Introduzione L’interesse per le tematiche di stampo sociale e umanistico mi ha coinvolto nello studio
della Psicologia, disciplina che dagli inizi dell’900 ha intrapreso una lunga, e non semplice,
strada verso l’emancipazione e l’affermazione come scienza.
Alle soglie del XXI secolo, la Psicologia si trova di fronte ad una scelta difficilissima per
complessità e possibili sviluppi.
La scelta in questione non proviene direttamente dal suo interno, ma piuttosto deriva da
richieste nate in un periodo di grandi mutamenti sociali e tecnologici che hanno interessato
diversi paradigmi scientifici e hanno portato alla relativizzazione di molti dei saperi su cui
essi stessi si basano (T.S.Kuhn 1970).
L’interrogativo a cui oggi le scienze cercano di rispondere, non riguarda più solo la
correttezza scientifica di un’affermazione, una teoria o un modello, ma quanto la
conoscenza generata e raffinata attraverso metodi scientifici possa portare valore e risposta
a bisogni sociali, umani ed economico-produttivo.
Ci si chiede in sostanza, quanto il sapere di cui ognuno di noi è portatore possa garantire ed
aggiungere valore a ciò che si produce, sia esso un bene o un servizio, un artefatto
materiale o immateriale come un concetto, un’idea o una teoria.
In quest’ottica la Psicologia ha trovato un altro ostacolo importante, cioè quello di guardare
all’interno del patrimonio di conoscenze, teorie, tecniche e metodi di cui essa è portatrice
per riconoscere e selezionare quelli/quelle che maggiormente possono garantire e
contribuire alla creazione di valore per la società.
Allo stesso tempo la società, attraverso i suoi stakeholdersr, indica alla Psicologia quali
sono le aspettative ed i bisogni di conoscenza che sta cercando di soddisfare.
Con sempre maggiore pressione, oggi la società chiede alle persone che si sono fatte
custodi e promotrici della scienza di scendere in campo e di condividere i saperi e le
conoscenze che anni di ricerca e scoperte scientifiche hanno prodotto e organizzato.
Obiettivo sempre più cogente per le Università diventa quello di aprirsi e riorganizzarsi per
entrare in relazione sempre più sinergica con il “mondo fuori”, con il caos di conoscenze,
pratiche e comunicazioni che lì esistono.
La sfida che quest’incontro pone al mondo accademico è quella di un vero e proprio
cambiamento culturale, strutturale ed organizzativo degli Atenei.
In questa prospettiva si colloca il mio lavoro di tesi.
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Le motivazioni che l’hanno mossa sono principalmente legate al desiderio di condurre uno
studio utile ad affinare le mie conoscenze e competenze nell’ambito delle scienze sociali ed
organizzative, con l’intenzione di promuovere spunti di riflessione sul difficile rapporto tra
organizzazione dei corsi di studio universitari, bisogni conoscitivi della società e loro
evoluzione, cultura organizzativa e culture scientifiche.
Il mio tentativo è pertanto, non quello di incrementare il già nutrito e sempre più raffinato
sapere psicologico, ma quello di analizzare, comprendere e migliorare i processi
organizzativi attraverso i quali vengono apprese, trasmesse e gestite le conoscenze
scientifiche rispetto alla società, in particolare verso alcuni importantissimi stakeholdersrs
“gli studenti”.
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CAPITOLO 1
1.1 Le Organizzazioni come costrutti sociali o culturali?
“ E' impossibile conoscere gli uomini senza conoscere la forza delle parole ”.
S. Freud L’uso nel titolo della preposizione “come” nel definire le organizzazioni, rappresenta un
tentativo d’interpretazione, un modo che da sempre aiuta l’uomo nel catturare gli aspetti
della realtà che vuole catturare, comprendere, astrarre per renderli intelligibili ad altri come
lui.
Il termine linguistico “come” corrisponde ad una precisa funzione cognitiva, quella della
similitudine, ovvero quella che compara sul piano simbolico due elementi che percepiamo,
rendendoli simili, e generando un passaggio di qualità tra l’oggetto corrispondente al
sostantivo posto prima del “come” all’oggetto corrispondente al sostantivo posto dopo.
