nazionali, ma anche al Comitato di Basilea per la Vigilanza Bancaria e la stessa
Unione Europea); dal fatto che l’adozione di questi rappresentasse un
parametro importante per la valutazione di un’istituzione finanziaria da parte
delle agenzie di rating. Tali innovazioni, inizialmente, si sono diffuse presso le
più importanti istituzioni pioniere, rappresentate prevalentemente dalle grandi
banche europee ed asiatiche operanti anche sui mercati internazionali; in pochi
anni però sono divenute anche patrimonio comune delle banche di più ridotte
dimensioni ed importanza. In Italia, tuttavia, l’introduzione di tali innovazioni si è
venuta a scontrare con una realtà bancaria piuttosto acerba, con un evidente
deficit delle competenze tecniche indispensabili per una valida messa a punto di
queste. Il problema, però, come avremo modo di puntualizzare in seguito, deve
essere individuato soprattutto in una cultura aziendale restia al cambiamento e
alla ridefinizione del complesso dei sistemi alla base della gestione finanziaria
dell’istituto. Qualora questi non vengano rinnovati, infatti, si finisce per percepire
ogni tipo di tecnica innovativa come un corpo estraneo che, inserito magari per
esigenze esterne, non apporta nessuna utilità ad una corretta gestione
aziendale. La direzione verso cui si deve sviluppare il paradigma gestionale è
stata tuttavia tracciata, e il verificarsi di tempi lunghi di adeguamento non può
che rappresentare per le banche la perdita di competitività nei confronti della
concorrenza straniera nel contesto di un mercato sempre più liberalizzato.
Alla luce della complessità dell’argomento oggetto di analisi e dell’ancora iniziale
stadio di sviluppo del risk management all’interno degli istituti di credito, il
presente lavoro si pone l’obbiettivo di illustrare un caso di risk measurement,
allo scopo di quantificare la massima perdita che è verosimile aspettarsi a
seguito di una variazione dei tassi di interesse. Sulla base di tale finalità il lavoro
si articola in cinque capitoli, articolati in modo tale da seguire il più
rigorosamente possibile un filo logico che parta dalla crisi degli istituti bancari e
giunga alla formalizzazione di un caso pratico che, pur non potendo essere
reale per la indisponibilità di dati necessari, si configura come un valido
esempio. Nel corso del primo capitolo viene affrontato, appunto, l’argomento
inerente alle crisi bancarie: cause, tipicità, modalità di risoluzione e di
prevenzione. Proprio tra queste gioca un ruolo particolarmente importante la
pianificazione, la programmazione ed il controllo, argomenti a cui è interamente
dedicato il secondo capitolo. Quello seguente ha invece l’obbiettivo di illustrare il
processo di Asset and Liability Management da un punto di vista teorico,
organizzativo e funzionale. All’interno degli ultimi due capitoli, infine, viene
descritto il modello che è stato scelto per la quantificazione del rischio di
interesse e viene messo in pratica a fronte di una variazione prima casuale, poi
frutto di una previsione più rigorosa che ci offre un valore più attendibile della
possibile perdita di capitale.
Un’ultima precisazione risulta opportuna: l’analisi effettuata nel presente lavoro
riguarda quasi esclusivamente il rischio di interesse, fattispecie riconducibile,
come vedremo in seguito, alla famiglia dei rischi di mercato. Tale scelta è
giustificata dal fatto che proprio questa categoria di rischi ha acquisito negli
ultimi anni una rilevanza sempre maggiore, ciò è una conseguenza della
crescente volatilità verificatasi su mercati sempre più globalizzati ed integrati tra
loro. La libera circolazione di ingenti masse di capitali indubbiamente facilita ed
amplifica la diffusione delle crisi valutarie e finanziarie, è il caso di menzionare, a
tal proposito, uno studio della Federal Reserve che mostra chiaramente come
l’incidenza delle crisi bancarie verificatesi negli anni più recenti è fortemente
correlata con il grado di liberalizzazione del mercato dei capitali.
