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INTRODUZIONE
Tradizionalmente il razzismo viene definito come la dottrina che
afferma l’esistenza di una gerarchia tra le razze umane, ma questa
definizione non è sufficiente perché la sconfitta del nazismo e della
sua dottrina fondata sulla superiorità della razza ariana avrebbero
dovuto segnare anche la fine del razzismo. Eppure il razzismo esiste
ancora, ma è cambiato in conseguenza dei cambiamenti sociopolitici
degli ultimi decenni. E’ un fenomeno in continua metamorfosi, che va
ripensato in base alle sue nuove forme nell’epoca postnazista, come
la persecuzione delle minoranze, la xenofobia nei confronti degli
immigrati o le mobilitazioni etniche violente.
Nell’epoca attuale, come fa notare Pierre-André Taguieff, «la
parola razzismo viene applicata a un numero indefinito di situazioni,
ed assume quindi una funzione vaga, come approssimativo
sinonimo di esclusione, di rigetto, di ostilità, di odio, di paura fobica o
di disprezzo»
1
, come se il pensiero comune avesse capito che il
razzismo può manifestarsi anche in modo non esplicito. Taguieff
cerca di inquadrare il fenomeno del razzismo mettendone in dubbio
l’unità e distribuendolo in tre diverse dimensioni: le attitudini, i
comportamenti e le costruzioni ideologiche.
Le attitudini, che l’autore inserisce in una categoria definita
razzismo-pregiudizio, comprendono opinioni, credenze, pregiudizi,
1
Taguieff Pierre-André, Il razzismo - Pregiudizi, teorie, comportamenti, Milano, Raffaello
Cortina Editore, 1999 p. 2
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stereotipi, disposizioni o predisposizioni; i comportamenti rientrano
invece in una categoria definita razzismo-comportamento e
comprendono atteggiamenti, atti, pratiche di discriminazione e di
persecuzione, istituzioni o mobilitazioni, mentre nelle costruzioni
ideologiche, che vengono inserite nella categoria del razzismo-
ideologia, rientrano teorie, dottrine legate ai nomi di alcuni autori,
visioni del mondo e miti moderni. Non c’è una relazione vincolante
tra il razzismo come configurazione ideologica e il razzismo della
persecuzione e dell’annientamento, perché un indottrinamento
razzista non costituisce il presupposto necessario dei comportamenti
razzisti, i quali a loro volta in alcuni casi potrebbero anche non
rappresentare intenzioni consapevoli.
Il razzismo si serve oggi di argomentazioni che non sono più
direttamente identificabili come razziste e non tutte le sue pratiche
fanno riferimento ad una dottrina, né presuppongono l’esistenza di
una scala gerarchica dei gruppi umani. Il fatto che non sia più
evidente come una volta non significa che il razzismo costituisca
un’insidia di minore entità per il genere umano; anzi questa
situazione lo rende più oscuro e più difficile da combattere, perché si
nasconde in ogni luogo e si maschera sotto altre rappresentazioni
apparentemente non razziste, e conoscerne le sue nuove forme
significa essere consapevoli della sua complessità e compiere un
primo passo per contrastarlo.
Questo lavoro intende compiere un viaggio nel delicato tema della
discriminazione, con un occhio attento a tutti i progressi fatti in
questo ambito dal secondo dopoguerra ai giorni nostri. L’attenzione
è rivolta soprattutto alla discriminazione in base alla razza o
all’origine etnica, anche se è importante ricordare che esistono altri
fattori di discriminazione - la religione o le convinzioni sociali,
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l’handicap, l’età, l’orientamento sessuale, il genere - che in modo
altrettanto grave vanno a minare il rispetto dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali.
Per meglio capire il contesto, si compierà un percorso dal generale
al particolare, ossia dal globale - l’ONU, l’UNESCO e l’Unione
Europea - che esercita un’influenza molto forte sul locale, in questo
caso l’Italia.
Nel primo capitolo saranno analizzati alcuni tra i documenti
dell’ONU e dell’UNESCO, gli organismi nati dopo la tragedia della
Seconda Guerra Mondiale e del nazismo per tutelare il rispetto dei
diritti umani e che rappresentano un punto di riferimento per tutti gli
Stati liberi che cercano di difendere i valori democratici. I documenti
passati in rassegna hanno posto le basi di un nuovo modo sentire,
fondato sul principio dell’uguaglianza di tutto il genere umano, sul
rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, sulla tolleranza, per
fondare una cultura di pace e di non discriminazione. I diritti umani
entrano così nella sfera politica e si affermano nella coscienza
sociale, regolando ogni relazione tra individui, etnie, religioni e Stati.