Paragonare le organizzazioni alle culture, rappresenta un modo per unire sotto un unico
tetto due posizioni teorico-pratiche distinte e non sempre compatibili: quella corrispondente
alle scienze dell’organizzazione e quella corrispondente alle scienze sociali.
Le due discipline si sono da sempre differenziate per aver posto particolare attenzione
verso uno dei due poli della frase:
verso le organizzazioni con la loro particolare struttura e funzioni;
verso i sistemi sociali e/o culturali che in particolari contesti organizzativi si
vengono sviluppano.
I primi, gli scienziati dell’organizzazione, si sono spesso concentrati nello studio delle
strutture, della progettazione organizzativa, dei meccanismi di controllo e coordinamento
(H. Mintzberg, 1979;), i secondi cioè gli scienziati sociali ( psicologi sociali e sociologi in
primis) si sono concentrati sulle persone e sui meccanismi/processi grazie al quale si
possono sviluppare e migliorare le condizioni di vita delle persone e la loro produttività,
come nelle teorie di: Maslow, Weber, Durkeim e Mayo.
Paragonare le Organizzazioni a costruzioni sociali e/o culturali permette di superare
l’empasse tra i due poli della frase su citata, per posizionarsi sul “come”, che diventa così
un ponte tra discipline e concezioni difficili da far co-esistere insieme.
La posizione scelta è quella delineata dagli studiosi “[...] che hanno spiccato interesse per
lo sviluppo di conoscenze finalizzate professionalmente, che migliorino al contempo le
capacità diagnostiche e prognostiche di docenti e allievi [...]”(P. Gagliardi, 1995).
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Lo studioso che è interessato in egual misura alla ricerca di base e a quella applicata è
meno vincolato nel dover assumere come riferimento una singola disciplina.
Paragonare le organizzazioni a costruzioni sociali e culturali, posizionandosi sul “come”,
permette di conoscere in maniera più profonda sia i problemi delle organizzazioni sia quelli
della società, per uscire così da semplicistiche scelte disciplinari collocandosi in quella
zona di mediazione definita da G. Costa e R. Nacamulli (2002): dei Pragmatisti
Accademici .
In particolare, la mia tesi si muove lungo un importante filone di ricerca: il Simbolismo
Organizzativo.
Il Simbolismo Organizzativo pone particolare enfasi alla comprensione dei modelli
culturali che muovono ed influenzano l’agire organizzativo delle persone.
Le organizzazioni , utilizzando la metafora del “come”, non sono solo portatrici di cultura,
ma sono esse stesse parti del fenomeno culturale.
Questo modo d’intendere Organizzazioni e Culture porta a concentrare l’attenzione su
almeno due condizioni fondamentali:
- lo studio di come i soggetti conferiscono significato al fluire dell’esperienza che
fanno “nel” e “per” le organizzazioni;
- l’analisi qualitativa del materiale proveniente da osservazioni partecipate, materiale
testuale, interviste non strutturate, ecc. .
Nella mia trattazione, sicuramente uno dei debiti conoscitivi maggiori è quello nei
confronti delle teorie e del pensiero di Karl Weick (1995), che ha fornito un
importantissimo contributo, in prospettiva psico-sociale, allo studio dei processi di
interazione sociale sul quale le persone fondano l’attività “dell’organizzare”.
In quest’ottica, i processi relazionali e comunicativi sono propri per ogni organizzazione e
rappresentano i processi attraverso cui gli attori organizzativi in quel determinato contesto
socio-culturale, validano consensualmente il senso ed il significato dato a certe azioni
organizzative.
Le persone creano universi di significati condivisi che utilizzano per spiegare ciò che
avviene quotidianamente nelle loro attività organizzate; siamo in presenza di
“.. una grammatica convalidata consensualmente per la riduzione dell’ambiguità
attraverso comportamenti interdipendenti dotati di senso. Organizzare significa mettere
assieme azioni interdipendenti entro sequenze sensate che generano risultati sensati[…].
