PREMESSA:
Il tema trattato in questa tesi si incentra sul mercato e sul sistema dell'arte cinese contemporanea,
con particolare attenzione alle gallerie di Pechino che, negli ultimi dieci anni, sono state protagoniste
di un grande sviluppo.
Le ricerche per questo argomento nascono da un tirocinio di tre mesi svolto presso la galleria
Marella, a Pechino, nel distretto 798, da febbraio a maggio del 2009, dove ho potuto confrontarmi
direttamente con la nuova realtà di Pechino, del mercato dell'arte, dei distretti d'arte e delle gallerie,
oltre che approfondire i miei studi e interessi sull'arte contemporanea. Una realtà estremamente
interessante, oltre che attuale, in quanto il sistema dell'arte contemporanea non è solo un fenomeno
legato all'arte, ma in generale ai cambiamenti di cui è protagonista la capitale cinese, e che ci parla
dunque delle profonde metamorfosi della società. In quest'ottica l'arte, ancora una volta, come in
ogni tempo e luogo, è precursore prima e specchio poi di quanto le accade intorno. Questo è vero
non solo per le opere, per i temi trattati e per i nuovi linguaggi vicini alla sensibilità contemporanea,
ma anche per gli aspetti commerciali che legano la creazione artistica all'attività delle gallerie, dei
musei o all'interesse dei collezionisti, insomma con quello che viene comunemente definito come il
sistema dell'arte contemporanea.
È dunque importante analizzare l'evoluzione dell'arte contemporanea cinese da una diversa
angolazione rispetto a quella tradizionale storico-estetica, ossia quella del mercato e del sistema
dell'arte. Sotto questo aspetto vedremo come le gallerie e il loro recente sviluppo in Cina hanno lo
stesso peso degli artisti, se non a volte anche maggiore, nell'influenzare tanto il mercato quanto i
nuovi sviluppi dell'arte.
Negli ultimi anni sono stati molti gli studi fatti sull'arte contemporanea cinese, prima nei paesi
anglosassoni, poi anche in Italia. Come numerose sono state le mostre dedicate a questo tema, n egli
Stati Uniti e in Europa, nelle gallerie come anche in musei. Sempre più frequenti sono state anche le
aste che hanno suscitato particolare clamore e attenzione per i prezzi elevati a cui le opere sono state
battute. La stessa attenzione è stata dedicata dalle riviste che si occupano d'arte e dai numerosi siti
web. Questo successo ha permesso la diffusione in Occidente dell'arte cinese contemporanea verso
un pubblico più vasto rispetto ai pochi appassionati di solo qualche decennio fa e in Oriente una
maggiore libertà di esposizione rispetto al passato.
Per quello che riguarda gli eventi in Occidente, questi hanno portato alla scoperta di un nuovo volto
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dell'arte cinese contemporanea, diverso da quello di derivazione social-realista, imposto durante la
Rivoluzione Culturale, che si conosceva fuori dalla Cina. Dopo le repressioni del 1989, negli anni
Novanta, molti artisti cinesi delle avanguardie sono stati rappresentati in Europa con varie mostre.
Tra le più rilevanti figurano nel 1992 Documenta Kassel, nel 1993 China/Avant-Garde: Counter-
currents in Art and Culture all'Haus der Kulturen der Welt a Berlino (organizzata da Andreas Schimd
e Hans van Dijik) e la Biennale di Venezia, con il padiglione cinese curato da Li Xianting, critico
d'arte che ha sempre sostenuto le nuove tendenze. Nel 1998 a New York riscuote clamore la mostra
Inside Out: New Chinese Art, organizzata da Gao Minglu, tra i più importanti critici di arte
contemporanea cinese.
Con il nuovo millennio gli artisti cinesi contemporanei sono stati sempre più spesso invitati alle
Biennali, da Venezia a San Paolo e ad altre importanti esposizioni internazionali; i curatori hanno
allestito miriadi di mostre sugli artisti cinesi e la vendita di opere è cresciuta notevolmente. L'arte
contemporanea cinese è diventata così un prodotto culturale internazionale; nel 1996 nasce la
Biennale di Shanghai che, dal 2000 in poi, per la prima volta in Cina, dà un'ampia visione
internazionale dell'arte del paese. L'organizzazione di fiere, biennali e mostre nelle più importanti
città cinesi, da Guangzhou a Shenzhen, da Shanghai a Pechino, ha poi rafforzato il fenomeno.