Per la società e per l’etica civile essi rappresentano il valore per
antonomasia, al di sopra di ogni gerarchia.
Anche l’Unione Europea, alla quale è dedicato il secondo capitolo,
assume un ruolo di primo piano, innanzitutto con l’istituzione del
Consiglio d’Europa nel 1949, in seguito con l’istituzione dell’ECRI - la
Commissione Europea contro il Razzismo e l’Intolleranza - nel
1994, che ha il compito di controllare in modo costante gli Stati
membri e che periodicamente stila dei rapporti sulla situazione nei
singoli Paesi. Anche le direttive 2000/43/CE e 2000/78/CE per la
parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e
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dall’origine etnica costituiscono una risposta attiva e concreta al
problema della discriminazione.
L’Italia, come si vedrà nel terzo capitolo, tra resistenze e voglia di
adeguarsi agli standard europei, ha compiuto molti passi avanti per
quanto riguarda le politiche contro la discriminazione razziale, una
dimostrazione di ciò è infatti l’istituzione dell’UNAR - l’Ufficio
Nazionale Antidiscriminazioni Razziali - che opera sia a sostegno
delle vittime sia sulla popolazione locale al fine di eliminare le cause
che determinano gli eventi discriminatori, eppure il lavoro è ancora
lungo. Purtroppo si deve notare che in molti contesti l’Italia dimostra
di vivere ancora nel pregiudizio e di avere difficoltà ad aprirsi al
dialogo con la diversità, come viene messo in luce nell’ampia
sezione dedicata ai tre rapporti dell’ECRI sul nostro Paese.
In questa panoramica si inserisce il ruolo cruciale dell’educazione,
che deve agire sulle mentalità affinché il nostro Paese non sia
interculturale solo sulla carta. Il dilagare della globalizzazione ha
reso le società un crocevia di popoli e di culture differenti che si
muovono e che si incontrano, l’educazione deve intervenire affinché
l’incontro non diventi uno scontro ma una risorsa, un’occasione di
crescita e di arricchimento per entrambe le parti, l’intercultura
diventa allora un obiettivo e una sfida per le società multiculturali. La
pedagogia interculturale mira a promuovere il dialogo come
attenzione reciproca, come riconoscimento e rispetto delle diversità
e deve agire non solo nella scuola, nel lavoro o nella società civile,
ma soprattutto nei soggetti e nella loro forma mentis, individuale o
collettiva.
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CAPITOLO PRIMO
Le politiche dell’ONU e dell’UNESCO per la difesa dei diritti
dell’uomo, contro ogni forma di discriminazione
1.1 La nascita dell’ONU e la Dichiarazione Universale dei Diritti
Umani
All’indomani della tragedia della Seconda Guerra Mondiale, subito
dopo la sconfitta dell’impero nazista, ci si è ritrovati di fronte uno
scenario inquietante e tutto quello che si poteva fare era contare i
danni. E’ stato allora, con alle spalle gli orrori della guerra e milioni di
vite umane sacrificate, che nacque l’esigenza di far nascere un
organismo al di sopra delle singole Nazioni con lo scopo di evitare
che queste si dilaniassero per i propri egoismi ideologici e per la
fame di conquista territoriale. Il grande obiettivo da raggiungere era
creare un organismo in grado di garantire la pace e la sicurezza, in
grado di risolvere i rapporti tra Stati su un piano mondiale, in modo
che non si potesse più ripetere quello che poco prima aveva distrutto
il mondo: il dominio indisturbato del più forte sul più debole.
Con queste premesse, il 26 giugno 1945 nella Conferenza di San
Francisco viene istituita l’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite),
che da subito inizia a lavorare per la difesa dei diritti dell’uomo, poco
prima di allora non solo ignorati ma soprattutto calpestati. Il percorso
è stato lento e graduale, si è partiti dal rispetto dei diritti, passando
10
per la tutela di questi per arrivare a definire la discriminazione come
offesa all’umanità.
Nel preambolo della Carta delle Nazioni Unite,
1
adottata il 26
giugno 1945 si possono leggere queste parole, che trasudano
impegno e speranza: «Noi, popoli delle Nazioni Unite, decisi a
salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due
volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni
all'umanità, a riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell'uomo,
nella dignità e nel valore della persona umana, nella uguaglianza dei
diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole».
