INTRODUZIONE In questa ricerca ci siamo voluti concentrare sulle carriere politiche italiane in
particolare analizzando la situazione parlamentare, sia alla camera che al senato,
osservando da vicino i gruppi parlamentari della XV legislatura (2006-2008). Abbiamo,
prima di tutto, analizzato le differenze fra le carriere politiche della Prima Repubblica
con quelle della Seconda, cercando di capire come si è evoluta la politica italiana dal
dopo guerra ai giorni nostri. Ci siamo soffermati sull’influenza che oggi può avere un
politico, all’interno delle istituzioni, ma soprattutto in che modo possa raggiungere e
mantenere la propria posizione cercando al tempo stesso di evolvere la propria carriera.
In secondo luogo, ed è proprio questa la parte centrale della nostra ricerca, abbiamo
analizzato la composizione dei gruppi parlamentari alla camera e poi al senato,
osservando tutti quei parlamentari che, all’interno di questa legislatura, hanno cambiato
la loro “casacca”, ovvero sono passati da un gruppo parlamentare ad un altro. Ci
accorgeremo che le dinamiche parlamentari sono molto complesse e, in particolare in
questa legislatura, la stabilità all’interno dei gruppi è tutt’altro che scontata dopo le
elezioni. Vedremo come la maggioranza ha iniziato a sfaldarsi proprio dai gruppi
parlamentari, e in particolare, dal gruppo parlamentare dell’Ulivo che, sia alla camera
sia al senato, ha fatto registrare una serie di perdite degne di una Waterloo politica.
Termineremo cercando di tirare le somme e capire le motivazioni di come mai, nei
giorni nostri, intraprendere e mantenere una carriera politica è tutt’altro che semplice.
La stabilità parlamentare dipende molto spesso dalle scelte che sono fatte proprio da
queste persone. Purtroppo, chi intraprende questo tipo di carriera, una volta sedutosi
sulla “poltrona” sembra scordarsi il reale motivo per il quale si trova in quella
posizione, e l’unica cosa che conta, sembra essere, mantenere un certo livello
d’influenza, che gli permetta di raggiungere i propri obiettivi, molto spesso personali.
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CAPITOLO UNO 1
LE CARRIERE POLITICHE IN ITALIA: DEFINIZIONE ED
EVOLUZIONE 1
1. Che cos’è la carriera politica?
Prima di definire che cos’è la carriera politica cerchiamo di dare una breve definizione
di chi si imbarca per questo viaggio, ovvero il politico. Secondo King, il politico di
carriera è “quella persona che considera la politica come la propria vocazione, vede il
proprio futuro nella politica e cerca nella politica le proprie soddisfazioni” (cit. A.King,
The rise of the career politician in Britain, 2007 ). In poche parole è una persona che
presenta un’ampia gamma di caratteri, esperienze attitudini, che tengono assieme e
alimentano al tempo stesso il suo “bisogno di politica”.
Ma che cos’è esattamente la carriera politica? La carriera politica consta di una trafila di
posizioni coperte con continuità d’impegno politico a tempo pieno, attraverso le quali si
tende a raggiungere e per qualche tempo mantenere un’influenza pubblica sostanziale,
coltivando la propria autonomia finanziaria.
L’esistenza di una carriera politica presuppone dunque la disponibilità di risorse
finanziarie destinate agli individui che aspirano a rimanere nella classe politica.
L’elemento ancora oggi più importante, però, resta certamente l’influenza che il politico
può esercitare in vari ambiti pubblici ma non soltanto. In particolare l’influenza politica
si estrinseca oggi in modo più complesso rispetto a un tempo, con un crescente ruolo dei
media che porta una maggiore attenzione dell’opinione pubblica ad una serie di
elementi reputazionali e di problem solving.
Come aveva previsto Weber, coloro che intendono entrare nella sfera del potere politico
devono possedere la necessaria professionalità per condurre una qualsiasi mansione
collegabile al governo della cosa pubblica. Oggi, le competenze dei politici sono
divenute più complesse per il sorgere di ampi reticoli decisionali e per l’oggettiva
difficoltà che caratterizza una serie di scelte pubbliche.
Ci sono 3 fasi fondamentali per arrivare a condurre una carriera politica efficace.
1. La selezione, cioè quel processo che determina lo spostamento dall’area del ceto
politico in senso generico al novero di quei politici che possono davvero contare
1Per quanto segue ci siamo basati soprattutto su Verzichelli (2010)
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su autonomia finanziaria, influenze e competenze sufficienti per avere una seria
aspettativa esercitare potere politico.
