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Introduzione
«La mia ipotesi è che la fonte di conflitto fondamentale nel nuovo mondo in cui viviamo non
sarà sostanzialmente né ideologica né economica. Le grandi divisioni dell'umanità e la fonte
di conflitto principale saranno legate alla cultura. Gli Stati nazionali rimarranno gli attori
principali nel contesto mondiale, ma i conflitti più importanti avranno luogo tra nazioni e
gruppi di diverse civiltà. Lo scontro di civiltà dominerà la politica mondiale. Le linee di
faglia tra le civiltà saranno le linee sulle quali si consumeranno le battaglie del futuro.»
Samuel Huntington
Samuel Huntington, uno dei massimi esperti di politica internazionale nonché uno
dei padri della geopolitica dell‟ultimo ventennio, lo sosteneva già nel 1993: sarà la
cultura il futuro luogo di scontro; saranno le differenze culturali (e non quelle
ideologiche) le cause dei futuri conflitti; saranno le risposte alla domanda “chi
siamo?” e non “da che parte stiamo?” a determinare i futuri equilibri geopolitici.
Oggi, anno 2011, il risultato è sotto gli occhi di tutti: la globalizzazione ci permette
di essere vicini gli uni con gli altri, ma è una vicinanza virtuale che non ci unisce
realmente. I pregiudizi, la paura del “diverso”, la distinzione “noi-voi”, il non
accettare “l‟altro” sono problemi all‟ordine del giorno che non si limitano a rimanere
incertezze ristrette alla vita quotidiana, ma che si insinuano anche a un livello più
elevato, intaccando e determinando così la politica internazionale.
In un clima interculturale (o multiculturale?), la comunicazione che ruolo gioca?
Importantissimo, determinante. Quanto incidono le differenze culturali sulla buona
riuscita della comunicazione? Tantissimo, in modo rilevante. E quanto incidono le
differenze culturali nelle relazioni diplomatiche tra Stati? Ancora una volta la
risposta è: tantissimo, in modo rilevante.
Proprio a causa di queste tre semplici domande e altrettanto semplici risposte sono
voluta andare oltre il classico approccio realista verso le relazioni internazionali,
sono voluta andare oltre l‟approccio politico, economico, ideologico, e concentrarmi
invece sul ruolo che la cultura e le differenze culturali giocano nella comunicazione e
nelle relazioni fra Stati.
Ed ecco quindi i tre concetti base di questa memoria: comunicazione, cultura,
politica.
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Troppo spesso forse ignoriamo e sottovalutiamo due presupposti essenziali: il primo
è l‟inevitabilità della comunicazione; non possiamo non comunicare in quanto anche
una comunicazione non verbale (il silenzio, la gestualità, l‟espressione facciale, ciò
che Watzlavick chiama “silenzio posturale”) veicola atteggiamenti e punti di vista. Il
secondo presupposto è che ogni comunicazione è in realtà interculturale (e
intraculturale) poiché avviene sempre tra persone diverse (anche tra individui
appartenenti a una stessa cultura esistono differenze legate a sesso, generazione,
provenienza geografica). A maggior ragione diventa necessario a livello
internazionale costruire un terreno comune, o verificarne la presenza, nel quale
intendersi. Maggiore ovviamente saranno le differenze culturali, maggiori saranno le
difficoltà nel creare e condividere questo terreno.
Il dialogo è, e deve essere, l‟essenza della comunicazione: l‟etimologia del termine
“dialogo” è già di per sé interessante poiché significa legare ciò che è separato, ciò
che sarebbe stato lontano. Si presuppone quindi uno sforzo nel riconoscere l‟altro
come interlocutore. Se ci si nega al dialogo, si finisce con il disastro.
L‟interesse verso l‟ambito della comunicazione interculturale, e in particolare verso
il ruolo che le differenze culturali giocano nel rapporto fra persone e Stati
culturalmente differenti, nasce da diversi fattori: dal corso accademico di
comunicazione interculturale, dalla realtà interculturale (o multiculturale?) in cui
quotidianamente viviamo e che quotidianamente ci mostra quanto sia difficile
comprendere e accettare “l‟altro”, ma, soprattutto, dalla curiosa scoperta dell‟assenza
del concetto di democrazia nella cultura araba. Questa nuova consapevolezza è stata
lo spunto per un‟ulteriore riflessione che mi ha condotto alla successiva scelta del
tema di questa memoria: come può il mondo Occidentale cercare di esportare valori
democratici in Paesi in cui essi non sono culturalmente contemplati? Il passo
successivo è stato il chiedersi che ruolo giocassero i valori di un popolo, e di
conseguenza la sua cultura, nelle relazioni internazionali.
Proprio a questo proposito ho voluto analizzare alcuni casi di fallimenti diplomatici
soffermandomi sulla matrice culturale, forse troppo spesso sottovalutata, insistendo
sull‟importanza della creazione di un terreno comune, possibile solo attraverso il
reciproco riconoscimento e il dialogo.
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Il tema è sicuramente ampio e delicato, il mio lavoro cercherà di affrontare quindi
diverse tematiche: a un‟introduzione generale circa l‟origine, il ruolo, l‟importanza e
l‟interesse odierno verso la disciplina della comunicazione interculturale (capitolo 1),
seguirà poi un‟analisi del rapporto biunivoco tra cultura e politica: analizzerò i
concetti base, sottolineando l‟impossibilità di fare politica senza tener conto del
background culturale delle parti (capitolo 2). Successivamente analizzerò i possibili
fraintendimenti interculturali, ciò che quindi ostacola la comunicazione interculturale
e i modi possibili attraverso cui rimuovere tali barriere (capitolo 3). Il capitolo 4,
infine, mostrerà, da un punto di vista più pragmatico, il ruolo che le differenze
culturali giocano in caso di incidenti e fallimenti diplomatici. Particolare attenzione
sarà rivolta al carteggio tra MacMahon e Hussein e al caso di Camp David II.
