Introduzione
«Davvero non mi trovo più in Sardegna, ho la piena illusione della Catalogna: stessi
visi, stesse strade e case, stesso accento, stesso idioma. Vedo delle manolas con il
tirabaci provocante, i capelli di un nero corvino con riflessi blu, l’occhio carico di
scintille, con un garofano rosso appuntato al corpetto; e, pure, vecchie sdentate,
autentici tipi della vecchia irritante. Passano alcuni uomini, d’aspetto un po’ altezzoso,
la mano sull’anca come per tenere un pomolo di spadone.
Mi rivolgo a questa gente nella loro lingua, il catalano; e tutti mi comprendono ed io
capisco tutti»
1
.
Nonostante il fulcro di questa tesi verterà su un aspetto più linguistico che culturale, si
è scelto di aprire questo lavoro citando le parole con cui il disegnatore francese Gaston
Vuillier trasferì su carta le sue impressioni di viaggio perché, in fondo, la lingua è ciò che
forse più di ogni altra cosa riflette la cultura, la lingua è cultura e, inoltre, perché ritengo che
niente meglio di questo breve estratto possa aiutare a cogliere la sensazione che chiunque
proverebbe qualora, per caso o per scelta, dovesse trovarsi ad Alghero, cittadina in provincia
di Sassari situata sulla costa nord-occidentale della Sardegna, che presenta un fenomeno
linguistico particolare: oltre all’italiano e al sardo, si parla il catalano, così come più o meno
lo si parlava settecento anni fa.
Ci troviamo, infatti, di fronte a una situazione molto particolare: la lingua parlata ad
Alghero, l’algherese, come si chiarirà in seguito, nient’altro è che il catalano parlato in
Sardegna nel XIV secolo che, conservato quasi intatto per oltre settecento anni, è giunto fino a
oggi rendendo Alghero un’isola linguistica e offrendoci, per questo, una realtà che alcuni
vedono come un miracolo, ma che altri spiegano come un’ovvia conseguenza di un
analfabetismo radicato e duraturo.
Si tratta insomma, per citare la definizione che Luca Scala ne da in Lingua algherese,
da Cagliari solo indifferenza, di una «minoranza al quadrato»
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, ma l’immagine che meglio
può aiutare a cogliere questa particolarità è forse quella di cui si serve Marinella Lörinczi,
impegnata nella Facoltà di Lingue e Letterature Straniere di Cagliari. Nel suo intervento del 6
1
G. Vuillier, Le isole dimenticate. La Sardegna, Ilisso, Nuoro 2002, p. 106.
2
Luca Scala, Lingua algherese, da Cagliari solo indifferenza, «Alguer.it», 12.04.04, consultabile all’indirizzo
www.alguer.it.
1
agosto scorso sul quotidiano on-line L’altravoce.net, la filologa romanza paragona il caso
algherese al tipico meccanismo delle scatole cinesi: «all’interno della maggioranza facente
capo linguisticamente al diasistema sardo, che però è una minoranza sul territorio dello stato
italiano, l’algherese e i suoi parlanti vivono quale minoranza ancora minore»
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.
La situazione di Alghero, infatti, è resa ancor più singolare dal fatto di trovarsi in una
regione già di per sé particolare in cui la questione della lingua, da sempre viva, ha
continuamente visto il sardo in una condizione di limbo tra uno status di dialetto alla stregua
di tutte le altre parlate locali d’Italia e quello di una vera e propria lingua: dicotomia poi
risolta dalla legge regionale n. 26 del 15 ottobre 1997 che riconosce alla lingua sarda pari
dignità rispetto a quella italiana.
In questo elaborato si provvederà, per prima cosa, a presentare un quadro generale in
cui sarà delineato l’ordinamento spagnolo per poter cogliere, innanzitutto, la relazione che
intercorre tra Spagna e Catalogna e quindi le caratteristiche dello standard catalano e la sua
diffusione geografica.