Parallelamente allo sviluppo dell’arte contemporanea è fiorita anche la letteratura critica, diventata
sempre più ricca ed esaustiva. Tra i primi testi rilevanti vi sono: A History of China Modern Art
1979-1989 del 1992 e The History of Chinese Contemporary Art 1900-1999 del 2000, entrambi
curati da Lu Peng; così come numerose sono le ricerche di alcuni dei più importanti critici cinesi da
Gao Minglu a Wang Mingxian, da Hou Hanru a Li Xianting, che si sono occupati non solo di testi e
saggi, ma hanno anche allestito alcune delle mostre più significative dell'arte d'avanguardia.
Fondamentale anche l'apporto dal 1997 del texano Robert Bernell, che da Pechino ha iniziato a
pubblicare centinaia di articoli e libri in inglese sulla nuova arte cinese, prima attraverso il suo sito
web, poi anche con la libreria e la casa editrice Timezone 8, che ha sede oggi al Dashanzi 798.
Sempre più anche gli osservatori occidentali si sono interessati di arte cinese nei loro libri e riviste
sull'arte contemporanea. Considerevoli sono gli studi e le ricerche condotte da alcuni critici d'arte
occidentali che si occupano di Cina ormai da decenni, come ad esempio la curatrice e critica inglese
Karen Smith, che risiede a Pechino da vari anni. Il suo testo Nine Lives: The Birth of Avant-Garde
in New China, del 2006, è oggi tra i più celebri sulle avanguardie cinesi. Numerosi anche gli articoli
e i saggi di Richard Vine, responsabile per la rivista Art America della sezione d'arte asiatica, e in
particolare il testo New China New Art del 2008. Anche la Saatchi Gallery di Londra si è interessata
molto di arte cinese contemporanea, oggi Charles Saatchi possiede infatti una ricca collezione, a cui
sono seguite mostre, interessanti lavori sul web e la pubblicazione di The Revolution Continues:
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New Art From China.
I testi però che trattano degli artisti contemporanei cinesi sono in gran numero cataloghi di mostre e
saggi di critici d'arte e curatori, mentre studi e ricerche accademiche restano per lo più focalizzati
sugli anni Ottanta e Novanta. Possiamo trovare molti riferimenti a questi ultimi nella compilazione
online di Britta Erickson del dipartimento di arte cinese alla Stanford University. Vi sono comunque
anche alcune eccezioni rilevanti, come ad esempio il manuale Arte Contemporanea Cinese a cura di
Dalu Jones, Filippo Salviati e Mariagrazia Costantino del 2006.
In generale, possiamo comunque affermare che tutti q uesti studi si sono occupati principalmente dei
vari artisti e dei vari movimenti come il Pop politico, il Realismo Cinico o prima ancora le
avanguardie degli anni Ottanta. Poche sono state invece le ricerche che hanno cercato di
comprendere il fenomeno dello sviluppo del sistema dell'arte cinese, se non articoli o brevi saggi
legati all'exploit dei prezzi record raggiunti alle aste dai nomi più celebri dell'arte cinese
contemporanea.
Anche in Italia, oltre alla Biennale di Venezia, col nuovo millennio sono stati vari gli studi sul
fenomeno dell'arte cinese. Anche in questo caso i testi sono per lo più saggi e cataloghi che
accompagnano le numerose mostre organizzate nella penisola, in gallerie come in musei.
Le mie ricerche su queste tematiche partono dalla città stessa di Pechino e dalla sua singolare storia,
che viene affrontata nel primo capitolo. Le gallerie, e i numerosi distretti d'arte dove esse hanno
sede, sono infatti strettamente legati al territorio e alla storia della capitale. La loro stessa
collocazione ai margini della città è specchio dell'emarginazione che la classe artistica ha subito per
anni in Cina, e nella sua capitale in particolare, in quanto centro del potere. Questi distretti infatti
sono sorti lontano dal centro di Pechino, che per secoli, dalla Città Probità a piazza Tiananmen, è
stato anche il centro ideale e simbolico della Cina, prima dell'impero e poi della Repubblica. Oggi i
distretti d'arte sono diventati una fruttuosa attrazione turistica, come il 798, e con lo sviluppo
urbanistico di Pechino rientrano ormai dentro i confini della città, anche se pur sempre in periferia.
Inizialmente però la comunità artistica aveva scelto queste zone perché abbandonate o fuori città,
lontano dai controlli di un governo oppressore verso un'arte che era considerata sovversiva e
pericolosa. Vengono dunque affrontate quelle vicende che hanno segnato profondamente la capitale,
in particolare con l'ascesa di Mao e poi l'apertura del paese ai mercati e alla globalizzazione.
Cambiamenti epocali che hanno intaccato le radici stesse della cultura millenaria cinese che, ancora
oggi, sta cercando una sua identità, oltre l'influenza del modello occidentale e le imposizioni dettate
dall'alto dal governo.