L’organizzare è simile ad una grammatica nel senso che è una relazione sistematica di
alcune regole e accordi attraverso cui sequenze di comportamenti concatenati vengono
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assemblate per formare processi sociali comprensibili agli attori stessi. E’ una grammatica
anche nel senso che consiste di regole per dare a variabili e connessioni causali la forma
di strutture dotate di significato, che riassumono le esperienze più recenti delle persone
che vengono organizzate ”. (K. Weick, in M. Depolo 1998, pag. 54).
Le organizzazioni sono quindi costruzioni culturali, esse esistono perché si alimentano di
interazioni e “scambi comunicativi” con il loro ambiente di riferimento, dal quale traggono
e trasformano comunicazioni-risorse per produrre soluzioni che soddisfino bisogni espressi
o latenti dell’ambiente stesso.
Le organizzazioni rappresentano, quindi, importanti fattori d’aggregazione ed esclusione
sociale che, attraverso rituali e modelli interpretativi specifici, caratterizzano e
differenziano certi gruppi sociali rispetto ad altri.
La cultura rappresenta quindi un potente fattore di conservazione ed uno dei suoi principali
fini è quello di proteggere e trasmettere ai propri membri, i modelli mentali e i moduli
operativi che si sono dimostrati proficui per la sopravvivenza di quel gruppo.
Mettere in discussione alcuni degli assunti o idee di riferimento di quella cultura
organizzativa sarà sufficiente per suscitare in quel gruppo reazioni di difesa e di chiusura
verso le persone o gli elementi portatori dell’innovazione.
L’adesione a un modello culturale tende, in altre parole, ad avvicinare tra loro le persone e
a definirne nello stesso tempo il loro “campo visivo”.
Tutto ciò non significa che essere portatori di valori culturali sia sbagliato, ogni gruppo
sociale in quanto tale è un insieme culturale, che sopravvive portando in sè
rappresentazioni della realtà in cui convivono più o meno sinergicamente sia significati
irrinunciabili, accettati in maniera fideistica ed indiscutibile, sia significati meno rilevanti,
che possono essere negoziati e discussi attraverso processi comunicativi.
Oggi l’indebolimento delle grandi organizzazioni politiche e religiose e della loro influenza
culturale, sta aprendo nuovi scenari d’incertezza ed opportunità sia per le persone sia per le
organizzazioni.
I dogmi e i meccanismi di conservazione culturale, oggi meno forti di un tempo, lasciano le
persone più esposte ai cambiamenti e agli stimoli che prima risultavano non rilevanti .
In questo, le persone sembrano sempre più attive e protagoniste nell’interpretare e
comprendere come minacce o opportunità i segni ed i segnali che percepiscono.
Come sostenuto anche da Z. Bauman (2005), le vecchie cornici di riferimento culturale
vengono a cadere e “… Le persone devono sviluppare soluzioni individuali ad incertezze e
ad incoerenze di tipo sistemico e socialmente determinate …”(Z. Bauman, 2005; pag. 57).
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Il valore dei modelli di una data cultura si misurano sempre di più nella loro capacità di
dare a chi li possiede la capacità di “..leggere l’ambiente e portare al gruppo un
patrimonio di conoscenza utile a garantire la sopravvivenza del gruppo e l’ammontare
delle risorse disponibili .”(D. Storni, 2005; pag. 77).
Il cambiamento quindi rappresenta un’opportunità per un membro di una comunità, solo se
questo percepisce la situazione come un desiderabile e vantaggioso mezzo per appagare i
propri bisogni o per giungere al soddisfacimento, anche simbolico, dei suoi sogni.
Non solo, oggi le persone sono meno vincolate da identità precise, determinate
dall’appartenenza per nascita ad una comunità. Per questo, ognuno di noi diviene
protagonista (per obbligo o per scelta) nella costruzione sociale della propria identità.
Per identità, s’intende quel costrutto psicologico che aiuta le persone a rispondere alle due
domande: “ chi sono?” e “ chi siamo noi?”. L’identità è un’auto-rappresentazione che le
persone creano di sé stesse come di “persone unitarie”, caratterizzate da qualità ed abilità
tipiche, stabili e permanenti, diverse da quelle di altri.
