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INTRODUZIONE E CONCLUSIONI
Questo lavoro si propone di ripercorrere lo sviluppo dei rapporti tra la Cina, ormai
affermatasi come potenza economica sul piano internazionale, e l’Unione Europea a
27 negli ultimi dieci anni. In particolare, si focalizzerà l’attenzione sull’aspetto
economico-commerciale, che, senza alcun dubbio, costituisce il fulcro delle relazioni
bilaterali fra i due.
La scelta del paese asiatico é stata dettata dall’enorme interesse che esso ha iniziato a
ricevere sia a livello accademico che a livello di mass media, prendendo atto della
gigantesca crescita del paese avvenuta in questi ultimi anni. Pertanto si é voluto qui
approfondire tale tematica in quanto estremamente attuale e in quanto continuerà
sicuramente a ricevere molte attenzioni anche nei prossimi anni. In particolare l’idea
é stata quella di osservare da vicino l’incontro tra il mondo orientale ed il mondo
occidentale. In genere, sono gli Stati Uniti d’America ad essere presi come punto di
riferimento per l’intero occidente, ma trattare lo sviluppo delle relazioni economico-
commerciali sino-americane avrebbe rischiato di essere ridondante e ripetitivo, data
la presenza di una vastissima letteratura al riguardo. Dunque si é preferito volgere
l’attenzione all’Unione Europea, considerandola nel suo complesso di 27 stati
membri, che sta solo recentemente iniziando ad attrarre l’interesse di economisti per
quanto riguarda la propria posizione con la Cina, e trattare dunque i rapporti
bilaterali tra queste due superpotenze, esaminandone i rispettivi vantaggi e limiti. Per
maggior completezza poi, si é voluto focalizzare l’attenzione su due paesi specifici
dell’Unione, la Germania e l’Italia, ed i loro rapporti economico-commerciali con la
potenza asiatica.
L’obiettivo di questo scritto, dunque, é quello di fornire un quadro della situazione
attuale per cercare di comprendere meglio cosa rappresenti la Cina per l’Unione
Europea e viceversa, in termini economico-commerciali. Le conclusioni a cui si é
pervenuti dopo tali analisi possono essere valutate in riferimento alla situazione
presente e potranno fornire ulteriori spunti di riflessione per quanto riguarda i
rapporti futuri tra le due potenze, ma, considerando che l’assetto della economia
internazionale é in continua evoluzione, non é possibile dare per scontato che ciò che
attualmente può essere ritenuto un dato acquisito in riferimento sia al percorso di
crescita della Cina che alle implicazioni da esso derivanti per l’UE, in un prossimo
futuro non venga smentito sulla base di nuovi avvenimenti che potrebbero portare a
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rivedere alcuni o tutti gli aspetti delle relazioni bilaterali tra la Cina e l’Unione
Europea.
La scelta é stata quella di effettuare l’analisi a partire dal 2001, perché questa data
rappresenta un momento di svolta per la potenza asiatica con il suo ingresso nella
Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), evento che ha permesso alla Cina
di iniziare a rafforzare la propria influenza nell’ambito degli equilibri mondiali.
L’esame delle relazioni bilaterali si é focalizzato principalmente sull’interscambio
commerciale fra Cina ed Unione, ossia sul volume di esportazioni ed importazioni di
beni scambiati durante questi ultimi dieci anni, e, in misura minore, si é rivolta
l’attenzione anche agli Investimenti Diretti Esteri
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(IDE), che comunque
costituiscono anch’essi un buon indice dello sviluppo delle relazioni economiche fra
due paesi.
