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CAPITOLO SECONDO
GLI ASPETTI “NON COGNITIVI” DELLA MEMORIA PROSPETTICA
Negli ultimi anni, i ricercatori anziché mettere semplicemente in opposizione
memoria prospettica e memoria retrospettiva nei termini di due sistemi di memo-
ria, stanno cercando di studiare isolatamente le diverse componenti del ricordo
prospettico perché è chiaro, oramai, che la memoria delle intenzioni non è soltanto
un sistema di memoria, ma è un fenomeno multidimensionale (Brandimonte,
2004). Infatti nell’ultimo decennio, le ricerche nel campo della memoria prospet-
tica hanno dimostrato che il grado con il quale specifiche abilità cognitive sono
richieste per il successo della memoria prospettica non dipende solo dalle caratte-
ristiche dell’intenzione, ma anche da fattori cognitivi, emotivi, motivazionali e di
personalità. Quindi per analizzare integralmente questo aspetto importante
dell’attività umana oltre alle componenti cognitive, bisogna tener conto delle
componenti sociali e motivazionali del ricordo prospettico.
Lo scopo di questo capitolo è quello di mostrare in che modo la memoria delle
intenzioni possa essere influenzata dalle variabili sociali (in particolare dalla dire-
zione del beneficio e dall’introduzione di ricompense). Diverse teorie della memo-
ria prospettica evidenziano l’importante ruolo della motivazione, ma, ad oggi gli
studi che forniscono una spiegazione teorica dei meccanismi motivazionali che
sottendono il ricordo delle intenzioni si possono contare sulle dita di una mano.
Un’importante tipologia di intenzioni che si basa sulla motivazione concerne le
azioni pro-sociali; nella vita di ogni giorno, spesso la memoria delle intenzioni
concerne il ricordarsi di fare qualcosa per gli altri piuttosto che per se stessi.
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2.1 La motivazione.
Il termine motivazione deriva dal vocabolo latino motus, ovvero «movimento»,
e indica ciò che spinge un individuo a compiere una determinata azione oppure a
perseguire un determinato obiettivo.
Il comportamento e l’esperienza di tutti gli esseri viventi sono diretti verso il
perseguimento e il successivo raggiungimento di obiettivi e la scelta di questi ul-
timi dipende in gran parte dalla motivazione. Infatti colui che sceglie lo fa in base
al valore che assegna ad ogni alternativa possibile e al grado di raggiungibilità
percepito. Scegliere e perseguire degli obiettivi sono attività vitali per ogni orga-
nismo vivente, dalle piante agli esseri umani; gli obiettivi degli uomini possono
essere piccoli o grandi, positivi o negativi, rilevanti o meno importanti, ma costi-
tuisco in ogni caso una parte considerevole della loro esistenza (Klinger e Cox,
2004).
In letteratura i processi che rendono possibile il perseguimento di obiettivi sono
racchiusi sotto il nome di motivazione, mentre l’insieme degli obiettivi di un indi-
viduo e i modi con i quali egli si relaziona ad essi vengono definiti struttura moti-
vazionale.
Gli psicologi forniscono definizioni differenti del termine motivazione. Fergu-
son (1994) definisce la motivazione come l’insieme di quegli stati interni
dell’organismo che influenzano l’avviamento, la persistenza, l’energia e la dire-
zione del comportamento. Invece Chaplin (1968) definisce la motivazione come
un concetto che concerne tutti quegli elementi che suscitano, mantengono e diri-
gono il comportamento di un individuo verso un determinato obiettivo. Quindi la
motivazione per Chaplin, dirige il comportamento verso specifici obiettivi (ele-
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mento critico che mancava nella definizione di Ferguson). Il comportamento mo-
tivato è quindi anche un comportamento diretto verso un obiettivo.
Combinando le due definizioni è possibile definire la motivazione come
l’insieme degli stati interni di un organismo che influenzano l’impulso, la persi-
stenza, la forza e la direzione del comportamento verso un determinato obiettivo.
Solitamente vengono distinte due tipologie di motivazione, ovvero la motiva-
zione intrinseca e quella estrinseca. Si parla di motivazione intrinseca quando un
individuo persegue un obiettivo per amore e quindi quest’ultimo non è uno step
finalizzato al raggiungimento di un altro obiettivo (ad es. mangiare il gelato per
piacere oppure sposarsi per amore). Invece la motivazione è estrinseca quando un
obiettivo diventa soltanto un trampolino per raggiungere ulteriori obiettivi (ad es.
mangiare un gelato per mettere peso o sposarsi per raggiungere un determinato
status sociale).
Un’azione può essere motivata intrinsecamente, estrinsecamente oppure in en-
trambi i modi, tuttavia alcune tipologie di obiettivi, sono maggiormente motivate
intrinsecamente (ad es. visitare un parco nazionale) ed altre estrinsecamente (ad
es. diventare ricchi). Secondo Klinger e Cox (2004), ogni atto estrinsecamente
motivato non è altro che un anello di una catena di atti la quale infine giunge ad
un obiettivo intrinsecamente motivato.
