3
Premessa
Il presente lavoro ha come obiettivo principale l‟inventariazione dell‟archivio della
Miniera Marzoli di Pezzaze, la sua essenza è quindi prettamente archivistica.
Come ci ricordano alcuni dei grandi maestri « l‟inventario per essere uno strumento
valido deve essere costituito da tre sezioni: l‟introduzione, nella quale si traccia la
storia del produttore, si delineano le vicende dell‟archivio e si presentano i criteri e le
modalità di riordino condotte dall‟archivista; la sezione descrittiva, nella quale le
singole unità archivistiche, descritte in modo da consentirne l‟identificazione, sono
raggruppate in serie, ognuna introdotta da un apposito cappello; infine l‟indice dei
nomi di persone, famiglie, località istituzioni, ditte».
1
Ecco perché prima di entrare nel cuore della sezione descrittiva del mio lavoro, mi è
parso opportuno soffermarmi brevemente sull‟attività estrattiva della Valle Trompia
(Brescia) e sulla sua evoluzione nei secoli per fornire una panoramica del contesto in
cui prende il via l‟avventura mineraria della ditta Fratelli Marzoli & C. di Palazzolo
sull‟Oglio (Bs).
Non ho voluto, inoltre, tralasciare alcuni aspetti significativi della storia aziendale, di
cui si trova riscontro consultando l‟archivio camerale della provincia di Brescia e
della storia dell‟archivio stesso, che è giunto sino a noi.
Infine ho premesso all‟inventario un elenco delle abbreviazioni e dei segni
convenzionali in esso adoperati per agevolarne la comprensione.
La Parte seconda comprende l‟inventario, vero e proprio, descritto lasciando
inalterato l‟ordine rivenuto, vista l‟esigua consistenza del materiale che rendeva
impossibile far emergere con certezza l‟ordinamento originario. Non mi sono però
sottratta dall‟elaborare una proposta di riordino sulla base di un‟analisi dettagliata del
fondo e delle serie che sono state progressivamente individuate. Ciascuna delle due
parti è preceduta da un cappello introduttivo che ne illustra le “annotazioni
1
Bonfiglio-Dosio, Archivi d‟impresa, pp. 20 – 21 e Primi passi nel mondo degli archivi, pp. 96 – 104.
Si veda inoltre: Romiti, I mezzi di corredo, pp. 218 – 246 in particolare pp. 241 – 246 e Temi di
Archivistica, pp. 96 – 102; Savoja, Struttura dell‟archivio, pp. 85 – 100; Carassi – Ricci, La struttra
dell‟inventario, pp. 101 – 126; Caroli – Robotti, I presupposti e gli obiettivi, pp. 127 - 144 . Per la
rilevanza dell‟introduzione Lodolini, Archivistica. Principi e problemi, pp. 243 e 248 – 252 e Carucci,
Le fonti archivistiche, p. 212, ma soprattutto le pp. 194 – 195. Per quanto riguarda gli indici ed in
particolar modo la normalizzazione delle voci: Sambito, L‟elaborazione degli indici, pp. 279 – 288; si
veda inoltre Salmini, Tra norme e forme, pp. 231 – 278.
4
archivistiche e metodologiche” e “le avvertenze per la lettura della sezione
descrittiva”.
Per agevolarne la consultazione ho riservato una terza parte all‟indice dei nomi che
permette un reperimento celere delle singole voci.
A conclusione del mio lavoro vorrei ringraziare tutte le persone che in qualche modo
mi hanno sostenuto ed aiutato: in primo luogo la mia relatrice, la prof.ssa Giorgetta
Bonfiglio-Dosio per essere stata un costante punto di riferimento nella realizzazione
di questo elaborato e per avermi “iniziata” ad un percorso per me molto formativo
che spero mi regali, in futuro, numerose soddisfazioni; la mia riconoscenza va inoltre
al Responsabile del Sistema Archivistico della Comunità Montana di Valle Trompia,
Massimo Galeri per avermi indirizzato e sostenuto nella concretizzazione del lavoro.