In questo senso è assai rilevante anche l'architettura della città, soprattutto nei suoi legami con le arti
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visive. I musei, le gallerie, i distretti d'arte, i nuovi spazi di cui gli artisti espulsi dai circuiti ufficiali
si sono impossessati, ci parlano di questo legame, sintomo della rinascita artistica del paese. Pechino
oggi è infatti anche uno dei centri più importanti dell'architettura mondiale, sia per via dello scenario
artistico vivace e dinamico, sia per il suo sistema legislativo e urbanistico, meno restrittivo di quello
occidentale. In questo senso arte e architettura sono cresciute insieme stimolandosi a vicenda.
Nel secondo capitolo vengono invece affrontati la recente storia dell'arte contemporanea cinese e i
suoi nuovi sviluppi. Sebbene quest'arte nasca dopo la Rivoluzione Culturale, con le avanguardie
della fine degli anni Settanta e degli anni Ottanta, già nel secolo precedente essa aveva, anche se
molto timidamente, cercato nuove strade e sperimentazioni con le tecniche pittoriche introdotte
dall'Occidente. Queste erano la pittura a olio e la prospettiva, ancora oggi particolarmente amate dai
pittori contemporanei.
Dopo i fatti di Tiananmen però la comunità cinese è costretta all'emarginazione e alla clandestinità.
Solo con l'interesse di galleristi e collezionisti occidentali prima, e la nuova politica della Cina verso
il capitalismo e il libero mercato poi, anche gli artisti dell'avanguardia hanno potuto godere di una
maggiore libertà. Vedremo dunque come anche l'arte subisca le influenze di questo cambiamento
radicale: se fino a metà degli anni Novanta si potevano ancora distinguere vari movimenti, e molti
dei temi affrontati erano legati ancora alla Rivoluzione Culturale, e al dispotismo politico,
successivamente l'arte è andata verso una individualizzazione e interiorizzazione. Oggi sono
estremamente vari e diversificati gli artisti. I temi trattati sono legati più all'individuo che alla
politica, oltre che ai nuovi sviluppi della società, e per certi aspetti si avvicinano a quelli occidentali:
cultura di massa, consumismo, inquinamento, edilizia sfrenata, brama di soldi e successo, influenza
dei nuovi media come la TV o internet, ecc.. Inoltre gli artisti cinesi si stanno rivelando
particolarmente creativi e originali nelle nuove tecniche, dalla fotografia digitale alla video art, dalle
installazioni alle performance.
Questo sviluppo dell'arte contemporanea cinese è stato possibile anche grazie al contemporaneo
sviluppo del sistema dell'arte cinese, che viene analizzato nel terzo capitolo. Un sistema
caratterizzato dall'internazionalità del mercato dell'arte e dalla concezione dell'opera d'arte in bilico
tra valore estetico e valore economico. Esso è fondamentale per promuovere e diffondere l'opera di
un artista una volta che questa è uscita dal suo studio. Per questa ragione i soggetti che fanno parte
di questo sistema possono essere considerate dei “coautori” dell'opera assieme all'artista. Questi
soggetti sono le strutture di vendita (gallerie, fiere, case d'asta), i soggetti che formano la domanda ( i
collezionisti), le organizzazioni culturali che promuovono l'arte (le biennali e i festival), i soggetti
che giudicano e diffondono informazioni sull'arte (i critici e le riviste) e infine quelli che la
producono (gli artisti). Vengono dunque presi in considerazione tutti questi soggetti e le loro
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caratteristiche che, per alcuni aspetti si rifanno a modelli occidentali, mentre per altri hanno caratteri
che possiamo trovare solo nel mercato cinese, per via delle sue peculiarità e differenze sociali e
storiche. Andremo anche a guardare alcuni esempi specifici di questi protagonisti del sistema arte in
Cina, come ad esempio la prima galleria di Pechino, la Red Gate Gallery, o il Today Art Museum o
ancora la Biennale di Pechino.