2.La circolazione, quel processo che permette a un individuo di rimanere all’interno
dell’area rilevante del ceto politico, vivendo di politica e costruendosi nuove
opportunità per scalare posizioni che servono a soddisfare le proprie ambizioni
future.
3.La capacità di rendiconto di un leader. Cioè, la capacità, da parte di un individuo
che ha già raggiunto un’elevata influenza politica, di dimostrare all’intera
comunità di poter ricoprire a giusto titolo la funzione che costituisce
verosimilmente la sua massima ambizione.
Queste tre fasi ci permettono di capire che nel ceto politico, tutti possono avere
possibilità di carriera, ma il numero di opportunità e le modalità con le quali esse si
presentano sono assai variabili.
2. Le carriere politiche in Italia Prima di analizzare la situazione attuale è obbligatorio fare un piccolo excursus storico
sulla situazione politica (ed in particolare sulle carriere politiche) italiana post-
unificazione fino all’inizio della cosiddetta Seconda Repubblica.
La prima fase arriva fino al 1919, dove l’élite che fino a quel tempo aveva ricoperto i
principali ruoli di governo politico ebbe un deciso declino. Le persone che in quegli
anni governavano il nostro paese erano dei notabili. Ora, senza stare a ricordare chi
erano i notabili, ci limitiamo a sottolineare che lo stesso Verzichelli definisce questa
leadership strutturalmente gracile, a causa della sua limitata professionalizzazione e
infatti ben presto si andò a definire un distacco fra loro e il paese. Non li possiamo
definire dei politici amatoriali ma certamente il loro livello di professionalità non era
sufficientemente elevato da poter continuare a governare il nostro paese. È quindi
indubbio che in Italia ci fosse un ritardo nella costruzione di un modello
professionalizzato di classe politica per una serie di motivi.
La professionalizzazione del ceto politico non avvenne secondo una logica di
convergenza, ma al contrario attraverso varie linee di conflitto che determinarono
l’impossibile coesistenza fra la generazione dei notabili e le nuove forme di
professionismo politico, gestite da una classe relativamente giovane.
La seconda fase è quella che ci porta attraverso tutto il periodo fascista fino alla fine
della guerra. In questo intervallo iniziarono a nascere i primi veri e propri partiti, ma a
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causa della dittatura fu un periodo estremamente complesso per la classe politica.
Durante questo tempo gli italiani iniziarono, però, a gettare le basi per una coscienza e
una partecipazione politica fino a quel tempo sconosciuta che si riversò poi
prepotentemente negli anni successivi.
La terza fase ci porta dal dopo guerra fino alla crisi parlamentare del 1992 con
“tangentopoli”, al suo interno troviamo una serie di sfaccettature che andremo ad
analizzare. La stabilità nell’élite parlamentare del dopoguerra aveva favorito, da un lato,
il processo di istituzionalizzazione del legislativo, contribuendo così al più ampio
processo di consolidamento democratico; dall’altro, si evidenziavano le criticità di una
classe politica eterogenea e incapace di produrre i passi necessari, sul piano della
coesione interna e dell’acquisizione di competenza e autorevolezza, per far uscire
l’intero sistema politico da una situazione di impasse evidenziata dalla debolezza dei
governi e dalla frammentazione inter e intrapartitica. Soffermiamoci brevemente sugli
elementi pregressi che hanno costituito pesanti eredità nella recente trasformazione del
nostro sistema politico.
• La prevalenza del professionismo partitico veniva ovviamente misurata
con l’altra incidenza del cursus honorum all’interno dei partiti stessi,
elemento cruciale per l’accesso al ceto politico nazionale. Vi era quindi un
declino del background occupazionale della professione forense, (cioè non
era più importante essere medici, avvocati, notai o comunque avere una
professione rilevante all’interno della società).
• Ci fu una notevole espansione del ceto politico a causa di varie riforme
come quella costituzionale del 1963, che fece del già ingombrante
bicameralismo italiano, uno dei parlamenti più ampi dello scenario
occidentale. Anche la formazione delle regioni a statuto ordinario nel 1970
ampliò gli scenari del ceto politico. In generale questa situazione permise
la moltiplicazione delle posizioni che offrivano l’opportunità di vivere di
politica.