Un pensiero speciale corre ai dipendenti dell‟Area Cultura della Comunità Montana
di Valle Trompia e agli archivisti/e della Cooperativa A.R.C.A. di Gardone Valle
Trompia, fonti inesauribili di preziosi suggerimenti, che hanno pazientemente
“subito” la mia presenza, offrendomi indispensabili spunti e consigli nei momenti di
sconforto. Un grazie particolare va alla dott.sa Moira Jennifer Bontacchio
(Associazione ScopriValtrompia), all‟ ing. Alessandro Bernardi (Agenzia Parco
Minerario dell‟Alta Valle Trompia) e alla dott.sa Eva Carraro (Biblioteca del
Dipartimento di Storia dell‟Università di Padova), per il loro aiuto logistico.
Infine ringrazio Francesco, la mia “grande” famiglia e la dott.sa Paola Mutti, mia
fedele compagna in questo incantevole viaggio alla scoperta del mondo degli archivi
e dell‟archivistica; un riconoscente pensiero va a tutti quelli che, loro malgrado, si
sono trovati coinvolti in quest‟avventura.
Parte Prima: INTRODUZIONE
IL FERRO E LE MINIERE IN VALLE TROMPIA
7
1. Il ferro e le miniere in Valle Trompia
Dalle origini alla fine del dominio veneto
La Valle Trompia
2
, nel corso dei secoli, ha sempre avuto una tradizione mineraria
anche se le origini di questa attività non sono certe e risultano circondate da un alone
di mistero. Mancano testimonianze e reperti che consentano, nonostante le ipotesi di
alcuni autori
3
, di far risalire al tempo dei Romani l‟inizio dei primi lavori di
coltivazione delle miniere. Nei primi anni dell‟Ottocento, Giambattista Brocchi
4
,
dopo un‟approfondita analisi, aveva contestato con fermezza queste teorie: «Tutte le
apparenze ci inducono a credere, che i primi lavori nelle miniere della Val - Trompia
siano per lo meno posteriori alla metà del secolo VI […]; non andremo forse troppo
lontani dal vero se per ultimo risultato delle nostre ricerche si stabilisse che ciò ha
avuto luogo nei primi anni del regno de‟ Longobardi»
5
.
Documenti basilari per la storia delle miniere triumpline, poiché codificano
consuetudini e prassi che si sono consolidate nel corso degli anni, sono gli Statuti
comunali; a partire da quelli che furono stesi nel 1341, in epoca viscontea, da dodici
sapienti scelti dalla Vicinia del Comune di Bovegno, agli Statuti di Pezzaze, editi nel
1318, ma giunti a noi nell‟edizione riformata del 1529
6
. In essi troviamo capitoli
2
La Valle Trompia è una delle tre valli bresciane, compresa tra la Valle Sabbia e la Valle Camonica.
E‟ percorsa dal fiume Mella che dalle pendici del monte Maniva si snoda verso sud sino alla città di
Brescia ed è lunga 50 km; tra le più recenti e aggiornate pubblicazioni riguardanti la valle, troviamo:
Sabatti (a cura di), Valtrompia nell‟arte; Valtrompia nella storia; Bossini (a cura di), Valtrompia
nell‟economia; Bossini (a cura di), Valtrompia nell‟altra storia. Donne uomini, comunità, tradizioni.
Per informazioni sulla Valle Camonica si veda: Ertani, La Valle Camonica attraverso la storia e
Anati, La civiltà della Val Camonica. Per notizie sulla Valle Sabbia: Atlante Valsabbino. Uomini,
vicende e paesi e Vaglia, Storia della Valle Sabbia.
3
Brentana, Cenni storici del Comune di Bovegno.
4
Giambattista Brocchi nasce a Bassano del Grappa il 18 febbraio 1772. Compiuti i suoi studi
all‟Università di Padova, giunge a Brescia, nel 1801, dove insegna storia naturale al locale liceo. Le
sue numerose escursioni nelle valli bresciane gli permettono di raccogliere un gran numero di minerali
e fossili che entrano a far parte della raccolta del gabinetto di storia naturale. Socio dal 1804
dell‟Ateneo di Brescia, di cui diventa in seguito segretario, dà inizio, nel 1808, alla pubblicazione dei
Commentari. Per la sua profonda conoscenza dei processi dell‟estrazione e della lavorazione del ferro
è da considerarsi personaggio fondamentale per la storia delle miniere della Valle Trompia. Nel 1809
viene invitato a Milano come ispettore delle miniere del Regno Italico e tra l‟altro diventa
conservatore del gabinetto reale di storia naturale. Viaggia continuamente in Italia e all‟estero
pubblicando numerosi contributi scientifici. Gli ultimi anni della sua vita li passa in Egitto e in Sudan
ed è proprio a Khatoum che muore il 26 settembre 1826.