Esistono tuttavia anche altri fattori che indubbiamente hanno contribuito alla
crescita di importanza di questa categoria di rischio e vanno ricondotti sia allo
sviluppo del processo di cartolarizzazione dei titoli che ha permesso la
sostituzione di attività illiquide con altre dotate di un mercato secondario, sia alla
crescita del mercato degli strumenti derivati.
CAPITOLO 1
LE CRISI BANCARIE
1- Premessa
Il corso della nostra storia economica è stato scandito da ricorrenti crisi bancarie
e finanziarie che continueranno a caratterizzarlo anche nel futuro. In generale
possiamo ritenere che una crisi all’interno di un qualsiasi settore abbia, tra gli
altri, anche l’effetto salutare di selezionare gli agenti economici più efficienti in
una sorta di processo darwiniano; le crisi finanziarie, tuttavia, producono effetti
tanto devastanti per gli equilibri economico-finanziari di un paese che
giustificano tutti gli sforzi delle autorità di vigilanza
1
nel cercare di prevenirle
mantenendo l’integrità del sistema, senza con questo comprometterne troppo
l’efficienza. Moltissimi sono i fattori che possono determinare una crisi
finanziaria: possono essere rintracciati nella sfera politica, sociale ed economica
di un paese. Relativamente a quest’ultima gli elementi scatenanti più comuni
sono riconducibili all’aumento dei tassi d’interesse, alle inattese riduzioni del
livello generale dei prezzi, al crollo delle quotazioni dei mercati mobiliari e ai
fallimenti delle banche. Pur in un contesto caratterizzato da un avanzato
processo di disintermediazione bancaria è, infatti, evidente il ruolo primario che
rivestono le banche tra gli intermediari finanziari, è quindi stretto il binomio crisi
bancaria - crisi finanziaria
2
.
1
Con il termine “autorità di vigilanza” intendo comprendere, ora come nelle pagine seguenti, sia
la Banca d’Italia in relazione alla sua vigilanza informativa e ispettiva, sia il Min. del Tesoro e il
CICR in relazione alla loro vigilanza regolamentare.
2
La letteratura ha proposto essenzialmente due teorie per la spiegazione delle connessioni tra
instabilità finanziaria, e in particolare modo bancaria, e fluttuazioni dell’attività economica: al
primo approccio –cosiddetto della credit view- si sono ispirati sia economisti classici che
neokeynesiani, il secondo approccio, di tipo monetarista, fu invece teorizzato da Friedman e
Schwartz. Cfr. Marotta G.- Pittaluga G.B, La regolamentazione degli intermediari bancari 1993 e
Gabbi G., Crisi finanziarie, percezione del rischio e comportamento dei risparmiatori in Le crisi
bancarie 1995 a cura di Ruozi R.
Non essendo rintracciabile una definizione normativa delle crisi bancarie
3
, in
relazione alle modalità di risoluzione di queste possiamo parlare di “una
situazione di patologia spinta dalla quale l’azienda non può uscire con strumenti
ordinari di gestione e che richiede pertanto interventi di carattere straordinario
con attivazione di mezzi (intesi in senso lato, non soltanto patrimoniali, ma
anche tecnici, gestionali, professionali) esterni all’azienda”
4
. Nelle pagine
seguenti ci concentreremo quindi sull’analisi di tali crisi, nel tentativo di
puntualizzare: i fattori scatenanti, le tipicità che ci permettono di distinguerle
dalle perturbazioni degli altri settori, i meccanismi posti in essere nel tentativo di
risolverle e prevenirle.
