Introduzione
I
Introduzione
Siamo oramai abituati a sentire, attraverso la voce di autorevoli esperti del settore,
preoccupanti resoconti dello stato di salute del nostro pianeta e continui appelli
affinché si prenda coscienza di tale realtà e si corra ai ripari prima che sia troppo
tardi. Che la realtà descritta da questi scienziati sia davvero così allarmante oppure
no non ci è dato saperlo ma basta girarsi un po’ intorno, accendere la televisione,
leggere qualche giornale, per rendersi conto che le cose non vanno poi così bene;
violenti uragani, tempeste, alluvioni, hanno sconvolto e stanno sconvolgendo diverse
zone del nostro pianeta e l’aumento globale della temperatura insieme ad un
allargamento sempre maggiore del buco dell’ozono non fanno presagire nulla di
buono per il prossimo futuro.
Siamo pertanto di fronte ad un’emergenza ambientale più o meno grave e, di questo,
per fortuna, ne hanno preso coscienza i paesi industrializzati che con le loro
emissioni di gas serra, derivanti in gran parte dalla combustione di fonti energetiche
fossili, ne sono i principali responsabili. Basti pensare infatti che, in seguito alle
attività industriale, la concentrazione di CO2 nell’atmosfera è passata negli ultimi
150 anni ( in pratica dalla rivoluzione industriale ad oggi ) da 280 ppm a 370 ppm
per arrivare, senza interventi specifici, a superare i 700 ppm alla fine di questo secolo
(figura1).
Introduzione
II
In conseguenza di questa sensibilizzazione da parte dei governi mondiali è stato
predisposto il famigerato protocollo di Kyoto, redatto nel 1997, che ha dato il via a
iniziative concrete per quanto riguarda un utilizzo razionale dell’energia, un
miglioramento dell’efficienza dei processi di conversione e produzione, e sopratutto
un graduale passaggio verso un sistema energetico più pulito e sostenibile
dell’attuale. Il problema infatti non è solo l’alto potere inquinante dei combustibili
tradizionali ma anche la loro progressiva diminuzione, divenuta oggigiorno
allarmante in seguito alla crescente richiesta di energia da parte delle popolazioni dei
paesi in via di sviluppo. A questo riguardo, le stime attuali ci dicono che il petrolio,
supponendo un suo uso costante nel tempo, sarà ancora disponibile per circa 40 anni,
il metano per 60, il carbone per 200. C’è anche da dire che oggigiorno sono in
procinto di essere sfruttati nuovi giacimenti di combustibili fossili prima sconosciuti
o difficili da raggiungere, ma il problema di fondo rimane: la scarsità delle fonti
energetiche primarie, insieme alla necessità di ridurre le emissioni inquinanti,
rappresenta la nuova sfida che l’uomo dovrà affrontare nell’immediato futuro.
La ricerca, in ambito universitario e non solo, si sta muovendo in questo senso e
notevoli passi avanti sono stati fatti nello studio di combustibili alternativi. Il vettore
energetico ideale, ad oggi, sembra essere l’idrogeno non solo per la possibilità di
produrlo con tecnologie consolidate da fonti fossili o utilizzando fonti rinnovabili,
ma anche, e soprattutto, per il suo ridottissimo impatto ambientale, sia locale che
globale. Dalle esperienze fatte fino ad oggi, sono emersi buoni risultati nell’ambito
dell’utilizzo energetico, mentre non vi sono ancora risultati competitivi dal punto di
vista tecnico-economico per ciò che riguarda i processi per la sua produzione. Non
meno rilevanti sono le problematiche legate allo stoccaggio e al trasporto di un gas
così leggero, esplosivo, infiammabile ed estremamente volatile.
Le due principali utilizzazioni previste per il futuro e per cui si sta lavorando
attualmente riguardano il suo l’impiego come combustibile per la generazione di
energia elettrica e per il trasporto. Impianti per la produzione centralizzata di energia
elettrica e motori a combustione interna alimentati a idrogeno sono già fattibili sulla
base delle tecnologie esistenti e anche con emissioni sensibilmente ridotte rispetto a
quelle degli impianti convenzionali (devono tuttavia essere migliorati il rendimento e
abbassati i costi). Ma la tecnologia che utilizza l’idrogeno e sulla quale sono riposte
notevoli aspettative è senza dubbio la cella a combustibile. Il perfezionamento della
tecnologia ed i buoni risultati ottenuti nei rendimenti, sia nel campo dei trasporti che
Introduzione
III
in quello stazionario, stanno spingendo i principali Paesi industrializzati verso intensi
programmi di ricerca, al fine di conferire a questi dispositivi una maturità tale da
permettere una loro larga utilizzazione.