Essa è costruita attraverso le relazioni sociali con gli altri significativi ed è elemento
fondamentale dei processi formativi delle persone (C. Geertz, 1975).
Nell’era post-moderna l’identità non è più stabile e unitaria, ma multi-sfaccettata (più
identità convivono nello stesso individuo) ed in continua evoluzione.
Conoscere, apprendere e condividere significati attraverso la comunicazione e l’esperienza,
non sono processi astratti, ma insiemi di attività fortemente e profondamente legati all’
identità.
Infatti, noi definiamo ciò che siamo confrontando ciò che ci è familiare rispetto a ciò che è
sconosciuto, in una continua dialettica “..attraverso quello che dobbiamo sapere e ciò che
dobbiamo ignorare.”(E. Wenger, 2006).
Entrando in contatto più o meno diretto con comunità culturali portiamo in noi parti
significative e significanti di queste, che riattiveremo poi ogni qualvolta ci ritroveremo di
nuovo a contatto con quei gruppi o con quei contesti socio-culturali.
Le persone, grazie alle moderne tecnologie dell’ICT e alla mobilità favorita dai moderni
sistemi di trasporto, apprendono e ampliano le loro conoscenze e le loro rappresentazioni
attraverso le interazioni che sviluppano in specifici contesti socio-culturali e con precisi
soggetti sociali: l’identità diviene perciò il contenitore vivente in cui possono coesistere in
maniera più o meno conflittuale esperienze e conoscenze differenti del mondo (chi siamo
noi, chi sono loro, di chi mi posso fidare in questa situazione, ecc.) .
Nelle organizzazioni, considerare gli universi di significato delle persone diviene
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fondamentale per capire chi abbiamo di fronte e come dobbiamo comunicare e negoziare
per cooperare o competere nell’attività dell’organizzare.
Ciò che viene definito spesso come “organizzazione” è perciò il frutto di processi
relazionali e comunicativi che permettono alle persone di integrare obiettivi,
comportamenti e valori differenti per generare strategie di reciproco adattamento (M.
Depolo, 1998).
L’organizzazione è quindi un artefatto, uno strumento o costruzione artificiale (C. Bucci, P.
Valpiani, 2005) che necessita, come tutte le costruzioni dell’uomo, di interventi continui di
manutenzione e coordinamento per poter sopravvivere nel tempo.
Questa affermazione diviene particolarmente vera nelle organizzazioni che, per estensione,
numero dei partecipanti e turbolenza degli ambienti di riferimento, si trovano a dover
affrontare una complessità cognitiva e relazionale crescente.
Ne deriva che le organizzazioni sono alla continua ricerca di un equilibrio rispetto a
condizioni e situazioni in continuo cambiamento ed evoluzione.
Le comunicazioni e le interpretazioni che le persone danno di esse, sono importanti veicoli
che consentono di attivare azioni di volta in volta più idonee nel perseguire dinamicamente
tale equilibrio (C. Bucci, P. Valpiani, 2005).
Ogni volta che un attore compie un’azione, comunica, indipendentemente dalla sua
volontà.
Come stabilito anche da P. Watlawick, J. H. Beavin e D. D. Jackson (1971) nel primo
assioma della “ Pragmatica della comunicazione umana” : non si può non comunicare ;
soprattutto non si può cercare di non comunicare, perché anche il comportamento è
comunicativo e in una situazione d’interazione non si può non mostrare comportamenti.
Per questo motivo in una situazione d’interazione sociale:
- si comunica sempre con qualcuno; tutti coloro che sono coinvolti nell’azione,
coloro che subiscono le conseguenze più o meno volute dei comportamenti attivati
subendone le conseguenze, ma anche coloro che hanno la possibilità di osservare,
elaborare ed immaginare le modalità dell’azione e le conseguenze prodotte;
- si comunica sempre qualche cosa, come il contenuto dell’azione, i media e gli
strumenti utilizzati, le modalità d’azione intraprese e le loro conseguenze
immaginate e reali;
- si generano negli altri attorno a noi percezioni che a seconda delle modalità
d’azione, delle capacità percettive del ricevente e dalla visibilità dei fenomeni
prodotti saranno interpretate in diversa maniera.