2- Le cause: i rischi dell’attività bancaria
Il tema dei rischi bancari è stato sempre trattato dalla letteratura e dagli
operatori del settore, al punto che, tra le varie teorie proposte per giustificare la
presenza degli intermediari bancari, ve ne è una, sostenuta da Pyle, che
riconduce l’esistenza di questi alla loro capacità di trasformare i rischi puri in
speculativi. Ricordo a tal proposito che per tale distinzione, dovuta ad analisi su
tale materia di tipo assicurativo, siamo soliti chiamare “puro” un rischio che può
manifestarsi o meno, e per il suo verificarsi determina un danno all’economia del
soggetto esposto al rischio stesso. L’esposizione a tale evento non è
compensata da nessuna opportunità di guadagno. Saranno invece detti
“speculativi” i rischi per cui è possibile calcolare la probabilità che si verifichi
3
Il più esplicito riferimento è rintracciabile all’interno della proposta modificata di Direttiva
comunitaria su “il risanamento delle aziende di credito e i sistemi di garanzia dei depositanti”
(1987) dove si definiscono come “un possibile stato di insolvenza che si prospetta a seguito di
una constatata difficile situazione finanziaria”.
4
Cfr. Desario V., L’attività di vigilanza: le crisi bancarie 1987
l’alea e, una volta calcolata, la situazione potrà evolversi a favore o a danno del
soggetto che si è accollato il rischio. L’assunzione di questi, è dunque
giustificata dalla probabilità di realizzare profitti. Un’ulteriore classificazione per
macrocategorie è quella relativa alla distinzione tra rischi economici e finanziari.
I primi fanno riferimento all’equilibrio tra costi e ricavi, i secondi all’equilibrio tra
entrate e uscite. Prima di addentrarci nell’analisi delle varie fattispecie di rischio,
credo importante sottolineare che tutte queste sono riconducibili ad un unico
concetto: il rischio d’impresa, che grava sull’attività bancaria come su tutte le
attività caratteristiche dell’esercizio d’impresa.
2.1- I rischi economici
Sono inerenti all’equilibrio economico:
- i rischi di controparte
- i rischi di mercato
- i rischi monetari
Con il rischio di controparte ci riferiamo alla possibile insolvenza della nostra
controparte contrattuale, all’interno di un rapporto di prestito siamo soliti però
parlare più frequentemente di rischio di credito
5
. Notoriamente questo
rappresenta la causa principale dei fallimenti bancari, ciò giustifica tutti gli sforzi
sostenuti dalle banche nella selezione di un corretto portafoglio prestiti. Tipi
particolari di questo rischio sono il rischio di regolamento, il rischio paese e il
rischio giuridico. Accomunati dall’effetto pratico (l’insolvenza) differiscono dalle
5
Più correttamente Sironi A. in Dalla probabilità di insolvenza al VaR di un portafoglio: obiettivi,
approcci alternativi e applicazioni in La gestione e la misurazione del rischio di credito: modelli,
strumenti e politiche (1998) a cura di Sironi A. e Marsella M. parla del rischio di credito come di
quella “possibilità che una variazione inattesa del merito creditizio di una controparte nei
cause che la determinano: un vizio nei sistemi di pagamento, una causa di
forza maggiore di carattere politico - economico indipendente dalla volontà del
debitore, un vizio formale del contratto giuridico posto alla base del rapporto.
I rischi di mercato
6
sono quelli determinati dall’andamento delle variabili del
mercato finanziario che influiscono sulle condizioni di scambio. Le grandezze
fondamentali dello scenario macroeconomico di riferimento sono: il tasso
d’interesse, il tasso di cambio ed il prezzo dei valori mobiliari, le loro oscillazioni
danno luogo, in ordine, al rischio d’interesse, al rischio di cambio e al rischio di
prezzo. La trattazione del rischio d’interesse sarà oggetto di particolare
approfondimento nel corso di questa ricerca; per il momento credo necessario
aggiungere che tale categoria di rischio ha assunto una crescente importanza
con lo sviluppo degli strumenti derivati. Essi hanno permesso di modificare la
combinazione rischio – rendimento del portafoglio bancario nel tentativo di
rendere il bilancio in sintonia con la situazione attuale e con le aspettative sulle
evoluzioni future.
I rischi monetari sono invece quelli riconducibili alle variazioni del livello
generale dei prezzi: sappiamo che in un bilancio bancario esistono sia attività
reali sia finanziarie, le continue oscillazioni dell’inflazione alterano le grandezze
finanziarie a vantaggio di quelle reali creando una seria minaccia per la stabilità
degli equilibri bancari.