Affinché un obiettivo venga perseguito e poi raggiunto, l’individuo, sin
dall’inizio, deve avere una rappresentazione dell’obiettivo nel cervello altrimenti
la semplice comparsa di uno stimolo causerebbe il fallimento dell’obiettivo pro-
prio perché non ci sarebbe traccia in memoria . Ricordarsi di essere alla ricerca di
un determinato obiettivo è un esempio di memoria prospettica (Brandimonte, Ein-
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stein, & McDaniel, 1996). Infatti il perseguimento di un obiettivo prevede qualco-
sa di più rispetto al ricordo “passivo” dell’obiettivo stesso; richiede un continuo
stato di sensibilizzazione nei confronti degli stimoli rilevanti (cue) per l’obiettivo
e quindi la capacità di afferrare celermente tutte quelle opportunità utili per rag-
giungere l’obiettivo supposto precedentemente. Inoltre lo stato di sensibilizzazio-
ne è un processo implicito, latente, vale a dire che l’individuo è sensibile agli in-
dizi correlati all’obiettivo e manifesta quella prontezza necessaria ad agire anche
quando è impegnato in altre attività. Gli studiosi definiscono quest’ipotetico pro-
cesso latente time-binding process perché denota lo stato di un individuo compre-
so tra due punti, ovvero la decisione di raggiungere un determinato obiettivo e il
conseguimento o la resa del raggiungimento dell’obiettivo stesso. Secondo gli
studiosi ogni singolo obiettivo comporta l’attivazione di processi time-binding se-
parati. Il time-binding process è latente perché non riguarda la rappresentazione
consapevole degli obiettivi da parte del soggetto, bensì quel processo sottostante
che l’accompagna (Klinger e Cox, 2004).
2.2 Il “potere”delle intenzioni.
Dato che un compito prospettico è un’azione ad esecuzione ritardata, una per-
sona per realizzarlo deve innanzitutto formarsi un’intenzione di fare qualcosa in
un certo momento del futuro. Come ho illustrato nel primo capitolo, le intenzioni
possono essere estrinseche (etero-generate) o intrinseche (auto-generate) (Kvavi-
lashvili, Ellis, 1996): nel primo caso sono il risultato di una richiesta fattaci
dall’esterno, ovvero da un’altra persona, nel secondo invece derivano da un per-
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sonale bisogno di fare qualcosa. Queste ultime sono degli stati motivazionali in-
trinseci e, solitamente danno vita a performance migliori.
Goschke e Kuhl (1996) hanno esaminato l’attivazione del contenuto delle in-
tenzioni durante la codifica e hanno scoperto che alcuni item vengono codificati
meglio di altri. Ad esempio, parole che riguardano azioni da eseguire, sono rievo-
cate meglio e riconosciute più facilmente rispetto a parole relative ad azioni che
devono essere soltanto osservate. Goschke e Kuhl hanno denominato questo fe-
nomeno effetto di superiorità delle intenzioni (ISE, intention superiority effect)
che consiste nell’attivazione o nella maggiore accessibilità di item associati alle
azioni da eseguire rispetto ad altri tipi di informazione in memoria.
Nell’esperimento di Goschke e Kuhl, eseguito con un paradigma di intenzioni ri-
tardate (cioè da realizzare dopo un certo intervallo di tempo), ai soggetti veniva
presentata una serie di azioni di cui alcune dovevano essere solo rievocate o rico-
nosciute, altre, invece, dovevano essere messe in pratica. I risultati hanno eviden-
ziato che i soggetti riconoscevano meglio le parole e le azioni che si riferivano a
compiti che dovevano essere eseguiti anziché solo rievocati.
L’ISE è stato osservato anche da Freeman ed Ellis (2003) i quali hanno condot-
to un’altra ricerca basata su un paradigma di laboratorio simile a quella di Go-
schke e Kuhl (2003) e hanno osservato l’ISE sia nei soggetti giovani che in quelli
adulti.
Gollwitzer (1999), nella sua teoria dell’implementation intention, sostiene che
l’attivazione di rappresentazioni appartenenti all’intenzione prepara il soggetto a
riconoscere in maniera efficace dei cue adatti al raggiungimento dell’obiettivo. In
questo modo le motivazioni inconsce rispondono in maniera automatica e senza
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alcuno sforzo a quelle condizioni ambientali che supportano lo scopo da aggiun-
gere; inoltre, queste motivazioni inconsce mantengono attivo il ricordo del compi-
to, ma, nello stesso tempo, permettono alla persona di svolgere altre attività.
La motivazione sottesa ad un’intenzione e la qualità della performance sono
entrambe influenzate da fattori sociali infatti sono proprio quei valori trasmessi
attraverso la cultura che rendono alcune azioni desiderabili ed altre inappetibili.
