INTRODUZIONE
La comunicazione è stata definita come “un continuo scambio di informazioni tra
un mandante e un ricevente, usando un codice di segnali specifici, che servono per
interagire durante certe attività (riproduzione, foraggiamento) e nelle specie
sociali per promuovere coesione nel gruppo” (Vauclair, 1996). Durante la
comunicazione acustica un animale trasmette informazioni ad altri animali usando
segnali vocali, influenzando il comportamento di questi individui per il proprio
vantaggio personale (Dawkins & Krebs, 1978).
Il delfino tursiope è un animale altamente sociale che vive in società i cui
membri sono associati in piccoli gruppi, all’interno di comunità più grandi
(Connor e al., 2000; Bruno e al., 2001; Diaz Lopez & Bernal Shirai, 2008). Questi
animali riescono a mantenere la coordinazione e la sincronia nel gruppo con gli
altri individui grazie alla comunicazione vocale (Lammers & Au, 2003), che gioca
un ruolo importante nelle loro interazioni sociali. La maggior parte degli studi al
riguardo è concentrata sul delfino tursiope (Tursiops truncatus e T. aduncus) (Dos
Santos e al., 1990; Smolker e al., 1993; Connor & Smolker, 1996; Sayigh e al.,
1999; Lammers e al., 2003; Boisseau, 2005).
1. BIOACUSTICA
1.1. Il suono
Il suono si propaga attraverso onde, con alternate compressioni e rarefazioni di
molecole in un mezzo elastico (liquido, solido o gassoso), che sono percepite da
un ricevente come cambiamenti di pressione. Le onde acustiche sono onde
longitudinali, la cui energia si propaga parallelamente alla fonte e sono
caratterizzate da ampiezza, frequenza, lunghezza d’onda, fase, velocità e intensità
(Swift, 2003).
Ampiezza: picco di pressione raggiunto in un ciclo, è proporzionale alla massima
distanza alla quale una particella vibrante è spostata dalla posizione di equilibrio.
Piccole variazioni in ampiezza producono suoni deboli, mentre grandi variazioni
producono suoni forti (Fig. 1).
Frequenza (f): tasso di oscillazione o vibrazione delle particelle dell’onda, è il
numero di oscillazioni che compie nell’unità di tempo. Viene misurata in cicli/sec
o Hertz (Hz). Un aumento in frequenza viene percepito dall’orecchio umano come
un suono più acuto.
Lunghezza d’onda (λ): la distanza tra due successive compressioni o la distanza
che l’onda percorre in un ciclo di vibrazione.
1
Fase: allineamento ad altre onde nel tempo; onde con la stessa fase interferiscono
costruttivamente per creare un’ altra onda.
Velocità (c): tasso al quale le vibrazioni si propagano attraverso un mezzo
elastico. La velocità del suono nell’acqua è circa 1500 m/s, mentre nell’aria è
circa 340m/s. La velocità è data dalla frazione della lunghezza d’onda sulla
frequenza, ma dipende anche dalla radice quadrata delle proprietà elastiche del
mezzo, sulla sua densità.
c = λ/f c = √B/ρ
La velocità nell’acqua dipende quindi dalla densità della colonna d’acqua, che è
influenzata da temperatura, profondità e salinità.
Intensità: potere acustico per unità d’area nella direzione della propagazione. E’
la misura dell’energia meccanica e potenziale portata da un’onda, per unità d’area.
L’intensità non viene misurata direttamente in quanto è più semplice misurare
cambiamenti di pressione e convertirli in intensità.
Fig. 1 : onda fisica; A= ampiezza, λ= lunghezza d’onda (Au & Hastings, 2008).
1.2. Acustica in acqua
In acqua la vista non è il senso primario, dato che la luce non penetra in
profondità. Le lunghezze d’onda più lunghe sono le prime a svanire, il rosso è
visibile fino ai 10 m, seguito dal giallo, dal verde e poi dal blu. Difficilmente
qualsiasi luce penetra a profondità maggiori dei 200 m (Swift, 2003). La visibilità
diminuisce con la profondità per la mancanza di luce e con la presenza di alghe o
sedimenti, ma il suono viaggia circa 4,5 volte più velocemente che in aria
2
(1540m/s invece che 340m/s) e si propaga a grandi distanze, fino a milioni di
chilometri (Swift, 2003).
