INTRODUZIONE
In questa tesi ho scelto di esaminare il sistema di protezione sociale a livello nazionale e locale,
in quanto sembra attualmente assumere un ruolo sempre più centrale alla luce della recente
crisi internazionale e delle trasformazioni del mercato del lavoro occorse negli ultimi decenni
in Italia. Infatti il tema è di stretta attualità oggi più che mai, dato che l’Italia stenta ad uscire da
una crisi economica internazionale che ha contribuito ad evidenziare i problemi che il regime
di flessibilità del lavoro porta con sé. La sempre più evidente precarietà dei contratti di lavoro
si accompagna a una crescente insicurezza sul reddito futuro, alle difficoltà a trovare un lavoro
“stabile” o rispondente alla propria formazione e al maggiore divario fra categorie di lavoratori
“protette” con generosità oppure che godono di deboli tutele. Eventuali shocks, come la crisi
economica internazionale a cui si è assistito dal 2008, se non affrontati con policies adeguate,
si ripercuotono quindi sulle fasce deboli della popolazione, sui lavoratori a basso reddito, sui
non autosufficienti, sui giovani e sulle donne, sempre più incaricate dell’assistenza a familiari
anziani o disabili; con conseguente aumento delle tensioni sociali.
A maggio 2011, in base ai dati più recenti forniti dall’ISTAT, un quarto della popolazione
italiana è a rischio impoverimento, dato preoccupante anche perché superiore del 23% rispetto
alla media dell’Unione Europea. Questa fragilità si ripercuote soprattutto sulle categorie dei
giovani e delle donne, che sono individuate generalmente come le più fragili della popolazio-
ne perché hanno, ad esempio, un più difficile accesso al mercato del lavoro. Infatti in Italia il
tasso di disoccupazione nella fascia 15-24 anni è estremamente alto e rasenta il 30%, un feno-
meno presente soprattutto al Sud e che è legato alla massiccia presenza di “scoraggiati” tra i
giovani, che non studiano né lavorano. Per quanto riguarda le donne, esse continuano a vedere
una retribuzione sul mercato del lavoro, a parità di impiego, inferiore di circa il 20% in media
rispetto agli uomini, e spesso risultano fondamentali per l’assistenza a categorie svantaggiate
e bisognose di aiuto. Per questo gli istituti di sostegno al reddito, a cui sono collegate le poli-
tiche assistenziali sia direttamente (tramite trasferimenti monetari) che indirettamente (tramite
politiche di altro genere) assumono una centralità crescente e strettamente attuale.
Se da una parte è possibile ritenere che la maggiore flessibilità del mercato del lavoro degli
ultimi decenni abbia parzialmente fallito nel rispondere ad esigenze occupazionali e di for-
mazione, dato soprattutto l’abuso e l’errato utilizzo che si è fatto di tipologie contrattuali che
dovevano servire a favorire l’inserimento nel mercato del lavoro e che hanno portato invece ad
un aumento della precarietà e ad una crescente insicurezza reddituale; dall’altra ha avuto con-
seguenze su altri aspetti della vita degli individui. Infatti una maggiore difficoltà nel trovare
un lavoro ha evidenti ripercussioni ad esempio sulla decisione di un individuo di formare una
famiglia, di comprare una casa, di chiedere un mutuo alla banca. Tuttavia, la flessibilità del
mercato del lavoro sembra ormai una strada che non è possibile abbandonare, e una risposta
che va nella direzione di una maggiore rigidità sembra ormai anacronistica e poco funzionale in
un ambiente caratterizzato da un’alta fluidità di movimenti: di lavoratori, di imprese, di merci,
di capitale, di investimenti ecc..
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E’ dunque evidente la necessità di elaborare dei meccanismi per proteggere gli individui dai
rischi di povertà e disoccupazione che, come abbiamo visto, sono sempre più forti e diffusi.
Le misure di sostegno al reddito attualmente utilizzate in Italia si rivolgono soprattutto a due
macro-categorie: i poveri (definiti da una poverty line nazionale o locale) e i disoccupati. Tali
misure, che vedremo approfonditamente nell’elaborato, sono qui citate sinteticamente: trasfe-
rimenti monetari, esenzioni fiscali, Cassa Integrazione Guadagni, indennità di mobilità. Ma le
due macro-categorie individuate non sono le uniche beneficiarie di misure di sostegno al red-
dito. Infatti, non è solo l’essere disoccupato ad incidere sulla status di povertà di un individuo,
anche se è lecito attendersi che una persona disoccupata, dato che non percepisce reddito, abbia
maggiore probabilità di essere povero rispetto a chi viene retribuito. Altri fenomeni incidono
sulla condizione di povertà, o comunque fanno in modo che la persona necessiti di un aiuto, sia
monetario che non. Tra questi, il fenomeno della non autosufficienza è senz’altro da analizzare,
e lo faremo in particolare nel secondo capitolo.