Per quanto riguarda i dati utilizzati, vista la difficile accessibilità, ed in genere la
poca e discussa affidabilità, delle statistiche pubblicate dal governo cinese sulla
situazione dell’economia del paese, in questa sede si sono dunque utilizzati dati
esclusivamente provenienti da altre fonti ufficiali più attendibili (principalmente dal
Global Trade Atlas per l’analisi degli scambi commerciali). D’altronde, é “difficile
analizzare l’economia di un paese, specialmente se la maggior parte dei dati vengono
definiti segreto di stato” (Cammelli, 2010: 292). Infatti, nonostante ormai si sia ben
lontani dai tempi di Mao in cui “davanti a un leader che chiede il raggiungimento di
un obbiettivo impossibile, da sempre in Cina é prevalsa l’abitudine ad assecondare il
leader piuttosto che privilegiare il reale” (Cammelli, 2010: 290), ed anzi siano stati
fatti apprezzabili passi in avanti a partire dalle riforme di Deng prima fino agli
odierni leader Hu Jintao e Wen Jiabao verso la democratizzazione del paese, tuttavia
sui dati pubblicati dalle autorità cinesi permane un certo scetticismo che porta gli
analisti economici a muoversi con i piedi di piombo. Alcuni si continuano a
domandare infatti come abbia fatto la Cina a crescere così rapidamente con un ritmo
pari al 9 o 10% in un anno di crisi come il 2009, quando invece i paesi avanzati
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Gli IDE sono investimenti che oltrepassano le frontiere nazionali e sono destinati all’acquisizione di
quote di un’impresa che permettono all’investitore di esercitare un qualche grado di controllo sulla
gestione strategica e operativa dell’impresa estera (definizione del Fondo Monetario Internazionale).
In altri termini, si tratta dunque di movimenti di capitale a lungo termine volti a stabilire un interesse
duraturo nel paese straniero attraverso il possesso di almeno il 10% delle azioni ordinarie dell’impresa
estera, in modo tale da poter esercitare una significativa influenza nell’attività ordinaria dell’impresa.
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hanno sperimentato una battuta d’arresto o una regressione pari al 3-4% (Cammelli,
2010).
Che la Cina sia ormai sulla da considerare come una tra le più potenti economie
mondiali é generalmente riconosciuto e condiviso. Il paese oggi non solo rappresenta
il principale punto di riferimento per gli altri paesi dell’Est Asia (costituisce il
maggiore centro di assemblaggio e produzione della regione – Soyoung e al., 2011),
ma é arrivato a costituire anche un importantissimo partner commerciale per le più
forti economie occidentali, USA ed UE soprattutto. E di fronte ai pregiudizi o alla
paura di vedere, da qui ai prossimi anni, un cambiamento radicale degli equilibri
internazionali che potrebbe portare la Cina, e dunque l’Oriente, al centro del sistema,
data la previsione del possibile sorpasso del dragone sugli USA, molti economisti
rimangono dell’opinione che invece la potenza asiatica non debba essere vista come
una minaccia, nemmeno per gli Stati Uniti stessi: non é detto che i rapporti fra i due
paesi in futuro peggioreranno. Questo perché entrambe sono semplicemente
interessate a mantenere un certo grado di collaborazione. La Cina ha bisogno degli
USA (ed anche dell’UE) per sostenere le proprie esportazioni, e, dall’altra parte,
anche gli Stati Uniti e l’Unione hanno bisogno della Cina, soprattutto per risolvere
insieme le grandi sfide globali. Lo stesso Presidente americano Bill Clinton nel 1995
dichiarò di fronte all’allora leader cinese Jiang Zemin che gli USA stessi dovevano
temere di più una Cina debole piuttosto che una Cina forte.
Per quanto riguarda invece le relazioni sino-europee, che sono l’oggetto di studio di
questo lavoro, é anche qui difficile fare affermazioni su ciò che riserverà loro il
futuro: i dati e le statistiche sul commercio, come si vedrà, hanno creato forti
preoccupazioni sul fatto che i rapporti tra le due potenze sono eccessivamente
squilibrati a favore della Cina, e ciò ha portato buona parte dell’opinione pubblica a
etichettare la potenza asiatica esclusivamente come una minaccia per l’Unione.
