INTRODUZIONE
I distretti industriali sono stati per lungo tempo il motore
dell’economia italiana, così come confermato anche dai
numerosi studi effettuati durante gli anni ’60 – ’80. In
questo ventennio infatti, i distretti hanno contribuito in
modo determinate alla crescita e allo sviluppo del nostro
sistema economico, facendo registrare anche ottime
performance a livello internazionale. ¨ proprio in questi
anni, infatti che si afferma il marchio “Made in Italy” che
ha contribuito a rendere i prodotti tipici del nostro paese
noti in tutto il mondo.
I distretti industriali hanno dato un grande contributo
all’economia del nostro paese, creando posti di lavoro,
incrementando il numero delle transazioni commerciali,
contribuendo allo sviluppo di reti sempre piø fitte di
relazioni le quali possono essere ben identificate
all’interno del distretto stesso, favorendo la nascita di
nuove imprese attraverso la creazione di condizioni
favorevoli ai fini dello sviluppo dell’imprenditorialità.
I Distretti industriali, quale modello produttivo tipico e
distintivo dell’economia italiana, hanno rivoluzionato il
modo di vedere dell’economia, la produzione ed il
mercato, incentrando la propria attenzione sulla divisione
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del lavoro e sulla specializzazione, cambiando così
l’assetto dell’organizzazione. Il distretto ha rivalutato
anche la figura della PMI e del piccolo – medio
imprenditore. In sostanza l’importanza data alla PMI
italiana, ha rivalutato anche tutte quelle attività svolte
tipicamente dalle piccole imprese in settori come quello
dell’artigianato, del tessile, del meccanico, agro –
alimentare ecc. Infatti queste imprese raggruppate in
distretti, possono dare un maggior peso all’economia e
riescono contestualmente a valorizzare il contesto
economico e socio – culturale delle posizione territoriale
in cui si sono valorizzate e sviluppate.
Il marchio del “Made in Italy” ha contraddistinto per
lungo tempo i prodotti italiani nel mercato mondiale;
prodotti inizialmente difficili da imitare in quanto
venivano utilizzate risorse e competenze proprie del luogo
di produzione, creando un vantaggio competitivo nei
confronti dei diretti concorrenti, particolarmente solido. I
DI hanno rappresentano per lunghi anni, un sistema di
organizzazioni dell’attività economica che ha contribuito
in modo rilevante allo sviluppo ed alla competitività
dell’economia italiana.
Negli ultimi anni tuttavia il modello distrettuale sta
attraversando un periodo di crisi profonda come dimostra
sicuramente la progressiva diminuzione del numero dei
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Distretti industriali presenti nel nostro paese passato da
199 a 156
A partire infatti dalla fine degli anni ’90 infatti stiamo
assistendo ad una evoluzione dei modelli economici, con
l’affermazione di un modello definibile technology based
in cui la competizione si basa sempre piø sulla capacità di
innovazione, ovvero sulla capacità di produrre nuove
conoscenze scientifiche e di applicarle poi dal punto di
vista commerciale. In tale modello diviene sempre piø
rilevante lo sviluppo di meccanismi di trasferimento
tecnologico dal sistema della ricerca al mondo delle
imprese ed un ruolo fondamentale è giocato dalle nuove
imprese innovative quale veicolo privilegiato per la
concretizzazione dei processi innovativi e dunque per
l’instaurazione di un circolo virtuoso di sviluppo del
territorio (Venkataram, 2004; Acs,1992; Acs e Audretsch,
1990, Audretsch, 1995). Nuove imprese innovative che
poi trovano il terreno piø fertile per nascere e svilupparsi
all’interno di quelli che sono definiti Distretti tecnologici,
caratterizzati per il forte utilizzo di innovazione come
forma di vantaggio competitivo.
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Il processo di globalizzazione da un lato, con l’affermarsi
sullo scenario mondiale di nuovi competitors (i paesei
emergenti) che competono principalmente grazie al
contenimento dei costi di produzione e lo sviluppo di
nuove tecnologie sono sicuramente tra le principali cause
di tali cambiamenti nella struttura e nei meccanismi di
funzionamento dei sistemi economici.
Ciò che stiamo vivendo oggi è infatti fortemente legato al
fenomeno di espansione realizzatosi in brevi tempi, dei
Paesi “emergenti”, come quelli dell’Est. Tali Paesi sono
riusciti, attraverso l’adozione di strategie di costo, a
recuperare e ad annullare il vantaggio competitivo
realizzato dalle industrie negli anni passati.