Infine nell'ultimo capitolo vengono presi in considerazione i distretti d'arte, i veri protagonisti a
Pechino dello sviluppo dell'arte contemporanea, con le numerose gallerie, in primis straniere, poi
sempre più anche cinesi, che hanno aperto nella capitale. Se negli anni Novanta questi distretti,
poveri e marginali, erano il rifugio della comunità degli artisti perseguitata dalle autorità, oggi alcuni
di essi sono diventati mete turistiche promosse dallo stato. È dunque interessante vedere come in
questa metamorfosi vi sia lo specchio della Cina, della nuova società che si arricchisce e si apre
all'Occidente, ma anche della nuova politica del governo. In particolare l'attenzione va a due
distretti, conosciuti anche fuori dalla Cina e in Occidente, il 798 (Dashanzi Art District) e il
Caochangdi. Il primo è una ex fabbrica di stato, trasformata oggi in uno dei quartieri più celebri e
alla moda di Pechino, il secondo invece da distretto di periferia, abitato da poveri emigrati dalle
campagne, è diventato una significativa zona d'avanguardia e ricerca per le sperimentazioni e le
novità. Numerose sono le gallerie che possiamo trovare in questi villaggi d'arte; in particolare mi
sono soffermata su alcuni esempi rilevanti, che testimoniano l'attività delle gallerie a Pechino e le
loro caratteristiche. Queste sono nel 798 le italiane Continua e Marella, l'inglese Chinese
Contemporary e la danese Faurschou, mentre nel distretto di Caochangdi la svizzera Urs Meile; tutti
i loro referenti mi hanno rilasciato delle interviste e permesso di visitare i loro spazi e le loro
collezioni. Analizzando il lavoro che stanno svolgendo si può comprendere l'importanza che hanno
avuto nel promuovere i nuovi artisti, in particolare all'inizio dello sviluppo dell'arte contemporanea
cinese, quando non vi erano ancora i tempi frenetici e l'alto giro d'affari che possiamo trovare oggi.
Queste gallerie inoltre testimoniano il rapporto tra Oriente e Occidente, le difficoltà da un lato e gli
stimoli dall'altro nell'incontro tra l'arte cinese e il sistema dell'arte occidentale. In particolare la loro
attività è rilevante nel dimostrarci la collaborazione con gli artisti e le ricerche, come le esposizioni,
fatte insieme a questi ultimi. Oggi, con la grande crescita del mercato dell'arte cinese, questo in parte
è venuto a mancare in molte gallerie, non solo per la loro volontà di arricchirsi, ma anche perché il
mercato stesso lo rende sempre più difficile.
In un sistema dell'arte come quello cinese, nato da pochi anni, esportato dall'estero e poi inglobato in
una società in pieno sviluppo e in continua trasformazione che si è aperta negli ultimi anni al
mercato internazionale, l'attività delle gallerie non può che risentire di questo particolare momento
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storico e sociale che la Cina sta vivendo. Partendo da questi presupposti è importante ricercare qual
è l'influenza delle gallerie nello sviluppo della nuova arte cinese, quanto e se queste incidono sulla
maturazione di un artista o di una corrente, o se invece la loro attività resta legata soprattutto a
obiettivi commerciali. Qual è dunque il ruolo che le gallerie ricoprono nel sistema dell'arte cinese?
Ed è sempre possibile e corretto dividere il lavoro delle gallerie in queste due grandi e a volte
opposte categorie, commerciale e culturale? O forse, in una società e in un'arte globalizzata e post-
moderna come quella odierna cinese, anche questi aspetti, spesso e storicamente in contrasto tra
loro, trovano un punto di incontro e si amalgamano assieme proprio nella figura particolare della
galleria d'arte?
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CAPITOLO PRIMO Pechino: storia di una capitale e dei suoi cambiamenti
Pechino e la Cina sono oggi al centro di un forte interesse da parte del mondo intero. Riviste,
gi ornali, internet, televisioni di ogni paese parlano spesso della sua veloce crescita e delle alte cifre
di produttività. L'interesse dei mezzi di comunicazione verso la Cina e la sua politica è cresciuto
particolarmente nel nuovo millennio.
Questa curiosità non è però solo economica e politica, ma anche culturale e artistica. Le sempre
maggiori aperture del paese verso il mondo esterno hanno inciso profondamente sull'arte, la cultura
e il pensiero cinese.
Pechino è per molti aspetti la città che più rispecchia lo sviluppo e le contraddizioni di queste
trasformazioni economiche e culturali. Capitale per secoli, ha una storia di chiusura e protezione
dall'esterno, tanto politica e sociale, quanto culturale e di pensiero, che come vedremo in questo
capitolo, le ha conferito una particolarissima struttura architettonica. Una chiusura che però è stata
intervallata in periodi importanti della sua storia da influssi provenienti dall'esterno che ne hanno
modificato il carattere in modo profondo.
Questi influssi sono giunti dal nord della Cina, ossia dai mongoli e dai mancesi, e dall'Occidente.
Nell'Ottocento hanno portato a sanguinose guerre con le potenze coloniali europee e nel Novecento
alla diffusione di ideologie comuniste con Mao prima e alla definitiva apertura verso il mercato
globale poi, con le riforme di Deng Xiaoping.
Questi passaggi sono avvenuti spesso drammaticamente, incidendo anche sugli sviluppi dell'arte, sia
da un lato perché essa rispecchia la società e i vari aspetti dei suoi mutamenti, sia dall'altro per via
degli scontri o dell'apertura che il potere ha avuto nei suoi confronti favorendo ora questa corrente
ora quell'autore.
