2
Il passaggio da una fase della vita ad un'altra è diventato via via meno
netto e più sfumato, le scadenze che hanno da sempre contrassegnato la vita
degli individui (portare a termine gli studi, trovare lavoro, creare un nuovo
nucleo familiare) sono diventate sempre più fluide, in alcuni casi, fino a
scomparire.
Ad incidere sui percorsi esistenziali vi sono le imprescindibili situazioni
di vita, i fattori contingenti dell’esistere, siano essi di carattere personale che
sociale. Così possiamo trovarci di fronte a degli adulti che si sentono e
vengono visti come adolescenti, ad altri che vivono come giovani ma pensano
da adulti e a degli adolescenti che vivono e pensano come adulti.
Al fine di meglio comprendere i percorsi individuali dei giovani ho
preso, anche, in considerazione i contesti di vita (la famiglia, il gruppo dei pari,
l’associazionismo, la scuola) e i comportamenti che maggiormente
caratterizzano le relazioni nell’ambito di tali contesti (§ 1.2).
Nel mio lavoro ho, anche, parlato del fenomeno del giovane adulto o
della adolescenza lunga (§1.1), un fenomeno presente in Italia da alcuni anni
ma che ha suscitato solo recentemente un grande interesse da parte dei
sociologi, psicologi, economisti. Un fenomeno ambiguo, complesso che può
essere interpretato sia come scelta di vita che come necessità e comunque, in
generale, come la tendenza a permanere più a lungo nella famiglia di
appartenenza.
3
Accanto alla figura del giovane adulto ho anche proposto quella
“dell’eternamente giovane”, di colui che evita qualsiasi responsabilità,
qualsiasi decisione che possa intaccare l’equilibrio raggiunto, usando
l’indifferenza come scudo. Più volte ho evidenziato il tema della responsabilità,
dell’educazione alla responsabilità come imprescindibile insegnamento di vita
nella società moderna.
Nella società del molteplice, dai mille volti e dalle mille opportunità
non si può vivere senza scegliere, senza decidere, senza valutare. Troppe volte
però ci si imbatte in una cultura egocentrica, opportunista, che fa leva sulla
incapacità di affrontare in modo consapevole e completo le decisioni e le scelte
che la vita impone.
Vivere, riflettere, valutare e scegliere sono, a mio avviso, dei momenti
imprescindibili dalla responsabilità. Un’esistenza senza responsabilità è una
esistenza senza scelta e quindi, spesso, una “non esistenza” (Capitolo 2).
L’incapacità di essere responsabili è un atteggiamento che oltre a
nuocere a se stessi, in quanto non fa crescere intellettualmente ed
emotivamente, ha anche dei riflessi sugli altri, sulle persone con cui si entra in
relazione. Tale atteggiamento non offre la possibilità di riflettere e quindi di
valutare le conseguenze delle proprie azioni. Molte volte si sbaglia, si nuoce ad
altre persone ma si è incapaci di valutare l’entità del danno e soprattutto di
imparare dagli errori commessi (§2.1).
4
La vita moderna, la realtà in cui si vive certo non è facile e spesso crea
dei sentimenti di smarrimento soprattutto nei più giovani e in modo particolare
nelle persone più sensibili e quindi più deboli.
Il male di esistere, la sofferenza profonda legata all’incapacità di vivere
e di sentirsi vivi, è un male che affligge un numero sempre più elevato di
giovani. Questa sofferenza dell’anima può essere causata da vari motivi, a
volte semplicemente da una eccessiva sensibilità, ma la cosa che in un certo
senso accomuna queste situazioni è la voglia di annullarsi per non sentire più il
male, il disagio che si prova dentro (§2.2).
Come sfuggire a questo sentimento di non appartenenza, di
disorientamento?
Le risposte offerte sono tante, a volte semplicemente di rifiuto, di
rassegnazione e chiusura in se stessi, altre volte sono risposte originali,
creative, alternative che in vario modo vengono interpretate dal mondo
circostante. Queste risposte nascono comunque da un bisogno comune, quello
di comunicare, mediante linguaggi simbolici, il proprio disagio esistenziale e
allo stesso tempo il desiderio di soddisfare e di colmare tale disagio.