All’interno della categoria dei rischi economici vanno inoltre ricordati i rischi
operativi, ad esempio il rischio di struttura o il rischio di frode, che differiscono
confronti della quale esiste un’esposizione generi una corrispondente variazione inattesa del
valore di mercato della posizione creditoria”.
6
Spesso nella letteratura si fa riferimento a questa categoria con il termine, a questo punto
abusato, di “rischi finanziari” creando, in effetti, una certa confusione con la categoria dei rischi
finanziari prima delineata in opposizione a quella dei rischi economici.
dai precedenti in quanto presentano problematiche particolari non essendo
direttamente connessi all'attività d’intermediazione finanziaria.
2.2- I rischi finanziari
Se per ogni impresa la capacità di adempiere agli impegni di pagamento
rappresenta un’assoluta necessità, nel caso di un’impresa bancaria tale
incombenza è ancora più pressante, sia per la natura dell’attività svolta, sia per
le gravi conseguenze di un’eventuale incapacità. Possiamo distinguere due tipi
di rischi: il rischio di liquidità ed il rischio di solvibilità. Concettualmente si parla di
liquidità riferendosi alla capacità di saldare gli impegni assunti alla dovuta
scadenza, mentre con solvibilità intendiamo la capacità assoluta di saldare i
debiti. Appare evidente come i due concetti siano distanti: il primo si riferisce,
infatti, ad una difficoltà, anche momentanea, a far fronte ad un flusso di
pagamenti senza dover ricorrere alla smobilizzazione – spesso a condizioni
svantaggiose – d’alcuni impieghi. Il secondo fa invece riferimento ad una
situazione di profonda degenerazione dell’attivo il cui valore non riesce a
superare il valore delle passività.
Un meccanismo perverso che ha origini soprattutto nella psicologia umana fa sì
che spesso le crisi di liquidità risultino essere l’anticamera di una ben più grave
crisi di solvibilità
7
. Approfondiremo in seguito il concetto delle corse allo sportello
7
Quanto possano essere considerati vicini i due concetti di liquidità e solvibilità emerge in Revell
J., Rischio e solvibilitá delle banche: la questione della solvibilitá bancaria dopo l'espansione e i
cambiamenti del sistema finanziario nei paesi industriali - concetti e misure per nuove regole
(1978) dove l’autore sostiene: “Abbiamo così due concetti di solvibilità, l’uno fa riferimento ad
una situazione di crisi e l’altro alla gestione dei fondi liquidi nel normale corso degli eventi;
chiameremo il primo il concetto di solvibilità nel caso di ‘disastro’ e il secondo il concetto
dinamico di solvibilità”.
e dei panici bancari. Per il momento ritengo utile sottolineare l’importanza e la
delicatezza nella gestione della tesoreria che ha il compito, appunto, di
individuare il livello di risorse liquide pro-tempore ottimale. E’ evidente che un
livello di liquidità inferiore o superiore comporta, nell’ordine, oneri da sostenere
per la ricerca di nuova liquidità o un costo opportunità derivante dal fatto che
deteniamo un eccessivo livello di liquidità infruttifere o, comunque, poco
remunerative. La presenza di elevati livelli di raccolta “a vista” o di clausole
contrattuali che lasciano alla controparte la disponibilità delle somme depositate
rendono tale scelta molto problematica.
Concludendo questa breve analisi relativa ai rischi dell’attività bancaria vorrei
soffermarmi nel ricordare che la classificazione appena esposta, che risponde
essenzialmente a finalità espositive, non ci deve trarre in inganno relativamente
alle numerose connessioni tra le varie tipologie di rischio. Questi, generalmente,
non si presentano come elementi isolati e indipendenti, ma il verificarsi degli uni
può facilmente comportare il manifestarsi degli altri, in un processo che avvia un
circolo vizioso che si conclude spesso in una crisi sistemica
8
.