Oggi, nel nuovo millennio, l'arte e la cultura sono riuscite ad avere uno spazio più indipendente dalle
censure di governo e dalle rappresaglie che hanno caratterizzato la loro storia recente nel Novecento.
Una libertà non ancora assoluta e che ancora oggi artisti e operatori del settore stanno cercando di
ampliare, ma certo un grande e importante passo avanti rispetto a soli venti anni fa.
In tutto questo le trasformazioni di Pechino sono state fondamentali, avendo coinvolto aspetti sia
sociali e politici, sia architettonici. Un esempio su tutti i nuovi e vitali distretti d'arte di Pechino sorti
nel 2000: il Qijiuba Yishu Qu (“distretto d'arte 798”) o Dashanzi Art District e il distretto
Caochangdi. Spazi dedicati agli artisti, che ne hanno permesso la visibilità e la promozione, nati in
periferia lontano dal potere politico e dal suo centro storico di riferimento, da Piazza Tiananmen alla
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Città Proibita. Sono sorti grazie alla riconversione di vecchie zone abbandonate e degradate della
città e ai continui scambi internazionali e culturali con altri paesi.
È quindi necessario analizzare tutti questi aspetti per comprendere meglio lo sviluppo dell'arte
contemporanea cinese e del suo sistema.
1- La struttura di Pechino capitale imperiale: mura per difendere e chiudere La storia di Pechino è una storia millenaria.
Sebbene oggi quando pensiamo alla Cina spesso pensiamo a Pechino, capitale e centro nevralgico
del paese, in realtà essa è stata scelta come capitale dell'impero assai tardi rispetto alle altre città
lungo il corso del fiume Giallo, sedi della culla della civiltà cinese.
Pechino, in cinese Beijing “Capitale del Nord”, è una piccola cittadina di confine prima di diventare
capitale con le dinastie straniere provenienti dalle regioni settentrionali. La scelta è dovuta alla sua
posizione strategica vicino alle regioni di provenienza delle quattro dinastie non cinesi, ossia la
Mongolia e la Manciuria. Queste dinastie sono: i Liao, i Jin, gli Yuan e i Qing.
L'unica dinastia di origine cinese a scegliere Pechino come capitale è quella Ming per motivi non
molto diversi dai precedenti, ossia difendere e proteggere il confine settentrionale dalle continue
minacce dei popoli dell'Asia interna. Ancora capitale sotto la dinastia mancese dei Qing, e durante la
fondazione della Repubblica cinese nel 1911, sarà nel 1928 per un breve periodo sostituita da
Nanjing per volere del Partito Nazionalista, per ritornare però ben presto l'unica capitale della Cina
nel 1949 con il Partito Comunista ed esserlo ancora tutt'oggi.
Diversamente da altre capitali di importanti paesi, la posizione di Pechino non è legata a particolari
vantaggi economici o ambientali, non è vicino alla costa o lungo un fiume, il clima e il paesaggio
non sono particolarmente gradevoli o adatti a una rigogliosa agricoltura, come nelle altri capitali
cinesi o nelle città del basso Yangzi (il fiume Azzurro), tanto amate dai letterati.
La sua struttura architettonica è recente, non più antica della dinastia Ming o Qing e caratterizzata da
sempre da imponenti mura: mura per difendere, mura per dividere, mura per delimitare, ma anche
per isolare. Non solo la Grande Muraglia, vicino a Pechino, è proprio per ciò il simbolo più forte ed
evidente di tutte le mura che la società cinese ha costruito nei millenni nel suo territorio, ma anche le
numerose fortificazioni all'interno della capitale segnano una cultura di chiusura, di paura di ciò che
viene dall'esterno, da oltre quelle mura.
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Queste fortificazioni erano principalmente le mura esterne della città e quelle interne della Città
Proibita, dove viveva la famiglia imperiale e centro del potere. Le prime servivano a proteggere la
capitale dagli invasori, le seconde escludevano gli sguardi dei comuni cittadini dalle residenze
imperiali. Nel mezzo vi erano altre numerose barriere: recinzioni di case, di templi, le porte delle
vie, ecc. Tutto ciò aveva lo scopo di tenere sotto controllo la popolazione, di sorvegliare eventuali
proteste e di evitare spazi per assembramenti (Li, Dray-Novey, Kong 2008: 5).
Lo stesso luogo forse più celebre di Pechino, ossia la Città Proibita, evidenzia questa cultura del non
mostrare, del chiudere e nascondere dietro delle mura, ponendo l'accento su ciò che, essendo
proibito e celato, aumenta l'alone di mistero e di fascino. Pochi i funzionari o i visitatori che nel
recente passato avevano il privilegio di entrarvi e i loro racconti sui rituali, sulla ricchezza e sulla
magnificenza del posto, non facevano che accrescere il fascino che questa esercitava sugli esclusi.