Naturalmente le persone tendono ad inseguire tutte quelle azioni il cui consegui-
mento è percepito allettante, ma soprattutto realizzabile. Quindi molto probabil-
mente le azioni sociali giocano un ruolo importante per quanto concerne tutte le
azioni ad esecuzione ritardata.
2.3 Gli effetti dell’importanza del compito sul ricordo prospettico.
Nella vita quotidiana le persone formulano svariate tipologie di intenzioni e tra
queste alcune sono importanti e quindi difficili da dimenticare, e altre lo sono me-
no, ma la loro dimenticanza può incidere sulla credibilità delle persone davanti a-
gli altri.
Per comprendere meglio i meccanismi che sottendono una performance di
memoria prospettica, è necessario analizzare quei fattori della fase di codifica che
condizionano il ricordo prospettico, in particolare l’importanza percepita
dell’intenzione. Ad oggi, gli studi che hanno analizzato quest’argomento non sono
tantissimi e hanno prodotto risultati discordanti (Brandimonte e Ferrante, 2008).
Uno dei primi è stato svolto da Meacham e Singer (1977) il quale ha dimostrato
una correlazione positiva tra l’importanza sociale dell’intenzione e la performance
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di memoria prospettica. Durante l’esperimento, svolto in un setting naturale, ai
partecipanti veniva chiesto di spedire allo sperimentatore delle cartoline per un pe-
riodo di 8 settimane. Inoltre a metà dei partecipanti veniva detto che tra tutte le
cartoline ricevute in tempo, ne sarebbero state estratte quattro per un premio di 5
dollari. I risultati mostrarono che nella condizione caratterizzata dall’incentivo al-
to, le performance dei partecipanti erano significativamente migliori.
Contrariamente a tali risultati, studi effettuati in seguito non hanno trovato al-
cun effetto dell’importanza sociale dell’intenzione e la performance di memoria
prospettica (Kliegel et al., 2001). Kliegel e colleghi per risolvere questa antinomia
empirica hanno proposto una spiegazione teorica alternativa. Secondo gli autori
l’importanza del compito migliora la performance di memoria prospettica solo nel
caso in cui il compito richiede l’impiego strategico di risorse attentive di monito-
raggio, ma non nel caso in cui la realizzazione del compito prospettico si basa su
processi relativamente automatici. In particolare secondo Kliegel e colleghi,
l’importanza del compito prospettico migliora la performance di compiti di me-
moria prospettica time-based e di compiti event-based se la corretta realizzazione
di questi ultimi necessita di un monitoraggio strategico; ciò non accede in quei
compiti event-besed la cui realizzazione si basa su processi relativamente automa-
tici
Brandimonte e Ferrante (2008) non condividono questa spiegazione teorica
poiché ritengono che nelle ricerche di Kliegel e colleghi l’importanza del compito
sia stata manipolata senza tener conto del grado di coinvolgimento personale nel
compito. In altre parole, secondo le studiose, il compito veniva definito “impor-
tante” o “non importante” senza specificare la direzione del beneficio poichè le
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istruzioni fornite ai soggetti erano neutre dal punto di vista del coinvolgimento
personale.
Invece nelle ricerche condotte da Meacham e Kushner (1980) e da Cicogna e
Nigro (1998) l’importanza del compito assume una direzione ben precisa, ovvero
sociale. Infatti Meacham e Kushner (1980) hanno dimostrato che le azioni rivolte
verso un’altra persona (ad es. riferire un messaggio ad un amico) vengono ricorda-
te meglio rispetto alle azioni orientate verso un oggetto (ad es. ricordarsi di com-
prare il pane). Nell’esperimento di Cicogna e Nigro (1998) ai partecipanti veniva
chiesto di compilare un questionario in 15 minuti. Lo sperimentatore, dopo aver
dato tutte le istruzioni ai partecipanti, diceva loro che sarebbe uscito dalla stanza e
che avrebbe staccato la cornetta del telefono. Prima di lasciare la stanza lo speri-
mentatore chiedeva ai partecipanti di riagganciare la cornetta dopo 5 minuti.
L’importanza del compito veniva manipolata informando i partecipanti che lo spe-
rimentatore aspettava una telefonata importante oppure una telefonata da parte di
un collega. I risulti mostrarono che, nella condizione di rilevanza sociale, un nu-
mero significativamente maggiore di soggetti portava a termine il compito basato
sul tempo. Dato che il compito di memoria prospettica utilizzato da Cicogna e Ni-
gro (1998) è un compito time-based (basato sull’attenzione), non è possibile di-
sgiungere chiaramente l’influenza motivazionale da quella attentiva.
La questione riguardante se, nella realizzazione di un’intenzione, i fattori moti-
vazionali relativi all’importanza possono avere effetti non mediati dal monitorag-
gio strategico, ancora non è stata risolta, ma nei paragrafi successivi, vengono ri-
portati i risultati degli ultimi studi condotti al riguardo.