Nel tempo, sono state proposte varie politiche di sostegno al reddito, che vanno nella direzio-
ne di un aiuto pubblico maggiormente mirato oppure universale, in un dibattito ormai secolare
e che pone l’attenzione, di volta in volta, su aspetti diversi, come ad esempio l’oggetto dell’a-
iuto (trasferimenti in cash oppure in-kind), la modalità di erogazione, gli obiettivi proposti, e i
meccanismi elaborati per limitare le difficoltà riscontrate. La logica stessa di queste proposte
differisce a seconda del contesto in cui la proposta viene sviluppata o del retaggio culturale
dell’autore che la elabora, così come differisce l’urgenza con cui certi fenomeni sono valutati e
alcune categorie ritenute maggiormente beneficiarie di altre.
Lo scopo di questa tesi è quindi analizzare le politiche pubbliche di sostegno al reddito da
un punto di vista teorico e istituzionale. Ciò verrà fatto nell’ambito di un framework che vede
le politiche universali e quelle selettive su due fronti opposti, nella consapevolezza che non è
possibile a priori prediligere l’uno o l’altro sistema di protezione sociale che emerge seguendo
un tipo o l’altro di impostazione pubblica.
La tesi è strutturata in quattro capitolo, i primi tre sono volti ad effettuare una rassegna
dei principali studi economici in materia mentre l’ultimo si propone un’analisi maggiormente
localizzata a livello nazionale sull’Italia e, a livello regionale, sulla Toscana.
Nel primo capitolo, saranno discusse le caratteristiche principali degli istituti di sostegno
al reddito, e le loro giustificazioni essenziali. In particolar modo, ci concentreremo sulle mo-
tivazioni economiche che ne sono alla base, con riferimento ai concetti di efficienza, equità,
e assicurazione. Chiariremo inoltre il significato e le differenze dei concetti di universalismo,
selettività, nelle varie accezioni di targeting (selettività in senso lato) e selectivity (selettività in
senso stretto) e categorialità. Le politiche di sostegno al reddito non si attuano esclusivamente
tramite trasferimenti monetari, ma dato che essi sono il mezzo maggiormente utilizzato, succes-
sivamente analizzeremo teoricamente i possibili effetti di tali trasferimenti sulla povertà e sulla
disuguaglianza nella distribuzione dei redditi, sull’offerta di lavoro e sul risparmio. In ques-
to campo, il dibattito tra gli studiosi è aperto, dato che non esiste una relazione causa-effetto
univoca. Da questa analisi usciranno quindi le principali caratteristiche dei sistemi selettivi e
2
universali di sostegno al reddito, e delle loro debolezze, tra le quali possiamo già da ora evi-
denziare le principali e più evidenti, che sono legate al means-test, ossia al test dei redditi da
cui dipende l’erogazione di un trasferimento selettivo, e alle asimmetrie informative, le quali
possono portare al verificarsi di fenomeni di adverse selction e moral hazard e quindi all’in-
clusione o all’esclusione di falsi positivi o falsi negativi tra i beneficiari. Espliciteremo quindi
una delle particolari difficoltà legata alle distorsioni dei comportamenti individuali, ossia quella
relativa agli incentivi, o ai disincentivi, al lavoro, e analizzeremo alcuni meccanismi individuati
nei vari studi per alleviarla.
Nel secondo capitolo, diversificheremo in modo più chiaro gli istituti di sostegno al reddito
universali e selettivi. Con i primi si intende sussidi in somma fissa destinati a tutti gli individui
indipendentemente dalle condizioni di reale bisogno. I secondi invece sono erogati soltanto in
base al superamento di un test volto a misurare se il reddito individuale o familiare rientra nei
parametri per accedere al sussidio. Successivamente quindi procederemo ad un’analisi detta-
gliata delle principali proposte elaborate nell’una o nell’altra direzione. Per quanto riguarda le
misure di sostegno al reddito universali, faremo riferimento alle varie proposte di Dividendo So-
ciale, di Negative Income Tax (anche se questa non può, secondo alcuni studiosi, essere definita
propriamente come universale) e di Reddito di Cittadinanza; mentre analizzeremo le misure di
carattere selettivo seguendo le implicazioni che esse hanno sulla disoccupazione, sul risparmio
e sulla povertà.