• Si delinearono due modelli alternativi di reclutamento e di carriera: il
modello “partitico d’apparato” e quello “partitico clientelare”. Gli elementi
che distinguevano il modello d’apparato (tipico del Pci) rispetto a quello
clientelare (diffuso nel personale democristiano) erano il diverso grado
della socializzazione politica (ovvero un’elevata precocità dell’assunzione
delle cariche dei deputati comunisti). La tendenza del personale della Dc
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era quella di mescolare all’esperienza partitica elementi esterni di
costruzione del consenso, legati alla propria visibilità sociale. Inoltre,
sempre nella Dc vi era una sovrapposizione tra cariche partitiche nazionali
e gruppo parlamentare, segno della necessità di compenetrazione delle due
dimensioni ai fini della selezione dell’élite, mentre il Pci privilegiava una
separazione delle cariche, dovuta evidentemente alla capacità di controllo
del partito sulla componente parlamentare.
• Ultimo elemento, la grande stabilità dei modelli di carriera parlamentare
nel lungo periodo questo grazie alle organizzazioni partitiche che hanno
imposto le proprie regole per la selezione della classe politica italiana.
Le opportunità delle carriere politiche dipendevano ovviamente dal percorso intrapreso
dall’individuo, molto spesso vi erano dei percorsi obbligati per raggiungere alcuni tipi
di cariche. Ad esempio, la sequenza da sottosegretario a ministro, e in seguito a ministro
di inner circle. Oppure la sequenza da vicepresidente a presidente di commissione. Altro
esempio molto importante era la carriera del ministeri abile che naturalmente conduceva
a una carica di governo selezionata, mentre una carriera di tipo “istituzionale –
rappresentativo” poteva condurre a cariche come la presidenza di una delle due camere,
che avevano una valenza politica elevata nella distribuzione delle spoglie. Anche la
carica di presidente della Repubblica rientrava in questa sezione. Negli anni ‘80 il tema
della palese inefficienza del modello di professionalizzazione dell’Italia repubblicana
era esploso prepotentemente. Intorno al 1985 invece si ebbe la massima espansione del
sistema partitocratico della Prima Repubblica. Tuttavia l’effetto di un uso spesso
personale della politica e la moltiplicazione delle spoglie, erano comuni a tutti i partiti.
Arriviamo infine all’ultima sfaccettatura di questa terza fase, cioè al grande effetto che
ebbe tangentopoli sul parlamento italiano. Lo scandalo generò un’inedita polarizzazione
nei modelli di selezione da parte dei partiti nuovi rispetto a quelli rimasti nel solco della
tradizione. Il parlamento eletto nel 1994 segnava, infatti, l’inizio di un contrasto nei
caratteri sociali e occupazionali dei parlamentari a seconda del partito di elezione: se il
principale partito erede del Pci presentava ancora una notevole componente di
funzionari di partito eletti in parlamento, e i postdemocristiani del Ppi e del Ccd
mostravano un ceto politico ancorato al settore pubblico, il personale di Forza Italia
proveniva dall’impresa, dalla libera professione e dai media, mentre An aveva un
profilo più coerente con quello di un vecchio partito di quadri. Per la prima volta dai
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primi anni del ventesimo secolo, la pratica della carriera politica incontrava un brusco
arresto.
3. Il mutamento delle carriere e del professionismo in Italia In questo paragrafo analizzeremo i cambiamenti che ci sono stati nella seconda
repubblica e se questi cambiamenti sono avvenuti realmente. Possiamo assumere che
alcuni fattori comparsi con la crisi della prima repubblica (lo svuotamento organizzativo
dei partiti, la personalizzazione politica e il maggiore rilievo assunto da interessi
organizzati e media) abbiano posto le basi di un grande cambiamento significativo nel
rapporto governanti-governati e in particolare nella struttura delle attività politiche.
Analizziamo allora quali sono stati i fattori principali di questo cambiamento.
• Il primo elemento è il minor impatto del “cursus honorum” partitico nella
selezione e nella circolazione della classe politica. Si può ipotizzare che lo
svuotamento dei partiti abbia ridotto il peso del percorso interno ai partiti
stessi nella promozione della leadership.
• Un secondo elemento è il maggiore impatto del ruolo degli amministratori
locali. Questo fattore sembrerebbe portare a 2 conseguenze: la prima è che
le esperienze locali giochino un ruolo cruciale nella selezione della classe
politica nazionale e la seconda è che possa essersi rotto il tradizionale
schema unidirezionale delle carriere.
• Il terzo elemento è l’emergere di competenze più specifiche all’interno
della classe politica. Significa che nella logica populista dell’attacco al
politicante senza mestiere le professionalità d’impresa emergono come
requisiti appropriati del politico: ad esempio l’attitudine a governare con
profitto organizzazioni, aziende o studi professionali.