5
Brocchi, Trattato mineralogico, pp. 1 e 34; Marchesi, Le miniere, p. 373; Simoni - Ghigini (a cura
di), La via del ferro e delle miniere, p. 17.
6
Si veda Sabatti (a cura di), Pezzaze nella storia e nell‟arte, pp. 139 – 174: “Statuta Comunitatis
Pezzaziarum edita anno 1318 aucta vero et reformata anno 1529”; la redazione in volgare pp. 175 –
- PARTE PRIMA -
8
minerari di straordinaria importanza: è qui che si leggono per la prima volta i
termini: „medolo‟ per indicare la miniera e „Societates Medalorum‟ ovvero quelle
imprese che esercitano attività di scavo e di estrazione del minerale.
La
regolamentazione normativa dell‟attività mineraria è molto precisa ed evidenzia una
consapevolezza nuova nei valligiani del tardo medioevo, che accanto ad una difesa
ferrea della proprietà esaltano la concessione mineraria come frutto della più ampia
ed intraprendente libertà d‟impresa
7
. La lettura di questi documenti ci conferma
come gli operosi abitanti valligiani dei comuni dell‟Alta Valle praticassero, durante
l‟epoca medievale, l‟attività estrattiva, alternando il lavoro di mandriani e contadini,
tipico dei mesi estivi, con la laboriosa escavazione dei „medoli‟ per cercare la vena
del ferro. Tale attività, se pure molto praticata, non giunse quasi mai, se non in
pochissimi casi e con intervento esterno, ad assumere carattere industriale di alto
livello.
La dominazione veneta (1426 - 1797) rappresentò per la Valle Trompia un momento
di significativa affermazione della propria identità economica. In materia di
lavorazione del ferro, vennero infatti confermati gli antichi privilegi e le esenzioni,
già concessi da Pandolfo Malatesta nel 1406. Nel 1488 la Serenissima promulgò i
“Capitoli et Ordini Minerali”, che facevano obbligo agli scavatori di una miniera di
chiedere l‟investitura della stessa al giudice. Queste disposizioni non vennero però
estese nelle valli bresciane, che obbediscono ai capitoli minerari dello Statuto di
Valtrompia
8
(sec. XV - XVI).
9
La prima fase della dominazione veneta evidenzia le alterne fortune dei lavoranti
presso le miniere e dei proprietari delle stesse, che dovevano da un lato fare i conti
con l‟inclemenza del tempo e con i frequenti crolli in galleria e dall‟altro si
trovavano a subire i ricorrenti periodi di crisi dell‟attività estrattiva, legati ad
avvenimenti di carattere generale, che investirono Venezia ed il territorio bresciano.
Nel secolo XVII, le continue guerre, le pestilenze ed i magri raccolti fecero emergere
con forza la necessità di una più puntuale regolamentazione della disciplina
198: “Le statute de Pesaze” e pp. 129 – 137: “La vita economica, la tutela del patrimonio, la via di
relazione. Gli statuti minerari di Pezzaze”.
7
Simoni - Ghigini (a cura di), La via del ferro e delle miniere, pp. 17 - 20.
8
Si veda Statuto di Valtrompia, Cap. 240: «Delle miniere, et medoli da Ferro».
9
Per un‟attenta analisi sull‟organizzazione mineraria tra i secoli XIV – XVIII si veda Bonetti –
Rizzinelli, L‟estrazione e la fusione del ferro in Valtrompia, pp. 111 – 115.
IL FERRO E LE MINIERE IN VALLE TROMPIA
9
mineraria, con l‟imposizione di nuovi tributi. Il 13 agosto 1667 la Serenissima
accordò ai comuni della Valle, riuniti in Consorzio, l‟investitura delle miniere di
ferro, dietro pagamento di una decima concordata; questa decisione fu ratificata in
modo solenne nel 1670, all‟interno della riforma dei Capitoli minerari. Le comunità
di Bovegno, Collio e Pezzaze stabilirono però di opporsi al versamento dei tributi
richiesti, poiché ritenevano di non essere le sole a dover pagare giacché l‟investitura
delle miniere riguardava l‟intera Valtrompia. Questa controversia si concluse
soltanto nel 1715, quando i Comuni “mineranti” triumplini raggiunsero un accordo
con la Comunità di Valle
10
.