Tutti gli animali marini si sono adattati alla vita sott’acqua, dai semplici
organismi sessili ai predatori degli ultimi livelli trofici, come i cetacei.
Gli Odontoceti, vivendo quindi in un ambiente dove la visibilità non è sempre
ottimale e il suono viaggia a grandi velocità, hanno sviluppato la capacità di
percepire suoni di un ampio intervallo di frequenza, con una preferenza per le
frequenze più alte.
Specie come il beluga e il tursiope, presentano un ampio intervallo uditivo di
ottimo udito, tra frequenze di 15 e 110 kHz, con un picco di sensibilità sui 40
kHz, mentre l’orca possiede un buon udito solo tra i 15-30 kHz (Au & Hastings,
2008).
Il suono infatti diventa di grande importanza per questi animali; basti pensare ai
delfini di fiume, che lo usano come principale senso, avendo quasi completamente
perso la vista, vivendo in acque altamente torbide (Swift, 2003).
In mare vi sono diversi rumori di fondo: fonti naturali, come il vento e le
onde, e fonti umane come i motori delle imbarcazioni.
Il vento è il principale responsabile di rumore tra i 100Hz e 30Hz, le onde tra gli 1
e 20Hz (Swift, 2003).
I rumori creati dall’uomo possono esser divisi in due gruppi: di basse frequenze (<
10 kHz), causati dal movimento di barche o da altre attività industriali, e di
frequenze più alte (da 100 a 500 kHz), provocati da eliche di motori e da sonar
(Azzali, e al., 2001).
L’inquinamento acustico influenza il normale comportamento degli animali,
provocando l’interruzione dell’alimentazione, della socializzazione, della
comunicazione e cambiamenti nel comportamento di immersione. Se tale disturbo
è prolungato nel tempo, può causare stress negli animali, raramente fino alla
morte. I rumori antropici possono inoltre coprire le frequenze emesse dai delfini,
riducendo così le abilità di ricezione del suono e quindi di caccia e alimentazione
(Parson and Dolman, 2003b). I traghetti ad esempio producono un suono sui 500
Hz, che cade in una parte sensibile dell’ intervallo udito dai tursiope. Nonostante
non si siano notati grandi cambiamenti nel comportamento dei delfini, si pensa
che i traghetti creino disturbo acustico a questi animali (Browning, L., J., &
Harland, E. J., 1999).
1.3. Importanza del suono per i cetacei
I cetacei sfruttano il suono, anziché la luce, come fonte primaria di comunicazione
(Swift, 2003). Il repertorio vocale di questi animali è molto complesso e viene
utilizzato per diverse funzioni:
Ecolocalizzazione: abilità con cui gli animali, producendo suoni di medie e alte
frequenze, ne percepiscono l’eco, determinando gli aspetti fisici dell’ambiente
3
circostante (Popper, 1988). Gli Odontoceti sono gli unici mammiferi marini
conosciuti con tale abilità; i tursiope producono suoni di ecolocalizzazione (clicks)
di 50 - 130 kHz (Au, 2000). Più alta è la frequenza usata dai cetacei e più grande è
la risoluzione dei clicks (e più piccolo è l’oggetto che possono identificare). Tali
suoni sono vitali per questi animali: se un individuo perdesse tale abilità,
diventerebbe “cieco” e morirebbe (Parson & Dolman, 2003a).
Comunicazione: la produzione di uno stimolo o segnale che viene ricevuto da un
altro individuo ricavandone una risposta. I cetacei comunicano in una grande
varietà di modi, anche se le maggiori comunicazioni sono sotto forma di segnali
acustici (Parson & Dolman, 2003a).