Successivamente, nel secondo capitolo, si procederà concentrandosi sulla variante
algherese della lingua catalana, presentando un altro aspetto che concorre a intensificare
ulteriormente la specificità di Alghero, già particolare di per sé per il fatto di essere un’isola
alloglotta; ossia l’influenza da parte di altre lingue cui l’algherese è costantemente sottoposto,
ci si riferisce in pratica al sardo, all’italiano, al sassarese, parlata di tipo italiano e al
logodurese, parlata di tipo sardo. Nella parte finale del capitolo si provvederà a tracciare un
breve excursus storico dalla nascita dell’algherese nel XIV secolo ai giorni nostri per
inquadrare, così, anche i presupposti che hanno permesso alla lingua di conservarsi per oltre
settecento anni, fenomeno considerato da alcuni, data la distanza dalla madrepatria, un
miracolo, da altri la sola conseguenza di un analfabetismo duraturo dovuto alla carenza di
edilizia scolastica e alla struttura ben circoscritta del centro storico della città.
Partendo da ieri, ossia dalla sua storia, si entrerà quindi nel vivo del progetto arrivando
ad esporre la sua situazione attuale, l’algherese oggi, cui si è arrivati, come si vedrà nel terzo
capitolo, grazie all’aprirsi della questione algherese intorno agli anni ’70-’80. In questo
periodo, in cui si è soliti collocare la terza Rinascenza, ossia la massima espressione culturale
della volontà di recupero linguistico, si iniziò a mostrare interesse nella rinascita del catalano;
ciò portò, dopo anni di quasi assoluta indifferenza, non solo al proliferare di movimenti e
associazioni per la conservazione, tutela e incentivazione dell’idioma, ma anche
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Marinella Lörinczi, Benvenuto il giornale on-line in catalano rilancia la parità delle varietà alloglotte bene il
piano sulla lingua, più chiarezza, «L’altravoce.net», 06.08.08, consultabile all’indirizzo www.altravoce.net.
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all’intensificarsi dei rapporti, tuttora osservabile, tra Catalogna e Alghero. Si arriverà così a
enumerare i vari strumenti radiofonici, televisivi, editoriali o didattici mediante i quali tuttora
si cerca di garantire un’efficace promozione e una sicura sopravvivenza della lingua. Ci si
dedicherà, inoltre, alle varie iniziative finora promosse al fine di mantenere una sorta di
vicinanza e di contatto con la madrepatria.
Nel quarto capitolo verranno riportati i risultati di tre indagini condotte più o meno
recentemente, vale a dire quella sociale effettuata dall’Associazione Culturale Està Esclarint
nel 1979, quella sociolinguistica sulle lingue dei sardi affidata nel 2006 ai membri dei
Dipartimenti Universitari di Cagliari e Sassari e quella sociolinguistica condotta da Maria
Grossmann nel 1977 sugli alunni delle scuole elementari, medie e superiori di Alghero città e
sugli studenti del corso delle 150 ore. Tali dati daranno modo di completare il quadro attuale
dell’algherese restituendo cifre precise sulla sua vitalità, quali quelle relative alla sua
conoscenza attiva e passiva, all’entità del suo uso nei vari contesti comunicativi e all’incisione
che le diverse variabili sociolinguistiche dei campioni intervistati possono avere su di essa.
Dopo aver analizzato l’algherese oggi, si tenterà, nel quinto e ultimo capitolo di
tracciarne l’ipotetico domani, riportando i vari punti di vista dell’acceso dibattito che esiste in
merito, esponendo il mio punto di vista personale e prendendo in considerazione, infine,
possibili suggerimenti di politica linguistica e culturale tra i quali, ad esempio, quelli
deducibili dall’indagine Grossmann.
Prima di addentrarci nel vivo dell’elaborato mi sembra doveroso chiedere
anticipatamente scusa se, in alcuni passaggi, lo stesso potrà apparire eccessivamente di parte.
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1. Quadro generale
Per poter arrivare a discutere dell’algherese, la variante del catalano orientale parlata
ad Alghero, occorre prima fare un breve excursus storico riguardante lo standard catalano,
così da poter comprendere meglio il suo status in relazione al castigliano, generalmente noto
come spagnolo e, innanzitutto, menzionare perlomeno qualche tratto dell’ordinamento
spagnolo e la relazione che intercorre tra Spagna e Catalogna.
La Spagna, denominata ufficialmente Reino de España, è uno stato democratico a
monarchia parlamentare suddiviso in diciassette comunità autonome e due città autonome;
questa soluzione fu raggiunta tenendo in considerazione la coesistenza di popoli culturalmente
diversi tra loro. Si tratta di entità politico-amministrative autonome uguali tra di loro e che,
secondo la Costituzione del 1978, godono degli stessi diritti; alcune, però, spiccano da sempre
per storia, tradizioni e carattere delle rivendicazioni che le caratterizzano.