Eppure, nonostante i numeri che indicano la presenza di un notevole deficit
commerciale europeo (che verrà analizzato nel secondo capitolo), tutt’oggi resta
ferma la volontà dei leader europei di perseguire e rilanciare la partnership strategica
con la Cina, anche e soprattutto dal punto di vista commerciale. Permane dunque un
velo di incertezza sul “modo in cui l’UE concepisca il futuro delle relazioni con
Pechino […] La realtà é che gli europei restano divisi; e non hanno davvero discusso
benefici e costi della relazione con Pechino.” (Dassù, 2010: 11). Entrambe le potenze
possono imparare molto l’una dall’altra, e lo stesso vale per i rapporti economico-
commerciali tra la Cina e due singoli stati dell’Unione, Germania ed Italia. Questi
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ultimi presentano, come si vedrà, relazioni con la potenza asiatica abbastanza
differenti, specie in termini di volumi di beni scambiati. E’ stato scelto pertanto di
dedicare parte dell’analisi a questi due paesi in quanto l’uno, la Germania,
rappresenta la più importante economia europea e una tra le più forti potenze
mondiali, per cui é senza dubbio interessante vedere come si relaziona questo paese
con una potenza asiatica emergente come la Cina, e l’altro, l’Italia, perché desta
ancora più interesse analizzare da vicino le relazioni economiche e commerciali con
il dragone in quanto ci riguardano direttamente.
Wei (2010) ha poi in particolare ipotizzato quattro diversi scenari futuri in base ai
quali potrebbero evolvere le relazioni tra la Cina e l’Occidente e merita qui riportarli
in maniera sintetica in quanto utili a comprendere meglio i termini della questione:
Il primo scenario é alquanto improbabile che si realizzi perché vede lo
scoppio di una guerra ideologica tra i due mondi: ciò sarebbe più ipotizzabile
se l’Occidente avesse a che fare con una Cina chiusa nella sua ideologia, ma
così non è. La potenza asiatica, anzi, incoraggia gli scambi culturali della
popolazione e spinge la sua gente a viaggiare, studiare lavorare o trasferirsi
all’estero;
Il secondo scenario vede il ritorno del protezionismo in Occidente, per cui vi
saranno nuove barriere al commercio che andranno ad ostacolare l’ingresso
della Cina sui mercati mondiali, così da frenarne la crescita. Anche questo
scenario é altamente improbabile in quanto non é pensabile per il mondo
occidentale infliggere simili sanzioni economiche ad un paese come la Cina
di cui comunque ha bisogno per risolvere le grandi issue globali;
Il terzo scenario ipotizzato invece é più probabile rispetto ai due precedenti:
si tratta di prospettare un futuro in cui la Cina sarà maggiormente coinvolta su
tematiche importanti quali quella sui diritti umani, per cui il paese verrà
spinto ad assumersi più responsabilità in materia. La Cina, tuttavia, é
convinta già di fare molto per la soluzione di tali tematiche ed inoltre non
accetterà di ricevere forti pressioni sul tema da parte di un Occidente che
comunque continua a discriminarla su punti quali l’embargo d’armi o il
rifiuto di riconoscerla come economia di mercato. Il Dragone dunque
sicuramente continuerà a dare il suo contributo sulle grandi tematiche globali
(dalla salvaguardia dei diritti umani alla protezione ambientale), ma senza
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lasciarsi sopraffare dalle richieste del mondo occidentale, in modo quindi
consapevole per evitare di arrivare ad una resa dei conti con l’Occidente.
L’ultimo scenario, prospettato sempre da Wei (2010), vede un clima di
cooperazione con la Cina al fine di accompagnare la transizione del sistema
economico internazionale verso nuovi equilibri che si concretizzeranno nel
passaggio dal modello tradizionale di dominio verticale, presente fin dal
Medioevo, ad un modello di collaborazione orizzontale. Questo é uno
scenario fin troppo utopistico per poterlo vedere applicato alla realtà, e
dunque sarà alquanto improbabile vederlo realizzato.
Secondo l’autore, in verità, quello a cui potremmo assistere nei prossimi anni
potrebbe essere addirittura una combinazione di tutti e quattro questi diversi scenari.
Non ci é dato sapere cosa effettivamente accadrà, ma quello che é certo é che vi sarà
un nuovo assetto internazionale caratterizzato da nuovi equilibri. E tuttavia bisogna
anche riflettere sul fatto che molto dipenderà da come la Cina stessa proseguirà nel
proprio percorso di sviluppo.