In Italia, il mercato asiatico ha preso piede, inizialmente
attraverso settori come l’abbigliamento, il tessile,
l’informatico e attraverso prodotti di bassa qualità, e da
poco ritroviamo la presenza delle imprese dell’Est anche
nel settore agro – alimentare e nel settore dei prodotti
generici e di largo consumo. Tali imprese come già
puntualizzato hanno la capacità di realizzare prodotti
sostenendo dei costi molto bassi, e quindi di conseguenza
sono in grado di richiedere un prezzo di vendita altrettanto
basso, almeno rispetto a quello proposto dai diretti
concorrenti. In questo periodo però stiamo assistendo ad
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un boom economico di questi Paesi emergenti; la
produzione realizzata infatti, ha fatto registrare un
aumento della qualità dei prodotti realizzati. Questo è
avvenuto senza sostenere costi particolarmente eccessivi,
ed ha fatto si che il mercato asiatico possa padroneggiare
soprattutto nel mercato di massa, riuscendo spesso ad
ottenere un ampio consenso tra i consumatori.
Nello scenario che si è così delineato emerge sempre con
maggiore evidenza il ruolo che l’innovazione svolge quale
strumento necessario per il recupero ed il mantenimento
del vantaggio competitivo da parte delle imprese nonchØ
quale strategia di ripresa del sistema economico del nostro
paese.
Sulla base di tali considerazioni, il lavoro si propone di
indagare in che modo sia possibile conciliare il modello
distrettuale con la sempre piø avvertita esigenza di
innovazione, consentendo di evidenziare come la
possibilità di impiantare e sviluppare processi innovativi,
non significhi necessariamente “creazione ex-novo”, ma
come significhi anche “rinnovare partendo dall’esistente”.
Il lavoro si articola in tre capitoli.
Il primo capitolo sarà dedicato alla ricerca degli elementi
qualificativi dei distretti materia centrale di studio
dell’elaborato, per individuarli dal punto di vista
geografico, organizzativo e giuridico, poi si focalizzerà sul
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problema della loro crisi e delle possibili strategie di
ripresa, volte a garantire un recupero di competitività, tra i
quali sono riconosciuti come strumento di possibile
rimonta i distretti tecnologici, fonte di maggior
competitività attraverso l’utilizzo di innovazione, ed
infine, verrà posta l’attenzione su un caso applicativo, in
modo particolare, sul caso del distretto HI – MECH
dell’Emilia Romagna, il quale evidenzia chiara e possibile
un’armonica convivenza tra la processi tradizionali e
processi innovativi.
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CAPITOLO I
I.1. DEFINIZIONE DI DISTRETTO
INDUSTRIALE.
I distretti industriali sono sistemi produttivi
composti da tante organizzazioni la cui competitività è
rafforzata dalle interrelazioni e dai legami che riescono a
stabilire grazie alla vicinanza dal punto di vista territoriale.
Il termine (d’ora in poi DI) è stato coniato da Alfred
Marshall, un’autorevole studioso che, nel 1867, lo usò, nei
suoi scritti, per far riferimento ad alcune aree di industrie
tessili sorte in Inghilterra, e precisamente, nella contea del
Lancashire e attorno alla città di Sheffield.
L’autore individua a suo parere, un tipo di economie
che definisce come economie esterne
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, cioè esterne
all’impresa ma interne all’industria, generate
dall’agglomerazione territoriale di piccole imprese e dalla
presenza di piø soggetti legati tra loro da relazioni di
produzione e di scambio.
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L’autore intende riferirsi ad un tipo di economie che diversamente
dalle economie interne vanno ricercate nelle caratteristiche del
territorio. Le economie esterne rientrano nelle economie di scala, non
si realizzano riducendo i costi interni dell’impresa ma sfruttando le
caratteristiche che il territorio offre.
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Esse hanno, nella loro forma canonica, le
caratteristiche di essere fondamentalmente:
a. esterne alle aziende ma interne alla comunità
locale;
b. diffuse poichØ non possono essere fatte proprie da
nessun attore individualmente;
c. localizzate poichØ appartengono a imprese ivi
radicate;
d. di carattere meramente manifatturiero in quando
espressione di relazioni di scambio tra imprese di tale
natura;
e. condizionate fortemente da determinanti
tecnologiche, di mercato e socio-istituzionali solo in parte
endogene al sistema distrettuale;
f. generate inconsapevolmente tramite l’operare dei
diversi attori produttivi locali.