Esamineremo inoltre vari meccanismi per arginare uno dei principali problemi degli istitu-
ti selettivi, ossia le difficoltà che incontrano nel raggiungere esclusivamente i reali destinatari
delle misure tramite il targeting. Una delle possibili forme del targeting, che vedremo più nel
dettaglio, è la richiesta di work requirements in cambio del trasferimento, ossia condizionare
il trasferimento allo svolgimento di un certo numero di ore di lavoro nel settore pubblico. Va-
luteremo quindi se questo sia o meno un buono strumento per affrontare i problemi legati alle
asimmetrie informative, con riferimento soprattutto agli incentivi al lavoro e alla possibilità che
individui aventi la capacità di provvedere al proprio sostentamento scelgano di non farlo, ma-
scherandosi dai individui che non ne hanno la possibilità e gravando così sulle casse dello Stato.
Chiuderemo il capitolo parlando delle misure categoriali, ossia di quelle politiche di sostegno
al reddito destinate esclusivamente per particolari gruppi della popolazione, indipendentemente
dal loro reddito. In questo caso esamineremo quindi gli studi relativi alle politiche per portatori
di handicap e per le famiglie con figli a carico.
Nel terzo capitolo, vedremo altre misure categoriali di sostegno al reddito, in questo caso
legate alle condizioni lavorative: il sussidio al salario, l’indennità di disoccupazione e la worker
compensation, ossia gli strumenti che permettono di tutelare il lavoratore in caso di malattia
con origine professionale e di infortuni sul lavoro. Un peso speciale sarà dato all’indennità di
disoccupazione e al suo legame con i due principali fenomeni di moral hazard e adverse se-
lection. Differenzieremo quindi tra unemployment insurance e unemployment assistance, dove
la differenza principale è che l’erogazione della prima è legata ai contributi versati, sia dal la-
voratore che dal datore di lavoro, nel periodo in cui l’individuo aveva un lavoro regolarmente
3
assicurato. Inoltre, essa non viene corrisposta se la persona cessa volontariamente di lavorare
oppure se il rapporto di lavoro si interrompe a causa della cattiva condotta del dipendente. E’
possibile inoltre che per un certo periodo successivo alla cessazione del rapporto i trasferimenti
non vengano erogati e la loro effettiva corresponsione dipenda dall’impegno reale nella ricerca
di una occupazione o comunque dalla disponibilità ad accettare un lavoro offerto. Generalmente
è previsto che se una o più offerte di lavoro ritenute attinenti vengono rifiutate l’individuo venga
escluso dall’erogazione dei benefits. Va in questo senso la trasformazione degli Uffici di col-
locamento in Centri per l’impiego, dove infatti la possibilità di ottenere alcuni ammortizzatori
sociali, quali ad esempio la Cassa Integrazione in deroga per gli apprendisti, è legata a politiche
del lavoro attive. E’ da notare inoltre che l’ammontare di tali trasferimenti può dipendere an-
che dal livello dei guadagni percepiti in passato, che l’indennità viene pagata per un periodo di
tempo limitato e che il tasso di unemployment benefit possa ridursi nel tempo. L’unemployment
assistance invece non dipende né dai contributi versati né dalla storia lavorativa e può essere
pagata per un numero indefinito di anni. La caratteristica più importante è che la sua erogazio-
ne è legata a un test dei mezzi basato sia sui redditi che su altri assets, eventualmente anche
della famiglia nel suo insieme e non solo del singolo individuo. Saranno inoltre analizzati gli
effetti dell’unemployment insurance sul consumption smoothing, sulla probabilità e sulla dura-
ta della disoccupazione (anche temporanea) e sull’offerta di lavoro dei familiari dell’individuo
disoccupato. Anche per quanto riguarda la worker compensation, l’enfasi sarà posta soprattutto
sugli incentivi individuali a distorcere i propri comportamenti, e quindi sulla probabilità che si
verifichi un incidente sul lavoro, sulla probabilità che venga richiesto il risarcimento, sul valore
atteso dell’occupazione e sulla durata del periodo di convalescenza.