Infatti, nonostante lo straordinario boom dell’economia cinese di questi ultimi anni,
la potenza asiatica si trova comunque di fronte a problemi e difficoltà che dovranno
essere affrontate e risolte se vuole veramente arrivare a guadagnarsi il posto di prima
potenza economica mondiale.
La recente crisi economica ha mostrato come la Cina debba necessariamente rivedere
il proprio modello di crescita, principalmente basato sulle esportazioni, per passare
invece ad un modello di sviluppo basato sui consumi interni, e di questo ne sono
consapevoli le stesse autorità cinesi, come verrà descritto meglio in seguito.
Sono anche interessanti le riflessioni avanzate da Shengming (2010) in proposito.
L’economista, infatti, sostiene anch’egli l’impellente necessità di affrontare e
superare quegli ostacoli che potrebbero impedire alla potenza asiatica di conquistare
il ruolo di prima potenza mondiale. In particolare, egli evidenzia come il modello di
sviluppo cinese attuale debba essere modificato non solo in quanto poco sostenibile
nel futuro ma anche perché basato esclusivamente su “grandi immissioni di forza
lavoro, capitali, fonti energetiche e risorse, non sull’introduzione di scienza e
tecnologia o sull’innalzamento della capacità gestionale […] Quindi la crescita
economica ha caratteristiche quantitative e non qualitative, e il consumo di energia
per unità di PIL é decisamente più alto rispetto a quello dei paesi sviluppati”
(Shengming, 2010: 265). Altro punto su cui la Cina dovrà lavorare, sempre secondo
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l’autore, é quello della ristrutturazione dell’economia, ed in particolare essa dovrà
procedere ad un adeguamento della struttura di redistribuzione e utilizzo del PIL,
operazione fondamentale in quanto “dimostra come il rapporto tra lo sviluppo della
produzione e il tenore di vita della popolazione sia cruciale per ampliare la domanda
interna” (Shengming, 2010: 265), e quindi per stimolare i consumi. Infine, é
assolutamente necessario tenere sotto controllo l’inflazione: i prezzi in Cina hanno
iniziato a lievitare nel 2009 in seguito alla crisi finanziaria, e, proprio per far fronte a
quest’ultima, le banche avevano iniziato ad immettere ingenti quantitativi di
liquidità, che hanno conseguentemente provocato tale rialzo dei prezzi. Bisogna
dunque evitare che la situazione precipiti prima che sia troppo tardi. Per questo,
l’economista suggerisce da una parte di portare l’offerta a livelli superiori rispetto
alla domanda, assicurando laute scorte di merci di largo consumo, per rendere
difficile la scalata dei prezzi; dall’altra parte cercare di ridurre la domanda, in
particolare la domanda di investimenti in capitale fisso, in quanto la realizzazione di
infrastrutture, ad esempio, spesso richiede grandi investimenti che però non portano
risultati nel breve periodo. Ed inoltre bisogna incitare le imprese a ridurre i costi,
dato che questi incidono per una buona percentuale sui prezzi: se si riesce a
mantenere i costi sotto controllo, anche i prezzi lo saranno di conseguenza.
Shengming é molto ottimista rispetto ad altri suoi colleghi sul fatto che la Cina, se
riuscirà a porre in essere le misure sopra citate, continuerà a mantenere un ritmo di
crescita del PIL dell’8-9% anche successivamente alla crisi economica. Mentre
alcuni sostengono che il paese vedrà ridurre i propri tassi di crescita dell’economia a
livelli del 5-6% in quanto la recessione ha provocato danni a tutti i paesi e non
favorirà una rapida ripresa della crescita, l’economista sostiene invece come queste
previsioni non riguarderanno il proprio paese per diversi motivi. La Cina é un paese
enorme che deve proseguire nella sua strada verso lo sviluppo e, dato che esso è
caratterizzato da un vastissimo mercato per la domanda interna (la popolazione
cinese é di circa un miliardo e 300 milioni di persone) al quale dovrà corrispondere
un idoneo livello di offerta, non vi saranno particolari problemi nel raggiungere
questo obiettivo vista anche l’ottima capacità produttiva di cui dispone la Cina stessa.