Marshall, ritiene inoltre, che per generare economie
esterne, sia necessario coinvolgere la struttura produttiva e
scomporre il processo produttivo stesso, ma soprattutto
fare in modo che la comunità locale possa riconoscersi e
interagire con il distretto.
Non per altro motivo, la definizione propria che
emerge in questa circostanza, è quella di DI visto come
un’entità socio-economica costituita da un insieme di
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imprese che fanno parte di un unico sistema produttivo
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e
localizzate in un’area circoscritta.
Sfortunatamente, il termine appena discusso è poi
scomparso dal linguaggio economico a seguito della
dell’entrata in crisi e del successivo ed ovvio fallimento
dei distretti inglesi, per l’appunto oggetto di alcuni studi
condotti da Marshall. Per il riutilizzo del termine si dovrà
attendere circa un secolo, quando Giacomo Becattini,
professore ordinario di Economia Politica, presso
l’Università di Firenze, ripropose il concetto attraverso
un’accezione piø ampia, la quale, vede il DI come
un’entità socio-territoriale caratterizzata dalla
compresenza attiva di una comunità di persone e di una
popolazione di imprese.
Il periodo in cui Becattini riprende il concetto, è
un’epoca di poco successiva a quella in cui si assiste ad
una trasformazione dell’assetto economico italiano, che
vede mettere in discussione la produzione di massa del
vecchio stile fordista, a favore dell’emersione del piccolo
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¨ un sottosistema dell'azienda che, a partire da determinate risorse
(input) fornisce prodotti e servizi (output), in modo da soddisfare da
un lato le esigenze dei clienti e dall'altro gli obiettivi aziendali nel
rispetto della strategia dell'impresa, delle relazioni con gli altri
sottosistemi aziendali e dei vincoli posti dall'ambiente esterno.
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imprenditore, il quale, riunito in raggruppamenti
territoriali di imprese da il via alla nascita dei DI anche in
Italia.
I DI, infatti, sono stati un tratto caratteristico della
struttura produttiva italiana, in quanto rappresentano una
soluzione organizzativa originale che coniuga la ridotta
dimensione aziendale con una forte capacità competitiva
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e innovativa.
La loro importanza è data anche dal contesto storico
in cui sorgono, in quanto, come già detto, entra in crisi il
sistema produttivo della grande impresa essendo venute
meno le condizioni di crescita della domanda di mercato
ed essendo venuta meno anche l’abbondanza di risorse e
di stabilità monetaria sulle quali si era basato lo sviluppo
industriale degli anni ’60.
Prima di addentrarci in uno studio piø dettagliato dei
DI, è necessario specificare in questa sede che esistono
numerose definizioni che però non riescono a definire con
assoluta precisione ed in modo universale il fenomeno
descritto.
Esiste infatti, una definizione proposta dall’ISTAT,
a dire il vero non molto chiara, la quale definisce i DI
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¨ la capacità degli organi di direzione di creare e gestire competenze
distintive, ossia le caratteristiche intrinseche di un’impresa che
permettono alla stessa si essere piø competitiva sotto un profilo
tecnico – organizzativo.
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come quei sistemi locali che soddisfano una serie di
condizioni riguardo alla specializzazione produttiva e
alla rilevanza delle piccole e medie imprese. Secondo
l’istituto Tagliacarne
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, poi, il DI è un sistema interattivo
di imprese (minori) spazialmente concentrate, operanti in
differenti fasi del ciclo produttivo, che interagisce con una
determinata popolazione. Ed infine possiamo menzionare
anche la definizione dell’IPI
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che invece configura il DI
come un sistema locale caratterizzato dalla compresenza
attiva tra un raggruppamento umano e un’industria
principale costituita da una popolazione di piccole
imprese indipendenti e specializzate in fasi diverse di uno
stesso processo produttivo.
Molte altre sono le definizioni, che , come già
accennato risultano essere vaghe e poco universali. Il
problema fondamentale, infatti, non è tanto di ricercare ad
ogni costo una definizione idonea, ma è quello di cercare
di configurare il distretto, come area di studio per
delineare le sue caratteristiche peculiari.
Inoltre altro aspetto su cui soffermarsi in questa
sede, è il fatto che l’affermarsi di questo fenomeno è
avvenuto negli anni ’70 e ’80 e nonostante abbia
rivoluzionato l’assetto economico italiano, il
riconoscimento dei DI dal punto di vista giuridico è
4
Istituto per la promozione della cultura economica.
5
Istituto per la promozione Industriale.
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