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Utilizzando la stessa metafora usata da C. Bucci, P. Valpiani (2005), ogni azione nelle
organizzazioni, si comporta come un sasso scagliato in uno stagno, genera nel suo impatto
con l’acqua cerchi concentrici che si propagano sulla superficie e che possono
rappresentare metaforicamente le comunicazioni di un qualsiasi evento organizzativo.
La possibilità di fare esperienza diretta di un fenomeno consente a coloro che sono entrati
in contatto col fenomeno di sviluppare una propria interpretazione; tutti coloro che nello
stesso momento si trovassero a distanza dell’evento, dovrebbero basare le proprie inferenze
su comunicazioni parziali e di difficile comprensione, soprattutto se nello stesso momento
nello stagno, venissero gettati più sassi contemporaneamente.
1.1.2 Il rapporto tra struttura sociale e cultura organizzativa: modelli e paradigmi Lo scopo di questo capitolo è quello di presentare le organizzazioni come ambienti
culturali, ovvero come unità sociali in possesso di conoscenze comuni utilizzate per
organizzare l’azione individuale .
La cultura è dunque una costruzione simbolica, una struttura socio-cognitiva fatta di
riferimenti interpretativi e di modelli comportamentali.
Lo studio delle culture dei gruppi umani ha avuto il suo inizio soprattutto grazie agli sforzi
di antropologi ed etnometodologi; attraverso i loro studi è stato possibile sondare le
organizzazioni simboliche e sociali di diverse culture per risalire ai loro processi
d’influenza su strutture cognitivo-interpretative delle persone.
Pensare alla cultura, vuol dire abbandonare l’idea di una comprensione limpida e oggettiva
delle cose, per entrare in dimensioni opache dove soggettivo ed oggettivo si mescolano.
Il senso e la salienza di certi eventi, il modo in cui essi s’intrecciano e vengono espressi,
sono tutti elementi ai quali deve essere attribuito un significato; sono tutti elementi frutto di
processi interpretativi.
Il significato, in un’ottica culturale, diviene l’elemento fondante di qualsiasi studio che
voglia risalire alle modalità attraverso il quale processi interpretativi producono senso.
Quando un oggetto o un evento diviene sociale, cioè viene integrato nei sistemi di attività
di un certo gruppo di persone, acquisisce una molteplicità di significati.
Questa gamma di significati deriva soltanto in parte dalle caratteristiche oggettive
dell’elemento, mentre grossa parte dei significati ad esso attribuibili si determina ad un
livello individuale/soggetivo.
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Il codice culturale, infatti, determina e condiziona il repertorio di significati attribuibili ad
un certo evento in un certo sistema sociale, ma l’adattamento di questo codice è fortemente
legato all’azione e all’interpretazione individuale.
In sostanza, i significati derivati da interpretazioni ed azioni soggettive, vengono
continuamente mediati a due altri livelli :
- quello Universale e oggettivo, del repertorio dei possibili significati;
- quello intersoggettivo o culturale, legato alla sfera delle relazioni sociali in un
certo gruppo.
Quest’ultimo livello è quello a cui si esprime massimamente l’identità del gruppo sociale,
attraverso il quale valori, idee e gli altri sistemi simbolico-significanti trasmessi e creati dal
gruppo agiscono sul comportamento umano (M. R. Louis, in S. Zan,1988).
Questi sistemi simbolici, che sono l’espressione del sistema sociale da cui essi stessi sono
stati creati, costituiscono e condizionano attraverso un rapporto omeostatico le
interpretazioni e i comportamenti di chi vi appartiene.
W. G. Ouchi (1979), nel suo lavoro sul controllo esercitato dai clan, illustra come ideali
comuni ai membri di una certa comunità provvedano all’integrazione sociale tra persone e
gruppo.
Il significato prodotto individualmente deve essere quindi sempre ri-negoziato a livello
intersoggettivo.
