune di Foligno, Battesimi della Cattedrale di San Feliciano, Reg. Parrocchiale n.4 cc.248: “ Gaetano
Carlo figlio delli signori Vincenzo Trabalza e Marianna Innamorati coniugi sotto la curia del signor Niccolò,
fu battezzato in casa per necessità dal signor Giovanni Pagliarini e da me Onofrio Canonico Elisei si è
supplito alle sacre cerimonie della santa chiesa adì 4luglio 1799. Compare di catechismo il nobil uomo signor
Marchese Carlo Giberti Mattoli e Feliciana Fagotti. Nacque il 3 alle ore 22 di mercoledì.”
13
Comune di Foligno, Battesimi della Cattedrale di San Feliciano, Reg. Parrocchiale n.4 cc. 275: “Rosalba
Anna Claudia, figlia del signor Vincenzo Trabalza e della signora Marianna Innamorati, coniugi sotto la curia
di S. Niccolò (Canonico Elisei), oggi 9 novembre 1800. Compari il signor Marchese Francesco Com Faccini
di Cesena e la nobil donna Claudia Valbunga Gentili Spinola nata a Roncalli dama dell’ordine della Crociera.
Nacque addì 8 alle ore 01:30 di sabato. “
14
Comune di Foligno, Battesimi della Cattedrale di San Feliciano, Reg. Parrocchiale n.4 cc. 301: “
Ferdinando Feliciano Mariano figlio di Vincenzo Trabalza e Marianna Innamorati coniugi sotto la curia di S.
Maria Infraportas fu battezzato da me Onofrio Canonico Elisei il 28 aprile 1802. Compari Ferdinando
Colomba e Maria Casati. Nacque il 17 alle ore 22 incirca di sabbato.”
15
Comune di Foligno, Battesimi della Cattedrale di San Feliciano, Reg. Parrocchiale n.4 cc. 388: “ Rosa
Albina Teresa Angiola Stella, figlia del signor Vincenzo Trabalza e della Signora Marianna Innamorati,
coniugi sotto la curia di S. Maria Infraportas, fu battezzata da me Giustiniano arciprete Poggi addì 3 giugno
1806. Compari illustrissimo Angelo Amici e illustrissima Signora Teresa Dini. Nacque addì alle ore 11
incirca di martedì.”
16
Comune di Foligno, Battesimi della Cattedrale di San Feliciano, Reg. Parrocchiale n.4 cc 425: “ Leopoldo
Attilio figlio di Vincenzo Trabalza e Marianna Innamorati coniugi sotto la curia di S. Francesco fu battezzato
da me Simone Giustiniano arciprete Poggi questo giorno 12 gennaio 1808. Compari il signor Attilio Brunetti
e la nobil donna signor Orsola Rossi Seracchi. Nacque adì verso le ore 7 e mezza di martedì”.
17
Comune di Foligno, Battesimi della Cattedrale di San Feliciano, Reg. Parrocchiale n.4 cc 456: “ Nazarena
Maria Feliciana figlia delli signor Vincenzio del signor Marco Trabalza, e Marianna del fu Giovan Battista