1
Introduzione
La crescita economica registratasi a partire dal dopoguerra ad oggi, ha determinato
profondi cambiamenti negli stili di vita della moderna collettività, portando ad attribuire un
maggiore valore alle risorse ambientali ed un consistente aumento della domanda di servizi
legati direttamente o indirettamente all‟ambiente.
Tale fenomeno, in primis di natura socio-economica, ha avuto come riflesso un
ammodernamento istituzionale che ha riconosciuto con norme e piani, questo nuovo stato
di fatto. Ne sono testimonianza, ad esempio, il nuovo approccio della PAC sempre più
orientato alla multifunzionalità e alla sostenibilità delle attività agricole e la riforma
dell‟attività venatoria avvenuta con l‟emanazione della L. n. 157/92.
In merito a quest‟ultima, la legge quadro recante “Norme per la protezione della
fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio” è nata dalla precisa esigenza di
recepire ed attuare le direttive comunitarie sulla tutela dell‟avifauna e le convenzioni
internazionali in materia, citate nell‟art. 1 comma 1 della legge, dando corso agli obblighi
internazionali e comunitari assunti nel settore dal nostro Paese. Inoltre ha inserito la
gestione faunistica e venatoria nel più ampio quadro della pianificazione territoriale
coinvolgendo in tale attività tutti i portatori di interesse che in qualche modo risultano
collegati alla caccia e alla fauna selvatica quali le associazioni venatorie, agricole ed
ambientaliste (Marinelli, Romano 1997).
Nel nuovo approccio di programmazione, il Piano Faunistico Venatorio deve
fornire gli indirizzi e gli strumenti necessari per il conseguimento sia di un equilibrio tra gli
stakeholders che tra le esigenze di prelievo e ricostituzione del patrimonio faunistico.
Il territorio agricolo e forestale svolge un ruolo indubbiamente importante nella
gestione del patrimonio faunistico, dato che gran parte degli habitat di elevato valore
naturale è coincidente o, comunque, confinante con le zone dove si praticano le attività
produttive agro-forestali. Sia l'estensione che le modalità secondo cui tali attività vengono
svolte sono, quindi, essenziali per la conservazione della fauna selvatica. Le tendenze degli
ultimi trent'anni, verso una concentrazione e specializzazione dell'attività agricola e
forestale, hanno portato da un lato al progressivo abbandono delle aree più marginali,
riducendo l'estensione della superficie agro-forestale e, dall'altro, ad un degrado delle
risorse naturali nelle zone più fertili, determinato da modalità di produzione molto
2
intensive. L'intensificazione produttiva induce quasi sempre una drastica semplificazione
degli elementi naturali con conseguente scomparsa di habitat adatti alla fauna selvatica e
una notevole dispersione di sostanze chimiche utili per la lotta ai parassiti delle colture
agrarie, ma nocive per la fauna selvatica.
È attraverso questo dispositivo che si delineano le scelte strategiche di intervento
gestionale, come i piani di miglioramento ambientale, di ripopolamento, di controllo
numerico dei predatori … e, soprattutto, che si pianifica il tipo di utilizzo faunistico e
venatorio dell‟intero territorio provinciale e regionale. Una tale politica di programmazione
permette, di fatto, un più razionale impiego delle risorse disponibili, ma può essere in
grado di condizionare, grazie ai nuovi campi di applicazione, anche la logica che sta alla
base della stessa gestione faunistico venatoria.
Accanto a questo obiettivo di portata generale, la legge si caratterizza per alcuni
punti qualificanti, dei quali il più importante è quello della caccia programmata, vero cuore
della riforma, ovvero l‟introduzione del criterio della pianificazione faunistico-venatoria,
onde garantire un più equilibrato e razionale sfruttamento delle risorse faunistiche.
La pianificazione faunistica, volta a radicare il cacciatore al territorio e a
determinare una stretta osservanza del tipo di caccia prescelta, si articola, poi, in una serie
di mete altrettanto ambiziose:
Evitare la casualità del prelievo venatorio;
Ridistribuire i cacciatori in relazione alle risorse fruibili;
Programmare gli interventi allo scopo di sfruttare in modo più razionale la
fauna selvatica.