La Catalogna è una delle comunità più dinamiche che, così come i Paesi Baschi,
presenta una storia e delle tradizioni profondamente diverse da quelle castigliane; infatti i
separatismi di entrambe le comunità, quello basco e quello catalano, nonostante abbiano
ormai ottenuto un certo grado di autonomia, rivendicano la separazione forti anche del fatto
che, oltre al castigliano, vi si parlano altre lingue. Il castigliano, di fatto, è la lingua ufficiale
dello Stato e l’idioma comune a tutti gli spagnoli, ma non è l’unica: nelle comunità autonome
si riscontra appunto la presenza di altre lingue riconosciute, come sanciscono i rispettivi
Statuti d’Autonomia, come co-ufficiali. In Catalogna si parla il catalano, lingua indoeuropea e
romanza parlata anche in altri luoghi e che presenta molte differenze dallo standard spagnolo.
La lingua catalana era la sola lingua ufficiale della cancelleria di Aragona, nonché la
lingua di cultura della corte; questo però in età medievale perché, con l’arrivo dei Trastamara,
la casata spagnola che dominò la penisola dal XIV al XVI secolo, essa fu eguagliata da
spagnolo, italiano e napoletano, quest’ultima soprattutto sotto Alfonso Il Magnanimo che
trasferì la capitale a Napoli.
Intorno alla metà del XVI secolo, con l’avvento della dinastia degli Asburgo, iniziò un
periodo di degrado del catalano che durò circa tre secoli, lasso di tempo in cui,
parallelamente, crebbe il prestigio della lingua spagnola. Tale lingua, per mezzo dei decreti di
Nueva Planta che, emanati tra il 1707 e il 1716 da Filippo V, abolirono le autonomie locali, fu
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imposta come unica lingua ufficiale dello Stato, riuscendo a mettere all’angolo il catalano, a
relegarlo a un uso vernacolare; il catalano finiva quindi per essere solo un linguaggio popolare
fortemente contrapposto allo spagnolo, lingua di prestigio e letteraria.
In seguito, a partire dagli inizi dell’Ottocento, vi furono diversi tentativi per
recuperarlo e promuoverne l’uso; tra i vari sforzi spicca la Renaixença, un movimento
letterario diffusosi nei Paesi Catalani con l’intenzione di riscattare la lingua catalana e che
avviò la rinascita della sua letteratura.
Nei primi anni del Novecento fu il turno del grammatico catalano Pompeu Fabra i
Poch, il cui merito fu quello di portare a compimento la normativizzazione del catalano: egli,
infatti, unificò la grafia delle diverse varianti della lingua basandosi su quelle occidentali, cosa
che diede grande stimolo alla produzione scritta e quindi al riconoscimento della lingua.
Sotto la dittatura di Francisco Franco, instauratasi nel 1939 al termine della Guerra
Civile e protrattasi fino al 1975, anno della morte del caudillo, il catalano tornò a essere
proibito e presentato come un semplice dialetto dello spagnolo, visione in cui restò relegato
fino al 1979, anno in cui fu riconosciuto come lingua della Comunità Autonoma della
Catalogna e si cominciò, per questo, a promuoverne l’uso ufficiale e l’insegnamento in ambito
scolastico.
Nel 2005 fu infine riconosciuto come lingua co-ufficiale dell’Unione Europea.