In questo quadro il Dipartimento di Ingegneria Meccanica, Energetica e Gestionale
dell’Università dell’Aquila segue con particolare attenzione e interesse l’evoluzione
del settore, attraverso varie attività di ricerca finalizzate allo studio e allo sviluppo di
sistemi energetici innovativi.
La presente tesi si inquadra nell’ambito delle ricerche in argomento ed è orientata
verso lo studio di sistemi energetici integrati basati su celle a combustibile ad ossidi
solidi. Al fine di valutare le prestazioni delle varie configurazioni impiantistiche
proposte, si è reso necessario l’utilizzo del Gatecycle (in breve GC), un potente e
flessibile software di progettazione e simulazione di impianti di potenza; grazie alla
sua implementazione con Excel, peraltro molto intuitiva, è stato possibile mettere in
evidenza i diversi vantaggi che l’utilizzo di celle a combustibile comportano in
termini energetici e di emissioni, rispetto ad impianti di potenza tradizionali.
Il lavoro di tesi è articolato in 4 capitoli i cui contenuti sono così sintetizzabili.
Nel Capitolo I viene data una descrizione generale delle celle a combustibile. Sono
presentate le varie tipologie di celle a combustibile con i principi fisici fondamentali
che stanno alla base del loro funzionamento.
Nel Capitolo II si focalizza l’attenzione sulle SOFC, descrivendone in maniera più
dettagliata il funzionamento, le reazioni chimiche che la caratterizzano, i materiali
che la costituiscono nonché lo stato dell’arte oggigiorno.
Nel Capitolo III viene analizzata la struttura dell’unità SOFC; in particolare viene
effettuato uno studio parametrico della stessa di cui la pila rappresenta il cuore, dopo
aver messo in evidenza le correzioni apportate al modulo Excel che ne simula il
comportamento.
Nel Capitolo IV vengono infine analizzate diverse configurazioni di impianto, di
complessità crescente, che sappiano sfruttare al meglio le potenzialità delle SOFC,
mettendone in evidenza le caratteristiche e le prestazioni.
Capitolo I
1
CAPITOLO I
CELLE A COMBUSTIBILE
1.1 Cenni generali
Le celle a combustibile sono dei dispositivi elettrochimici in grado di trasformare
l’energia chimica di un combustibile (generalmente un idrocarburo gassoso)
direttamente in energia elettrica e calore. Questo vuol dire non dover attraversare
alcun processo termodinamico intermedio, eliminando così le perdite di rendimento
dovute alla trasformazione in energia termica. L’assenza di un processo di
combustione comporta inoltre un miglior controllo delle emissioni inquinanti. La
Capitolo I
2
struttura di base di una cella a combustibile è costituita da un elettrolita frapposto tra
gli elettrodi, l’anodo e il catodo, sui quali vengono inviati con continuità
rispettivamente il gas combustibile ed il gas ossidante. Quest’ultimo deve contenere
innanzitutto ossigeno e quindi nella maggior parte dei casi si usa l’aria (fig. 1.1).
Fig. 1.1 - Rappresentazione schematica di una FC H2 / O2
Le celle a combustibile sono simili alle batterie elettriche o agli accumulatori, ma ci
sono delle differenze sostanziali. Le batterie sono dispositivi in cui viene
inizialmente accumulata una certa quantità di energia chimica, che viene in seguito
trasformata in energia elettrica, fino all’esaurimento dei reagenti in essa
immagazzinati. Negli accumulatori, quando i reagenti sono consumati, è possibile
ripristinarli fornendo energia elettrica dall’esterno ed invertendo le reazioni
elettrochimiche che vi avvengono. Il funzionamento degli accumulatori è quindi
discontinuo, prevedendo periodi di utilizzo e periodi di ricarica in alternanza. Nelle
celle a combustibile, invece, non esiste accumulo, ma i reagenti vengono mandati
con continuità sugli elettrodi, ed i prodotti di reazione vengono quindi espulsi,
realizzando così una produzione statica e stazionaria di energia. All’anodo (elettrodo
negativo) avviene l’ossidazione del combustibile, con liberazione di elettroni; al
catodo (elettrodo positivo) avviene la riduzione dell’ossidante con l’impiego degli
elettroni provenienti dall’anodo. La reazione elettrochimica che si sviluppa determina
una differenza di potenziale tra i due elettrodi ed un conseguente scambio di ioni tra
Capitolo I
3
il catodo e l’anodo attraverso l’elettrolita. Gli elettroni che vanno dall’anodo al
catodo non possono attraversare l’elettrolita: essi dunque vengono fatti passare in un
circuito elettrico esterno alla cella, nel quale può essere immesso un utilizzatore.