Dei molteplici comportamenti usati dai giovani, per soddisfare quelle
esigenze a cui la società non ha dato risposta, si possono dare molteplici
interpretazioni che però non possono essere sempre obiettive.
5
Per capire tali comportamenti bisogna vivere le stesse situazioni e
conoscere le motivazioni profonde, ma tutto questo, molte volte, non è
possibile, altre volte occorre soltanto superare il muro di indifferenza o di
diffidenza per scorgere, oltre alle scintille dei comportamenti insoliti, i bisogni
e le richieste inevase (§2.3).
Negli ultimi due capitoli del nostro lavoro si parla proprio delle risposte
concrete date ad alcuni bisogni giovanili, infatti vengono esposte le recenti
normative in materia di politiche del lavoro (Capitolo 3) e del progetto di
riforma del sistema formativo italiano, della realizzazione del tanto auspicato
sistema di formazione integrata, che vede una più stretta collaborazione tra
scuola e territorio, tra scuola e mondo del lavoro (Capitolo 4).
Ciò che viene ribadito, in quest’ultima parte, è l’importanza della
formazione al lavoro e, quindi, l’esigenza di un maggiore raccordo tra esigenze
di formazione e cambiamenti del mercato economico e del lavoro (§3.2-3.3).
Emerge ancora il concetto di flessibilità ma questa volta intesa, per
quanto riguarda le imprese, come la capacità di rispondere prontamente alle
richieste del mercato, per quanto riguarda l’individuo, invece, è considerata
come duttilità mentale, capacità di adattarsi ai molteplici cambiamenti in corso
dentro e fuori il mondo del lavoro e di svolgere compiti o ruoli professionali
diversi (§3.4).
6
Educare alla flessibilità significa offrire agli individui, in modo
particolare, ai giovani quegli strumenti necessari per poter sviluppare la
duttilità e la mobilità di pensiero per poter interagire nella realtà complessa
senza, però, mai perdere di vista se stessi, i propri obiettivi e la propria
personalità.
La formazione di una intelligenza flessibile diventa, allora, l’obiettivo
principale di ogni percorso formativo (formale o informale, istituzionalizzato o
personale), il quale deve essere in grado di stimolare la costruzione dello
spirito critico, che è un alleato indispensabile sia nelle decisioni importanti, sia,
per rendere i giovani padroni del proprio presente e artefici del proprio futuro.
Questo è il compito principale della scuola del XXI secolo. Preparare i
giovani a vivere e a interagire in una realtà sempre più complessa e mutevole,
in cui diventa prioritario sviluppare una intelligenza flessibile, in grado di
accogliere ed elaborare, in modo costruttivo, tutte le conoscenze, le
informazioni che derivano dalle molteplici esperienze e relazioni vissute nei
diversi contesti di vita (Capitolo 4).
La scuola, la famiglia, così come tutte le altre agenzie educative,
devono “gettare le fondamenta” sulle quali gli individui costruiranno l’edificio
del proprio futuro.
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Tali agenzie devono, infatti, offrire sia le basi culturali, cognitive ed
emotive, che dovranno sostenere i giovani nel processo continuo di educazione,
o meglio di autoeducazione, sia offrire sostegno nelle difficili fasi di decisione
e transizione (§ 4.3 - 4.2).
I giovani, a loro volta, devono, però, imparare a considerare il proprio
patrimonio personale e culturale come un capitale da arricchire continuamente
e da cui attingere per poter realizzare i propri progetti di vita.
Proprio per poter rispondere in maniera efficace, sia alle nuove esigenze
sociali sia alle richieste del mondo del lavoro, la scuola ha intrapreso la lunga
strada verso il rinnovamento. Il progetto di riforma del sistema formativo
italiano è, infatti, rivolto alla realizzazione di una scuola dotata di maggiore
autonomia e flessibilità, capace di offrire un “servizio” sempre più di qualità e
maggiormente rispondente alle esigenze del territorio e quindi in grado di
creare dei stabili rapporti tra formazione scolastica e professionale, superando
in tal modo il cosiddetto “gap formativo” (scontro tra formazione scolastica e
realtà professionale) che è una delle principali cause della dispersione di
risorse umane (§ 4.1).