Al 2004 il territorio cacciabile rappresenta circa il 78,8% del territorio complessivo
e la caccia negli ambiti privati (Aziende faunistico - venatorie – AFV e Aziende agri-
turistico venatorie - AATV) coinvolge il 4% della superficie territoriale. Questa situazione,
per macrocategorie di istituti, non si è modificata molto se confrontata con quella di dieci
anni prima.
Considerando il complesso del territorio protetto di interesse faunistico non
emergono differenze, in media, tra Nord, Centro e Sud, ma tra Regioni. Infatti alcune
3
Regioni risultano particolarmente “protette”
1
come l‟Abruzzo, la Campania ed il Trentino
Alto Adige ed altre decisamente meno “protette” come Friuli Venezia Giulia, Sardegna,
Molise e Sicilia.
Anche il complesso degli istituti previsti dalla legge venatoria nazionale n.157/92,
che saranno esaminati nel prosieguo, non ha subito grosse variazioni nell‟ultimo decennio
(Tab.1).
Regioni Aree
naturali
protette
(a)
Totale
aree
L.157/92
(b)
Aree
protette di
interesse
faunistico
(a+b)
Superficie
cacciabile
( c)
Cacciatori Densità
venatoria
(d)
Aree
protette di
interesse
faunistico
su sup.
territoriale
(%)
Piemonte 167.250 286.486 453.736 1.976.158 34.014 1.7 17.9
Valle
D’Aosta
43.001 21.902 64.903 256.420 1.543 0.6 20
Lombardia 130.297 196.519 326.816 1.810.249 91.825 5.1 14
Trentino
Alto Adige
283.335 67.903 351.238 980.454 13.675 1.4 26
Veneto 93.377 168.734 262.111 1.436.107 60.590 4,2 14
Friuli
Venezia
Giulia
53.794 5.039 58.833 673.664 11.336 1.7 7
Liguria 25.511 77.901 103.412 412.692 26.339 6.4 19
Emilia
Romagna
89.391 310.283 399.674 1.708.694 55.931 3.3 18
Toscana 158.551 256.313 414.864 1.790.860 114.779 6,4 18
Umbria 63.386 54.406 117.792 701.812 40.632 5,8 14
Marche 88.917 96.447 185.364 744.989 36.991 5,0 19
Lazio 213.218 71.456 284.674 1.336.007 69.327 5.2 17
Abruzzo 303.706 44.104 347.810 704.983 13.960 2.0 32
Molise 6.347 41.955 48.302 390.459 4.374 1.1 11
Campania 325.240 36.974 362.214 913.323 50.846 5.6 27
Puglia 128.766 133.749 262.515 1.588.717 34.542 2.2 14
Basilicata 120.062 16.329 136.391 847.770 8.323 1.0 14
Calabria 254.543 1.673 256.216 1.205.816 35.598 3.0 17
Sicilia 270.720 22.973 293.693 2.152.120 53.005 2.5 11
Sardegna 92.456 140.223 232.679 2.110.310 48.765 2.3 10
Tabella 1: Fonte dati ISTAT, statistiche congiunturali su coltivazioni, foreste e caccia – Anno 2004
1
Si tratta di aree protette ai sensi della L. 157/92 e per la presenza di parchi e riserve naturali e/o regionali.
4
Le “Aree naturali protette”, presenti in tabella (a) comprendono i parchi e le riserve
naturali, nazionali, statali e regionali ed altre aree protette; nel “totale aree”, (b), non sono
comprese alcune aree vietate alla caccia, tra cui: zone di rifugio, rifugi faunistici, i fondi
chiusi, i centri pubblici e privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale e le
zone addestramento cani. La “superficie cacciabile”(c), è determinata approssimativamente
sottraendo alla superficie territoriale, le aree protette di interesse faunistico, la superficie
urbanizzata e le strutture non viarie (dati APAT, annuario dei dati ambientali 2004), infine,
la “densità venatoria” (d), comprende il numero di cacciatori ogni 100 ha di superficie
cacciabile.