I contesti sociali, in particolar modo quelli organizzativi, divengono i contesti di
riferimento nei quali si sviluppano e sono regolati i processi di trasmissione e creazione
delle culture.
Quando si parla di Cultura Organizzativa, si definisce un certo ordine simbolico situato
localmente in una certo contesto: le organizzazioni appunto.
L’intensità con cui in un certo contesto organizzativo incoraggia una certa cultura locale è
un problema che solo in parte può essere compreso attraverso lo studio del sistema
culturale o del sistema sociale.
Le due prospettive si compenetrano e non necessariamente in maniera pacifica e/o
sinergica.
Cambiamenti a livello culturale possono portare, infatti, a modifiche sostanziali nei
comportamenti e nelle interpretazioni individuali, determinando conseguenze spesso
inaspettate anche a livello della struttura organizzativa e dei comportamenti attesi e
desiderabili in quel certo sistema sociale.
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Viceversa, cambiamenti strutturali nell’organizzazione determinano spesso anche
mutamenti a livello delle culture locali che albergano in quel contesto sociale.
Un esempio di quest’ultimo fenomeno è senza dubbio offerto da E. L. Trist e K. W.
Bamforth (1951), nei loro studi sulle miniere di carbone.
In queste realtà, prima del mutamento organizzativo e della pianificazione di ruoli e
compiti, i rapporti interpersonali e interfamiliari erano facilitati e mediati dalla cultura del
gruppo di lavoro.
La creazione di standard di pianificazione e controllo ha smantellato questi rapporti,
determinato anche sconvolgimenti a livello della cultura locale dei minatori.
I cambiamenti organizzativi, non sono solo elementi distruttivi del tessuto sociale di una
certa cultura locale.
Succede infatti, che il mutamento possa favorire se non incoraggiare la nascita di culture
locali, come ad esempio nel caso della creazione di gruppi di lavoro in ambiti specifici o in
team di progetto; questi esempi, rappresentano gli ambiti di potenziale creazione di cultura.
I contesti organizzativi, servono in questo caso come spazi identificabili sociologicamente e
cognitivamente (M. R. Louis, in S. Zan, 1988) per sviluppare o ostacolare culture locali.
In termini di appartenenza, una persona può appartenere ad una cultura perché fa parte di
un certo contesto sociale nel quale quotidianamente interagisce faccia a faccia con altri
membri, ma si può anche essere membri di una cultura senza essere necessariamente
presenti fisicamente, sulla semplice base di affiliazioni e bisogni comuni.
Quest’ultimo caso è ben rappresentato dalle Comunità Virtuali, dove attraverso l’uso della
rete Internet, sono creati spazi cognitivi e relazionali svincolati dalle normali logiche
comunitarie basate su comunicazioni faccia a faccia; in cui la produzione e negoziazione di
significati, è totalmente svincolata da interazioni fisiche tra persone.
Appartenenza culturale e appartenenza sociale, sono perciò aspetti distinti ed in interazione
della stessa realtà organizzativa: può accadere, che una persona sia membra attiva in un
certo contesto sociale, ma che partecipi solo superficialmente alla cultura locale che quel
contesto promuove o offre.
Ciò che determina la partecipazione di un individuo ad un certo sistema di significati è la
percezione che l’individuo ha di sé: ci si considera membri di una cultura nella misura in
cui ci si percepisce come membri di essa.
Oltre alla percezione di sé deve essere presa in considerazione, come fattore fondante della
partecipazione culturale, la stessa competenza alla partecipazione.
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In quest’accezione, col termine competenza si identifica quanto e come una persona abbia
interiorizzato gli ideali e i valori fondanti di una certa cultura.
Il processo di acquisizione di un ordine simbolico locale, dipende però dalla comprensione
che la persona ha del sistema sociale ed intersoggettivo in cui quella certa cultura si
sviluppa.
La definizione della situazione diviene l’elemento chiave per capire i processi di
attribuzione e di costruzione di senso in un certo ambito socio-culturale.
La costruzione di senso, che K. Weick (1997) definisce col termine sensemaking , è il
processo attraverso il quale diversi sistemi e ordini simbolici interconnessi e sovrapposti
acquisiscono un possibile senso soggettivo sul quale e attraverso il quale i membri
dell’organizzazione creano la propria identità e partecipazione ai processi organizzativi.