• Il quarto elemento è il maggiore rilievo assunto nei percorsi di carriera
dalle posizioni legate al sistema multilivello. In particolare, si è ipotizzato
che alcune posizioni della politica siano oggi più appetibili e in ultima
analisi rappresentino l’aspirazione massima o il presunto punto di arrivo di
un percorso di carriera politica.
• Il quinto e ultimo elemento da verificare è il maggiore rilievo delle uscite
laterali e l’emergere di modalità alternative di carriera postpolitica.
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In generale, lo svuotamento organizzativo dei partiti dovrebbe quindi avere
conseguenze rilevanti in quanto si nota la minor incidenza degli apparati partitici
nell’acquisizione delle cariche pubbliche ma anche processi di socializzazione più
rapidi, lontani rispetto a quelli tradizionalmente dominanti nel proprio partito. In questa
situazione è anche più facile ipotizzare una maggiore mobilità, da e verso il parlamento,
e anche più frequenti casi di ritorno verso i livelli della politica territoriale da parte di
autorevoli esponenti della classe politica nazionale.
Nonostante questi elementi, sul piano procedurale il metodo della “selezione territoriale
con ratifica centralizzata” è rimasto di gran lunga il principio ispiratore negli statuti di
tutti i partiti della fase iniziale della Seconda Repubblica. Lo strumento delle elezioni
primarie introdotto dal centrosinistra in diverse occasioni, si è adattato soprattutto alla
necessità di rafforzare la fase di legittimazione del candidato premier. L’altro modello
messo in campo dal centrodestra, è quello del partito personale costruito da Silvio
Berlusconi con l’esperienza di Forza Italia e oggi con il Popolo delle libertà. Non si può
dire che i mezzi scelti per rendere più dirette le scelte sulle persone abbiano dato
risultati innovativi. La politica dei gazebo, intrapresa nella repentina fase di costruzione
del nuovo partito unitario, serve soprattutto a legittimare l’uso di alcune tematiche, e
non offre uno strumento forte per incidere sulle carriere degli aspiranti leader, che
sembrano invece legati ai network personali all’interno del ceto dirigente del partito.
Tuttavia su un elemento di netta mutazione dobbiamo convenire: la carriera politica
oggi è aperta a un numero crescente di personalità che accedono alla cerchia ristretta
dell’influenza politica solo per il fatto di possedere riconosciute competenze, fatto che li
mette in grado di giungere al potere pubblico prima e in modo più convincente rispetto
ai navigati politici.
I dati tuttavia ci segnalano ancora la sostanziale stabilità dei caratteri dell’élite
parlamentare utilizzati tipicamente per interpretare i modelli di reclutamento e carriera,
ovvero le esperienze politiche e amministrative precedenti l’elezione in parlamento. Si
noterà ad esempio come gli eletti del Popolo delle libertà, pur mostrando tassi di
professionalizzazione politica inferiori ai colleghi del centrosinistra, costituiscano
un’élite con caratteristiche simili a quelle del ceto politico democristiano di venticinque
anni fa. Alla stessa conclusione possiamo giungere misurando la lunghezza delle
carriere politiche all’interno del parlamento: nel 2008, al termine del lungo periodo di
stabilizzazione politica seguito alla crisi del 1992, le aspettative di carriera tipiche dei
parlamentari italiani sono praticamente simili a quelle registrate nella fase finale della
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Prima Repubblica. Un fattore negativo è che, oltre all’anzianità parlamentare, non vi
sono sensibili riduzioni dell’anzianità anagrafica dei rappresentanti (anzi l’età di
accesso e l’età media si sono alzate): questo a testimoniare che non si è registrato alcun
passaggio generazionale nella classe politica italiana. Si può notare inoltre, che c’è la
stessa tendenza di un tempo a conquistare posizioni di leadership istituzionale col
passare delle legislature. Un altro elemento che lascia pensare che i partiti abbiano
ancora il controllo della situazione parlamentare, è che tuttora la conferma in
parlamento può avvenire attraverso passaggi reiterati tra le camere, disposti dai
responsabili della selezione delle candidature al fine di garantire la rielezione dei
candidati “speciali”. Infatti i partiti della Seconda Repubblica hanno favorito nuovi
“salti” di camera, ad esempio per accomodare alcuni senatori non troppo popolari che
venivano transitati nel listino proporzionale per l’elezione alla camera dei deputati tra il
1994 e il 2001. Con la reintroduzione del proporzionale questa tendenza si è
ulteriormente accentuata.