Dai risultati emersi dalla tabella si evince che vi è stata una leggera contrazione
delle oasi di protezione, dovuta probabilmente alla “concorrenza” nell‟istituzione delle
nuove aree Natura 2000, e un leggero incremento delle zone di ripopolamento e cattura,
dovuto al graduale miglioramento delle condizioni di programmazione faunistico-venatoria
del territorio in alcune regioni, che vedono appunto nella diffusione di questi istituti un
fattore importante di incremento delle popolazioni selvatiche attraverso l‟irradiamento
naturale e la cattura degli animali. Mentre le oasi risultano quasi egualmente ripartite
rispetto alla superficie territoriale tra pianura, collina e montagna, le zone di ripopolamento
e cattura si concentrano soprattutto nelle aree di pianura e collina dove il territorio è
generalmente dominato dalle attività agricole e risulta più produttivo anche per le specie
faunistiche stanziali (prevalentemente fagiani e lepri).
Anche i territori di caccia gestiti privatamente, quali le AFV e le AATV, hanno
visto proseguire l'andamento positivo che li vede in leggero incremento dalla metà degli
anni ottanta. La distribuzione altitudinale di queste aree vede prevalere le aree di collina,
che dal punto di vista paesaggistico-ambientale offrono opportunità migliori per la
fruizione di queste risorse. In pianura queste aree sono più legate all‟utilizzazione
faunistico-venatoria delle zone umide di piccole dimensioni. Di seguito (Fig.1) la geografia
delle aree protette adibite a parchi e i siti appartenenti alla Rete Natura 2000.
5
Rispetto all‟obiettivo della tutela e riproduzione della fauna, la legge quadro
prevede l‟istituzione di una serie di istituti ognuno con specifiche finalità (art. 10 comma
8). Tra questi prevede l‟istituzione di zone di ripopolamento e cattura (ZRC), finalizzate
alla “… riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale ed alla cattura della stessa per
l‟immissione sul territorio in tempi e condizioni utili all‟ambientamento fino alla
ricostituzione e alla stabilizzazione della densità faunistica ottimale per il territorio” (art.
10 comma 8 b).
Tali istituti faunistici, pertanto, vengono costituiti con l‟obiettivo del ripopolamento
del territorio e l‟irradiamento delle specie di indirizzo nelle aree adiacenti.
Dal momento in cui tali istituti diventano operativi il normale fabbisogno di
selvaggina, che annualmente si rende necessaria per le attività di ripopolamento effettuate
dagli ATC, dovrebbe essere soddisfatto proprio dalle catture effettuate nelle ZRC evitando
il tradizionale ricorso a selvaggina “pronta caccia” a cui si è fatto riferimento per decenni.
Secondo quanto previsto dal Regolamento di attuazione del comma 4, art. 25 della
l.r. n° 2 del 1995 (legge che recepisce gli indirizzi della 157/92 per la Basilicata)
recentemente modificato con D.G.R. n° 195 del 21 febbraio 2007, la gestione delle ZRC
compete alla provincia entro cui essa ricade (art. 14 della l.r. 2/95 comma 2 e successive
modifiche) prevedendo allo stesso tempo l‟istituzione di almeno una ZRC per ogni ambito
territoriale di caccia (ATC) presente nel territorio provinciale (comma 6 art. 28).
L‟individuazione delle aree in cui istituire le ZRC deve tener conto, nella misura
maggiore possibile, della presenza delle seguenti caratteristiche:
Figura 1: Fonte: Atlante Nazionale del territorio rurale
6
Uso del suolo vocato alla specie di indirizzo che, secondo la normativa
regionale, possono essere: lepre, fagiano, starna, cinghiale (anche se
l‟interesse del mondo faunistico – venatorio è concentrato esclusivamente
sulle prime due;
Ecotono
2
particolarmente diffuso nel territorio interessato;
Antropizzazione scarsa o sparsa in modo da non arrecare disturbo alle
specie di indirizzo; confini ben delineati e facilmente identificabili (art. 28
comma 3 Reg. 957/2000).
Risulta indispensabile, pertanto, procedere preventivamente con l‟analisi dettagliata
del territorio e delle sue vocazionalità prima di mettere in atto l‟individuazione e la
delimitazione delle ZRC di nuova istituzione. È da realizzare, inoltre, come le ZRC per le
loro intrinseche finalità entrano a far parte della porzione del territorio agro-silvo pastorale
(TASP) sottoposta a divieto di caccia, che sulla base della legge quadro 157/92 non può
superare una percentuale pari al 30% del TASP.