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1.2 Modelli e paradigmi nello studio delle organizzazioni: il Simbolismo
Organizzativo Dopo aver dominato il paradigma scientifico per numerosi anni, intorno agli anni '70, la
teoria delle contingenze organizzative incontrò un periodo di profonda crisi: gli studiosi che
adottavano questa concezione e quei particolari metodi d’indagine, non riuscivano più a
spiegare gran parte della varianza acquisita attraverso le ricerche empiriche da essi
condotte.
Da questa nuova crisi del paradigma organizzativo, iniziò una nuova fase di confronto
scientifico centrata sulla dialettica tra soggetto ed oggetto, azione e struttura, significato e
funzioni, una fase ispirata al senso, alle credenze e alla cultura.
Karl Weick ha fortemente influenzato in senso cognitivista lo sviluppo di questo dibattito
organizzativo , attraverso l'uso di una posizione iper-soggettivista per cui, nulla esiste al di
fuori dei flussi dell'esperienza, a cui i soggetti conferiscono un significato.
Per Weick anche l'organizzazione non esiste a priori, ma va vista come un “ corpo di
pensiero pensato da pensatori pensanti ”, dove lo stesso organigramma altro non è che un
mito ( snapshot ) all'interno del flusso di esperienza.
Secondo Weik, esisterebbe un procedimento mediante il quale le persone attivano processi
cognitivi di deduzione congiunta che consentono la co-costruzione e lo sviluppo di mappe
normativo-causali condivise: costrutti dotati di senso e di ordine logico che predispongono
al comportamento futuro, ma che a loro volta sono alterate e modificate dall'ininterrotto
flusso di nuova esperienza .
In quest’ottica, il manager risulta più come evangelista con il compito d’influenzare i
significati e l’ordine logico presente nelle mappe cognitive create dalle persone che non
come gestore-amministratore di prodotti, servizi, funzioni o processi.
Il confine tra interno ed esterno dell'organizzazione, le strutture interna e la divisione di
ruoli e competenze rispetto agli obiettivi/risultati, altro non sarebbero che il frutto di un
processo cognitivo umano di attribuzione di senso e di attivazione di una mappa logica
dell'ambiente interno e conseguentemente di quello esterno all’organizzazione ( enacted
envirorment ).
Weick analizza “il come” le varie componenti delle organizzazioni (in particolare
scolastiche) cerchino di conferire senso alle proprie azioni all'interno di uno specifico
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ambiente d'esperienza, dimostrando in queste organizzazioni le diverse parti sono collegate
tra loro e con l’ambiente attraverso connessioni deboli .
Le organizzazioni, secondo l’autore, riuscirebbero a non disintegrarsi sotto l'effetto di forze
centrifughe grazie ad con un coordinamento minimo centrato solo su determinate questioni
organizzative fondamentali condivise tra i membri di quel determinato gruppo.
Di conseguenza, ai membri dell’organizzazione è concesso un certo spazio di
autodeterminazione nella costruzione e co-costruzione della realtà organizzativa in cui essi
vivono e del senso che essa assume.
Negli studi organizzativi la corrente del Simbolismo Organizzativo, riprende l'enfasi sul
significato che gli attori attribuiscono alle proprie azioni coniato da K. Weick (1969),
ponendo particolare attenzione a tutto ciò che riguarda la creazione, l'uso e la gestione
strategica del patrimonio simbolico e culturale dell'organizzazione.
Questo approccio è molto influenzato anche dall'antropologia interpretativa di C. Geertz,
che spesso porta questi studiosi a sviluppare una sorta di empatia intellettuale verso le
società e le culture organizzative, che vengono viste in maniera diacronica, cioè
concentrando l’ attenzione sullo studio in chiave “drammaturgica” degli sviluppi e delle
crisi che caratterizzano e hanno caratterizzato quella determinata realtà sociale.