Nonostante questo aspetto la città ha sempre avuto un grande fermento di gente. Tante erano le
persone che giungevano a Pechino: funzionari, mercanti, letterati, artisti, ambasciatori, candidati per
gli esami di stato, missionari, lavoratori e anche viaggiatori dall'Occidente, da Marco Polo a Matteo
Ricci (Li, Dray-Novey, Kong 2008: 5).
La storia di Pechino come capitale imperiale è stata caratterizzata dal non avere mai come città una
propria autonomia urbana, ma di essere sempre stata sottoposta al controllo diretto del potere
dinastico. Un potere però che non ha mai amato gli afflussi di folla, fossero anche solo per scopi
religiosi, commerciali o culturali e per questa ragione sempre tenuti sotto controllo. Gli stessi
imperatori, la cui vista era proibita ai cittadini comuni, “non assistevano a parate, né tolleravano
manifestazioni favorevoli o contrarie al potere. Non è un caso che una delle più antiche e più
popolose città del mondo sia famosa, tra l'altro, per le porte e le mura” (Li, Dray-Novey, Kong 2008:
5).
L'identità storica e culturale di Pechino è cresciuta nel corso dei secoli basandosi sulla sua
particolare pianta architettonica che rispecchiava questa concezione politica e sociale.
Un'architettura che si è sviluppata sui principi di armonia e centralità, protetta dalle sue mura. È da
oltre queste mura che proveniva ciò che era pericoloso e sovversivo per questa armonia e potere, che
fossero le sommosse popolari o i barbari invasori.
In parte ciò è rimasto anche nella storia recente. Oggi i dirigenti del partito comunista occupano
quelli che erano i centri del potere imperiale. È al di fuori di questo spazio, oltre queste mura antiche
reali e simboliche, che l'arte e la cultura non ufficiale hanno trovato una propria dimensione.
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Il centro fortificato di Pechino ha segnato la storia della capitale, nonostante la città sia stata al
centro di profondi e continui mutamenti a ogni cambio dinastico. Con l'ascesa al potere di un nuovo
leader, Pechino, così come la Cina in generale, si riveste infatti di nuovi abiti, di un nuovo apparato
militare e burocratico.
È con la dinastia degli Yuan (1279-1368) che ha origine la struttura urbana di Pechino.
Prima di allora la città era stata solo un piccolo agglomerato urbano durante il periodo dei Regni
Combattenti, un remoto avamposto nordorientale con le dinastie Han e Tang, e poi finalmente
capitale nel X secolo con le dinastie straniere dei Liao (916-1125) e dei Jin (1115-1234), conoscendo
una certa crescita e sviluppo. È però con gli Yuan che la città è maggiormente segnata dall'incontro
tra tribù nomadi della steppa e l'antica cultura cinese di cui vengono adottati i metodi di scrittura, la
legge, il sistema politico, sociale e architettonico (Li, Dray-Novey, Kong 2008: 19). Quest'ultimo in
particolare pone ora le basi per i suoi sviluppi futuri, “la capitale mongola contiene, già al momento
della sua fondazione, gli elementi fondamentali della struttura portante della metropoli
contemporanea. Primo fra tutti, l'asse centrale, ancora spina dorsale dell'impianto urbano” (Greco,
Santoro 2008: 34). Gli “elementi di questo schema planimetrico simmetrico che contraddistingue la
città figurano nelle prime capitali imperiali di Chang'an (ossia Xi'an), Loyang e Bianjing (la
moderna Kaifeng)”: uno sviluppo sull'asse nord-sud, una forma quadrangolare, un reticolo di strade
ortogonali, il palazzo imperiale, una triplice cinta muraria e in generale l'intera architettura della città
pensata per essere esibita come un'opera d'arte, testimone del potere del grande impero (Li, Dray-
Novey, Kong 2008: 12-22).
La capitale acquista un carattere cosmopolita, si avvicina alla cultura degli Han, ma allo stesso
tempo si avvale di architetti e artigiani provenienti da diverse regioni. Una collaborazione
interculturale, come quella che sta caratterizzando oggi lo sviluppo della Pechino moderna
1
, ma
ancora più straordinaria per quell'epoca, con l'arrivo in città non solo di numerosi mongoli, ma anche
di persiani, arabi, uiguri e persino visitatori europei come Marco Polo. Un fenomeno che si ripeterà
altre volte nella storia di Pechino con influenze cinesi e straniere che ne vanno a modificare
l'aspetto.