8
Capitolo 1
L’universo giovani: un rompicapo interpretativo
Premessa
Nell’antica Roma si distingueva l’età giovanile in adulescentia (da 15 a
21 o 28 anni) e in juventus (da 21- 28 fino a 35 anni). L’adulescentia era l’età in
cui l’individuo veniva preparato al futuro ruolo di adulto ricevendo una istruzione
adeguata al proprio ceto sociale, mentre, l’inizio della juventus era testimoniato
dall’uso della toga virile candida e dal far parte delle curie in cui era concesso di
banchettare tra pari, oppure, dalla introductio in forum: iniziazione alla vita della
comunità. Per le donne il passaggio da una età ad un’altra era segnata dal
matrimonio e dal concepimento di un figlio: le virginis erano le donne nubili; le
uxores, quelle sposate, le matronae, le donne che avevano avuto un figlio. Mentre
per gli uomini il passaggio da un ruolo sociale ad un altro veniva scandito
dall’età, le donne mutavano il loro stato nel momento in cui diventavano
sessualmente mature per contrarre matrimonio a prescindere dall’età anagrafica.
La giovinezza, così come l’infanzia, erano delle età senza diritti, in cui si
doveva obbedienza assoluta ai genitori, i quali avevano un vero e proprio diritto
di proprietà sui figli.
9
Erano gli adulti a decidere del destino delle nuove generazioni, un destino
diverso secondo il sesso e il ceto sociale di appartenenza. I figli degli aristocratici
venivano educati al futuro ruolo sociale nella casa paterna, i ragazzi preparati a
ricoprire cariche pubbliche e le ragazze ad essere buone mogli e madri. I figli dei
servi o dei contadini erano, invece, già da piccoli avviati al lavoro e allontanati
ben presto dal proprio nucleo familiare.
La adulescentia, intesa come età di preparazione alla vita, era riconosciuta
solo ai giovani appartenenti alle famiglie ricche. La povera gente diventava
subito adulta, per essa non vi erano età intermedie da dedicare al gioco e allo
studio, ogni figlio, anche se giovanissimo, doveva contribuire al sostentamento
della famiglia.
La scoperta della giovinezza come età della vita avente valore in sé,
quindi non solo come preparazione all’età adulta, si è avuta nel XVI secolo
contemporaneamente alla nascita della famiglia moderna.
La giovinezza è stata definita da letterati e poeti come l’età del fervore,
dell’entusiasmo, della libertà, l’età in cui si è in grado di vivere pienamente le
gioie dell’esistenza e si ha la possibilità di progettare e di sognare il futuro. E’
però anche un'età di turbamenti, di passioni forti e violente, di amore per i grandi
ideali ma anche di instabilità e sofferenza.
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Il futuro veniva esaltato come il tempo dei giovani, il tempo in cui le
speranze e i grandi ideali avrebbero trovato piena realizzazione e avrebbero
promosso un rinnovamento sociale e culturale nel proprio paese e in tutta
Europa.
Nella società contemporanea il futuro è diventata un'incognita, una
dimensione temporale lontana e inimmaginabile. Nel periodo storico che
viviamo, caratterizzato dal cambiamento, dalla mutevolezza, è diventato difficile
o addirittura impossibile fare delle scelte o progetti a lungo termine.
Il presente è diventato l’unico tempo della vita, il passato e i suoi valori
sono sopiti, il futuro diventa sempre più vago e incerto. I giovani degli anni ‘90
vivono in un eterno presente, senza riferimenti passati e futuro, i valori di ieri
sono caduti davanti ai loro occhi, mentre oggi vivono la crisi che è stata a lungo
preparata dai loro padri, senza più avere la capacità di realizzare il proprio futuro.
La crisi di valori, che sta diventando sempre più crisi d'identità,
condiziona tutti gli aspetti della vita. Un diffuso sentimento di precarietà ha
favorito la nascita di un pensiero “reversibile”, un pensiero in cui tutto assume
un valore relativo, dove nulla è certo e per sempre.