Nel quarto capitolo, analizzeremo come si presenta dal punto di vista istituzionale il sistema
di welfare in Italia e in Toscana, relativamente alle misure di sostegno al reddito menzionate. Ci
concentreremo in particolare sulle misure contro la povertà, sulle politiche per la non autosuf-
ficienza, su quelle a sostegno dei lavoratori a rischio disoccupazione oppure disoccupati e sulla
tutela in caso di infortuni sul lavoro o malattie con origine professionale. Inizialmente delinee-
remo i tratti principali che differenziano il modello di welfare italiano da quelli europei e i suoi
principali punti critici che, come vedremo, possiamo sintetizzare in quattro punti. Il primo è
che il sistema di protezione è duale, cioè i trasferimenti principali sono basati sulla condizione
occupazionale degli individui e questo divide la forza lavoro in due macro-gruppi a seconda del
grado di protezione sociale (genoroso o debole). Il secondo punto si riferisce alla difficoltà di
applicare correttamente i criteri di means-test. La terza caratteristica peculiare è il forte grado
di familismo presente, ossia il fatto che spesso la famiglia sostituisce il welfare statale; mentre
la quarta riguarda un deficit di stateness, ossia il fatto che le burocrazie pubbliche non sono
completamente indipendenti da pressioni esterne da parte di gruppi politici e sociali. Vedremo
poi sinteticamente le caratteristiche principali delle politiche assistenziali nazionali riguardanti
la famiglia (assegni al nucleo familiare e di maternità/paternità), la povertà (integrazione delle
pensioni al minimo, assegno sociale), la disabilità (pensioni di invalidità, di invalidità civile e
assistenza ai disabili), la disoccupazione (Cassa Integrazione Guadagni, indennità di mobilità) e
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la worker compensation (indennità di malattia, indennità per infortuni sul lavoro o malattie con
origine professionale). Procederemo infine all’analisi dei vari istituti di welfare anche dal punto
di vista toscano, in un contesto che vede le regioni assumere un ruolo di primo piano anche a
causa della crescente redistribuzione di competenze in materia in loro favore verificatasi negli
ultimi anni.
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1 WELFARE STATE REDISTRIBUTIVO VS. WELFARE
STATE RESIDUALE: UNIVERSALISMO O SELETTI-
VITÀ?
1.1 Giustificazioni dell’intervento pubblico redistributivo
Per introdurre il tema delle politiche sociali, ci chiederemo se la scelta tra universalismo o
selettività in questo campo sia riconducibile a due visioni estreme del welfare state e delle
sue funzioni: una minimale e l’altra redistributiva. Prima di analizzare nel dettaglio queste due
diversi posizioni, è utile un breve richiamo alla teoria economica sulla motivazioni che spingono
lo Stato a intervenire nel mercato, in particolare con interventi redistributivi.
Secondo l’economista americano R. Musgrave (1959)
1
, le funzioni, che lo Stato deve assol-
vere e che giustificano la sua nascita e mantenimento, sono tre: allocazione, redistribuzione e
stabilizzazione. La prima ha lo scopo di modificare l’allocazione delle risorse fra usi alternativi,
per correggere fallimenti del mercato (e migliorare quindi l’efficienza del sistema). La seconda
è volta a modificare la distribuzione delle risorse tra soggetti, nel caso in cui l’allocazione da
parte del mercato sia ritenuta poco equa. Essa implica quindi giudizi di valore. Per farlo lo Stato
può, ad esempio, erogare trasferimenti monetari a particolari gruppi di cittadini, fornire servizi
ai cittadini in funzione dei loro bisogni o intervenire sui prezzi dei beni. La redistribuzione
può avvenire anche dal lato del finanziamento del sistema, ossia quando si attua un determinato
sistema tributario invece di un altro. La funzione di stabilizzazione, invece, riguarda la capacità
dello Stato di sostenere la domanda aggregata e garantire così un livello di produzione il più
vicino possibile a quello di pieno impiego.
Come riportato in Bosi (2010), le spiegazioni economiche dell’intervento pubblico redistri-
butivo, in contrapposizione a quelle sociologiche, si basano sui due fondamentali concetti di
equità e di efficienza e su un terzo, assicurazione, anch’esso collegato ai fallimenti del mercato.