1.1 Distribuzione geografica del catalano
La lingua catalana, suddivisa nelle sue due principali varianti, quella occidentale e
quella orientale, è parlata da un totale di circa dieci milioni di persone nei Paesi Catalani,
denominazione che comprende la seguente area geografica:
• Lo Stato indipendente del Principato d’Andorra (Principat d’Andorra) situato
nei Pirenei orientali tra Francia e Spagna e in cui il catalano è l’unica lingua
ufficiale;
• Spagna
o Catalogna (Comunitat Autònoma de Catalunya), la comunità autonoma
situata nella zona nord-orientale della Penisola Iberica in cui il catalano
è lingua co-ufficiale con il castigliano;
o Isole Baleari (Comunitat Autònoma des Illes Balears), l’arcipelago del
Mar Mediterraneo occidentale in cui il catalano, lingua co-ufficiale con
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il castigliano, viene parlato in una variante conosciuta come maiorchino
(mallorquí);
o Parte della Comunità Valenziana (Comunitat Autònoma Valenciana),
comunità autonoma dell’est della Spagna in cui il catalano, lingua co-
ufficiale con il castigliano, viene parlato in una variante conosciuta
come valenziano (valencià);
o Frangia d’Aragona (Franja d’Aragó o Franja de Ponent), territorio
orientale dell’Aragona al confine con la Catalogna in cui il catalano è la
lingua più diffusa ma non quella ufficiale;
o Contea della Murcia (Comunidad Autònoma de Murcia) in cui non è
ufficiale;
• Francia
o La quasi totalità del dipartimento dei Pirenei Orientali, corrispondente
alla regione Rossiglione (in francese Roussillon, in catalano Rosselló)
conosciuta anche come Catalunya del Nord, in cui non è ufficiale;
• Italia
o Alghero (L’Alguer) dove è stata riconosciuta come lingua minoritaria
sia dallo Stato Italiano sia dalla Regione Autonoma della Sardegna e
dove risulta co-ufficiale con il sardo e con l’italiano.
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2. Il catalano d’Alghero: l’algherese
Come abbiamo visto, oltre alla Catalogna, il catalano viene abitualmente parlato in
altri luoghi, uno dei quali è Alghero, cittadina situata sulla costa nord-occidentale della
Sardegna che mostra un fenomeno linguistico molto importante: da settecento anni conserva
pressoché intatte la lingua e la cultura dei suoi invasori, in seguito abitanti, d’epoca medievale
e questo, nonostante la distanza che la separa dalla madrepatria, la Catalogna.
Non è però del tutto vero che l’algherese, così come lo si può ascoltare oggi,
rispecchia fedelmente il catalano delle origini. Dopo la rottura delle relazioni con la
Catalogna, infatti, il lessico algherese, pur mantenendo tratti arcaici del catalano medievale,
ha perduto molti altri elementi e allo stesso tempo è andato arricchendosi di elementi esogeni
tant’è che, ad oggi, se raffrontato a quello di settecento anni fa, appare notevolmente
impoverito. Con gli anni la società algherese è passata, di fatto, da un’economia di tipo misto
incentrata sulle mansioni marinaresche e rurali ad un’economia di tipo industriale e terziario
incentrata, in altre parole, sull’edilizia, sul turismo, sui pubblici uffici e sulle libere
professioni. Questa trasformazione si è riflessa direttamente sulla lingua andando ad impattare
su buona parte del lessico tradizionale tipico dell’assetto societario precedente che, non
essendo più funzionale alle nuove esigenze, è andata perdendosi.
Tra i termini caduti in disuso, la maggior parte riguarda il lessico agricolo: con la
meccanicizzazione dei processi agricoli, numerosi termini come ad esempio cup, il tino in cui
l’uva veniva schiacciata con i piedi, sono spariti. Lo stesso fenomeno si è verificato in altri
ambiti come quello domestico che ha visto sparire, per esempio, il bugader, la tavola che si
appoggiava alla vasca per lavare la biancheria o quello del terziario che, tra i tanti termini
dimenticati, ha visto sparire estango a favore di tabaquí, calco sull’italiano “tabacchino”.
Quest’ultimo esempio, peraltro, ci fornisce la chiave per comprendere ancora qualcosa in più
sulle condizioni dell’algherese, in quanto la quantità dei calchi che si formano in una lingua
dipende strettamente dalla vitalità di quest’ultima che, se ancora abbastanza vivace, può
permettersi di prendere in prestito vocaboli da un altro idioma continuando però ad avvertire
la necessità di adattarli al proprio sistema, per esempio fonetico ma non solo, e quindi può
assumerli senza evitare di acclimatarli. Come si può facilmente intuire, la lingua algherese
presenta una scarsa quantità di calchi e un elevato numero di prestiti
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, per così dire, puri: le
interferenze dell’italiano si fanno sempre più frequenti e numerose, l’algherese viene sempre
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Il prestito, propriamente detto prestito linguistico, è un termine straniero che viene assunto in una determinata
lingua senza essere, per questo, ricostruito o modificato, in altre parole acclimatato.
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