Dato che la tensione agli estremi di una cella è bassa (circa 0,7 V ) e le correnti
erogate sono comprese tra 300 e 800
2
/ cm mA , come per le batterie, è possibile
mettere in serie più celle, collegate fra loro da lastre separatrici dette piatti bipolari
per ottenere la corrente e il potenziale desiderato, andando così a formare il
cosiddetto stack (figura 1.2).
Fig. 1.2 - Esploso di una cella base impilata
L’idea alla base del funzionamento delle celle a combustibile è quello di convertire
l’entalpia di formazione dell’acqua in energia elettrica, secondo la reazione
fondamentale:
O H O H
2 2 2
2
1
+ calore + elettricità (1.1)
che può essere scissa nelle due reazioni parziali:
e H H 2 2
2
(anodo) (1.2)
O e O 2
2
1
2
(catodo) (1.3)
Capitolo I
4
Si può constatare come, almeno in linea di principio, la produzione di energia con
questo sistema sia innanzitutto ‘pulita’, non producendo altro che acqua allo scarico.
Il problema principale è tuttavia la possibilità di reperire idrogeno puro, che deve
essere ricavato da altri processi, quali elettrolisi dell’acqua, reforming dei
combustibili, gassificazione delle biomasse. Dato che il più delle volte si fa ricorso
ad idrocarburi, è evidente che nelle emissioni in realtà è presente anche il carbonio,
sotto forma di anidride carbonica. I principali problemi che vanno affrontati in fase di
progettazione delle celle a combustibile riguardano la durata delle apparecchiature.
Gli elettrodi infatti, oltre ad essere conduttori, devono favorire il più possibile le
reazioni, pertanto devono essere catalitici: occorre quindi fare in modo che il
catalizzatore non venga ‘avvelenato’ da specie chimiche eventualmente presenti nei
gas o nell’elettrolita. Inoltre bisogna limitarne il più possibile la corrosione. Spesso
anche la temperatura di funzionamento interviene in maniera decisiva in tali processi;
le celle a combustibile vengono allora classificate secondo due criteri: il tipo di
elettrolita utilizzato e la temperatura di esercizio.
1.2 Principali tipi di cella
Viene effettuata qui di seguito una breve descrizione delle principali tipologie di
celle a combustibile, mettendone in evidenza gli schemi di funzionamento e le
reazioni elettrochimiche responsabili della produzione di energia.
1.2.1 Celle ad elettrolita polimerico (PEFC o PEM)
La tecnologia PEM è quella che ha avuto i maggiori sviluppi per le applicazioni
veicolari e di cogenerazione stazionaria di piccola-media taglia negli ultimi anni.
Introdotta negli anni ’60, con il programma missilistico Gemini, è stata poi
abbandonata fino alla fine degli anni ’80 a causa degli elevatissimi costi della cella
(dovuto principalmente all’alto carico di platino catalizzatore necessario nei primi
elettrodi e alle basse densità di potenza).
Capitolo I
5
L’elettrolita è una membrana polimerica conduttrice di protoni. L’unico liquido
presente è l’acqua: i problemi di corrosione sono minimi. Per un funzionamento
corretto è necessario che la membrana sia sempre idratata: la velocità di produzione
dell’acqua nella reazione deve essere maggiore di quella di evaporazione. La
membrana richiede inoltre una temperatura di funzionamento inferiore a 120°C. Per
soddisfare entrambe le esigenze si utilizza come combustibile un gas ricco di H2 con
quantità minime, se non nulle, di CO (che a basse temperature è un veleno). Per
entrambi gli elettrodi si usa come catalizzatore il platino.
Fig. 1.3 - Rappresentazione schematica di una cella PEM
Le reazioni elettrochimiche che avvengono all’interno della cella, responsabili della
produzione di energia, sono le seguenti:
e H H 2 2
2
(anodo) (1.4)
O H O e H
2 2
2 4 4
(catodo) (1.5)
Le PEFC hanno avuto un grande sviluppo negli ultimi 20 anni; l’attrattività per usi
automotivi, con un mercato potenzialmente molto grande, ha determinato un
Capitolo I
6
abbassamento progressivo dei costi ed un miglioramento sia delle tecnologie
produttive che delle prestazioni.
1.2.2 Celle alcaline (AFC)
Le celle alcaline furono le prime a essere oggetto di intensi programmi di ricerca a
partire dagli anni ’50, soprattutto negli Stati Uniti e in Europa, per le missioni
spaziali. Attualmente la configurazione maggiormente diffusa è quella introdotta
dalla Elenco (oggi ZetekPower) nei primi anni 80 dove gli elettrodi sono in genere
costituiti da un supporto poroso di carbonio su una mesh di nickel, contengono un
basso carico di metallo catalizzatore (platino in quantità di circa 0,3 mg/cm
2
) e sono
esternamente rivestiti di uno strato idrofobico di politetrafluoroetilene (PTFE).