Con il termine efficienza ci si riferisce all’efficienza nello scambio, nella produzione e nella
composizione del prodotto. Nel modello di concorrenza perfetta studiato dall’Economia del
benessere, le combinazioni che rispettano contemporaneamente queste tre condizioni sono dette
Pareto-efficienti (o di first best), e il mercato le raggiunge naturalmente. Quando si raggiungano
tali combinazioni, che sono infinite, significa che, date le dotazioni iniziali, non è possibile
riorganizzare la produzione e la distribuzione di beni in modo da migliorare il benessere di un
individuo senza peggiorare quello di un altro. Qualora ciò non avvenisse, si può modificare la
produzione, la combinazione di fattori produttivi, o la distribuzione del prodotto per raggiungere
un’allocazione delle risorse ottimale in senso paretiano.
Per analizzare il secondo concetto, quello di equità, è necessario riferirsi al benessere so-
ciale, che riflette la valutazione da parte della società, della distribuzione del prodotto tra gli
1
citato in Bosi (2010).
7
individui. In concorrenza perfetta si può raggiungere sia l’efficienza che l’equità. Il mercato
infatti porta naturalmente all’efficienza e, successivalmente, tramite l’imposizione di imposte
o sussidi a somma fissa (lump-sum) si può raggiungere una combinazione preferibile da parte
della società, perchè ritenuta maggiormente equa. È infatti raro che l’ottimo paretiano a cui il
sistema tende corrisponda esattamente a quello che massimizza il benessere sociale. Tuttavia,
intervenendo con imposte/sussidi non distorsivi, lo Stato può arrivare a “scegliere” tra le alloca-
zioni Pareto-efficienti quella che massimizza anche il benessere sociale. Nella realtà è difficile
che si abbiano contesti di concorrenza perfetta, così come non sono generalmente utilizzabili
strumenti non distorsivi. In questi casi, si assiste ad un trade-off tra equità ed efficienza, e le al-
locazioni così raggiunte sono dette di second best, per differenziarle da quelle Pareto-efficienti,
che non sono raggiungibili.
La terza motivazione economica dell’intervento redistributivo si riferisce all’assicurazione.
Secondo Bosi (2010), è giustificata dalle condizioni di asimmetria informativa nelle quali si
trovano i cittadini che non conoscono a priori il loro reddito futuro. Data questa informazione
incompleta, essi saranno razionalmente a favore della redistribuzione, vista come assicurazione
contro la “sorte avversa”. Inoltre, l’assicurazione può avvenire anche solo temporaneamente e
congiuntamente al verificarsi di eventi negativi. A ciò è legato, per esempio, il criterio guida
dell’indennità di disoccupazione. Nel prossimo capitolo vedremo più dettagliatamente le mo-
tivazioni legate a questo particolare sistema, ora ci basti segnalare come tale istituto sia legato
al problema dei fallimenti dei sistemi assicurativi privati. Generalmente, le probabilità della
disoccupazione non sono indipendenti e sono legate soprattutto a crisi economiche settoriali o
generali. Per i lavoratori meno qualificati può esserci meno possibilità di accedere a forme di
assicurazione private, mentre la probabilità del rischio di disoccupazione può essere molto alta.
Anche Stiglitz (2004, pag. 194) argomenta come i programmi pubblici siano considerati una
“rete di protezione” o a una forma di assicurazione sociale. Sapendo che “una sventura può
colpire chiunque, la consapevolezza dell’esistenza di una rete di protezione accresce il senso di
sicurezza economica quindi il benessere generale”.
I programmi di assistenza non fanno esplicitamente parte del sistema di assicurazione socia-
le, che prevede il pagamento di un premio o contributo, ma forniscono comunque una funzione
di assicurazione permettendo agli individui colpiti da sventura di avere comunque una base su
cui poggiare.
Dopo aver spiegato le ragioni economiche che spingono lo Stato a intervenire nel mercato
con azioni redistributive, è utile un ulteriore chiarimento. Infatti spesso in letteratura si trovano
nozioni che, a prima vista, potrebbero essere confuse. Per esempio, può essere utile precisare la
differenza tra welfare state minimale e Stato minimale. Per Hyndriks e Myles (2006), lo Stato
minimale si occupa esclusivamente della definizione dei diritti di proprietà, del loro rispetto e
della difesa del paese. In questo contesto lo Stato minimale può essere visto in contrapposizio-
ne con lo Stato sociale, o welfare state, che svolge compiti di protezione sociale dei cittadini.