Nell‟ultimo periodo della dominazione veneta si aggravarono le problematiche di
carattere economico, che accompagnarono il declino della Serenissima. Nel 1758
Venezia concesse alla Valtrompia sei anni di esenzioni contributive, a causa delle
pressanti suppliche dei Comuni, in difficoltà nella riscossione dei tributi richiesti. Il
30 aprile 1783 furono emanate alcune Ducali a favore delle Comunità di Collio e
Pezzaze, per gravi danni causati da alcune rovinose inondazioni, con disastri
analoghi a quelli verificatesi in Valtrompia nel 1738. Con gli ultimi anni del Governo
veneto, l‟attività estrattiva conobbe un periodo di declino: «Abbandonate interamente
le miniere della pubblica custodia, si ridussero in quel pessimo stato in cui oggi si
trovano: molte sono crollate, la maggior parte sommerse dalle acque. […] Il
disordine andò crescendo in maniera, che mentre il minerale rigurgitava una volta in
Val Trompia, non si lavora attualmente che intorno allo scheletro delle antiche
miniere ne‟ luoghi dove può esser ancora eseguibili lo scavo. Tale è lo stato in cui
hanno i Veneti lasciato le miniere del Dipartimento del Mella»
11
.
Dall‟epoca napoleonica ai primi anni del „900
All‟inizio dell‟Ottocento l‟attività estrattiva in Valle Trompia subì un profondo
arresto, in parte dovuto all‟avvento del Governo Napoleonico, che spogliò la
popolazione dei beni e dei privilegi, di cui questi godevano all‟epoca della
10
Simoni - Ghigini (a cura di), La via del ferro e delle miniere, p. 20.
11
Brocchi, Trattato mineralogico, pp. 54 – 55. Con queste parole il professor Giovan Battista Brocchi
sintetizzava, nei primi anni dell‟ottocento, la situazione estrattiva in Valtrompia, sottolineando le gravi
responsabilità della Repubblica Veneta; si veda inoltre Piardi – Simoni, Miniere e forni fusori, p. 131.
- PARTE PRIMA -
10
Serenissima
12
ed in parte per la carestia del 1816, che aveva notevolmente peggiorato
le condizioni di vita dei minatori. Questi non solo erano retribuiti a cottimo,
esclusivamente per il minerale utile che veniva estratto
13
, ma dovevano anche
provvedere alla manutenzione e sostituzione degli attrezzi di lavoro
14
, di loro
proprietà, così come all‟acquisto della polvere con cui si caricavano le mine e l‟olio
per le lucerne. A Pezzaze tra il 1816 e il 1818 molte miniere vennero chiuse.
Mancavano investimenti adeguati e neppure i privati, che facevano parte delle
società titolari delle concessioni minerarie, si fidavano ad impegnare il loro denaro in
un‟attività così discontinua (il lavoro dei minatori si svolgeva, infatti,
prevalentemente nei mesi invernali, lasciando spazio, nei restanti mesi dell‟anno, alle
attività agropastorali) ed incerta (non solo tra gelo e disgelo potevano verificarsi
degli allagamenti, non erano rari i casi in cui l‟acqua invadeva le gallerie rendendo
necessarie opere di prosciugamento lunghe e costose
15
, che spesso, in mancanza di
mezzi, provocavano il loro abbandono)
16
. Le condizioni di lavoro erano assai dure, i
mezzi impiegati molto poveri e le tecniche di scavo tanto arretrate
17
. Le fatiche erano
immense: si era costretti a lavorare per ore, al buio, senza «aria spirabile e pura», in
«antri profondi»
18
, cunicoli stretti e pozzi di ridotta dimensione per diminuire il
pericolo dei crolli. La salute dei minatori era molto precaria: erano diffuse varie
forme di infiammazione polmonare (la “pleuroperipneumonia” in particolare),
aggravate dall‟abuso di alcool, dall‟avvizzimento della cute in età giovanile, dalla
rachiticità e spesso anche dall‟infermità. Naturalmente la durezza delle condizioni di
lavoro si ripercuotevano con più violenza sui ragazzi: nella relazione che Giuseppe
Franzini, fa al cittadino Commissario Straordinario del Governo del Dipartimento del
12
Cfr. Frumento, Una relazione inedita, pp. 63 - 74; Marchesi, Le miniere, p. 374. Molto interessanti
sono le descrizioni che il gardonese Giuseppe Franzini (vicario provisionale e giudice alle materie
minerarie) fa in un suo rapporto, accompagnato da quattro pagine introduttive, sullo Stato presente e
preterito della già Valle Trompia, riguardante le miniere di ferro, edificj e rispettivo magistero, al
cittadino Commissario Straordinario del Governo del Dipartimento del Mella in data 30 frimaio
dell‟anno decimo della Repubblica Cisalpina (21 dicembre 1801).