I ricercatori dell'approccio simbolista utilizzano in contrapposizione alle metafore
organicistica e meccanico-razionale, quella dell'organizzazione come metafora culturale ,
che grazie allo studio di saghe, storie e miti permette una comprensione spesso intuitiva dei
significati dei comportamenti.
Il simbolismo organizzativo è stato da sempre utilizzato per due fini principali, il fine
manageriale e quello analitico: il primo cerca di scoprire i nessi tra utilizzo dei simboli
aziendali e successo economico; il secondo cerca di cogliere i controlli e le manipolazioni
sempre più indirette che le alte dirigenze compiono per favorire certi stili d'azione
organizzativa nei subordinati, spesso volti alla creazione di certezze o alla riduzione
dell’incertezza nel processo di acquisizione di risorse di origine esterna.
Quest'ultimo approccio, presuppone le organizzazioni come “sistemi aperti” in continua
lotta on altre organizzazioni per la sopravvivenza, pone accento sul fatto che i problemi di
sopravvivenza e le modalità con cui si affrontano plasmano il modo con cui
l’organizzazione si struttura: le scelte politiche esterne all’organizzazione spesso dominano
le decisioni che vengono prese al suo interno e lo studio e comprensione di queste influenze
può dare spunti interessanti per migliorare la comprensione della stessa azione
organizzativa.
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Secondo J. Pfeffer e G. R. Salancik (1977), le imprese riescono a sopravvivere nella misura
in cui sono in grado di condizionare l'ambiente che le condiziona: diviene fondamentale per
questo la distinzione che glia autori fanno tra efficienza, cioè la misura interna del rapporto
tra risorse utilizzate e i risultati ottenuti, ed l'efficacia, la misura “esterna” di natura socio-
politica che riguarda l'abilità dell'organizzazione nel raggiungere risultati prefissati e/o nel
compiere azioni ritenute accettabili dall'ambiente in cui la stessa organizzazione opera
(processo di legittimazione ).
Il rapporto organizzazione ed ambiente proposto dai due autori ha numerose implicazioni,
la prima riguarda senza dubbio l'ambiente attivato : in base alle informazioni raccolte e agli
obiettivi che ci si pone, l'organizzazione e l'ambiente acquisiranno agli occhi delle persone
determinate configurazioni; una seconda implicazione, è legata al fatto che le
organizzazioni cercano di controllarsi a vicenda generando crescenti interdipendenze che
spesso impongono forti mediazioni inter-organizzative nel tentativo di aumentare il
controllo che uno dei partner ha sugli altri.
Si deve pertanto pensare alle organizzazioni come a coalizioni d’individui o gruppi di
individui che generano lobby trasversali, cioè gruppi i cui membri appartengono a più di un
gruppo d’interesse come nel caso degli interlocking directorates, strategie di
manipolazione dell’ambiente organizzativo basate su meccanismi sociali di cooperazione
interaziendale per l’acquisizione di risorse lo scambio d’informazioni, attuato attraverso lo
scambio di membri tra consigli di amministrazione (Lang e Lockhart, 1990, in Soda,
1999). Il quadro che emerge è estremamente duro e vede le organizzazioni e le persone che
ne fanno parte in lotta per l'acquisizione di risorse, spesso con margini di libertà
estremamente esigui. In questa condizione, l'azione della leadership ha scarsi risvolti ed
influenze a livello sostanziale e si deve manifestare principalmente a livello simbolico: una
sorta di legittimazione simbolica e giustificazione-spiegazione delle situazioni
organizzative ed ambientali che in larga misura sfuggono all’ambito di controllo di
dirigenti e manger.
J. Pfeffer (in P. Gagliardi, 1995) individua in tutte le organizzazioni un nucleo tecnico
centrale che costituisce e rappresenta le certezze e le connessioni di causa-effetto tra
fenomeni ambientali e organizzativi: tanto più queste connessioni sono consolidate, tanto
più si potrà parlare di paradigma organizzativo istituzionalizzato: la forza e la condivisione
di queste credenze determina che la forza e la probabilità di sopravvivenza dello stesso
paradigma organizzativo.
Di conseguenza dove il paradigma, con le sue certezze e mappe causali, sarà meno forte più
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