E’ quindi ritenuto uno Stato che assiste il cittadino e ne promuove il benessere economico e
sociale. Per Bosi (2010), nell’analisi delle politiche assistenziali ci si può riferire alla differenza
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tra welfare state minimale e redistributivo. Egli definisce welfare state minimale, o residua-
le, lo Stato che, nella definizione delle sue politiche assistenziali, privilegia il principio della
selettività. Al contrario, un welfare state redistributivo, tende all’attuazione del principio del-
l’universalismo e dell’uguaglianza sociale (per quanto, in pratica, ciò non sia mai avvenuto). In
questo studio ci si riferirà all’impostazione di Bosi (2010), e non a quella di Hyndriks e Myles
(2006). Tale definizione è condivisa da altri studiosi, come Toso (1998) e Targetti Lenti (2000).
Anche la definizione del “contenuto” del welfare state può essere fuorviante. I compiti di
cui si occupa lo Stato sociale infatti “cambiano” a seconda che ci si riferisca alle classificazioni
di Bosi (2010), di Stiglitz (2004), o di Ferrera (come riportato in Hill (1999)).
Bosi (2010) fa rientrare nei confini del welfare state la spesa per le pensioni previdenziali,
l’istruzione, la sanità, gli ammortizzatori sociali, e l’assistenza. Nello specifico, nel settore as-
sistenziale rientrano programmi di contrasto alla povertà (e quindi di sostegno al reddito), di so-
stegno a persone che si trovano in condizioni di disagio personale (handicap, non autosufficien-
za) o sociale (emarginazione, tossicodipendenza, alcolismo) e di sostegno delle responsabilità
familiari.
Stiglitz (2004) invece distingue i programmi esplicitamente redistributivi
2
a seconda che
siano necessari requisiti contributivi per avere diritto alla prestazione. In questo caso egli dis-
tingue tra l’assistenza pubblica, che riguarda prestazioni ai cittadini abbastanza poveri (e even-
tualmente in possesso di altri requisiti) da averne diritto, e le assicurazioni sociali che offrono
prestazioni ai lavoratori in pensione, invalidi, disoccupati e malati.
Ancora, Ferrera
3
distingue le politiche di sostegno al reddito a seconda che si riferiscano
all’assistenza sociale, all’assicurazione sociale o alla sicurezza sociale. Per “assistenza socia-
le” egli intende interventi “meanstest a carattere altamente condizionale volti a rispondere a
specifici bisogni individuali” (Hill (1999), pag. 88); con il termine “assicurazione sociale” si
riferisce “all’erogazione di prestazioni standardizzate in forma tendenzialmente automatica e
imparziale, in base a precisi diritti/doveri individuali, come il pagamento di premi e contributi,
e secondo modalità altamente specializzate e centralizzate” (Hill (1999), pag. 88), mentre la
“sicurezza sociale” riguarda uno “schema di protezione obbligatoria caratterizzato da copertura
universale e prestazioni uguali per tutti, pressoché totale assenza di collegamento tra la fruizio-
ne dei benefici e la partecipazione specifica al loro finanziamento da parte dei beneficiari” (Hill
(1999), pag. 89).
Nel nostro caso si parlerà di misure di sostegno al reddito o di politiche assistenziali indiffe-
renziatamente e si distinguerà a seconda che siano universali o selettive o in base alla modalità
di finanziamento. In modo molto semplificato, si assumerà che i sostenitori dell’universalismo
promuovono anche un welfare state redistributivo, mentre quelli della selettività prediligono
un welfare state residuale, nell’accezione di Bosi (2010). Toso (1998) e Targetti Lenti (2000)
esplicitano meglio la differenza tra i due sistemi.
2
I programmi “implicitamente” redistributivi invece sono quelli in cui la redistribuzione passa attraverso il
sistema tributario (Cfr. Stiglitz, 2004).
3
citato da Hill (1999).