13
Curioni, Sulla industria del ferro, p. 33 racconta che i minatori venivano pagati a giornata soltanto
nei casi in cui il lavoro si trovava in una fase di scarsa produttività, mentre il sistema salariale
ordinario era quello della paga a cottimo: il minerale estratto, misurato in “cavalli”, veniva pagato
dopo che, portato alla luce, aveva subito una prima arrostitura, o “torrefazione”, nelle “ragane”, forni
posti nelle immediate vicinanze della miniera, ed era stato meticolosamente cernito.
14
Vale a dire scalpelli, leve, mazze, e picconi.
15
Piardi – Simoni, Miniere e forni fusori, pp. 132 -134; si veda “Il problema delle acque”.
16
Simoni - Ghigini (a cura di), La via del ferro e delle miniere, pp. 21 - 22.
17
Piardi – Simoni, Miniere e forni fusori, pp.134 - 135.
18
Zanardelli, Lettere sulla esposizione bresciana, p. 79.
IL FERRO E LE MINIERE IN VALLE TROMPIA
11
Mella nel dicembre del 1801
19
, si racconta che a caricare il «tenero dorso della vena
ricavata» non erano solo ragazzi, ma anche ragazze «di prima età»
20
con
conseguenze devastanti sulle loro condizioni di salute. L‟assenza di regole certe,
inoltre, era motivo di frequenti “baruffe” tra i lavoratori, sui diritti allo scavo e sulle
invasioni di campo di una miniera in un‟altra; spesso si rendeva necessario, per la
loro composizione, l‟intervento del Sindaco e del Commissario Imperiale, che
chiamavano a raccolta gli interessati per giungere ad accordi comuni, spesso non del
tutto risolutivi
21
.
Nonostante l‟arretratezza ed i frequenti abbandoni, le miniere triumpline
continuarono nella prima metà dell‟Ottocento a fornire il minerale necessario non
solo ai forni triumplini ma anche a quelli di Bagolino, Ono, Livemmo e Vestone
22
.
Nella gerarchia dei centri minerari triumplini, al primo posto si era stabilito il paese
di Collio che superava quello di Bovegno per il numero di operai addetti, per la
rendita maggiore e la produttività; infine al terzo posto vi era Pezzeze con miniere di
piccole dimensioni e limitate capacità produttive.
L‟Unità d‟Italia, l‟impegno di illuminati imprenditori locali e, successivamente, la
grande industria rappresentata dalla Società degli Alti Forni, Fonderie ed Acciaierie
di Terni, condizionarono fortemente l‟attività mineraria nella seconda metà
dell‟Ottocento. Il perfezionamento delle metodologie di scavo, con l‟attacco del
minerale dal basso verso l‟alto e la razionalizzazione delle gallerie, che permetteva di
risolvere il problema dell‟eduzione delle acque, fece fare dei passi da gigante alla
tecnica mineraria e alla trasformazione dell‟attività di pochi individui in quella
organizzata di un‟industria gigante
23
.
Personaggio di spicco, attivo in Valle dalla seconda metà dell‟Ottocento, farmacista e
chimico, nonché studioso e profondo conoscitore degli aspetti geologici e minerari
del territorio bresciano (in particolare dell‟alta Valle) fu il professor Giuseppe
19
Cfr. Frumento, Una relazione inedita in nota n. 12.
20
Giuseppe Zanardelli (Zanardelli, Lettere sulla esposizione bresciana, p. 78) nel 1857 sostiene che
questi fanciulli già fra i sette e gli otto anni “ devono asportare sul dorso ad uno ad uno quella
quantità di minerale onde sono capaci” e che l‟utilizzo di bambini e adolescenti, ridotti ad essere
“esseri piccoli rachitici, pallidi, malaticci” comportava oltre tutto un lavoro “lento , misero, stentato”,
effetto ed insieme causa dell‟arretratezza dei metodi di escavazione. In Piardi – Simoni, Miniere e
forni fusori, pp. 135 – 136 si trova una panoramica generale sulle condizioni di lavoro nelle miniere.