Le istituzioni tradizionali dell’attuale sistema sociale (famiglia, scuola,
enti locali, chiesa, mondo del lavoro ecc.) non sono più in grado di promettere
stabilità e coerenza. La mutevolezza del reale chiede loro una continua opera di
trasformazione e adattamento affinché le funzioni espletate diventino sempre più
responsive alle emergenti richieste sociali.
11
Quei giovani che non trovano mezzi o valori tali da contenere il conflitto e
le contraddizioni prodotte dalla complessità, possono reagire fornendo risposte
disparate, adottando comportamenti e stili di vita “alternativi” o devianti.
Il disagio giovanile trova espressione nelle diverse “fughe dal tempo e
dalla pelle”
1
, ovvero nelle varie forme di evasione o di opposizione alla realtà.
“Insomma: i giovani, bombardati da messaggi contrastanti (diretti o criptici) che non
riescono ad elaborare correttamente, o che non trovano nel rapporto con l’adulto criteri di
valutazione utilizzabili per ridurre la complessità, possono essere portati a scegliere soluzioni
radicali che tagliano nettamente il conflitto”
2
.
L’adolescenza lunga o la famiglia lunga è il fenomeno caratteristico degli
anni ‘90, esso rappresenta il prolungamento della dipendenza dei giovani dalla
famiglia espressione della incapacità e dell’impossibilità di realizzarsi
autonomamente come individui. Il prolungamento del tempo dedicato allo studio
e la difficoltà di inserimento lavorativo rallentano e a volte bloccano l’ingresso
effettivo dei giovani nella società degli adulti.
Il lavoro inteso come il momento effettivo di inserimento dei giovani
nella società degli adulti è diventato una meta sempre più irraggiungibile.
1
Cfr. Emilio BUTTURINI, Disagio giovanile e impegno educativo, La Scuola, Brescia, 1984
2
Gaetano DE LEO - Federico PALOMBA - Patrizia PATRIZI - Gilda SCARDACCIONE,
L’adolescenza lunga. Problemi psicologici e criminologici dei giovani adulti, Unicolpi,
Milano, 1997, pagg.33-34
12
La possibilità di essere economicamente indipendenti e di realizzarsi
professionalmente, mettendo a frutto le capacità e le conoscenze accumulate in
anni di studio, è ostacolata da molteplici fattori di carattere economico e sociale.
La moratoria psico-sociale dei giovani, di cui ci parla E. H. Erikson,
ovvero la dipendenza emotiva ed economica dalla famiglia di origine, oggi è
diventata il modello di vita caratteristico dei giovani anni ‘90, i così detti:
“Mammoni d’Italia”.
1.1 I giovani: chi sono, cosa sperano, dove vanno
• Chi sono?
“E’ noto come, […], i tentativi definitori sono sempre destorificanti la processualità e la
complessità di vita, ma essi lo sono ancora di più quando si rivolgono a fasce del corso della vita
– come la giovinezza – di cui sono in questione gli stessi confini entro cui è possibile situarla.
[…]. Tra adolescenza-giovinezza e giovinezza-età adulta i confini sono sempre estremamente
fluidi ed essi spesso variano da soggetto a soggetto”.
(Franca Pinto Minerva Giovani, società complessa, realtà meridionale
3
)
Nei testi di psicologia troviamo una definizione generica di adolescenza
che viene definita come l’ultima tappa dello sviluppo psichico dell’individuo e
come fondamentale momento di preparazione e di transizione verso lo status di
adulto.
3
Franca PINTO MINERVA, “Giovani, società complessa, realtà meridionale” in
Franco FRABBONI – Flavio MONTANARI, Pensare giovane, Cappelli, Bologna, 1991,
pag. 237
13
Alcuni autori parlano indistintamente di adolescenza e giovinezza usando
i due termini come sinonimi. Altri autori, invece, distinguono una prima fase
della adolescenza, quella legata alle dinamiche di separazione e di
individuazione, da una seconda fase, quella vicina all’età adulta che presenta le
problematiche relative all’ingresso del giovane nella società degli adulti
4
.