9
Toso (1998) evidenzia come dagli anni ’80 in poi, la policy internazionale abbia teso a
privilegiare un’impostazione selettiva. Ciò pone problemi sia pratici che di principio. Egli
nota come la questione di principio sia “correlata alla scelta tra modelli alternativi di welfare
state” e come “le due visioni che per lungo tempo si sono fronteggiate al riguardo hanno visto
contrapporsi due modelli di stato sociale” uno “residuale” e l’altro “istituzionale-redistributivo”
(Toso (1998), pag. 67). Il primo modello, secondo l’autore, si riferisce ad una linea della
povertà assoluta mentre il secondo ad una relativa. Tale concetto è ripreso da Targetti Lenti
(2000) che, nel sostenere la necessità della riforma del welfare state, ritenuta urgente dato il
passaggio da società europea fordista a post-fordista, nota come il dibattito si sia sviluppato
attorno alla questione se occorra privilegiare un’impostazione selettiva oppure universale. Tale
scelta, secondo l’autrice, riflette una concezione diversa del ruolo dello stato. L’impostazione
selettiva riflette la visione di uno stato sociale con compiti residuali, in cui “le prestazioni sono
subordinate al superamento della c.d. prova dei mezzi (means test) ed il livello dei benefici
è appena sufficiente a garantire un livello minimo di risorse”. In questo caso è necessario
quindi stabilire criteri di selezione che tengano conto dell’effettivo stato di bisogno relativo alla
condizione economica dei cittadini. Chi è a favore, invece, di un’impostazione universale delle
politiche sociale enfatizza il ruolo redistributivo del welfare state, il cui compito sarebbe erogare
prestazioni sociali per garantire a tutti i cittadini un tenore di vita adeguato. Per Targetti Lenti
(2000, pag. 5) :
“La nascita dei moderni welfare state ha segnato il passaggio da schemi di soli-
darietà limitati (finalità esclusivamente assistenziali) a modelli di solidarietà diffusa
in cui la rete di protezione sociale si estende da tutti i cittadini poveri a tutti i cit-
tadini. I programmi di assicurazione e di sicurezza sociale estesi e generalizzati
sono stati introdotti per far fronte a rischi tipici dello sviluppo di una società indu-
striale e per fornire interventi volti a salvaguardare l’individuo dai principali rischi
dell’esistenza. Il progetto da cui nasceva il moderno stato sociale era ambizioso:
sostituire la finalità assistenziale e limitata dell’intervento pubblico in campo socia-
le a favore dei poveri con un progetto molto più ampio predisposto per rispondere
alla domanda di sicurezza da parte dell’intera collettività, perseguendo nello stesso
tempo obiettivi egualitari”.
Appurato quindi che i due sistemi si differenziano nei principi guida dell’intervento statale, ma
non nell’opportunità dell’intervento stesso, non resta che passare all’analisi di cosa si intende
per “selettività” e per “universalismo” e cosa implicano. Nel capitolo successivo si analizzeran-
no le varie proposte (alcune attuate, altre rimaste a livello teorico) in un senso o nell’altro, per
confrontarne vantaggi e svantaggi, nella consapevolezza che non è possibile, a priori, prediligere
un sistema invece di un altro.
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1.2 Selettività, universalismo e categorialità
Per descrivere le caratteristiche dei sistemi selettivi occorre chiarire vari concetti, in particolare
il significato di selettività (o selectivity), universalismo e categorialità.
Citando Bosi (2010, pag 435-436), con il termine selettività si indica
“una caratteristica di un programma di assistenza in cui il diritto alle prestazioni
è riservato ai soggetti che si trovano in condizioni di disagio economico, la cui
presenza deve quindi essere sottoposta a test”,
mentre l’universalità è un
“connotato dei programmi che erogano prestazioni indipendentemente da qual-
siasi forma di accertamento dello stato di bisogno e indipendentemente da ogni
altra condizione”.
Con categorialità, invece, si intende
“il fatto che i programmi di spesa sono riservati esclusivamente a gruppi di sog-
getti che possiedono determinate caratteristiche (diverse dai mezzi economici), co-
me ad esempio essere lavoratori dipendenti, pensionati, avere una certa età, essere
minori, essere portatori di un handicap particolare”.
I programmi assistenziali di cui ci occupiamo sono quindi programmi di sostegno al reddito
selettivi o universali. In aggiunta, i programmi selettivi possono essere categoriali se, oltre
all’effettivo stato di bisogno economico, è necessario possedere altre caratteristiche per essere
ammessi al beneficio. Programmi di assistenza che si rivolgono solo a determinate categorie di
individui (es. dipendenti, invalidi..) sono categoriali ma non basati su prova dei mezzi.