21
Marchesi, Le miniere, pp. 392 - 394.
22
Piccoli paesini della Valle Sabbia (Brescia)
23
Simoni - Ghigini (a cura di), La via del ferro e delle miniere, p. 25.
- PARTE PRIMA -
12
Ragazzoni,
24
che si occupò attivamente della gestione di alcune miniere della Valle
Trompia, con particolare interesse per quelle ubicate nell‟area di Pezzaze
25
.
Nel 1856, dopo una serie di dispute per il diritto di scavo con alcuni minatori del
luogo, in società con l‟amico Isidoro Glisenti
26
, acquisì i diritti di scavo sia presso la
bocca detta Poffe della Volpe che presso la bocca Gioje (ovvero Zoie).
Successivamente, nel novembre del 1857 grazie alla concessione di una nuova
licenza per praticare delle indagini minerali, in tutto il territorio di Pezzaze, vennero
eseguiti lavori anche alla bocca Campasso e alla miniera Valle, nella testata della
Valletta della Megua.
24
Giuseppe Ragazzoni nasce a Brescia il 23 ottobre 1824 da Giovanni Battista e dalla nobile Chiara
Zamara e rimane orfano di ambedue i genitori all‟età di 11 anni. Compiute le quattro classi ginnasiali,
fa il suo tirocinio farmaceutico ed è licenziato farmacista nell‟agosto del 1847. Durante lo studio
universitario ha occasione di prestare la propria opera a vantaggio di alcuni disgraziati la cui
abitazione era in preda alle fiamme, per cui ne ha lettera di encomio da governo e dal municipio di
Padova. Nell‟agosto 1847 si trasferisce a Venezia come farmacista nella Farmacia Ciotto allo Struzzo
d‟oro, dalla quale passa in seguito a quella dell‟Ospitale dei SS. Giovanni e Paolo, prendendo parte ai
moti rivoluzionari del 1848 - 49 e sopportando i disagi dell‟assedio e del contagio. Rimane in Venezia
fino al settembre del 1849 in compagnia d molti altri bresciani come i fratelli Borra e Tullio Prego. Da
Venezia viene a Brescia ed è nominato farmacista dell‟Ospitale Civile, ove rimane fino all‟aprile
1850; in questo periodo viene a scadere l‟affittanza della Farmacia paterna. Nel 1852 prende moglie
sposando Maria Rovetta da cui ha sei figli e continua nell‟esercizio farmaceutico fino al 1892. Patriota
ardente, dal 1847 al 1862 prende parte indiretta a tutti i moti per l‟indipendenza, specialmente
favorendo l‟amicizia dei Veneti e dei Trentini nel Piemonte. Venuto il 1859, viene mandato (alla
vigilia della battaglia di San Martino) dal Generale Lamarmora da Napoleone perché gli fornisca
notizie topografiche di quelle località. Nel 1860 è nominato consigliere comunale di Brescia, carica
che conserva quasi ininterrottamente per oltre 20 anni. Approfittando dei ritagli di tempo che gli
lasciano le sue mansioni di farmacista si dedica allo studio delle scienze naturali ed in particolare alla
geologia e mineralogia, con speciale riferimento alla provincia bresciana, nella precisa volontà di
vedere avvantaggiata l‟industria del proprio paese. A tale scopo allestisce collezioni e stende scritti
diversi di cui l‟elenco si trova in parte nella Bibliografi Geologica pubblicata in occasione del
Congresso interregionale Geologico di Bologna e ne riceve premi ed onorificenze. Nel dicembre 1862
viene incaricato dalla provincia di visitare l‟Esposizione di Londra in compagnia del Prof. Angelo
Monà. Nel dicembre1862 è nominato professore incaricato di Scienza Naturale al Regio Istituto
Tecnico e di Merceologia nel Collegio Pironi, continuando nell‟incarico per 29 anni. Perché gli studi
da lui fatti possano essere di vantaggio anche ad altri amanti della geologia e mineralogia egli fa dono
all‟Ateneo di Brescia del suo Profilo Geognostico (con collezione relativa) e della carta geologica
della provincia di Brescia. I suoi studi lo portano a fare relazioni e a contrarre corrispondenza con i
principali cultori delle scienze naturali. Colto da infermità, deve abbandonare gli studi prediletti,
domandare il collocamento a riposo, che gli viene accordato nel marzo 1892 e ritirarsi in famiglia.