In secondo luogo, vi sarà nei prossimi anni un incremento del tasso di urbanizzazione
che sostanzialmente porterà moltissime nuove braccia a lavorare in città e ciò
favorirà ulteriormente lo sviluppo economico; inoltre la Cina é a tutti gli effetti
un’economia aperta: essa sarà interessata non solo a mantenere ed anzi intensificare
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la collaborazione con le principali potenze mondiali (USA, Giappone, UE), ma anche
con i nuovi mercati emergenti, l’Africa soprattutto.
Ma vi sono anche opinioni che si discostano totalmente dalle previsioni di
Shengming sopra esposte, per cui si sostiene che la Cina vedrà un rallentamento del
proprio tasso di crescita nei prossimi anni.
Questo é il parere dell’economista Eichengreen (2011), professore dell’Università
della California, Berkeley, il quale ha ultimamente condotto una ricerca, insieme agli
studiosi Park e Shin rispettivamente della Banca di Sviluppo Asiatico e della
Università della Corea, proprio su tale questione (“When Fast Growing Economies
Slow Down: International Evidence and Implications for China”) e di cui, in un suo
recentissimo articolo, ha riportato le principali conclusioni in merito. Egli, anzitutto,
sostiene che la stessa dirigenza cinese é consapevole che, dovendo la Cina
riequilibrare la propria economia, ciò porterà inevitabilmente ad un rallentamento
della crescita del paese asiatico. Ma non solo, vi sono anche validi motivi per
sostenere che queste previsioni non costituiscono una sorta di stratagemma posto in
essere dalle autorità cinesi per deviare le pressioni internazionali che spingono verso
una rivalutazione dello yuan (o renminbi). Eichengreen rileva nel suo studio che la
crescita delle economie in rapido sviluppo tende a rallentare quando il PIL procapite
raggiunge una determinata soglia, e precisamente 16.500 dollari, prendendo come
riferimento i prezzi del 2005, soglia alla quale la Cina si sta progressivamente
avvicinando, per cui l’economista prevede che, se la Cina continuerà a mantenere un
ritmo di crescita dell’economia del 10% all’anno, già nel 2014 potrebbe raggiungere
detta soglia ed iniziare dunque successivamente a sperimentare un rallentamento.
Ovviamente, Eichengreen precisa che il raggiungimento di quella soglia non
comporta automaticamente l’inizio di un rallentamento della crescita e che, perché
quest’ultimo avvenga occorre anche il concorso di altri tre fattori.
In primo luogo, egli sottolinea come la tendenza al rallentamento si verifichi più
facilmente e più speditamente in paesi che presentano un alto tasso di popolazione
anziana rispetto alla forza-lavoro attiva, e questo é proprio il caso della Cina che si
ritrova in tali condizioni a causa dell’aumento della speranza di vita alla nascita e
della politica del figlio unico attuata negli anni ’70. In secondo luogo, un
rallentamento é più probabile nei paesi in cui il tasso di occupazione nel settore
manifatturiero supera il 20% in quanto ciò comporta necessariamente il trasferimento
di lavoratori nel settore dei servizi dove la crescita é più lenta, e questa é la attuale
situazione della Cina.
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Infine, sempre secondo l’economista, l’ultimo fattore riguarda la sottovalutazione
della moneta, in quanto i paesi che fanno affidamento su tassi di cambio sottovalutati
sono più esposti a shocks esterni. Questi sono i motivi per cui Eichengreen ritiene
che un significativo rallentamento della crescita cinese sia imminente.