Il nucleo centrale fortificato della capitale, con la successiva dinastia dei Ming si amplia
ulteriormente, così come tutta la città che vive un lungo periodo di prosperità e diventa un centro di
forte attrazione per il commercio, per le persone, i beni e i servizi (Li, Dray-Novey, Kong 2008: 38-
39). Si sviluppa sopratutto quel sistema di palazzi imperiali e giardini oggi noti come Città Proibita.
Attorno ed esternamente a essa cresce, con l'aumento della popolazione, il numero degli hutong , i
vicoli dove vive e lavora la gente comune. Il termine è usato già al tempo della dinastia Yuan e
1 Vedi cap.1, p.27.
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indica le strette vie della città, che si sviluppano attorno alle tipiche abitazioni dai mattoni grigi e il
cortile interno. È questo l'aspetto che la capitale manterrà inalterato fino agli anni Cinquanta del XX
secolo: doppie mure possenti, asse centrale, impenetrabili palazzi imperiali, laghi occidentali
(Greco, Santoro 2008: 38-39).
Nella successiva dinastia, quella mancese Qing, le divisioni sociali, culturali e architettoniche di
Pechino si accentuano. La capitale diventa una città divisa fra le varie etnie, quella degli Han
(cinese) e quella straniera (mancese). I mancesi si impossessano della capitale nel 1644 quando la
dinastia Ming è vittima di una grave crisi economica e sociale, e come i mongoli Yuan cercano da
subito un'integrazione tra la cultura Han (i funzionari sono cinesi) e la propria società. Nonostante
ciò la città resta però divisa in due in “città interna” e “città esterna”. Questa divisione era già in uso
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Figura 1: Mappa di Beijing durante la dinastia Ming (1644) – (Greco,
Santoro 2008: p.36)
presso i Ming, e distingueva la città settentrionale “interna” o “tartara”, perché vi risiedevano i non-
cinesi, da quella meridionale “esterna” o appunto “cinese”, dove viveva la popolazione di origine
Han. Durante il periodo Qing i numerosi militari mancesi che si trasferiscono con le loro famiglie a
Pechino, nella zona settentrionale, aumentano questa frattura. Inoltre questa divisione permette
meglio alle autorità di tenere sotto stretto controllo la città interna, quella del potere e dei palazzi
imperiali dove vive la famiglia regnante. I commerci, i divertimenti, i teatri, le sale da tè ecc.. sono
tutti relegati nella città esterna, dove risiedono i cittadini cinesi (Li, Dray-Novey, Kong 2008: 54).
I sovrani Qing pongono molta attenzione nell'organizzazione degli spazi urbani, soprattutto i tre
celebri imperatori Kangxi, Yongzheng, Qianlong con cui Pechino e tutto l'impero cinese conosce una
ricchezza unica nella sua storia e una grande prosperità. L'impero diventa ancora più vasto e
multietnico, nonostante la capitale resti divisa per etnie e la Città Proibita aumenti il suo alone di
mistero e inaccessibilità. Questa viene ulteriormente ampliata e abbellita: residenza privata
dell'imperatore, palazzo per gli affari di Stato e per la celebrazione dei riti. Inoltre la struttura di
scatole cinesi che aveva la capitale viene amplificata. Dentro la Città Proibita vi è una zona interna
riservata alla residenza dell'imperatore, ma a sua volta anche la Città Proibita è la parte interna della
“città interna” (Li, Dray-Novey, Kong 2008: 58-61).
Le porte però di questo mondo chiuso vengono, con i tre imperatori, aperte alle scienze e alle arti
europee. L'interesse di questi sovrani per la conoscenza di altri popoli, li porta ad avvalersi della
collaborazione di gesuiti per diffondere un maggiore progresso (Li, Dray-Novey, Kong 2008: 56).
Come ad esempio le residenze estive fuori città immerse nella natura ma vicine alla capitale, tra cui
la più celebre è il Palazzo d'Estate e il Giardino della Perfetta Luminosità dove i gesuiti hanno
costruito fontane e palazzi in stile europeo.
L'arte e la cultura cinese guardano a quella europea risentendo per la prima volta di importanti
influssi rispetto al passato. Nasce anche un'importante scuola di corte attorno al pittore italiano
Castiglione, influenzata da certi caratteri della pittura europea, come la ricerca di una riproduzione
più naturalista della realtà. Il compito di Castiglione e degli altri pittori di corte è quello di
raffigurare celebrazioni, feste, eventi importanti, ritratti, che possano servire a promuovere la
politica imperiale e la legittimazione della classe dominante mancese presso le classi colte cinesi. La
pittura è tenuta così tanto in considerazione dai sovrani Qing che sia il numero che la qualità di
queste pitture cresce considerevolmente nel XVIII secolo (Li, Dray-Novey, Kong 2008: 88). Tra le
mura del cuore politico e imperiale di Pechino, la Città Proibita, si diffonde così un'arte ufficiale che
esalta il potere, commissionata dai sovrani, ma che risente però nelle tecniche pittoriche di influssi
stranieri. Le divisioni interne della città convivono dunque con un fruttuoso scambio interculturale
tra i vari paesi.