L’elettrolita è una soluzione di KOH (85% in massa per temperature di
funzionamento intorno ai 250°C e 35-50% in massa per temperature inferiori a
120°C) trattenuta in una matrice (generalmente di amianto). E’ possibile utilizzare
un’ampia gamma di catalizzatori, anche di basso costo (Ni, Ag, ossidi di metalli e
metalli nobili). Il combustibile deve contenere idrogeno come unico reagente mentre,
oltre al monossido di carbonio che anche in questo caso, è un veleno, anche
l’anidride carbonica va a reagire con l’idrossido di potassio formando
3 2
CO K ed
alterando l’elettrolita. Quando si trattano le celle alcaline è pertanto necessario stare
attenti alla minima quantità di
2
CO presente nell’aria.
Le reazioni elettrochimiche all’interno della cella sono le seguenti:
e O H OH H 4 4 4 2
2 2
(anodo) (1.6)
OH e O H O 4 4 2
2 2
(catodo) (1.7)
Questa tipologia di cella a combustibile ha avuto un considerevole sviluppo nelle
applicazioni spaziali, dai tempi delle missioni Apollo fino all’introduzione dello
Space Shuttle; in questo caso si usa idrogeno puro – prodotto passando il gas
generato da reforming attraverso una sottile membrana di argento e Palladio.
L’ossidante è ossigeno puro (senza tracce di
2
CO come nell’aria atmosferica) e
quindi non esistono problemi di contaminazione da carbonio.
Capitolo I
7
1.2.3 Celle ad acido fosforico (PAFC)
In questo tipo di celle si utilizza come elettrolita acido fosforico concentrato al 100%
trattenuto in una matrice di carburo di silicio, in un campo di temperature che va dai
150 ai 220°C. A temperature più basse l’acido fosforico diventa un cattivo
conduttore di ioni e l’avvelenamento del platino catalitico da parte del CO diventa
eccessivo. La stabilità relativa dell’acido fosforico concentrato rispetto ad altri acidi
comuni è elevata, permettendo il funzionamento della cella in un ampio intervallo di
temperature; l’alta concentrazione inoltre limita la pressione del vapore acqueo. Gli
elettrodi sono costituiti da uno strato di grafite che fa da supporto a un sottile strato
catalizzatore, formato a sua volta da carbonio legato da PTFE e attivato da
piccolissime particelle di platino catalizzatore.
Fig. 1.4 - Schema di una cella PAFC
Capitolo I
8
Per quanto riguarda le reazioni elettrochimiche che avvengono nella cella, esse sono
del tutto simili a quelle che si verificano nella cella PEFC, con produzione di acqua
al catodo e circolazione di ioni H+ nell’elettrolita.
La tecnologia PAFC soffre degli stessi problemi di alcune altre tecnologie di cella ad
elettrolita liquido: corrosione ed evaporazione dell’elettrolito; ciò nonostante, grazie
allo studio sui materiali, le PAFC sono molto promettenti per l’uso nei sistemi di
media taglia alimentati da gas naturale. Infatti per quei sistemi in cui oltre ad una alta
efficienza elettrica sia importante anche un basso impatto ambientale (edifici
commerciali, grandi alberghi, ospedali e impianti per telecomunicazione) la cella
PAFC è attualmente la soluzione ottimale.
Quelle appena descritte sono celle che funzionano “a bassa temperatura”. Esiste
poi una seconda categoria di celle che funzionano “ad alta temperatura”, e che
andremo qui di seguito a descrivere.
1.2.4 Celle a carbonati fusi (MCFC)
Le celle a carbonati fusi utilizzano come elettrolita una combinazione di carbonati
alcalini: generalmente carbonato di litio e carbonato di potassio, contenuti in una
matrice ceramica di LiAlO2. Le temperature operative vanno da 600 a 700°C, alle
quali i carbonati diventano sali fusi e la conduzione ionica è dovuta agli ioni
carbonato. Grazie alle temperature di funzionamento così elevate abbiamo diversi
vantaggi:
non sono necessari metalli nobili quali catalizzatori: si usano allora Ni
all’anodo e ossido di nichel al catodo;
flessibilità maggiore nell’uso di più combustibili, grazie alla possibilità di
alimentare la cella direttamente con gas naturale o distillati leggeri (tutti i
prodotti del petrolio) senza reforming esterni;
possibilità di cogenerazione;