Attribuire ragione assoluta all’una o l’altra previsione su quello che sarà il futuro di
un paese così complesso come la Cina é cosa comunque abbastanza azzardata. Sarà
la Cina stessa ad essere artefice del proprio destino e dunque sarà solo attraverso la
volontà e la convinzione interna di dover cambiare ciò che non va a poterla
veramente rendere un paese economicamente strategico. L’Unione Europea, in ogni
caso, dovrebbe continuare sempre a cooperare con una potenza così rilevante e
contribuire ad accompagnarne lo sviluppo. E’ più ragionevole e proficuo agire in tal
senso e dunque vedere questo immenso paese asiatico più come un’opportunità che
come una minaccia, più come un amico che come un nemico.
Questo lavoro é costituito da quattro capitoli, disposti secondo una logica per così
dire “ad imbuto”. Il primo capitolo é dedicato totalmente alla Cina e ripercorre il suo
cammino verso lo sviluppo a partire dalle riforme di Deng Xiaoping fino ad oggi. Il
secondo capitolo tratta dei rapporti economici e commerciali tra la Cina e l’Unione
Europea a 27 nel suo complesso, approfondendo in particolare il tema degli scambi
commerciali sia dal punto di vista cinese che dal punto di vista europeo. Gli ultimi
due capitoli, infine, analizzano i rapporti economici-commerciali bilaterali tra Cina e
Germania e tra Cina ed Italia.
Ad eccezione del primo capitolo che tratta di un arco di temporale abbastanza largo,
gli altri tre capitoli vanno ad analizzare invece, come é stato detto all’inizio, l’aspetto
economico-commerciale solo degli ultimi dieci anni, ai fini di fornire un quadro più
sintetico, ma soprattutto più aggiornato, delle relazioni tra le due potenze.
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CAPITOLO I
LA NUOVA LOCOMOTIVA MONDIALE: ORIGINE, SVILUPPO E
AFFERMAZIONE DEL MODELLO ECONOMICO CINESE
Nel mese di agosto del 2010 i media occidentali hanno dato particolare risalto alla
notizia che, avendo il PIL della Cina superato quello del Giappone nel secondo
trimestre dell'anno raggiungendo la quota di 1339 miliardi di dollari, il paese asiatico
si imponeva quale seconda economia del mondo dopo gli Stati Uniti (Visetti, 2010).
L'avvenimento è stato commentato come epocale confermando il ruolo sempre più
dominante della Cina nell'economia globale, anche in riferimento ad alcune
previsioni che vedono l'economia cinese superare quella statunitense prima del
2030.
La notizia del sorpasso, tuttavia, ha ricevuto una fredda accoglienza dal governo e
dai media cinesi che, anzi, hanno criticato i media stranieri per aver esagerato nel
riportare l'evento con troppa enfasi. Questa reazione si spiega innanzitutto
osservando che la Cina, pur consapevole della propria considerevole crescita
economica, ha interesse a continuare ad essere considerata un paese in via di
sviluppo, mentre l'attribuzione dello status di paese sviluppato equivarrebbe a
caricarla di responsabilità che essa non ha intenzione di assumere. Non va
dimenticato, infatti, che l'essere un paese in via di sviluppo (PVS) ha permesso finora
alla Cina di godere di notevoli agevolazioni e di aver avuto accesso all'
Organizzazione Mondiale per il Commercio (OMC) proprio in qualità di PVS.
Grazie a questo status, l'agricoltura cinese ha potuto beneficiare di particolari
condizioni agevolate e continuare a ricevere sussidi statali. Inoltre, è stata
comprensibilmente riportata l'attenzione sul fatto che le dimensioni del PIL, di per
sé, non sono veramente indicative della ricchezza di un paese. A parte i dubbi,
sempre più condivisi, sul fatto che il benessere di una nazione possa misurarsi
attraverso il PIL, anche volendo mantenere quest’ultimo come parametro di
riferimento, si è osservato che bisognerebbe considerare il PIL reale pro-capite, che
si ottiene dividendo il valore del PIL per il numero degli abitanti. Così facendo,
poiché il prodotto pro-capite annuo della Cina è di 3.600 dollari (stando ai dati del
2009), vedremmo la Cina posizionarsi al 99° posto (secondo il
Fondo Monetario Internazionale/FMI) in un mondo in cui la media è pari a circa
8.000 dollari).