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Introduzione
“La distinzione tra fascismo aggettivo e fascismo sostantivo risale niente meno che
al giornale Il Politecnico, cioè all’immediato dopoguerra<”
1
. Così cominciava un
intervento di Franco Fortini sul fascismo. La distinzione tra “fascismi” fatta sul
Politecnico non è né pertinente né attuale. Essa poteva valere ancora fino a circa
una decina di anni fa: quando il regime democristiano era ancora la pura e
semplice continuazione del regime fascista. Ma una decina di anni fa è successo
“qualcosa”, qualcosa che non c’era e che non era prevedibile non solo ai tempi del
Politecnico, ma nemmeno un anno prima che accadesse o, addirittura, mentre
accadeva.
Il confronto reale tra “fascismi” non può essere dunque “cronologicamente”, tra il
fascismo fascista e il fascismo democristiano: ma tra il fascismo fascista e il
fascismo radicalmente, totalmente, imprevedibilmente nuovo che è nato da quel
“qualcosa” che è successo una decina di anni fa. Nei primi anni Sessanta, a causa
dell’inquinamento dell’aria e, soprattutto, in campagna, a causa dell’inquinamento
dell’acqua, sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo,
dopo pochi anni le lucciole non c’erano più: quel qualcosa che è accaduto una
decina di anni fa è dunque la “scomparsa delle lucciole”.
Il regime democristiano ha avuto due fasi assolutamente distinte che sono
diventate addirittura storicamente incommensurabili. La prima fase di tale regime
è quella che va dalla fine della guerra alla scomparsa delle lucciole, la seconda fase
è quella che va dalla scomparsa delle lucciole agli anni Settanta.
Prima della scomparsa delle lucciole.
La democrazia che gli antifascisti democristiani opponevano alla dittatura fascista
era spudoratamente formale. Si fondava su una maggioranza assoluta ottenuta
attraverso voti di enormi strati di ceti medi e di enormi masse contadine, gestiti
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Erminia Passannanti, Il corpo & il potere, Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini,
Novi Ligure: Joker, 2008, p. 95.
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dal Vaticano. Tale gestione del Vaticano era possibile solo se fondata su un regime
totalmente repressivo. In tale universo i “valori” che contavano erano gli stessi che
per il fascismo: la Chiesa, la Patria, la famiglia, l’obbedienza, la disciplina, l’ordine,
il risparmio e la moralità. Tali “valori”, come durante il fascismo, erano “anche
reali”: appartenevano cioè alle culture particolari e concrete che costituivano
l’Italia arcaicamente agricola e paleoindustriale. Ma nel momento in cui venivano
assunti a “valori” nazionali non potevano che perdere ogni realtà, e divenire
atroce, repressivo conformismo di Stato: il conformismo del potere fascista e
democristiano.
Momento di transizione: durante la scomparsa delle lucciole.
In questo periodo la distinzione tra fascismo e fascismo, operata sul Politecnico,
poteva anche funzionare. Infatti, sia il grande paese che si stava formando dentro
il paese, cioè la massa operaia e contadina organizzata dal PCI, sia gli intellettuali
anche più avanzati e critici, non si erano accorti che “le lucciole stavano
scomparendo”. Essi erano informati abbastanza bene dalla sociologia (che in
quegli anni aveva messo in crisi il metodo dell’analisi marxista): ma erano
informazioni ancora non vissute, in sostanza formalistiche. Nessuno poteva
sospettare la realtà storica che sarebbe stata l’immediato futuro; né identificare
quello che allora si chiamava “benessere” con lo “sviluppo” che avrebbe dovuto
realizzare in Italia per la prima volta pienamente il “genocidio” di cui nel
“Manifesto” parlava Marx.
Dopo la scomparsa delle lucciole.
I “valori” nazionalizzati del vecchio universo agricolo e paleocapitalistico, di colpo
non contano più. Chiesa, patria, famiglia, obbedienza, ordine, risparmio, moralità
non contano più. Essi sopravvivono nel clerico- fascismo emarginato. A sostituirli
sono i “valori” di un nuovo tipo di civiltà, totalmente “altra” rispetto alla civiltà
contadina e paleoindustriale. Questa esperienza è stata fatta già da altri Stati. Ma
in Italia essa è del tutto particolare, perché si tratta della prima “unificazione”
reale subita dal nostro paese; mentre negli altri paesi essa si sovrappone con una
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certa logica alla unificazione monarchica e alla ulteriore unificazione della
rivoluzione borghese e industriale.