Se da questo lato comporta un‟attenzione particolare nel dimensionare e distribuire
in modo oculato le porzioni di territorio a divieto di caccia all‟interno di ogni comprensorio
sub-provinciale, coinvolge una sensibile resistenza da parte dei cacciatori ed, in parte, dei
proprietari e conduttori dei fondi interessati dall‟istituzione di nuove ZRC. Infatti, viste le
dimensioni delle ZRC che per il loro efficiente funzionamento dovrebbero avere una
superficie sufficientemente estesa e superiore, in ogni caso, ai 500 ha risulta
particolarmente complicato individuare i territori maggiormente adatti, sia per la discreta
distribuzione sul territorio di aree già sottoposte a divieto di caccia, sia per l‟elevata
frammentazione della proprietà fondiaria che ostacola, in molti casi, un‟efficiente
manutenzione ambientale dal punto di vista faunistico, attraverso un valido coordinamento
degli interventi di miglioramento e tutela.
Per l‟attuazione delle ZRC purtroppo, la Basilicata è in forte ritardo rispetto ad altre
regioni. Al momento non ve ne è nessuna istituita, ma solo delle iniziative e dei progetti
2
Con tale termine si indica una zona di transizione tra due o più comunità ecologiche diverse (foresta –
prateria, prato – bosco ) in cui si trovano organismi propri delle comunità confinanti, ma anche altri, esclusivi
della zona stessa.
7
portati avanti dagli ATC, mentre la competenza è dell‟amministrazione provinciale che,
per varie ragioni fino ad oggi, è inadempiente.
In particolare l‟ATC1 da tempo ha approvato un progetto di ZRC, completo in tutti
i suoi aspetti (tecnici, giuridici e logistici), presentandolo all‟Amministrazione Provinciale
per la ratifica. Da poco ha approvato un nuovo progetto nell‟area di studio presa in
considerazione nel seguente lavoro: Genzano di Lucania per una seconda ZRC della
superficie di 474,28 ettari.
Il seguente lavoro si pone l‟obiettivo di definire e programmare dettagliatamente
tutte le attività necessarie a garantire una efficiente gestione faunistica ed ambientale del
territorio interessato.
La prima fase dello studio, sostanzialmente conoscitiva, oltre all‟analisi del quadro
normativo vigente (cap. 1) e la relativa organizzazione faunistica sul territorio (cap. 4) ha
riguardato la ricognizione di tutte le aree protette e gli istituti faunistici attualmente vigenti
sul territorio provinciale (cap. 1.1.2).
Tale attività è stata realizzata con ili supporto di strumentazioni GIS ed ha portato
alla costruzione di un vero e proprio sistema informativo faunistico. Tale strumento si è
rivelato di notevole aiuto innanzitutto per l‟individuazione del territorio che presentasse le
migliori caratteristiche ecologiche ai fini dell‟istituzione della ZRC in particolare per
quanto riguarda la valutazione per l‟idoneità ambientale rispetto al ripopolamento della
lepre nonché la sovrapposizione geografica con le porzioni di territorio vincolato ad area
protetta o interessato da altro istituto faunistico. Secondariamente il SIF si è rivelato utile
per la corretta valutazione e localizzazione degli interventi di miglioramento ambientale ai
fini faunistici (cap. 2).
La parte conclusiva del lavoro ha focalizzato l‟attenzione sulla redazione del
programma di gestione faunistica della lepre basato sull‟auto – ecologia e sui modelli delle
dinamiche delle popolazioni.
8
1. Aspetti normativi
La legge quadro sulla fauna rappresenta, per molteplici aspetti, una svolta nel modo
di concepire la gestione faunistica e l‟attività venatoria sull‟intero territorio.
Il concetto di “caccia controllata”, su cui si fondava la precedente normativa,
cambia in “caccia programmata”, che coinvolge tutti i soggetti collegati in maniera diretta
o indiretta con la selvaggina e con l‟ambiente più in generale: i cacciatori, gli agricoltori,
gli enti pubblici …
Una particolare importanza è data alla programmazione ambientale, al fine di
conciliare le esigenze di tutela faunistica ed ambientale con quelle dell‟attività venatoria.