Vorrei inoltre aggiungere che la semplice individuazione dei rischi non esaurisce
la nostra analisi. Non ci permette di spiegare infatti il motivo per cui in un
contesto di instabilità finanziaria (che colpisce tutti gli istituti finanziari operanti
nello stesso sistema) solo alcune banche, tra quelle contraddistinte da un
analogo profilo di rischio, finiscano in difficoltà. Gli anni ’80 e i primi anni ’90
sono stati caratterizzati da un forte incremento di crisi bancarie in tutti i principali
8
Al proposito, si consulti Drago D., I rischi dell’attività bancaria in Nuovi modelli di gestione dei
flussi finanziari nelle banche (1995) a cura di Fabrizi P.L.
sistemi finanziari occidentali
9
, le cause di tale fenomeno sono molteplici e
traggono le loro origini nel mutato contesto storico, politico e competitivo. Il fatto
però che alcune banche, piuttosto che altre, abbiano sorpassato tale situazione
non va ricondotto semplicemente alla maggiore fortuna, ma all’esistenza di
fattori interni agli istituti stessi che hanno permesso loro di sopravvivere. Tra
questi giocano un ruolo assolutamente determinante l’efficienza della gestione,
le capacità del management sia nel porre validi indirizzi e obbiettivi operativi, sia
nel governare il livello di rischio assunto senza subire passivamente il corso
degli eventi.
A buon ragione potremo quindi concludere che la carenza di capacità di risk-
management rappresenta una delle più importanti cause dei fallimenti bancari e
proprio per la sua importanza ci riproporremo in seguito di analizzare tale
aspetto con la dovuta attenzione.
3- Le tipicità delle crisi bancarie
Come brevemente accennato in precedenza le crisi bancarie hanno caratteri
specifici che le differenziano da quelle che colpiscono gli altri settori, ci
riproponiamo adesso di individuare alcune di queste peculiarità:
- l’intensità e la facilità di propagazione degli effetti indotti dalla crisi di un
intermediario bancario
Tale elemento implica il cosiddetto “effetto contagio” o “rischio sistemico”
10
che
si crea sia per i molteplici rapporti sia si instaurano continuamente tra le banche
9
Cfr. Hanc G., The Banking Crisis of the 1980s and Early 1990s: Summary and Implications in
History of the Eighties – Lessons for the future Vol.1 (1997)
10
Spesso parliamo a tal proposito anche di “domino effect”. Quando invece tale fenomeno si
allarga ad intermediari bancari appartenenti a diversi sistemi finanziari siamo soliti parlare di
appartenenti allo stesso sistema, sia per la fragilità del rapporto fiduciario che
sta alla base dei depositi bancari. Questo effetto consiste nell’allargamento ad
altre banche di una crisi inizialmente limitata ad un singolo istituto ed è
determinato dai rapporti che quelle hanno in corso con questo; può inoltre
essere aggravato dal comportamento del tipo “flight to quality”
11
, o addirittura di
ritiro dei depositi (“flight to money”), dei soggetti titolari di portafogli presso le
banche inizialmente sane
12
. In tali casi si parlerà quindi di trasformazione di un
run in un vero e proprio panico bancario.
- il coinvolgimento di un elevato numero di soggetti privati e pubblici
E’ evidente che i primi ad essere coinvolti nelle crisi sono gli azionisti, a questi
però vanno aggiunti gli organi direzionali della banca in crisi, gli altri intermediari
finanziari e bancari e le autorità di vigilanza. Le esternalità cui abbiamo fatto
riferimento nel punto precedente spingono quindi non solo gli organi addetti alla
vigilanza, ma anche le stesse banche concorrenti di quella in crisi, alla ricerca di
una soluzione rapida e non traumatica. Va sottolineato però che i primi agiscono
per interesse della comunità, i secondi invece per interessi propri: si viene quindi
a delineare “una inusuale commistione tra concorrenza e cooperazione, una
forma di pseudo - solidarietà, in realtà motivata da peraltro ragionevoli obiettivi
di equilibrio aziendale.”