Il padre della psicologia scientifica dell’adolescenza viene considerato
Hall, il quale divide lo sviluppo dell’individuo in quattro stadi: infanzia,
fanciullezza, giovinezza e adolescenza; quest’ultima rappresenta la fase di
transizione che va dalla pubertà all’età adulta. Hall descrive l’adolescenza come
un periodo della vita in cui si vivono forti passioni e turbamenti e si è preda di
sentimenti contraddittori di autonomia e di insicurezza, di sensibilità e di
indifferenza, di amicizia e di solitudine.
Gli studi psicoanalitici sembra abbiano trascurato questo periodo della
vita rivolgendo maggiore attenzione agli altri stadi di sviluppo, soprattutto
all’infanzia. L’adolescenza viene presa in considerazione solo come momento
conclusivo dello sviluppo psico-sessuale dell’individuo.
Freud, infatti, non parla di adolescenza ma solo di pubertà, ovvero del
periodo in cui la pulsione libidica, superata la fase pregenitale e gli stadi
successivi (fase orale, anale e fallica), si concentra nella zona genitale.
4
Per le teorie psicologiche sull’adolescenza Cfr. Piero DI GIORGI, Adolescenza e famiglia,
Editrice Ianua, Roma, 1979
14
In questa fase il soggetto vive due importanti momenti di sviluppo
psichico caratterizzati dal superamento delle fantasie incestuose e dalla
separazione dall’autorità dei genitori. Il superamento della situazione di
dipendenza dai genitori produce un evitabile conflitto intergenerazionale che è
fondamentale per l’ulteriore crescita dell’individuo.
A tale proposito Freud sostiene che il mancato superamento della autorità
genitoriale può generare una situazione di fissazione incestuosa e quindi
costituire un ostacolo per le future relazioni amorose e sessuali del soggetto
maturo.
Adler sottolinea, invece, come durante l’adolescenza “lo stile di vita”
elaborato dal bambino per affrontare le difficoltà della vita, viene messo a dura
prova. L’adolescente deve riadattare il proprio “stile” alla luce di nuovi bisogni,
nuove esperienze e nuove relazioni. Tale operazione non è certo priva di
difficoltà e di conflittualità. L’individuo affronta tale situazione in modo
doloroso, vivendo sentimenti di inadeguatezza e di inferiorità nei confronti degli
adulti con cui deve interagire. L’insicurezza circa le proprie capacità se da un
lato produce un iniziale ripiegamento in se stessi, dall’altro funge da “spinta” a
compensare l’inadeguatezza e a superare l’incertezza.
L’adolescenza è per Jung il periodo in cui l’individuo intraprende il
cammino verso la maturazione e la conquista dell’identità personale.
15
A. Freud mette in luce come l’adolescenza sia un momento di
trasformazione totale che impegna il giovane nella costruzione di un nuovo
equilibrio diverso da quello sviluppato durante l’infanzia.
“L’adolescente oscilla tra una personalità repressa e difensiva ed una primitiva,
apertamente aggressiva e sessuale. Per difendersi, l’adolescente emargina i suoi oggetti d’amore
primari, o denigrandoli o con l’aperta rivolta contro le loro credenze”
5
.
In questo periodo della vita si riattivano le pulsioni sessuali nei confronti
dei primitivi oggetti d’amore ( genitori, fratelli, sorelle). L’ego si difende dalle
pulsioni dell’Id innescando alcuni meccanismi di difesa tra cui l’ascetismo e
l’intellettualizzazione, tipici della adolescenza.
A. Freud ritiene impossibile una armonizzazione dell’Id ego e superego
durante l’adolescenza e inoltre sottolinea come la conflittualità e la turbolenza
siano aspetti imprescindibili e normali di questa fase di crescita.
Come S. Freud, Blos sostiene che durante l’adolescenza viene riattivato il
complesso edipico con i relativi sentimenti di angoscia e sensi di colpa. In
particolare viene sottolineato da Blos l’importanza dell’esperienza di separazione,
definita come il “secondo stadio dell’individuazione”. Il primo stadio si realizza
con la separazione della diade madre-figlio, mentre il secondo trova attuazione
nella giovinezza con il superamento della dipendenza dall’autorità dei genitori.