L‟istituzione degli ATC, inoltre, rappresenta una delle maggiori novità della legge,
perché esprime la volontà di legare i cacciatori al territorio, in quanto essi si riscoprono
sempre più produttori di fauna ed ambiente piuttosto che semplici consumatori.
C‟è, però, da sottolineare che l‟individuazione degli ATC e la loro gestione è
ancora piuttosto incline a diverse interpretazioni.
Le maggiori difficoltà si raffrontano nel coordinamento tra differenti ATC, nella
difficoltà di individuare i limiti geografici e nelle lungaggini burocratiche necessarie al loro
funzionamento.
Tra le altre novità bisogna segnalare la maggiore restrizione del calendario
venatorio, allontanandosi dagli orientamenti presenti nelle normative degli altri Paesi
europei.
Nonostante i limiti ed i rischi, è da considerarsi una legge molto innovativa per il
fatto che coinvolge nella gestione faunistica, non solo le associazioni ambientaliste, quelle
venatorie e gli enti pubblici, ma anche le associazioni degli agricoltori i quali saranno
chiamati ad interagire fra loro allo scopo di perseguire i fini ambientali e faunistici
all‟interno dei comitati di gestione degli ATC.
Particolare attenzione è mostrata dalla legge al settore dell‟agricoltura, destinando
agli imprenditori agricoli numerosi vantaggi ed opportunità di sviluppo di attività connesse
alla conduzione dell‟azienda, in particolar modo per quelle situate in aree marginali o
messe a riposo ai sensi del Reg. CEE 1094/88.
Un‟importante novità si è avuta nel campo dell‟agriturismo: con la possibilità di
svolgere l‟attività venatoria nelle AATV e la possibilità di istituire le ZAC al loro interno,
9
si ampliano sensibilmente l‟offerta di attività ricreative all‟interno di tali aziende con
indiscutibili benefici.
Attenzione particolare è rivolta alla gestione faunistica nel campo agrario,
intendendo la conservazione e manutenzione delle specie selvatiche e degli habitat al di
fuori delle zone soggette a protezione faunistica (ZRC, Odp …); tale compito è demandato
alle AFV, che ricoprono il ruolo delle passate riserve di caccia e alle quali ora è affidato un
nuovo ruolo, cioè la capacità di perseguire fini ambientali e allo stesso tempo fornire
servizi.
Restano,tuttavia, irrisolte le controversie tra i proprietari dei fondi rustici e i
cacciatori.
Si evince chiaramente che è proprio sulla mentalità dei cacciatori che bisognerà
lavorare perché fino a quando il legame cacciatore-territorio, concetto cardine della legge,
resterà una nozione puramente teorica e non sarà profondamente recepita dal mondo
venatorio, non sarà possibile effettuare un‟attenta gestione delle risorse faunistiche e
venatorie.
1.1. La normativa nazionale
La prima legge generale che regola in modo chiaro ed univoco l‟esercizio
dell‟attività venatoria nel nostro Paese, compare nel 1923 con la legge n° 1420 del 14
giugno 1923. Fino a quel momento la caccia era stata disciplinata dalle varie normative
vigenti negli Stati presenti prima dell‟unificazione del Regno d‟Italia, dalle scarseggianti
disposizioni presenti nel codice civile e dai regolamenti locali.
Successivamente fu la legge n° 2448 del 24 settembre 1923 che apportò delle
modifiche alla normativa nazionale. Inoltre la legge 1420/1923 prescriveva le primissime
norme inerenti l‟associazionalismo venatorio e con il RDL n° 1997 del 3 agosto 1928 e la
legge n° 117 del 15 gennaio 1931 fu previsto il tesseramento al CONI per tutti i cacciatori.
Nonostante l‟alto numero di normative promulgate fino a quel momento, la
gestione dell‟attività venatoria non garantiva un‟efficace gestione e difesa della selvaggina.
Il T.U.R.D. n° 1016 del 1939 ne rappresenta una tangibile riprova, infatti, questo
subordinava la tutela della fauna selvatica e dell‟ambiente a quella venatoria, considerando