Morirà a Brescia il 12 febbraio 1898.
25
Marchesi, Le miniere, p. 415.
26
Isidoro Glisenti nasce a Brescia nel 1820. Con i fratelli Francesco e Costanzo dirige gli stabilimenti
Glisenti di Carcina. Amico fraterno del Ragazzoni, collabora con lui nella conduzione di miniere in
Valle Trompia. Nel 1861 è nel Comitato bresciano per la mostra di Firenze e su incarico della Camera
di Commercio, si occupa della sezione Mineralogica Metallurgica. Socio dell‟Ateneo dal 1864,
presenta delle memorie relative ad alcuni fucili. Nel 1865 è tra i promotori con Giuseppe Ragazzoni
della Società Anonima Bresciana per l‟incremento dell‟industria ferriera in Valle Trompia. Nel 1866
partecipa all‟Esposizione di Parigi. Muore a Brescia nel 1867.
IL FERRO E LE MINIERE IN VALLE TROMPIA
13
Nel 1873, in società con il cugino Giuseppe Zamara, ottiene la concessione della
miniera Regina Zoie, dove i lavori si svilupparono con alterne fortune fino al 1885,
anno in cui i due cedono parte delle loro proprietà minerarie alla Società degli Alti
Forni Acciaierie e Fonderie di Terni
27
. A Pezzaze, furono aperti nel 1883 il cantiere
Regina e il cantiere Bandiera, mentre nel comune di Bovegno, grazie alla
concessione Valle della Meola erano stati aperti i cantieri Pineto e Perpetua.
Nel comune di Pezzaze il Ragazzoni non conseguì risultati economici significativi in
quanto si trovò ad operare in condizioni precarie e con i vecchi metodi di
coltivazione. Tuttavia la sua passione per l‟attività mineraria ed i suoi interessi per la
geologia, gli impedirono di abbandonare completamente l‟avventura estrattiva;
conservò alcune concessioni nel comune di Bovegno dove continuò il suo impegno
imprenditoriale fino a che la salute glielo consentì. Lo stesso studioso ideò e progettò
la “galleria di ribasso” per poter attaccare dal basso verso l‟alto i filoni di minerale
della Regina Zoie e della Bandiera, agevolando l‟evacuazione dell‟acqua, presenza
costante nelle miniere valtrumpline. Il progetto passò, nell‟aprile del 1886 alla
“Società Alti Forni Fonderie e Acciaierie di Terni
28
”, nuova titolare della
concessione, che diede inizio, nell‟ottobre del 1886, ai lavori di scavo della nuova
galleria Stese. Questa galleria, tracciata con l‟utilizzo, per la prima volta in Valle, di
perforatrici meccaniche a vapore, fu interrotta dopo 488 metri senza che si fossero
trovati filoni di ferro di cui si era ipotizzata l‟esistenza.
L‟esperienza lavorativa della “Terni” dura in realtà pochi anni, dal 1885 al 1889. Nei
primi due, la società impiegò numerosi mezzi e quasi la totalità dei fondi per la
realizzazione del cantiere Stese, mentre nel cantiere Bandiera eseguì solo lavori
27
La Società degli Alti Forni Fonderie ed Acciaierie di Terni (SAFFAT) fu fondata il 10 marzo 1884
a seguito di una serie di trasformazioni di società preesistenti. Nel 1873, infatti, nacque il primo
nucleo del complesso siderurgico ternano con la ditta Lucowich, fonderia dotata di due altiforni per la
produzione di ghisa per la fabbricazione di tubi. In seguito la fonderia fu rilevata dall‟ingegnere belga
Cassian Bon, che costituì la Società degli Alti Forni e Fonderie di Terni Cassian Bon & C., società in
accomandita per azioni, di cui furono azionisti principali Vincenzo Stefano Breda e la Società Veneta
per Imprese e Costruzioni Pubbliche di cui Breda era presidente. La fondazione della SAFFAT
avvenne a seguito della decisione degli azionisti di trasformare la “Cassian Bon” da società in
accomandita ad anonima con un capitale sociale di sei milioni di lire, alla cui formazione
contribuirono Breda in persona, la “Società Veneta” e un gruppo di capitalisti e banchieri veneti. La
nuova società ebbe lo scopo di costruire e gestire impianti per la produzione di acciaio secondo le
tecnologie più avanzate dell‟epoca. L‟acciaio era poi impiegato per la fabbricazione di corazze per le
navi della Regia Marina.