Tramortire la preda: molti studi hanno dimostrato che la produzione di suoni
intensi viene usata durante la caccia. Forti pulsazioni acustiche possono creare
danni alle cellule della linea laterale e tramortire la preda (Parson & Dolman,
2003a).
Lo sviluppo dell’ecolocalizzazione è accompagnato da altri cambiamenti nel
sistema uditivo di questi animali, inclusa la capacità di percepire e discriminare
alte frequenze. Tra gli Odontoceti sono quindi presenti nuove strutture per
amplificare e ricevere il suono (Popper, 1988). L’emissione dei suoni è infatti
favorita da una modificazione del sistema respiratorio superiore, dove si sono
sviluppate sacche aeree e valvole speciali che permettono al suono di esser
prodotto efficacemente, senza perdita di aria (verrà trattato in seguito).
1.3.1. Il sistema uditivo dei delfini
Il sistema uditivo dei delfini è altamente sviluppato (Popper, 1988).
Il padiglione dell’orecchio esterno, comune nei mammiferi terrestri,
non è presente nei cetacei, per garantire una maggiore idrodinamicità all’animale.
Il suono viene trasmesso all’orecchio medio attraverso il lume del meato esterno
(EAM), circondato da uno strato di grasso che permette una buona trasmissione
dei suoni sui 20-30 kHz.
Le frequenze più alte sembrano esser invece percepite dal canale mandibolare
(Popper, 1988).
L’orecchio medio e interno del delfino sono racchiusi in una
particolare struttura ossea, chiamata Bolla timpanica, che non ha connessioni
ossee con il cranio, ma vi è connessa con cartilagine, tessuti connettivi e grasso
(Au & Hastings, 2008).
Negli Odontoceti la bolla è sostanzialmente isolata dal cranio, mentre nei
Misticeti rimane qualche collegamento osseo tra la cavità dell’orecchio medio e il
cranio (Popper, 1988).
4
In acqua il suono ha una pressione 60 volte più grande che lo stesso suono in aria,
gli ossicini dell’orecchio medio sono infatti più robusti che nei mammiferi
terrestri (Popper, 1988), ma non giocano un ruolo fondamentale come per questi
ultimi, in quanto non devono compensare la perdita di energia che avviene quando
il suono passa dal mezzo aria al fluido della coclea (Au & Hastings, 2008).
Anche l’orecchio interno dei cetacei si è modificato rispetto a quello dei
mammiferi terrestri, sempre per il fatto che le differenze acustiche tra l’aria e il
fluido interno all’orecchio, a cui sono sottoposti questi ultimi, non sono più
presenti nell’acqua.
La coclea dei cetacei è simile a quella dei mammiferi terrestri, con modifiche che
rappresentano adattamenti a suoni di alte frequenze.
Nei mammiferi le alte frequenze dello stimolo sonoro producono i massimi
spostamenti delle onde viaggianti sulla coclea a livello dell’estremità basale.
Inoltre l’elasticità della membrana aumenta dalla sua estremità più stretta a quella
più larga (Randall e al., 1999).
Nei delfini, la membrana basale della coclea è sospesa da lamine ossee nella parte
basale e progressivamente da strutture meno rigide verso la regione apicale, fino a
semplice tessuto connettivo (Wever e al., 1971).
Nel tursiope la larghezza della membrana basale aumenta di 14 volte dalla regione
basale alla fine apicale (Fig. 2) (Popper, 1988).
Tali aspetti della membrana permettono una elevata sensibilità alle frequenze alte
nell’orecchio dei delfini.
Un’altra differenza sta nel rapporto tra cellule cappellute e cellule gangliari, che è
di 5:1, mentre nell’uomo è di 2:1. Questo potrebbe spiegare l’alta capacità di
questi animali di discriminare suoni (Popper, 1988).
Fig. 2 : membrana basale destra di Tursiops truncatus (a) e quella sinistra di essere umano (b).
Si può notare come la larghezza della membrana basale aumenti, dalla parte basale a quella
apicale, maggiormente nel Tursiope (14 volte) che nell’uomo (6,25 volte) (Au & Hastings, 2008).
5