Il trauma italiano del contatto tra l’ “arcaicità” pluralistica e il livellamento
industriale ha forse un solo precedente: la Germania prima di Hitler. Anche qui i
valori delle diverse culture particolaristiche sono stati distrutti dalla violenta
omologazione dell’industrializzazione: con la conseguente formazione di quelle
enormi masse, non più antiche (contadine, artigiane) e non ancor moderne
(borghesi), che hanno costituito il selvaggio corpo delle truppe naziste. In Italia sta
succedendo qualcosa di simile: e con ancora maggiore violenza, poiché
l’industrializzazione degli anni Settanta costituisce una “mutazione” decisiva
anche rispetto a quella tedesca di cinquant’anni fa. Era impossibile che gli italiani
reagissero peggio di così a tale trauma storico. Essi sono diventati in pochi anni
(specie nel centro-sud) un popolo degenerato, ridicolo, mostruoso e criminale.
Basta soltanto uscire per strada per capirlo. Ma, naturalmente, per capire i
cambiamenti della gente bisogna amarla, come lo stesso Pasolini amava il popolo
italiano, sia al di fuori degli schemi del potere, sia al di fuori degli schemi
populistici e umanitari. Pasolini ha visto il comportamento coatto del potere dei
consumi ricreare e deformare la coscienza del popolo italiano, fino a una
irreversibile degradazione. Cosa che non era accaduta durante il fascismo fascista,
periodo in cui il comportamento era completamento dissociato dalla coscienza.
Vanamente il potere “totalitario” iterava e reiterava le sue imposizioni
comportamentistiche: la coscienza non ne era implicata.
Oggi in Italia c’è un drammatico vuoto, un vuoto di potere. Come ci sono giunti a
questo vuoto gli uomini di potere?
Per quanto ciò possa sembrare prossimo alla criminalità, la loro inconsapevolezza
su questo punto è stata assoluta; non hanno sospettato minimamente che il potere,
che essi gestivano, non stava subendo una “normale” evoluzione, ma stava
cambiando radicalmente natura. Si veda ad esempio alla famiglia, costretta, senza
soluzione di continuità dai tempi del fascismo, al risparmio, alla moralità: ora il
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potere dei consumi impone a essa cambiamenti radicali nel senso della modernità,
fino ad accettare il divorzio, e ormai, potenzialmente, tutto il resto, senza più limiti
(o almeno fino ai limiti consentiti dalla permissività del nuovo potere, peggio che
totalitario in quanto violentemente totalizzante).
Come sempre solo nella lingua si sono avuti dei sintomi. Nella fase di transizione,
ossia durante la “scomparsa delle lucciole”, gli uomini di potere hanno quasi
bruscamente cambiato il loro modo di esprimersi, adottando un linguaggio
completamente nuovo, ad esempio Aldo Moro: cioè colui che appare come il meno
implicato di tutti nelle cose orribili che sono state organizzate dal ’69, nel tentativo,
riuscito, di conservare comunque il potere.
Ciò che si pensava era sostituire il gruppo di uomini che ci aveva portato al
disastro economico, ecologico, urbanistico e antropologico, non pensando che il
“nuovo” potere, attuato attraverso l’artificiale rinforzamento dei vecchi apparati
del potere fascista, non sarebbe servito a niente.
Ad ogni modo, quanto a Pasolini, sia chiaro: Pasolini, ancorché multinazionale,
darebbe l’intera Montedison per una lucciola.
In Salò o le 120 giornate di Sodoma Pasolini mette in relazione il linguaggio figurato
con i violenti epigoni del regime fascista nella Repubblica Sociale di Salò. Al fine
di comprendere il senso profondo dell’opera di Pasolini, quale critica ai sistemi di
condizionamento della libertà individuale e collettiva sotto i regimi totalitari, ciò
che segue è un ricorso ad un corpus di teorie, da Marx, Freud e Foucault, sui
principi e sulle cause che determinano l’urgenza delle gerarchie al potere di ideare
e mantenere organismi di controllo coercitivo per l’assoggettamento delle masse. Il
tema concomitante del film di Pasolini, la perversione sessuale, suggerisce una
riflessione sul permanere del modello sadiano che vige all’interno del rapporto di
dipendenza e abuso tra oppressore e oppresso, soggettività e potere nelle società
capitalistiche avanzate. Nell’attuale fase storica, tale rapporto è occultato da
invisibili apparati di sorveglianza, interiorizzati dal singolo e dalle masse, i quali
sono non meno condizionanti e vincolanti dei tradizionali organismi ufficiali dello
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Stato e della Chiesa preposti ad esercitare un’azione di capillare sorveglianza sul
cittadino.