In mezzo a tutti questi dati, un elemento che salta agli occhi, è che ancora oggi la
politica territoriale ha una grande importanza per la carriera di un politico ed è
certamente una mansione di grande interesse. Investire dieci anni nelle problematiche
del governo locale non è più soltanto un passaggio finalizzato a entrare nella sfera del
potere, ma può costruire un’ambizione avanzata e una modalità di mantenimento del
proprio prestigio politico per individui già inclusi nel cerchio ristretto del leader. Un
caso evidente al riguardo è offerto dalla Lega Nord, partito che cura la selezione dei
propri rappresentanti attraverso l’apprendistato nel governo locale.
Per quanto riguarda la tipologia dei parlamentari, i dati ci mostrano il declino due
caratteri che in passato erano ricorrenti nel ceto politico: il tasso di densità sindacale
(inteso come assunzione di cariche in organizzazioni sindacali prima dell’entrate in
politica) oggi praticamente dimezzato per quanto riguarda i deputati provenienti dalla
dirigenza sindacale nazionale. Mentre il secondo carattere in declino è rappresentato dal
numero di parlamentari con esperienze dirigenziali nelle principali associazioni
cattoliche. In generale, il personale dei nuovi partiti sembra meno legato ai gruppi
professionali che un tempo si presentavano come background tipici del candidato
leader, e riflette piuttosto una miriade di combinazioni tra esperienze sociali, culturali e
personali. I partiti che maggiormente hanno innovato sotto questo profilo, sono stati
sicuramente la Lega Nord e Forza Italia. I politici leghisti hanno infatti rafforzato un
tessuto di connessioni sociali che si era probabilmente scollato dal ceto politico del
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passato: la piccola borghesia, il mondo artigianale e alcuni simboli delle periferie
settentrionali rappresentano i simboli di questa innovazione. Forza Italia ha invece
rinnovato la rappresentanza politica alla radice, immettendo figure solitamente lontane
dall’impegno diretto, come manager, pubblicitari, grandi industriali e personaggi del
circolo mediatico. Un altro segnale di evoluzione del ceto parlamentare giunge dalla
polarizzazione che ha di recente connotato la distribuzione dei riferimenti sociali dei
rappresentanti di destra e sinistra. I dati rappresentano che la distanza fra i due gruppi
maggioritari di parlamentari, tradizionalmente legata alla diversa distribuzione di
funzionari politico-sindacali, si è oggi spostata sull’asse della presenza di background
occupazionali, privati. Questi ultimi sembrano un elemento unificante tra i
rappresentanti del Pdl (e anche quelli delle Lega Nord), mentre nel centrosinistra si
notano tre gruppi equivalenti di origini occupazionali, rispettivamente: funzionari
politici, professioni del pubblico impiego e professioni private. Gli “eroi della società
civile” hanno vita breve se non si convertono presto in imprenditori della politica capaci
di rimanere in carriera. La Seconda Repubblica presenta oggi un personale politico che
rispecchia la polarizzazione sociale alla base di vari partiti.
Se diamo uno sguardo alla carriera politica europea, noteremo invece che quest’ultima
suscita poco interesse da parte dei nostri politici, per quanto riguarda lo sviluppo della
carriera personale. Molti indicatori sembrano dire che in realtà non esiste ancora una
spinta verso l’europeizzazione della classe politica domestica: le istituzioni comunitarie
rimangono assai meno appetibili rispetto alle cariche del percorso politico nazionale.
Iniziamo a tirare le file di tutto il discorso. Gli stabili governi “del premier” alternatisi
dopo la fase più caotica della transizione hanno dunque consolidato un personale
selezionato sulla base di specifiche competenze o di altri requisiti di natura politica,
mentre la carriera parlamentare è divenuta evidentemente meno rilevante ai fini della
chiamata al governo. La classe politica italiana è ormai vista come un’entità chiusa e
autoreferenziale, il cui avanzamento è rigidamente governato da regole non scritte ma
consolidate di cooptazione e protezione. Vogliamo sottolineare ancora una volta come
per tutta la fase successiva al 1992, l’età di accesso in parlamento sia costantemente più
elevata rispetto alla Prima Repubblica. In particolare, sembra che sia il gruppo degli
esordienti a spostare in alto il dato anagrafico, così avvalorando la tesi, di un travaso da
altre piramidi di élite o comunque dell’entrata nel circuito di influenza di rappresentanti
con un’esperienza già relativamente lunga. È evidente, in particolare, la difficoltà nello
svecchiamento nei governi politici che hanno fatto seguito alla fase di emergenza (1992-
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