Il 10 Dicembre 1948, viene approvato e proclamato il primo e
fondamentale documento delle Nazioni Unite, la Dichiarazione
Universale dei Diritti Umani
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, che introduce un criterio di
legittimazione degli Stati e del diritto internazionale del tutto nuovo,
non più fondato sulla sovranità nazionale, ma su principi etico-
giuridici universali, i diritti dell'uomo. Nel preambolo del documento,
vengono riconosciuti uguali diritti e dignità a tutti i membri della
famiglia umana, come fondamento della libertà, della giustizia e della
pace nel mondo e viene espressa la necessità di tutelare mediante
norme giuridiche i diritti umani. Con l’insegnamento e con
l’educazione ogni individuo ed ogni organo della società dovrà
promuovere il rispetto dei diritti e delle libertà espressi nei trenta
articoli della Dichiarazione. Tutti gli individui hanno diritto alla vita,
alla libertà, alla sicurezza della propria persona, sarà quindi proibita
la schiavitù, la tortura e le punizioni o trattamenti crudeli o
degradanti; tutti gli individui hanno diritto al riconoscimento della
1
Commissione Straordinaria per la tutela dei diritti umani, Manuale dei diritti umani –
Raccolta normativa. Trattati, Convenzioni, Dichiarazioni, Statuti, Protocolli Aggiornati al
2004. Volume I p. 2. Reperibile all’indirizzo internet
http://www.senato.it/documenti/repository/commissioni/dirittiumani/manuale.pdf
2
Ivi, volume I p. 113
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propria personalità giuridica, sono uguali davanti alla legge e devono
essere tutelati da ogni forma di discriminazione; tutti gli individui
hanno libertà di movimento, diritto di avere una cittadinanza, una
proprietà, di sposarsi, di fondare una famiglia, che è il nucleo
fondamentale della società e come tale deve essere protetta; tutti gli
individui hanno diritto alla libertà di pensiero, di coscienza, di
religione, di poterla professare o cambiare, di opinione, di
espressione, di riunione e di associazione pacifica; tutti gli individui
hanno il diritto di partecipare al governo e di accedere ai pubblici
impieghi del proprio Paese, hanno diritto alla sicurezza sociale, al
lavoro, ma anche al riposo e allo svago, all’istruzione e a partecipare
liberamente alla vita culturale della propria comunità. Tutto questo
dovrà avvenire senza limitazioni per ragioni di razza, colore, sesso,
lingua, religione, opinioni, origine nazionale, sociale o economica.
I principi espressi nella Dichiarazione sono tuttora universalmente
validi e mostrano il sorgere di un nuovo modo di sentire e di pensare
l’umanità, figlio sicuramente del desiderio di una pace che per troppo
tempo era venuta a mancare. A questa seguiranno molte altre
dichiarazioni, convenzioni e strumenti legislativi, che andremo ad
analizzare perché ci aiuteranno a comprendere meglio il contesto da
cui si deve partire per improntare un discorso sulla discriminazione.
Bisogna notare un fatto molto importante per il nostro discorso,
che viene messo in luce già da questo primo documento: è
estremamente riduttivo associare la discriminazione ai soli fenomeni
di razzismo, anche se questi hanno un impatto sicuramente
maggiore, soprattutto a livello mediatico. Si vedrà in seguito,
nell’analisi dei vari documenti, che ricorre una suddivisione in sei
fattori di discriminazione, frutto di un’operazione più organizzativa
che di merito, quindi non istituzionale. Questi sono:
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1. la razza e l’origine etnica
2. la religione o le convinzioni sociali
3. eventuali handicap
4. l’età
5. l’orientamento sessuale
6. il genere
1.2 La Dichiarazione e la Convenzione delle Nazioni Unite
sull’Eliminazione di ogni forma di Discriminazione Razziale
Il 20 novembre 1963 viene proclamata la Dichiarazione delle
Nazioni Unite sull’Eliminazione di ogni forma di Discriminazione
Razziale
3
, alla quale segue la Convenzione Internazionale delle
Nazioni Unite sull’Eliminazione di ogni forma di Discriminazione
Razziale
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, che assume un valore legale. La Convenzione intende
attuare nelle Nazioni che la sottoscrivono i principi espressi nella
Dichiarazione e adottare misure pratiche a tale scopo.
Si parte nella Dichiarazione col considerare i principi espressi nella
Dichiarazione Universale, ma il punto cruciale è qui che qualsiasi
dottrina di differenziazione o di superiorità razziale è dichiarata
scientificamente falsa, moralmente condannabile, socialmente
ingiusta e pericolosa. Grazie agli sforzi internazionali ci sono stati in
molti paesi progressi significativi, eppure la discriminazione basata
sulla razza, sul colore e sull’origine etnica è ancora motivo di seria
preoccupazione in molte regioni del pianeta. Si fa riferimento
all’apartheid, che in quegli anni era ancora in vigore in Sudafrica, alle
politiche di separazione e segregazione adottate da certi governi,
3
Ivi, volume I p. 384
4
Ivi, volume I p. 380