Nell’occidente postcapitalistico, vedi Foucault, tale codice autodisciplinatorio è
interno agli automatismi della condotta.
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Pier Paolo Pasolini e il suo rapporto con il “POTERE”
IL CINEMA POLITICO DI PASOLINI
È difficile, forse impossibile, parlare di Pasolini, anche solo di Pasolini poeta, senza
andare a misurarsi contro il fascismo. Per lui fu come un'ossessione perenne,
prima sotto la forma del fascismo storico e poi in quella, più velenosa e strisciante,
di categoria eterna che riassume in sé il conformismo, il disprezzo per il diverso,
l'appiattimento intellettuale, il bla-bla politicante. Di Pasolini resta molto. Scritti di
tutti i generi: poesie, romanzi, sceneggiature, interventi critici, articoli e saggi.
Tutti concepiti sotto il segno della passione viscerale, uniti dal medesimo orgoglio
intellettuale e, nonostante le inevitabili e necessarie differenze di stile, concentrati
intorno ad alcuni nodi tematici fondamentali che, come vedremo, sono allo stesso
tempo individuali- privati e universali- storici, testimoni di un contrasto mai
sanato tra la condizione esistenziale del poeta e la sua necessità di farsi portavoce
di un gruppo sociale, individuato diversamente nelle varie fasi della sua
produzione ma sempre collocato al più basso gradino della scala sociale, tra i
miseri, i diseredati, gli esclusi dalla storia dei grandi e dei potenti.
Dopo una carriera di poeta e scrittore decise di impegnarsi nell’attività
cinematografica all’età di trentanove anni, divenuta per lui “unico mezzo di
comunicazione anarchico più degli altri perché fondato sulla “lingua della realtà”
delle immagini in movimento, dunque capace di affondare senza mediazioni nei
significati più intimi, nei totem e nei tabù della società come nessun discorso
concettuale, corrotto dalla logica razionale del potere, avrebbe mai potuto fare”
2
.
Come nei suoi scritti, nel cinema espresse tutta la rabbia contro quell’Italia che
andava sempre più industrializzandosi e imborghesendosi con l’instaurazione di
2
Serafino Murri, Pier Paolo Pasolini, Salò o le 120 giornate di Sodoma, Torino: Lindau, 2001, p. 19.
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un nuova Repubblica che manipolava pensieri e corpi, rendendoli “oggetto” di
una finta uguaglianza e tolleranza. Marx parla della nuova Repubblica che in
Europa significa oramai solo:
la forma politica del rovesciamento della società borghese, ma
non la forma della sua conservazione, come avviene, ad
esempio, negli Stati Uniti d’America, dove le classi non si sono
ancora fissate, dove i moderni mezzi di produzione
compensano la relativa scarsezza di teste e di braccia; e dove
infine lo slancio giovanilmente febbrile della produzione
materiale non ha ancora lasciato né il tempo né l’opportunità
di far piazza pulita del vecchio mondo di spettri
3
.
Nel 1961, dopo una gavetta da soggettista e aiuto sceneggiatore, con registi come
Bolognini e Fellini, esordì con il film Accattone seguito nel 1962 da Mamma Roma
con la grandiosa Anna Magnani. Raggiunse Roma con la madre nel ’51, dopo un
processo che lo vide implicato per “corruzione di minori e atti osceni in luogo
pubblico” per essersi appartato, il 30 settembre 1949 nella frazione di Ramuscello,
con due o tre ragazzi. I genitori dei ragazzi non sporsero denuncia ma i
Carabinieri di Cordovado, venuti a sapere delle voci che giravano in paese,
indagarono contro il poeta. Prima di qualsiasi verifica delle accuse, il 26 ottobre
1949, Pasolini viene espulso dal PCI per indegnità morale e gli venne tolto anche
l’incarico da insegnante nella scuola media di Valvasone. Fu poi celebrato un
regolare processo al termine del quale, nel 1952, Pasolini sarà assolto "perché il
fatto non costituisce reato e per mancanza di querela". A Roma, con l’aiuto
dell’amico Sergio Citti, scopre il popolo della periferia, la Roma delle borgate che
diverrà lo scenario dei suoi romanzi di maggior successo.
Durante il suo complicato percorso cinematografico si distacca dal “cinema di
poesia” per dar vita ad una nuova forma di arte , descritta da lui come “cinema
d’èlite”, ossia fatto per rompere con i sistemi che venivano imposti dal potere:
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Walter Benjamin, I “passages” di Parigi, Volume I, a cura di Enrico Ganni, Torino: Einaudi, 2010,
p. 394.