28
Tra il 1885 e il 1888 saranno acquistati dalla società il forno fusorio Brolo di Bovegno, il forno
Morina di Pezzaze e le miniere S. Aloisio a Collio, Perpetua a Bovegno, Regina Zoie e Valle della
Megua a Pezzaze.
- PARTE PRIMA -
14
preparatori (sostituzioni dell‟armamento, allargamento di alcune gallerie ecc.) e quasi
nulli furono i lavori nel cantiere Regina. Le analisi fatte sugli alti costi di gestione, la
ridotta qualità del minerale ricavabile in alcuni cantieri, le difficili vie d‟accesso ad
alcune miniere, portarono poi, pochi anni dopo, alla chiusura dell‟attività
29
.
Sempre negli anni settanta dell‟Ottocento, Francesco Glisenti,
30
fratello del defunto
Isidoro, si assicurò la concessione di una miniera nei pressi di Bovegno, che verrà
chiamata, in onore del figlio primogenito, nato tre anni prima, “Alfredo”. Nelle
vicinanze della stessa furono costruiti due forni di torrefazione (regàne) ed una
polveriera, che in aggiunta all‟acquisto del Forno Fusorio di Tavernole ed agli
stabilimenti, già in suo possesso a Villa Carcina, completarono il ciclo di lavorazione
del ferro: estrazione nelle miniere, torrefazione nelle regàne, fusione nel forno
fusorio e lavorazione nelle officine. La miniera Alfredo continuò a lavorare fino al
1904, anche se a partire dal 1899 sarebbe stata affidata con il Forno di Tavernole alla
Società Anonima Angelo Migliavacca & C., che gestiva la “Ferriera Italiana” di
Vobarno
31
.
Sempre a Bovegno, nel 1892 arrivò la società inglese “The Brescia Mining and
Metallurgical Company Limited” con sede a Glasgow che, rilevata la concessione
mineraria Costa Ricca e Costa Bella e i permessi di ricerca Torgola e Valle Navazze,
iniziò, con grande spiegamento di forze, a coltivare piombo, argento e galena. A
dispetto delle grandi aspirazioni iniziali, nei primi periodi del „900, iniziarono ad
emergere numerose difficoltà (alto costo di gestione e basso tenore dei minerali in
primis) e nel giro di pochi anni, dopo numerosi licenziamenti si arrivò alla brusca
chiusura di tutte le miniere
Fu l‟inizio di una crisi piuttosto seria per l‟industria bresciana.
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Marchesi, Le miniere, pp. 434 - 449; Simoni - Ghigini (a cura di), La via del ferro e delle miniere,
p. 27.
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Francesco Glisenti nasce a Storo l‟8 settembre 1822. Giovanissimo partecipa alla campagna del
1848 e prende parte l‟anno successivo, anche alle Dieci giornate di Brescia. Attivo durante i fatti del
1859 che portano alla liberazione della Lombardia, il 25 settembre di quell‟anno fonda con i fratelli
una fonderia a Carcina (Villa Carcina – Brescia), primo nucleo degli stabilimenti Glisenti. In seguito
in breve acquisisce la miniera Alfredo a Bovegno ed il Forno Fusorio di Tavernole sul Mella
(Brescia), creando una vera e propria filiera del ferro nella Valle Trompia. In campo politico è seguace
di Zanardelli e viene eletto in Parlamento per due legislature. La sua produzione di armamenti pesanti
è all‟avanguardia e gli dà la possibilità sia di rifornire l‟esercizio italiano che di vendere in Europa,
Asia ed Africa. Si interessa anche di alpinismo e con il fratello Costanzo è uno dei sostenitori del Club
Alpino Italiano. Muore a Brescia il 5 settembre 1887.
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Simoni - Ghigini (a cura di), La via del ferro e delle miniere, p. 28.