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Tutti questi fattori portano all'inizio del XIX secolo a fare di Pechino una delle città più prospere e
acculturate del continente. Ma anche una delle capitali meglio organizzate e controllate proprio a
causa della sua tipica struttura di mura dentro le mura, di divieto di assembramento e di una continua
vigilanza.
Una situazione destinata a tramontare nell'Ottocento quando il paese si chiude al commercio con
l'estero e non abbraccia l'industrializzazione, che caratterizza invece da quel momento in poi lo
sviluppo delle altre grandi capitali europee e giapponesi. Il XIX secolo segna in Cina e a Pechino
una crisi irreversibile, un periodo di scontri e disagi sociali dovuti al declino della dinastia ed ai
continui attacchi da parte delle potenze occidentali.
I muri e le porte proibite ai comuni cittadini vengono forzate con violenza dalle truppe straniere, i
palazzi imperiali devastati e distrutti. Lo scambio con l'Occidente diventa uno scontro violento. La
chiusura di Pechino e il suo cercare di restare arroccata dentro le sue mura, nella convinzione della
sua superiorità culturale, non portano certo a un dialogo con gli altri paesi, i quali dall'altro lato
premono per avere maggiore spazio nel mercato cinese.
Un declino destinato a durare fino al crollo dei Qing e del Celeste Impero portando, dopo millenni di
dinastie imperiali, alla nascita di un governo repubblicano rivoluzionario (Li, Dray-Novey, Kong
16
Figura 2: Xu Yang, La Città Proibita Sotto La Neve , 1767- (Li, Dray-
Novey, Kong 2008: tavola III)
2008: 131).
2- Gli scontri tra la capitale e gli invasori occidentali Nella storia della Cina e di Pechino i rapporti con i paesi europei e gli Stati Uniti sono stati
fondamentali per creare le basi della modernità. Gli sviluppi e la crescita economica di questi ultimi
anni, che come vedremo hanno ovviamente influito tanto anche sul mercato dell'arte, pongono le sue
basi nel XIX secolo, quando quei muri e quella chiusura di cui abbiamo parlato sopra vengono
abbattuti coi colpi di cannone degli eserciti stranieri.
Le potenze coloniali europee nel XIX secolo cercano e ottengono maggiori spazi e concessioni per il
commercio con la Cina. Sebbene i contatti tra l'Europa e l'impero cinese avvengano ormai da secoli,
essi sono piuttosto sporadici e solo nell'Ottocento si intensificano nonostante l'opposizione di
Pechino. Da un lato i paesi occidentali con l'industrializzazione si fanno più pressanti per cercare
nuovi sbocchi di mercato, dall'altro lato la Cina dei Qing decide di chiudersi ancora più allo scambio
con l'esterno. “Pechino diventò una specie di palcoscenico della politica nazionale sul quale andò in
scena il dramma della Cina degli ultimi decenni del XIX secolo” (Li, Dray-Novey, Kong 2008: 133).
Questi scontri con l'Occidente da cui Pechino esce sconfitta costringono la Cina contro la sua
volontà ad aprirsi all'estero. È un'apertura dolorosa che lascia cicatrici sulla città, oltre che rovine e
povertà, ma che porta anche il paese a iniziare il suo lungo confronto con l'Occidente e il dibattito su
quanto e come la cultura straniera debba incidere su quella cinese. Un problema che ancora oggi si
presenta attuale.
A metà del XIX secolo questi scontri diventano più violenti, prima con la Guerra dell'Oppio tra la
Gran Bretagna e la Cina, poi nel 1860 con l'invasione di truppe francesi e britanniche che invadono e
saccheggiano le residenze dell'imperatore a Pechino e incendiano il Palazzo d'Estate (Li, Dray-
Novey, Kong 2008: 146). I paesi europei vittoriosi ottengono vari privilegi economici e nella
capitale si insediano le loro legazioni permanenti. Queste
ultime portano le più avanzate tecnologie dell'Occidente:
ferrovia, nuovi mezzi di comunicazione come giornali e
telegrafi, che permettono di diffondere le notizie di ciò che
accade nella capitale in tutto il paese. Le merci e la cultura
occidentale iniziano a penetrare in Cina in modo più
incisivo, determinando un profondo sconvolgimento
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Figura 3: Soldati americani davanti alla Città
Proibita – (Greco, Santoro, 2008: p. 47)