Toso (1998) distingue, inoltre, tra selettività in senso lato (targeting) o in senso stretto (se-
lectivity). La differenza fondamentale riguarda le fasi del processo di definizione e attuazione
della politica assistenziale a cui si riferiscono. Il targeting riguarda sia la fase di definizione
dei criteri categoriali che individuano i gruppi potenzialmente beneficiari del programma (cioè
ritenuti meritevoli di intervento) sia quella di definizione delle caratteristiche monetarie da cui
dipende il diritto effettivo alla prestazione. La selectivity, invece, riguarda solo quest’ultima fa-
se. Quindi secondo Toso (1998), quando si parla di definire le caratteristiche monetarie appare
maggiormente pulito dal punto di vista concettuale riferirsi al termine selettività, mentre con
riguardo anche a quelle categoriali si dovrebbe parlare di targeting delle politiche pubbliche.
Nella valutazione delle politiche pubbliche, egli riconosce, tuttavia, come sia più opportuno ri-
ferirsi al significato esteso del termine selettività (ossia targeting), dato che la valutazione non
può essere basata solo sui criteri meanstesting.
Come già detto, le politiche di sostegno al reddito possono essere sia selettive, ed eventual-
mente categoriali, che universali (anche se, a ben guardare, le proposte universali sono puntate
solo sui cittadini, e quindi da un certo punto di vista potrebbero essere definite categoriali). Ov-
viamente, tali politiche generalmente sono promosse come strumento di lotta alla povertà, ma
11
questo non è l’unico scopo che si prefiggono, dato che nelle proposte universalistiche i trasfe-
rimenti vengono erogati sia a favore di individui ricchi che poveri, con il solo requisito della
cittadinanza.
Analogamente, nel modo più semplicistico possibile, si può affermare che le politiche di
lotta alla povertà possono essere attuate tramite programmi selettivi (trasferimenti condizionali
e non categoriali in quanto l’unico requisito per essere beneficiari della prestazione è dimostrare
la condizione di bisogno economico) o universali. In entrambi i casi si possono avere effetti di
distorsione dei comportamenti, ritenuti più gravi nel caso di interventi selettivi. Gli individui,
infatti, possono essere spinti a modificare il loro comportamento (ad esempio riducendo le ore di
lavoro) per riuscire ad entrare nel programma di welfare, se ritengono che il beneficio marginale
che ne ottengono sia maggiore dell costo marginale legato al minor numero di ore lavorate. Si
crea quindi il problema di come progettare il programma in modo da diminuire il più possibile
i disincentivi al lavoro e alla creazione di circoli viziosi di disoccupazione e povertà.
I programmi assistenziali di cui ci occuperemo saranno quindi sia quelli di sostegno al reddi-
to selettivi o universali, che programmi categoriali (che possono interagire o meno con requisiti
economici), in cui il benefit è subordinato all’avere determinate caratteristiche legate alla non
autosufficienza o all’inabilità al lavoro, alla situazione familiare o alla condizione lavorativa.
Tutte queste misure sono comunque assimilabili sotto l’etichetta di politiche di “sostegno al
reddito”, perché incidono su di esso direttamente o indirettamente.
Dato che il principale scopo delle politiche redistributive è la lotta alla povertà è utile, prima
di analizzare nel dettaglio le varie proposte, richiamare brevemente quali siano le conseguen-
ze attese di un sistema di trasferimenti. Per il momento, tralasceremo le conseguenze distri-
butive che può avere il sistema stesso di finanziamento del programma, che vedremo invece
analizzando alcune proposte nel dettaglio.
1.3 I trasferimenti di reddito
I trasferimenti di reddito possono influenzare sia le variabili economiche che quelle non eco-
nomiche (ad esempio i comportamenti demografici della popolazione). Danziger, Haveman e
Plotnick (1981) esaminano e cercano di stimare i potenziali impatti sulla povertà e sulla disu-
guaglianza di reddito, sull’offerta di lavoro e sui risparmi privati. Procediamo ad una sintesi di
vari studi partendo da questa tripartizione.
1.3.1 Effetti su povertà e disuguaglianza di reddito
Limitatamente all’obiettivo della povertà, un primo framework per vedere le differenze tra i vari
sistemi può essere quello proposto da Quirion (1996) nella sua analisi, nella quale confronta una
allocation universelle con una allocation complementaire. Come si può vedere anche grafica-
mente, l’effetto che si vuole raggiungere tramite un trasferimento è la modifica del reddito netto
atteso del beneficiario (cioè del reddito post-imposte e trasferimenti). Se l’obiettivo è la lotta
alla povertà, tramite trasferimenti selettivi si fornisce agli individui poveri il reddito mancante
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