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Capitolo 1. La comunicazione interculturale
1.1 La disciplina
Spesso per meglio comprendere una realtà risulta più facile partire dalla sua
definizione. Come per molte discipline, anche per la comunicazione interculturale
possiamo trovarne diverse. Una delle più esaustive, a mio parere, è quella riportata
da Larry A. Samovar e Richard E. Porter, secondo cui «intercultural communication
is the circumstance in which people from diverse cultural backgrounds interact with
one another. You rightly might wonder what is significant or unique about this kind
of interaction. The answer is found in the sometimes extreme cultural diversity of
backgrounds, experiences, and assumptions resident in communicators. Cultural
diversity has the potential to make intercultural communication very difficult – and
in some instances utterly impossible
1
». Da tale enunciazione si evincono i due punti
fondamentali della disciplina, l‟essenza e lo scopo: il primo, l‟essenza, è che la
comunicazione interculturale rappresenta la circostanza nella quale individui
provenienti da contesti culturali differenti interagiscono; il secondo, lo scopo, è che
l‟obiettivo di tale disciplina è quello di individuare e analizzare, cercando così di
ridurre se non eliminare del tutto, i possibili fraintendimenti dovuti alle differenze
culturali.
Possiamo individuare le radici della disciplina nell‟antropologia e le sue origini in
seguito alla prima industrializzazione e ai primi importanti movimenti migratori del
XIX secolo: “l‟altro” non è più lontano, si avvicina; si rompe l‟equilibrio di comunità
culturalmente omogenee poiché una persona che si sposta porta con sé la sua cultura,
che servirà come filtro tra i nuovi stimoli culturali esterni e la sua risposta a questi.
Oggi, nell‟era della globalizzazione e internazionalizzazione, assume un‟importanza
maggiore: viviamo in una società multiculturale, mediata da cooperazioni e
istituzioni multinazionali, da organizzazioni internazionali, nella quale i mass media
svolgono ruoli importanti (sono agenzie di socializzazione; comprimono spazio e
1
L.A. Samovar et al., Intercultural Communication: a Reader, Boston, Wadsworth Cengage
Learning, 2009, 12
a
ed.
Traduzione: “La comunicazione interculturale è quella circostanza in cui persone di culture diverse si
confrontano. E‟ giusto chiedersi cosa ci sia di importante e unico in una tale interazione, e la risposta è
riscontrabile nella diversità culturale insita nei background culturali, nelle esperienze e nei presupposti
dei partecipanti all‟atto comunicativo. Tali differenze hanno la capacità di rendere la comunicazione
molto difficile, se non, in alcuni casi, pressoché impossibile.”
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tempo, moltiplicando la mobilità). Il contatto con “l‟altro”, sia da un punto di vista
fisico che mediatico, diventa inevitabile e quotidiano.
L‟aumento dei contatti tra persone provenienti da lingue e culture diverse ha
provocato l‟aumento di situazioni conflittuali che sono da superare mediante la
comunicazione interculturale. La buona riuscita comunicativa dipende dalla scelta di
un code appropriato. Condividere un code non significa soltanto condividere la
conoscenza di una stessa lingua (l‟internazionalizzazione della lingua inglese infatti
non implica una comunicazione priva di fraintendimenti culturali), ma presuppone
una condivisione minima di certe intenzioni comunicative. La competenza linguistica
deve essere quindi accompagnata da consapevolezza e abilità interculturali.
Ora cerchiamo di analizzare e approfondire i due termini “comunicazione” e
“interculturale”.
Dal punto di vista etimologico, il termine comunicazione deriva dal latino
communicatio che è il nome deverbale del verbo communico. Questo contiene il
formativo cum (con) e la radice munus, che in latino presenta una notevole polisemia.
Forcellini, nella sua opera Lexicon Totius Latinitatis, individua tre significati: dono,
onere e compito. Esiste un nesso tra questi significati fondamentali (dono e compito)
della parola latina munus? La verità è che un dono non è mai gratuito poiché induce
chi lo riceve a sentirsi in debito, perciò il dono non è altro che uno dei due momenti
di uno scambio. Il bene crea implicazioni, obblighi, responsabilità.
Il verbo latino communico significa mettere in comune un bene di qualsiasi natura, e
ciò che viene scambiato durante la comunicazione non sono altro che segni che
producono un senso.
La comunicazione è quindi un atto di compartecipazione, in cui tutti i partecipanti
condividono una stessa condizione e hanno obblighi e doni, oneri e onori
2
.
E‟ doveroso sottolineare che quindi comunicare non significa semplicemente
trasmettere informazioni: secondo il modello della trasmissione, un messaggio passa
da un soggetto A a un soggetto B. La comunicazione risulterebbe quindi
unidirezionale, il destinatario passivo, il messaggio come semplice “pacchetto” da
consegnare a destinazione senza possibilità di modifiche.
Facendo soprattutto riferimento alla comunicazione interculturale, risulta certamente
più convincente considerare la comunicazione da un punto di vista dialogico
3
.
2
E. Rigotti, S. Cigada, La comunicazione verbale, Milano, APOGEO, 2004, pp. 1-3.