13
- la notevole difficoltà nel riuscire a valutare l’effettiva situazione economica,
finanziaria e patrimoniale degli istituti coinvolti
“Herstatt Risk” dal caso dell’omonima banca tedesca la cui crisi contagiò il mercato finanziario
americano. (Gabbi)
11
Con tale stringa si indica la trasformazione di un portafoglio titoli verso forme di investimento
ritenute più sicure dai risparmiatori.
12
Per approfondimenti in relazione ai diversi modelli di runs e di panici bancari proposti dalla
letteratura cfr. Marotta G. – Pittaluga G.B. La regolamentazione…., op. cit. Cap. IV
Da tale elemento deriva la complessità nel riuscire a trovare rapidamente una
soluzione alla crisi e la necessità di prevenirla prima che possa realizzare i suoi
effetti.
- la elevata probabilità che la crisi si manifesti
Questo aspetto è insito nella naturale debolezza che sta alla base di tutti i
rapporti di deposito bancario a vista che, in generale, hanno un elevato peso
nella raccolta bancaria. Tali istituti infatti tendono a realizzare un maggiore
profitto, determinato da un più elevato spread sui tassi di interesse, finanziando i
prestiti a medio - lungo termine attraverso le passività a vista. Realizzano così
una trasformazione di scadenze che li espone a notevoli rischi di liquidità.
- le svariate modalità con cui possono determinarsi le crisi
14
Quanto finora detto ci permette facilmente di capire l’importanza che può avere
il riuscire a mantenere una situazione di difficoltà all’interno dei confini
dell’istituto bancario
15
. Potremo quindi effettuare una prima distinzione tra crisi
dichiarate e crisi non dichiarate secondo la diffusione che queste ottengono
presso il pubblico. Una seconda classificazione generale, che interseca solo in
parte la precedente, è quella tra crisi che determinano un perdita di capitale per
gli azionisti (sono, in verità, la minoranza) e quelle che invece si risolvono senza
danneggiarli. Appare a questo punto chiara l’essenzialità del fattore tempo sia
nel prevenire che nel risolvere in maniera relativamente “indolore” una crisi; nel
garantire tale tempestività di intervento giocherà un ruolo fondamentale sia il
13
Zorzoli S., Le soluzioni esogene alle crisi bancarie in Le crisi bancarie (1995) a cura di Ruozi
R.
14
In tale paragrafo non menziono volontariamente la distinzione tra crisi di natura strategica, di
natura operativa e di natura finanziaria dato che il tema è stato già affrontato in precedenza in
sede di trattazione dei rischi dell’attività bancaria.
sistema interno di controllo di gestione, sia il controllo esterno delle autorità di
vigilanza, ma questo aspetto sarà oggetto di analisi nelle pagine seguenti. Le
crisi bancarie si possono quindi verificare in diversi contesti economici e in
svariate condizioni di gestione: potremo imbatterci in queste all’interno di una
sana operatività aziendale, piuttosto che in un contesto economico esterno di
tensione finanziaria, piuttosto che in una condizione di illiquidità o addirittura di
insolvibilità. Da ciò deriva il fatto che non risulta sempre immediata
l’individuazione di una crisi agli occhi dei soggetti esterni all’azienda. In questi
casi dovremo ricercare la concomitanza di diversi indizi del calibro di: il
susseguirsi di risultati economici negativi, il deteriorarsi della struttura
patrimoniale (peggioramento della qualità del credito, lievitazione dei costi
operativi e di struttura, spreads tra tassi attivi e passivi sempre più ridotti ecc..),
la sostituzione del management, la cessione di sportelli bancari, la dismissione
di partecipazioni ecc.
16
A tali diverse fattispecie di crisi bancarie corrisponderanno vari metodi adottati
dalle autorità addette al controllo.
15
Porzio paradossalmente arriva ad affermare che: “Per una banca è rilevante non il verificarsi
di una data situazione, ma la sua effettiva manifestazione” in Porzio C. Le crisi bancarie in Italia
(1999)
16
Un modello formalizzato per l’individuazione delle crisi latenti tramite il ricorso ad una
regressione logistica viene illustrato da Porzio, Le crisi bancarie….op. cit. alle pagg. 128 e seg.